Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25056 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25056 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 12245/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti e domiciliata a ll’ indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 186/2020 del TRIBUNALE di VERONA, depositata il 29/01/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
NOME COGNOME convenne davanti al Giudice di pace RAGIONE_SOCIALE chiedendo che la convenuta fosse condannata alla
restituzione del doppio della caparra, lamentando l’inadempimento di quest’ultima, dalla quale aveva acquistato un’autovettura nuova di fabbrica ‘Dacia Sandero 1.4. G.P.L. Ambiance’, per il prezzo di € 10.450,00, che la venditrice non era stata in grado di consegnarle.
1.1. RAGIONE_SOCIALE si costituì chiedendo che fosse accertata e dichiarata la nullità dell’ordine d’acquisto per impossibilità originaria, poiché l’autovettura, già al momento della sottoscrizione, non era più disponibile, in quanto non più in produzione; precisò di avere già restituito la caparra confirmatoria maggiorata degli interessi maturati medio tempore e chiese il rigetto della domanda dell’attrice.
1.2. Il Giudice di Pace di Verona accolse la domanda attorea, risolvendo il contratto per il grave inadempimento della società venditrice.
Il Tribunale, quale giudice d’appello, dichiarò inammissibile l’impugnazione di RAGIONE_SOCIALE in considerazione del valore della domanda.
La Corte di cassazione con l’ordinanza n. 2850/2018 cassò con rinvio la sentenza impugnata, in quanto il valore della causa corrispondeva al prezzo dell’autovettura, avendo la società venditrice chiesto dichiararsi la nullità del contratto.
Riassunta la causa da RAGIONE_SOCIALE, il Tribunale di Verona, rigettata la domanda di nullità del contratto, dichiarò legittimo il recesso di NOME COGNOME condannando la società convenuta al pagamento del doppio della caparra confirmatoria.
4.1. Questi, in sintesi, gli argomenti salienti della sentenza, per qual che qui possa rilevare:
spettava ad RAGIONE_SOCIALE, la quale aveva chiesto che fosse dichiarata la nullità dell’ordine di acquisto, provare l’impossibilità originaria, assoluta e definitiva della prestazione ai sensi degli artt. 1346 e 1418 co. 2 cod. civ.; per contro, la stessa avrebbe potuto
eventualmente reperire l’autovettura da altra concessionaria, avendo la medesima dichiarato di non essere l’unica rivenditrice del marchio ‘Renault’ in Italia;
la circostanza che <>; -la convenuta, pertanto, stante l’inadempimento della società, aveva legittimamente esercitato il diritto di recesso, avendo pertanto diritto ad ottenere la restituzione del doppio della caparra confirmatoria.
Avverso la sentenza del Tribunale di Verona, la società soccombente propone ricorso fondato su sei motivi. NOME COGNOME resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Con il primo motivo la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 383, 392 e 132, co. 1 n. 4 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cod. proc. civ.
La ricorrente deduce che il Giudice del rinvio aveva <>, avendo omesso di pronunciarsi sui due motivi
d’appello a suo tempo rassegnati dalla esponente e richiamati con l’atto di riassunzione.
Con il primo motivo d’appello aveva lamentato violazione e falsa applicazione degli artt. 1346-1418, 2697 cod. civ., 115 e 320 cod. proc. civ., 111 Cost., nonché illogicità della motivazione, essendo stata ammessa la circostanza che il veicolo non fosse più disponibile, perché non più in produzione da prima della stipulazione del contratto. La controparte, sia pure al fine d’enfatizzare l’inadempienza di RAGIONE_SOCIALE, in citazione aveva dato atto di ciò e, pertanto, male aveva fatto il Giudice di pace a non dichiarare la nullità del contratto.
Con il secondo motivo aveva lamentato violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 2697 cod. civ. e 115 cod. proc. civ., non potendosi imputare a colpa del rivenditore, mero concessionario del marchio Dacia, la mancata consegna, in presenza di un fermo rifiuto dell’acquirente di scegliere un altro modello.
Il Giudice d’appello in sede di rinvio, dopo avere assai parzialmente richiamati i motivi d’impugnazione della esponente, aveva deciso la causa senza prenderli in effettivo esame.
Con il secondo motivo RAGIONE_SOCIALE denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cod. proc. civ. (primo profilo); violazione e falsa applicazione dell’art. 132 co. 4 n. 2 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cod. proc. civ. (secondo profilo).
Questa la sintesi delle critiche mosse con il complesso censorio:
-il giudice del rinvio aveva erroneamente ritenuto che nel caso di specie non fosse operante il c.d. ‘principio di non contestazione’ rispetto al fatto che l’autovettura oggetto del contratto non fosse più in produzione già al momento della
conclusione dello stesso, circostanza dedotta in citazione da NOME COGNOME e non contestata da RAGIONE_SOCIALE;
-il Tribunale, osservando che la suddetta circostanza non fosse stata posta a fondamento della domanda della COGNOME, aveva inoltre violato il c.d. ‘principio di acquisizione della prova’, secondo cui gli effetti della prova in generale non sono nella disponibilità delle parti;
-la decisione, con motivazione contraddittoria e perplessa, aveva affermato che il fatto di cui sopra, allegato in citazione e non contestato da RAGIONE_SOCIALE, era stato a sua volta contestato dalla stessa resistente quando quest’ultima aveva dichiarato che la società ricorrente non l’aveva resa edotta della circostanza e che non poteva comunque sapere da quando l’autovettura non fosse stata più in produzione.
8. Con il terzo motivo la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1346, 1418, 2697 cod. civ. e del ‘principio di acquisizione della prova ‘( anche atipica), in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ. (primo profilo), per aver il giudice del rinvio rigettato la domanda di nullità del contratto, oggetto del primo motivo di appello, per difetto di prova, non tenendo conto che i fatti dedotti da NOME COGNOME, anche a voler prescindere dal principio di non contestazione, costituivano comunque ammissioni sfavorevoli all’accoglimento della domanda di condanna alla restituzione del doppio della caparra, e per converso, erano favorevoli all’accoglimento della domanda di RAGIONE_SOCIALE, avendo valore indiziario di presunzione (semplice) di per sé o comunque unitamente agli altri fatti di causa.
Denuncia, inoltre, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti in relazione all’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. (secondo profilo) per aver il giudice del rinvio trascurato la circostanza che l’impossibilità
originaria ( e assoluta) dell’oggetto era stata ammessa dalla resistente allorquando aveva affermato nella citazione introduttiva che l’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE era stato aggravato ‘ dal fatto che alla stessa era stata nascosta la circostanza che detta autovettura non poteva esserle consegnata perché non in produzione’.
Con il quarto motivo RAGIONE_SOCIALE denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 – 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ., per avere il Tribunale ritenuto possibile l’adempimento da parte della società ricorrente, poiché quest’ultima avrebbe potuto reperire l’autovettura da altra concessionaria, stante che la medesima aveva dichiarato di non essere l’unica rivenditrice del marchio Renault in Italia. Trattavasi, a dire della ricorrente, di una presunzione che difettava del requisito della ‘gravità’ e della ‘concordanza’.
Con il quinto motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1346 e 1418 cod. civ. in relazione all’art. 360 co. 1, n. 5 cod. proc. civ. per avere il giudice del rinvio trascurato che la prestazione del concessionario RAGIONE_SOCIALE imponeva di procurare l’autovettura dalla ‘casa madre’ Renault e di certo non da terzi.
I motivi dal primo al quinto, accomunati, nella sostanza, dall’obiettivo di contestare il costrutto argomentativo della decisione impugnata, risultano, per una parte, inammissibili e, per altra parte, manifestamente infondati.
(a) Il Giudice d’appello, al contrario di quel che congettura RAGIONE_SOCIALE, in sede di rinvio ha scrutinato e rigettato i motivi d’appello a suo tempo proposti dalla ricorrente e non esaminati nel primo giudizio d’appello in quanto rimasti assorbiti dalla declaratoria in rito, compiutamente motivando sul complesso delle prospettazioni di RAGIONE_SOCIALE (cfr. pagg. 6-10).
(b) Il giudice del merito ha insindacabilmente ricostruito i fatti, e ha escluso, con motivazione in questa sede incensurabile, il ricorrere della nullità del contratto, eccepita dalla convenuta, in quanto che quest’ultima ben avrebbe potuto procurarsi altrove l’autovettura che si era obbligata a consegnare. La ricostruzione fattuale impone il condiviso principio di diritto secondo il quale la nullità del contratto o della singola clausola contrattuale per impossibilità della cosa o del comportamento che ne forma oggetto (art. 1346, 1347, 1418 e 1419, cod. civ.) richiede che tale impossibilità, oltre che oggettiva e presente fin dal momento della stipulazione, sia anche assoluta e definitiva, rimanendo invece ininfluenti a tal fine le difficoltà più o meno gravi, di carattere materiale o giuridico, che ostacolino in maniera non irrimediabile il risultato a cui la prestazione è diretta (Sez. L. n. 4013, 20/04/1998, Rv. 514642 -01; conf., Cass. nn. 6927/2001, 37804/2022).
La circostanza ammessa e, peraltro, ovvia, che la ricorrente non fosse l’unica concessionaria implicava che la stessa avrebbe potuto procurarsi l’autovettura da altra concessionaria o rivenditore. Trattasi di presunzione che il giudice ha insindacabilmente apprezzato come precisa e grave, non sconfessata da altre emergenze di causa. La critica si concreta, impropriamente, nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (cfr. Cass. n. 9054/2022)
(c) A riguardo della dedotta violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. è bastevole riprendere quanto affermato dalle Sezioni unite con la sentenza n. 20867 del 30/09/2020.
In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Rv. 659037 -02).
In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. e l’ omesso esame è inammissibile in presenza di doppia conforme e, comunque, qui non si allega un fatto non esaminato, bensì si esige un’alternativa ricostruzione della vicenda.
(d) Come noto la giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui
essa debba giudicarsi meramente apparente; apparenza che ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. 6, n. 13977, 23/5/2019, Rv. 654145; ma già S.U. n. 22232/2016; Cass. n. 6758/2022 e, da ultimo, S.U. n. 2767/2023, in motivazione).
A tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioè un modello argomentativo apriori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto.
Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente
incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914).
Il Giudice dell’appello, al contrario dell’asserto censorio, ha reso motivazione pienamente ripercorribile, correlata ai fatti di causa, nel mentre la critica è palesemente diretta a un nuovo inammissibile vaglio di merito.
(e) La denuncia di violazione di legge sostanziale non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (ex multis, Cass. S.U. n. 25573, 12/11/2020). E ancora, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, n. 3340, 05/02/2019).
(f) In presenza di ‘doppia conforme’ (per vero, al di là della diversità di ragione giuridica posta a base dell’accoglimento della domanda dell’COGNOME risoluzione in primo grado e recesso in appello -la ricostruzione fattuale di primo e secondo grado è la medesima), sulla base dell’art. 348 ter, co. 5, cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di
cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Sez. 2, n. 5528, 10/03/2014, Rv. 630359; conf., ex multis, Cass. nn. 19001/2016, 26714/2016), evenienza che nel caso in esame non ricorre affatto.
Peraltro, a volere prescindere da ogni altra considerazione, l’omesso esame non sarebbe stato, in ogni caso, qui supponibile, non vertendosi in ipotesi di mancata considerazione di un fatto storico-documentale, avente carattere di decisività, bensì di rivendicazione di un diverso apprezzamento del complesso delle emergenze di causa (cfr., ex multis, Cass. n. 18886/2023).
12. Con il sesto motivo la RAGIONE_SOCIALE denuncia <> , in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cod. proc. civ., per aver il Tribunale condannato RAGIONE_SOCIALE alle spese di lite del giudizio di legittimità, nonostante l’espressa domanda di compensazione della resistente nelle conclusioni rassegnate nel giudizio di rinvio, nonché per aver liquidato, a titolo di spese di lite del giudizio di rinvio, in favore di NOME COGNOME, una somma superiore a quella richiesta dalla medesima nella nota spesa depositata in atti, ai sensi dell’art. 75 disp. att. cod. proc. civ.
12.1. Il motivo è in parte fondato.
La doglianza afferente alla quantificazione delle spese di merito è infondata. La ricorrente, invero, non coglie che la liquidazione ha riguardato due giudizi d’appello e non uno solo. La nota depositata dalla controparte, all’evidenza, concerneva uno solo dei due giudizi. Tuttavia, il giudice è tenuto, a prescindere dalla presentazione della nota, a regolare il capo delle spese, nel rispetto dell’art. 92 cod. proc. civ. (cfr. Cass. n. 7654/2013).
Diversamente deve dirsi per il capo delle spese del primo giudizio di legittimità.
La richiesta di compensazione dell’COGNOME, traducendosi nella rinuncia di un diritto disponibile, non giustifica la liquidazione disposta dal Tribunale (cfr. Cass. n. 15318/2018).
In conclusione, disattesi i motivi dal primo al quinto, in parziale accoglimento del sesto, potendo la causa essere decisa nel merito (art. 384, co. 2, cod. proc. civ.), vanno compensate fra le parti le spese del primo giudizio di legittimità.
In ragione della sostanziale reciproca soccombenza, le spese del presente giudizio di legittimità possono, del pari, compensarsi.
P.Q.M.
La Corte accolto, nei termini di cui in motivazione, il sesto motivo del ricorso, cassa sul punto la sentenza impugnata, e, decidendo nel merito, compensa fra le parti le spese del giudizio di legittimità concluso con l’ordinanza n. 2850/2018 di questa Corte; rigetta nel resto il ricorso;
dichiara interamente compensate fra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda