Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4097 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 4097 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 17/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 13372-2021 proposto da:
NOME COGNOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2131/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 11/11/2020 R.G.N. 593/2018;
Oggetto
Interpretazione
Regolamento
RAGIONE_SOCIALE
R.G.N. 13372/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 15/11/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La Corte d’Appello di Roma ha conferma to la pronuncia di primo grado con la quale era stata rigettata la domanda di NOME COGNOME, dirigente licenziato nel febbraio 2012, volta ad accertare il proprio diritto alla erogazione da parte del Fondo di Assistenza Sanitaria Integrativa (d’ora innanzi FASI), presso il quale era iscritto dal novembre 1991, di una prestazione aggiuntiva al trattamento di indennità ordinaria di disoccupazione con conseguente condanna al suo pagamento.
In particolare i giudici di merito – premesso che il ricorrente aveva chiuso con transazione la controversia di licenziamento percependo la somma di € 425.000,00 ( di cui € 360.000,00 a titolo risarcitorio in relazione al danno alla professionalità, biologico e non patrimoniale, ed € 72.000,00 per competenze di fine rapporto) – hanno respinto la prestazione richiesta in ragione della esplicita esclusione prevista dall’art. 4 del Regolamento FASI per l’ipotesi di risoluzione consensuale del rapporto conclusa con l’erogazione complessiva di un importo, oltre a TFR e competenze spettanti, eccedente la somma di € 120.000,00 elevati a d € 180.000,00 in caso di anzianità superiore a 6 anni.
Non è stata quindi accolta la doglianza dell’appellante concernente la sottrazione dal computo della somma percepita in transazione di quanto ricevuto a titolo risarcitorio, stante il tenore letterale della disposizione regolamentare che non prevede alcuna eccezione alla esclusione dal computo
complessivo delle sole somme spettanti alla cessazione del rapporto.
Sul punto non è stata ritenuta fondata la diversa lettura fornita dalla parte circa la disciplina fiscale del risarcimento del danno e la sua natura giuridica, laddove non era stata considerata la finalità assistenziale del beneficio ed il limite, rappresentato dalle già menzionate soglie massime, oltre il quale va esclusa la necessità di un ulteriore supporto allo stato di disoccupazione.
NOME COGNOME propone ricorso per la cassazione della sentenza affidandosi ad un unico motivo, a cui il FASI resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie, nei termini di rito prima dell’adunanza camerale del 15 novembre 2024.
CONSIDERATO CHE
Con l’unico motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’a rt. 12 disp. prel. c.c. e dell’ art. 6 del d.P.R. n. 917 del 1986 in relazione all’art. 360 primo comma n.3 c.p.c., per lacunosa ed errata interpretazio ne del contenuto dell’art. 4 comma 2 del Regolamento FASI del 2012 circa le componenti rientranti nella locuzione ‘importo complessivamente erogato’ .
Sostiene che l’ambito di applicazione e la finalità della norma regolamentare in questione non potrebbero prescindere dalla lettura complessiva e coordinata della norma, tenendo conto del significato letterale delle parole, dell’intenzione del legislatore, e quindi di una interpretazione logica e teleologica.
Ritiene, quindi, che non sia superfluo affrontare la questione del diverso trattamento fiscale delle somme percepite, perché ai
sensi dell’art. 6 del T.U.I.R. i proventi conseguiti in sostituzione del reddito costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti, e quindi sono considerati imponibili i soli redditi risarcitori da lucro cessante in quanto afferenti a redditi perduti nella maturazione o corresponsione futura, mentre sono considerati estranei alla nozione fiscale di reddito i risarcimenti che reintegrano, tramite equivalente monetario, una lesione patrimoniale o non patrimoniale, ossia il danno emergente.
Deduce che la Corte territoriale sarebbe incorsa in un errore logico laddove ha ritenuto che la somma percepita dal ricorrente debba essere considerata alla stregua di un mero e generico emolumento ed osserva che invece il risarcimento del danno non patrimoniale non aveva comportato alcun arricchimento del patrimonio del ricorrente ed aveva soltanto una valenza restitutoria.
Conseguentemente, non costituendo reddito, la somma di € 360.000,00 percepita a titolo risarcitorio come ristoro del danno subìto, non avrebbe dovuto essere inclusa nell’importo ‘complessivamente erogato’ e , quindi, non va contemplata ai fini della determinazione del ‘tetto’ non superabile.
Ritiene, in definitiva, che n ell’importo complessivamente percepito vanno incluse le sole voci che costituiscono il reddito del lavoratore.
Nel controricorso il FASI confuta il tentativo di conseguire una rivisitazione del giudizio di merito, nel cui percorso argomentativo non si ravvisa alcun contrasto, stante il chiaro tenore letterale che esclude dal computo degli importi ricevuti in accordo transattivo soltanto il TFR e le competenze spettanti. Neppure era stato violato l’art. 12 delle preleggi nel senso fatto
palese dalle parole, al quale davano conferma anche il criterio teleologico e sussidiario, considerata la finalità assistenziale della prestazione di supporto allo stato di disoccupazione involontaria. Quanto alla richiamata normativa tributaria, osserva che il citato art. 6 del T.U.I.R. è immesso in un altro sistema ed è irrilevante la circostanza che le somme erogate dal datore di lavoro siano tassate in un momento successivo alla loro erogazione, né ricorre alcuna violazione dell’art. 53 Cost.
3. Il ricorso è inammissibile.
3.1. La questione in diritto involge l’ammissibilità di una denuncia di legittimità, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c., di criteri interpretativi adottati dal giudice di merito su previsioni regolamentari disciplinatrici di rapporti privati. L’interpretazione giudiziale di tali disposizioni, non aventi natura di norme di legge idonee ad inserirsi nell’ordinamento con propria forza cogente, sfugge, invero, ai criteri fissati dall’art. 12 disp. prel. c.c., dettato in materia di interpretazione delle leggi.
3.2. È stato più volte osservato dalla Corte che disposizioni regolamentari di organi di enti professionali e di casse di mutualità e fondi previdenziali, se non recepite direttamente da una fonte primaria, non hanno natura e caratteristiche di norme di legge, come tali assoggettabili al criterio interpretativo di cui all’art. 12 delle preleggi, ma sono espressione del potere di autorganizzazione degli enti medesimi (in tal senso, già in sent. n. 6762/1982 per una cassa di previdenza di consorzi agrari, e di nuovo in sent. n.16381/2012 per le norme del regolamento di attuazione dello statuto ENPACL, ord. n.27541/2020 per il regolamento di disciplina della Cassa di previdenza forense, e
ord. n.29533/2022 per il regolamento Inarcassa), con la conseguenza che il loro sindacato di legittimità è limitato all’ipotesi in cui venga dedotta una violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. cod.civ.
4. Nel caso di specie, il RAGIONE_SOCIALE, associazione non riconosciuta di secondo grado costituita a seguito di accordi tra confederazione rappresentativa di imprese ed organizzazione sindacale di dirigenti e quadri aziendali (Confindustria e Federmanager, come illustrato in controricorso), persegue fini assistenziali nell’ambito di un sistema di mutualità, in base ad una disciplina statuaria espressiva di autonomia negoziale; il regolamento operativo non rientra, pertanto, nell’ambito delle fonti del diritto di cui all’art. 1, co.2, disp. prel. c.c. e la sua inosservanza, sottoposta ad esame esegetico in questa sede, non è deducibile come vizio di violazione di legge. Trattandosi di regolamento di un ente associativo, avente natura squisitamente negoziale di diritto privato -priva del valore regolamentare in senso proprio di un fonte subprimaria di disciplina derivata da norme di legge statale o regionale-, il parametro valutativo del suo sindacato di legittimità si individua nelle disposizioni di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non già nell’ambito dell’art. 12 preleggi. La tematica devoluta alla Corte circa la corretta interpretazione fornita dal giudice di merito in ordine al citato art. 4 Reg. FASI sul contenuto dell’importo complessivo non superabile, non può quin di essere denunciata in sede di legittimità a norma dell’art. 360, primo comma, n.3 c.p.c. per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ma soggiace ai canoni di ermeneutica contrattuale, la cui violazione non è stata, tuttavia, sottoposta ad es ame esegetico. Donde l’inammissibilità del motivo.
5. Inoltre, manca una specifica deduzione di criteri ermeneutici da cui il giudice di merito si sarebbe discostato, ‘ non potendo la censura limitarsi ad una mera prospettazione di un risultato interpretativo diverso da quello accolto nella sentenza ‘ (Cass. 1391/2014); l’interpretazione dell’atto costituisce, invero, un accertamento in fatto istituzionalmente riservato al merito. Si osservi che nel ricorso non sono espresse ragioni conformi a un dettato normativo per le quali sia erroneo intendere l’ ‘ importo complessivamente erogato ‘ al lordo delle somme risarcitorie, laddove le voci che lo compongono si fondono in un atto transattivo di per sé finalizzato sia a soddisfare spettanze remuneratorie e di cessato rapporto, sia ad evitare l’alea di una controversia, futura o già pendente, anche comprensivo di causali latamente compensative di possibili pregiudizi ad interessi patrimoniali o meno; d’altronde la disposizione regolamentare in questione non parla di ‘ redditi ‘ ma di ‘ importi ‘ risultanti da transazione. E non sono prospettate ragioni di equivocità del significato del termine ‘importo’, comprensivo di tutto quanto percepito in sede di accordo.
6. Infine, è fuorviante il richiamo alla normativa fiscale perché in tale campo la distinzione (retribuzione/risarcimento) rileva ai fini delle aliquote e modalità di tassazione, in ragione del principio contributivo dell’art. 53 Cost. per individuare la materia tassabile e distinguere, in base a norme di legge, il reddito da lavoro da altre fonti produttive di ricchezza; ed invece il citato art. 4, frutto di accordo associativo, nel prevedere un ‘tetto’ alle somme corrisposte in sede transattiva oltre il quale non si giustifichi il trattamento integrativo di disoccupazione, ha una connotazione solidaristica a sostegno di un reddito perduto, a prescindere dalla sua produzione.
Alla pronuncia di inammissibilità segue la condanna della parte soccombente alle spese di giudizio, liquidate in ragione del valore della lite; ne discende la previsione del raddoppio del contributo unificato, ove ne sussistano le condizioni.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che si liquidano in Euro 5.000,00 oltre accessori di rito ed esborsi pari ad euro 200,00.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale del 15 novembre