Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 13159 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 13159 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/05/2024
Oggetto
Pubblica amministrazione – Obbligazioni – Ente locale Atto di assunzione di un obbligo contrattuale con assunzione di spesa – Emissione dell’impegno di spesa, con relativa attestazione di copertura finanziaria ex art. 191 d.lgs. n. 267 del 2000 -Necessità -Violazione -Conseguenze
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5037/2021 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, NOME, in proprio e quale amministratrice di sostegno della figlia NOME COGNOME, NOME NOME, NOME NOME (cl. DATA_NASCITA), RAGIONE_SOCIALE NOME, RAGIONE_SOCIALE NOME, RAGIONE_SOCIALE NOME, NOME, tutti rappresentati e difesi dagli AVV_NOTAIOti NOME AVV_NOTAIOCOGNOME (p.e.c. indicata: EMAIL) e NOME COGNOME (p.e.c.: EMAIL), con domicilio eletto in INDIRIZZO INDIRIZZO presso lo studio della dott.ssa NOME COGNOME NOME;
-ricorrenti e controricorrenti incidentali –
Comune di Anzio, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL), con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente e ricorrente incidentale –
e nei confronti di
COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME;
-intimati – avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma, n. 5605/2020, pubblicata l’11 novembre 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 aprile 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 26 aprile 2010, NOME COGNOME e gli altri odierni ricorrenti convennero in giudizio il Comune di Anzio chiedendone la condanna all’adempimento degli obblighi nei loro confronti assunti allorquando, quali proprietari di appartamenti siti nel territorio comunale, occupati abusivamente da famiglie di “senza tetto”, furono indotti a stipulare con gli occupanti ─ nel maggio del 2006, con decorrenza dal mese successivo ─ contratti di locazione ciascuno per il canone mensile di Euro 400, a fronte dell’impegno del Comune di garantirne il pagamento, giusta delibera comunale n. 17 del 2006 e verbale di accordo del 24 maggio 2006.
Il Comune resistette alla domanda contestando che da quell’accordo potesse farsi validamente derivare alcun obbligo a suo carico e comunque negando che lo si potesse fare nei termini indicati dagli attori, quanto in particolare a numero dei contratti e durata dell’impegno. Chiese in subordine di essere manlevato dai conduttori,
i quali ─ chiamati in causa, previa autorizzazione ─ rimasero contumaci.
Con sentenza pubblicata il 23 luglio 2013 il Tribunale di Velletri, Sezione distaccata di Anzio, accertato l’avvenuto versamento da parte del Comune , nell’aprile del 2008, di circa Euro 30.000 per il periodo 2006 -2007, in parziale accoglimento della domanda condannò l’ente , per il periodo successivo e fino al 2010, al pagamento dell’importo di € 104.383, 00 (calcolato con riferimento a soli sette contratti), oltre interessi legali dalle singole scadenze fino al saldo, da dividere in parti uguali tra gli attori; dichiarò il diritto del Comune ad ottenere dagli occupanti chiamati in causa, secondo le rispettive quote, la restituzione di tale somma, oltre al pagamento delle spese processuali.
Pronunciando sui contrapposti gravami ─ degli attori, in via principale, in relazione alla quantificazione degli importi dovuti; dal Comune, in via incidentale, in ordine alla validità dell’accordo e comunque al suo contenuto (secondo il Comune limitato al pagamento della sola prima mensilità dei contratti di locazione) ─ la Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 5605/2020, pubblicata l’11 novembre 2020, in parziale accoglimento del solo appello principale, ha esteso l’obbligo del Comune anche con riferimento ad un ulteriore contratto di locazione (quello stipulato con NOME COGNOME, nei confronti della quale -ha precisato- il Comune non aveva esercitato il diritto di rivalsa), liquidando per esso, in favore dei locatori, l’ulteriore importo di Euro 19.200 in ragione di 1/10 per ciascuna unità immobiliare, oltre interessi legali dalle singole scadenze; ha stabilito che l’importo, dovuto dal Comune di Anzio, di 104,383 euro, oltre interessi legali dalle singole scadenze, va diviso tra gli attori/appellanti in ragione di 1/10 per unità immobiliare e, confermata nel resto la sentenza appellata, ha posto a carico del Comune anche le spese del giudizio di secondo grado.
Avverso la sentenza d’appello NOME COGNOME e gli altri soggetti indicati in epigrafe propongono ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
Vi resiste il Comune di Anzio depositando controricorso e proponendo, con il medesimo atto, ricorso incidentale sulla base di quattro motivi, per resistere al quale i ricorrenti principali depositano controricorso.
È stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata da rituale comunicazione alle parti.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
I ricorrenti principali hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso principale ─ rubricato « inammissibilità dell’appello incidentale proposto dal Comune di Anzio; inammissibilità di domanda nuova; violazione degli articoli 112, 343, 345 e 163 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. » ─ NOME COGNOME e gli altri ricorrenti indicati in epigrafe lamentano che erroneamente la Corte d’appello abbia ritenuto ammissibile l’appello incidentale propost o dall’ente, atteso che -rilevano- pur apparendo nell’epigrafe della comparsa di costituzione le parole ‘appello incidentale’ , tuttavia nel corpo della stessa non erano evidenziati i motivi specifici e l’oggetto del presunto gravame incidentale.
Con il secondo motivo ─ rubricato « omesso esame del periodo di validità della garanzia prestata dal Comune di Anzio per la intera durata dei contratti di locazione, oggetto di discussione tra le parti. Art. 360 n. 5 c.p.c. Contraddittorietà e falsa applicazione dell’art. 2, comma 3 e comma 5, della legge 9 dicembre 1998 n° 431. Art. 360 n. 3 » ─ i ricorrenti si dolgono del limitato accoglimento del motivo di gravame con il quale essi avevano dedotto che erroneamente il
Tribunale aveva riferito la condanna dell’ente ai soli canoni maturati fino all’anno 2010 e solo a sette contratti invece che ai dieci prodotti in atti.
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., « falsa applicazione degli articoli 1936 e seguenti c.c. per aver considerato il contratto di fidejussione quale accessorio dei contratti di locazione, e non contratto autonomo di garanzia ».
La censura, nei termini in cui è poi illustrata, ricade sul numero dei contratti cui la Corte d’appello ha riferito l’accertato obbligo di garanzia. Sostengono in proposito i ricorrenti che, se si considera che il Comune di Anzio ha inteso proteggere ed agevolare, con la fidejussione a garanzia dei canoni, precipuamente gli occupanti abusivi, deriva che la prova del singolo contratto rimane del tutto residuale rispetto alla prova, in atti, della concessione della garanzia alle dieci famiglie che avevano occupato gli alloggi dei ricorrenti; ciò in quanto -affermano- « la fidejussione prestata dal Comune non va considerata in rapporto di accessorietà verso ogni singolo contratto di locazione stipulato, ma va invece considerata come un contratto autonomo stipulato per risolvere l’intera problematica dei tanti occupanti abusivi, e quindi non ancorato alle singole posizioni, ma alla globale soluzione per legittimare l’alloggio dei gruppi familiari che il Comune aveva individuato con i nominativi di cui all’elenco ».
Col quarto motivo ─ rubricato « limitata ed erronea liquidazione dell’onorario. Violazione dell’art. 91 c.p.c., dell’art. 1 della L. 247/12, e dell’art. 4, comma 2, del Regolamento della stessa, di cui al D.M. n. 55/14 come modificato dal D.M. n. 37/18 » ─ i ricorrenti deducono che, nella liquidazione dei compensi posti a carico della controparte, la Corte d’appello: a) non ha considerato le spese/anticipazioni affrontate dagli appellanti per il contributo unificato in (675,00 + 8,00) in € 683,00; non ha considerato le spese di notifica dell’appello
e di due successive rinotifiche postali ad alcuni appellati per complessivi € 72,50, né le spese dei nove viaggi da Napoli e ritorno per adempimenti (iscrizione a ruolo, deposito atti e documenti) e per le nove udienze del processo, in € 900,00; b) ha liquidato il compenso in misura immotivatamente inferiore ai parametri previsti dalla legge n. 247 del 2012 ; c) ha omesso di applicare l’aumento previsto, per la difesa di più soggetti aventi la stessa posizione processuale , dall’art. 4, comma 2, d.m. n. 55 del 2014.
5. Con il primo motivo del ricorso incidentale il Comune di Anzio denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., « violazione e falsa applicazione dell’art. 16 del r.d. n. 2440 del 1923, degli artt. 191 e 192 del d.lgs. n. 267 del 2000 e dell’art. 1321 ss. cod. civ.; nullità e inefficacia dell’accordo del 24 maggio 2006; motivazione manifestamente contraddittoria e perplessa », per avere la Corte d’appello ritenuto, con assiomatiche e apodittiche affermazioni , che l’accordo posto a fondamento delle avverse pretese rispettasse i requisiti previsti dalle norme suindicate.
6. Con il secondo motivo ─ rubricato « in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione dell’art. 16 del r.d. n. 2440/1923, degli artt. 191 e 192 del d.lgs. 267/2000 e dell’art. 1321 e ss cod. civ. nullità e inefficacia dell’accordo del 24.5.2006; violazione ed erronea applicazione delle disposizioni in tema di contratto di mandato ex art. 1703 e ss. cod. civ.; violazione ed erronea applicazione delle disposizioni in tema di interpretazione delle clausole contrattuali ex art. 1362 e ss. cod. civ.; in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., motivazione manifestamente contraddittoria e perplessa » ─ il Comune lamenta che , erroneamente e in violazione delle norme evocate, la Corte d’appello abbia escluso sussistere « alcuna distonia » tra la delibera del Consiglio Comunale n. 17/2006, che aveva previsto un vincolo per l’amministrazione limitatamente alla necessità di trovare sistemazione provvisoria in favore degli
occupanti abusivi , e il contenuto dell’accordo del 24 maggio 2006.
Osserva che ritenere provvisoria la stipula di un contratto di locazione pluriennale, come sostenuto nell’impugnata sentenza, costituisce una violazione dei principi di interpretazione delle clausole contrattuali ex art. 1362 c.c. nonché una contraddizione in termini, dal momento che tale locazione rappresenta ictu oculi una sistemazione duratura nel tempo.
7. Col terzo motivo ─ rubricato « in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione dell’art. 16 del r.d. n. 2440/1923, degli artt. 191 e 192 del d.lvo 267/2000 e dell’art. 1321 e ss cod. civ.; nullità e inefficacia dell’accordo del 24.5.2006; violazione ed erronea applicazione delle disposizioni in tema di contratto di mandato ex art. 1703 e ss. cod. civ.; violazione e falsa applicazione delle disposizioni in tema di garanzia ex art. 1936 e ss. cod. civ.; violazione ed erronea applicazione delle disposizioni in tema di interpretazione delle clausole contrattuali ex art. 1362 e ss cod. civ.; violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1176, 1375, 1227 cod. civ. ed ex art. 2 Cost.; in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., motivazione manifestamente contraddittoria e perplessa » ─ il ricorrente incidentale censura la sentenza impugnata per avere ricostruito il contenuto dell’accordo, alla luce sia del dato letterale che del comportamento successivo, come volto a garantire la corresponsione del canone di locazione.
Deduce l’illegittimità sul punto della sentenza nel momento in cui non ravvisa il contrasto fra l’accordo del 24 maggio 2006 e la deliberazione n. 17/2006 (in base alla quale l’amministrazione era vincolata esclusivamente a rinvenire una « sistemazione provvisoria » in favore degli occupanti abusivi); ciò « anche e soprattutto alla luce degli elementi essenziali previsti dal r.d. n. 2440/1923 e dal d. lgs. n. 267/2000 nonché dai principi normativi in tema di garanzia ex art. 1936 e ss. cod. civ., di mandato ex art. 1703 e ss. cod. civ. e di
interpretazione delle clausole contrattuali ex art. 1362 e ss. cod. civ. ».
Sostiene che: conformemente a quel mandato, il Comune si era impegnato solo ad anticipare il pagamento della prima mensilità dei canoni pattuiti, in attesa di ottenere il versamento da parte dei conduttori; le uniche parti contrattuali, con i relativi obblighi, erano i proprietari e i conduttori degli immobili e non già il Comune di Anzio, che aveva svolto esclusivamente una “funzione mediativa”, né risulta assunta da quest’ultimo la veste di garante.
Soggiunge che, secondo i principi di buona fede e correttezza contrattuale, gli attori avrebbero dovuto agire nei confronti dei conduttori per la tutela dei loro interessi ovvero comunicare le loro intenzioni all’amministrazione comunale e non già rimanere illecitamente inerti, aggravando così illegittimamente la situazione debitoria ex art 1227 c.c.
8. Il quarto motivo ─ numerato in ricorso, per evidente lapsus , come quinto e rubricato: « in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione dell’art. 16 del r.d. n. 2440/1923, degli artt. 191 e 192 del d.lgs. 267/2000, dell’art. 1321 e ss. cod. civ.; violazione ed erronea applicazione delle disposizioni in tema di contratto di mandato ex art. 1703 e ss. cod. civ.; violazione ed erronea applicazione della legge n. 431/98 e ss. mm. in tema di contratto di locazione; in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. motivazione. manifestamente contraddittoria e perplessa » ─ investe la sentenza impugnata nella parte in cui, nel respingere la tesi difensiva secondo cui l’impegno del Comune avrebbe dovuto essere limitato al primo triennio del rapporto locativo, afferma che « l’ente, accertata la morosità dei conduttori, non si è attivato a chiedere lo sfratto, che avrebbe potuto ottenere in breve tempo, rimettendo ogni decisione alla proprietà solo riguardo al recupero delle somme non pagate dai conduttori. Di conseguenza, resta confermata la decisione
del tribunale, per il periodo più lungo di quattro anni ». Rileva l’erroneità in iure di tale affermazione non essendo consentita la proroga tacita, tanto meno sine die , dei contratti stipulati dalla pubblica amministrazione, compresi quelli di garanzia.
Occorre preliminarmente dare atto che non v’è prova del perfezionamento della notifica a mezzo posta del ricorso principale nei confronti degli intimati NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME: non risulta, infatti, prodotta la comunicazione di avvenuto deposito (c.d. CAD) necessaria nel caso, nella specie ricorrente per i predetti, di irreperibilità relativa del destinatario (v. Cass. 29/10/2020, n. 23921, Rv. 659281).
Sebbene si tratti di terzi chiamati in regresso dall’ente convenuto e come tali litisconsorti necessari (v. Cass. Sez. U. n. 24707 del 2015), l’esito del giudizio ─ che si va appresso a evidenziare in termini di inammissibilità del primo motivo e di assorbimento dei restanti quale conseguenza dell’accoglimento del ricorso incidentale (il quale, va detto, risulta invece regolarmente e tempestivamente notificato anche agli intimati) ─ rende tuttavia ultroneo ed inutilmente dispendioso l’altrimenti necessario ordine di integrazione del contraddittorio.
Il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone, infatti, al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l ‘ atto finale è destinato a produrre i suoi effetti; ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione prima facie infondato,
appare superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per l ‘ integrazione del contraddittorio ovvero per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell ‘ effettività dei diritti processuali delle parti (v. Cass. Sez. U. 22/03/2010, n. 6826; Cass. 21/05/2018, n. NUMERO_DOCUMENTO; 10/05/2018, n. NUMERO_DOCUMENTO; 17/06/2013, n. NUMERO_DOCUMENTO).
10. Il ricorso incidentale proposto dal Comune, investendo l’ an del suo confermato obbligo di garanzia nei confronti degli originari attori (oggi ricorrenti principali), assume rilievo logico giuridico preliminare e il suo esame deve essere pertanto anteposto a quello del ricorso principale, impingente nei diversi e subordinati temi della quantificazione di quell’obbligo e del regolamento delle spese.
11. In realtà, di rilievo ancora prioritario dovrebbe considerarsi, rispetto al ricorso incidentale, il primo motivo del ricorso principale che pone questione di rito (ammissibilità dell’appello incidentale del Comune) in astratto in grado di incidere sulla stessa ammissibilità del ricorso incidentale.
L’avere, però, i ricorrenti principali ottenuto sul punto, nel giudizio di appello, pronuncia favorevole per altri motivi (ossia per il rigetto nel merito dell’appello incidentale ), renderebbe detto primo motivo inammissibile per difetto di interesse. Più precisamente l’ammissibilità di detto motivo, sul piano dell’interesse, rimane condizionata all’esito dello scrutinio del ricorso incidentale.
Ne deriva, anche sotto detto profilo, la necessità di assegnare priorità, nell’esame dei ricorsi, ai motivi del ricorso incidentale, dipendendo dalla riconosciuta fondatezza, o meno, di alcuno di tali motivi la reviviscenza, o meno, dell’interesse delle controparti all’esame della questione preliminare da essi posta.
12. Ebbene, il primo motivo del ricorso incidentale è fondato, con conseguente assorbimento dei restanti motivi, là dove lamenta che la gravosa obbligazione di che trattasi non risulta assunta con attestazione della sussistenza della relativa copertura finanziaria come previsto dall’art. 191 d.lgs. n. 267 del 2000.
Al riguardo va rammentato che, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità (v. ex aliis Cass. 19/12/2019, n. 33768, Rv. 656627; Cass. 1/03/2019, n. 6919; 21/11/2018, n. 30109; 19/05/2017, n. 12608), l’art. 191, comma 1, T.U.E.L. dispone che gli enti locali possono effettuare spese solo se sussiste l’impegno contabile registrato sul competente intervento o capitolo del bilancio di previsione e l’attestazione della copertura finanziaria, comunicati dal responsabile del servizio al terzo interessato che – ferma l’obbligazione a carico dell’amministratore, funzionario o dipendente dell’ente che abbia consentito la fornitura del bene o servizio in violazione della norma (comma 4) – ha facoltà, in mancanza della comunicazione suddetta, di non eseguire la prestazione.
Detta norma chiude un risalente percorso sviluppatosi a partire dagli artt. 284 e 288 del r.d. 3 marzo 1934, n. 383 (T.U. della legge comunale e provinciale) e scandito dall’art. 23 del d.l. 2 marzo 1989, n. 66 (conv., con modif., dalla legge 24 aprile 1989, n. 144), inserito nel titolo IV dedicato al risanamento finanziario delle gestioni locali, e quindi dall’art. 55 della legge 8 giugno 1990, n. 142 (ordinamento delle autonomie locali), in attuazione del principio costituzionale di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost. Tali previsioni – e, in particolare, l’art. 191 T.U.E.L., che ne riassume da ultimo la portata precettiva -, nell’imporre l’indicazione dell’ammontare delle spese e dei mezzi per farvi fronte, a pena di nullità delle relative deliberazioni adottate in violazione di legge (si v. al riguardo Cass. Sez. U, 10/06/2005, n. 12195, Sez. U, 28/06/2005,
n. 13831 e successive conformi), tutelano, con tutta evidenza, il preminente interesse pubblico all’equilibrio economico-finanziario delle amministrazioni locali in un quadro di certezza della spesa secondo le previsioni di bilancio e di trasparenza dell’azione amministrativa (Cass. n. 6919 del 2019, cit.).
In coerenza con tale quadro normativo, questa Corte ha più volte ribadito che ogni atto col quale l’ente locale assume un obbligo contrattuale ─ di qualsivoglia genere e tipo ─ è valido a condizione che sia emesso un impegno di spesa destinato a incidere, vincolandolo, su un determinato capitolo di bilancio, con attestazione della sussistenza della relativa copertura finanziaria, come previsto dall’art. 191 d.lgs. n. 267 del 2000.
Diversamente si è in presenza di una nullità tanto della deliberazione che lo autorizza quanto del susseguente contratto stipulato in attuazione di essa, ferma l’eventuale obbligazione a carico dell’amministratore, funzionario o dipendente del medesimo ente che sia responsabile della violazione (v. ex aliis Cass. n. 24303 del 2011; n. 17465 del 2013; n. 33768 del 2019).
13. Giova altresì rimarcare che trattasi di nullità rilevabile d’ufficio anche in cassazione, ogni qual volta il dato per essa determinante emerge da quanto già acquisito al processo, e non sussiste alcun giudicato esterno ostativo a tale rilevazione.
Ciò è quanto accade nella specie, risultando ritualmente prodotte nel giudizio di merito e rese consultabili nel presente giudizio di legittimità, nel rispetto degli oneri di cui agli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ., sia la delibera che il verbale sopra citati, dai quali risulta evidente la mancanza di alcun impegno di spesa e copertura di bilancio.
Su una simile conclusione converge il principio per cui il giudice innanzi al quale sia stata prospettata una nullità contrattuale ─ come nella specie è pacificamente accaduto, essendo evidenziato anche in
sentenza che il Comune aveva eccepito la nullità dell’accordo del 24 maggio 2006 sotto diversi profili (difetto di forma, carenza di potere di rappresentanza da parte dell’assessore e del funzionario che l’hanno sottoscritto per il Comune, contrasto con la delibera del consiglio comunale n. 17/2006) ─ deve rilevare di ufficio l’esistenza di una causa di quest’ultima diversa da quella allegata dall’istante, essendo quella domanda pertinente a un diritto autodeterminato, individuabile indipendentemente dallo specifico vizio dedotto in giudizio (v. Cass. Sez. U n. 26242 del 2014; v. anche, con specifico riferimento alla nullità in questione, Cass. 5/04/2023, n. 9364).
14. Lo scrutinio che, nei termini esposti, deve concludersi con esito positivo circa la fondatezza del primo motivo, con conseguente assorbimento dei restanti motivi del ricorso incidentale, rende attuale l’interesse a che sia esaminata la questione pregiudiziale di rito posta dai ricorrenti principali con il primo motivo.
Di tale motivo deve però essere rilevata, sotto altro profilo, l’inammissibilità, per palese inosservanza dell’onere di specifica indicazione dell’atto richiamato (vale a dire della comparsa di costituzione del Comune nel giudizio di appello, che i ricorrenti assumono non contenere alcuno specifico motivo di gravame incidentale).
Va al riguardo ricordato che, secondo pacifico insegnamento, tale onere va osservato anche per gli atti processuali. Anche per essi, infatti, si pone l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 6, del contenuto degli stessi atti e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché dei dati necessari al loro reperimento (cfr. Cass. Sez. U. n. 22726 del 2011).
Con più specifico riferimento alla deduzione dell’ error in procedendo è stato altresì puntualizzato che il Giudice di legittimità è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purché la censura sia stata proposta dal
ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., primo comma, n. 6, e art. 369 c.p.c., secondo comma, n. 4) (Cass. Sez. U. 22/05/2012, n. 8077).
In accoglimento del primo motivo, con conseguente assorbimento dei restanti motivi del ricorso incidentale, dichiarato inammissibile il primo motivo del ricorso principale e assorbito l’esame dei restanti motivi dello stesso, la sentenza impugnata deve dunque essere cassata.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con il rigetto delle domande formulate in primo grado nei confronti del Comune di Anzio.
Avuto, tuttavia, riguardo alla peculiarità della fattispecie si ravvisano i presupposti per l’integrale compensazione delle spese del giudizio di merito e del presente giudizio di legittimità.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali , ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo del ricorso incidentale; dichiara assorbiti i rimanenti motivi dello stesso ricorso; dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso principale; assorbiti i rimanenti; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; decidendo nel merito, rigetta le domande. Compensa integralmente tra le parti le spese processuali relative ad entrambi i gradi del giudizio di merito nonché quelle del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P .R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza