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Immunità CSM: limiti e diffamazione fuori sede

Un ex membro laico del CSM è stato citato per diffamazione da un magistrato a causa di opinioni negative espresse durante un convegno pubblico. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello. Il punto centrale è che la speciale immunità CSM, prevista dall’art. 32-bis della Legge n. 195/1958, non copre le dichiarazioni fatte al di fuori del contesto e delle funzioni ufficiali del Consiglio. La natura diffamatoria delle affermazioni è stata considerata un punto ormai assodato nel processo (giudicato interno), e la liquidazione equitativa del danno è stata confermata.

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Pubblicato il 20 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Immunità CSM: La Cassazione traccia i confini per la diffamazione

L’Ordinanza n. 25876 del 2024 della Corte di Cassazione offre un’importante chiarificazione sui limiti della cosiddetta immunità CSM, la speciale guarentigia che protegge i membri del Consiglio Superiore della Magistratura per le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni. La Corte ha stabilito che tale protezione non è uno scudo assoluto, ma è strettamente legata al contesto funzionale e istituzionale in cui le dichiarazioni vengono rese. Vediamo nel dettaglio la vicenda e le conclusioni dei giudici.

I Fatti del Caso: Opinioni Espresse Fuori Sede

La controversia nasce dalla richiesta di risarcimento per danni non patrimoniali avanzata dagli eredi di un magistrato nei confronti di un avvocato, all’epoca dei fatti componente laico del CSM. Durante un convegno su temi giuridici, svoltosi in una sala comunale e quindi in un contesto pubblico, il consigliere aveva espresso opinioni negative sulle capacità professionali del magistrato, che aspirava a un incarico direttivo. Tali affermazioni venivano ritenute lesive della reputazione del togato, dando così origine a una causa per diffamazione.

L’Iter Processuale e la questione della speciale immunità CSM

In primo grado, il Tribunale aveva rigettato la domanda, pur riconoscendo la natura diffamatoria delle affermazioni. La decisione si fondava sull’applicabilità dell’esimente prevista dall’art. 32-bis della Legge n. 195/1958, ritenendo che le manifestazioni di pensiero strumentali all’esercizio del voto non producessero danno ingiusto.

La Corte d’Appello, invece, ha ribaltato la sentenza. I giudici di secondo grado hanno escluso l’applicabilità dell’immunità CSM, poiché le opinioni non erano state espresse nell’esercizio delle funzioni di consigliere durante una discussione consiliare, ma pacificamente al termine di un convegno pubblico. La Corte ha inoltre ritenuto che la natura diffamatoria del fatto fosse ormai coperta da “giudicato interno”, in quanto la parte convenuta, pur vittoriosa in primo grado, non aveva proposto un appello incidentale specifico su tale punto. Di conseguenza, ha condannato il consigliere al risarcimento del danno, liquidato in via equitativa in € 15.000,00.

Il Principio del Giudicato Interno

La Cassazione ha innanzitutto confermato la correttezza della decisione d’appello sul punto del giudicato interno. Quando una parte, sebbene vittoriosa sull’esito finale della causa, vede respinte alcune sue difese o eccezioni, ha l’onere di proporre appello incidentale per rimetterle in discussione. In caso contrario, tali punti si cristallizzano e non possono più essere riesaminati.

I Limiti dell’Immunità CSM secondo la Cassazione

Il cuore della pronuncia riguarda l’interpretazione dell’art. 32-bis. La Corte Suprema ha ribadito che la guarentigia ha lo scopo di tutelare l’indipendenza del CSM, preservandolo da influenze esterne. Tuttavia, questa protezione non è illimitata.

Le motivazioni della Corte si basano su un principio di stretta funzionalità:
1. Collegamento Funzionale: L’immunità copre solo le manifestazioni di pensiero concretamente attinenti all’oggetto di una discussione consiliare e strumentalmente collegate all’esercizio del voto.
2. Contesto Istituzionale: Le dichiarazioni devono avvenire nel contesto proprio delle funzioni consiliari. Non è sufficiente un generico collegamento tematico con le competenze del CSM.

La Cassazione ha affermato un principio di diritto molto chiaro: la guarentigia non rende immuni i componenti del CSM per opinioni espresse in contesti di luogo e di tempo differenti da quello consiliare. Dichiarare l’inidoneità di un magistrato a un incarico durante un convegno pubblico, anche se tale valutazione rientrerà in futuro tra le funzioni del CSM, non costituisce esercizio della funzione consiliare, ma diventa un’affermazione diffamatoria se ne sussistono i presupposti, senza la protezione dell’esimente.

La Liquidazione del Danno

Infine, la Corte ha respinto anche le censure sulla quantificazione del danno. Ha ritenuto corretto l’operato dei giudici di merito che, pur in assenza di una prova precisa dell’ammontare del danno, lo hanno liquidato in via equitativa basandosi su presunzioni, quali la portata offensiva delle dichiarazioni, la posizione sociale e professionale della vittima e il contesto pubblico in cui sono state rese.

Le Conclusioni: Quando l’immunità CSM non protegge

Questa ordinanza consolida un orientamento restrittivo sull’applicazione delle immunità istituzionali. La protezione accordata ai membri del CSM non può essere usata come pretesto per affermazioni diffamatorie al di fuori del ristretto e necessario ambito funzionale. La decisione sottolinea che deve esistere una “corrispondenza contenutistica” e un collegamento obiettivo tra l’opinione espressa e la discussione istituzionale, altrimenti la speciale guarentigia si trasformerebbe in un ingiustificato strumento di abuso. In sintesi, la funzione protegge l’opinione, ma solo quando l’opinione è espressione diretta e contestuale della funzione stessa.

L’immunità prevista per un membro del CSM si estende anche alle dichiarazioni fatte al di fuori delle riunioni consiliari, come ad esempio durante un convegno pubblico?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la guarentigia di cui all’art. 32-bis della L. 195/1958 è strettamente circoscritta alle manifestazioni di pensiero espresse in concreto attinenti all’oggetto della discussione consiliare e strumentalmente collegate all’esercizio del voto. Non si applica a dichiarazioni rese in contesti, luoghi e tempi diversi da quelli consiliari, anche se riguardanti temi potenzialmente di competenza del CSM.

Se una parte vince una causa in primo grado per un motivo specifico (es. applicazione di un’immunità), ma il giudice ha comunque accertato un fatto a lei sfavorevole (es. la natura diffamatoria delle sue parole), cosa deve fare per contestare quel fatto in appello?
La parte, pur vittoriosa nel risultato finale, deve proporre un appello incidentale per contestare specificamente l’accertamento del fatto a lei sfavorevole. Se non lo fa, quel punto si consolida e diventa un “giudicato interno”, non più discutibile nelle fasi successive del giudizio. La semplice riproposizione delle difese non è sufficiente.

Come viene provato e liquidato il danno alla reputazione professionale in un caso di diffamazione?
La Corte ha ritenuto che la prova della lesione del diritto alla reputazione, pur non essendo “in re ipsa” (cioè implicita nel fatto stesso), può essere data tramite presunzioni. Il giudice può considerare parametri come la portata offensiva della notizia, la rilevanza dell’offesa e la posizione sociale e professionale della persona offesa. La liquidazione del danno può avvenire in via equitativa, cioè secondo un criterio di giustizia basato su questi elementi, quando è difficile quantificarne l’esatto ammontare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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