Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21134 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21134 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 31611-2019 proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, nello studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE
– intimato –
avverso la sentenza n. 3896/20192 della CORTE DI APPELLO di NAPOLI, depositata il 13/07/2019;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 6.3.2022 COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME evocavano in giudizio la società RAGIONE_SOCIALE innanzi il Tribunale di Torre Annunziata, sezione distaccata di Sorrento, invocandone la condanna ad eliminare le immissioni rumorose provenienti dagli impianti e macchinari installati a servizio delle celle frigorifere di parte convenuta e a risarcire il danno alla salute cagionato agli attori.
Con sentenza n. 118/2012 il Tribunale accoglieva la domanda di COGNOME NOME, dichiarando invece il difetto di legittimazione attiva degli altri due attori. Ad avviso del primo giudice, mentre COGNOME NOME, proprietario dell’immobile oggetto delle lamentate immissioni, era legittimato a dolersi delle conseguenze dannose delle stesse, non così per COGNOME NOME e COGNOME NOME, meri comodatari.
Con la sentenza impugnata, n. 3896/2019, la Corte di Appello di Napoli accoglieva il gravame principale interposto dalla società originaria convenuta avverso la decisione di prime cure, rigettando invece l’impugnazione incidentale degli originari attori, odierni ricorrenti.
Questi ultimi propongono ricorso per la cassazione di detta decisione, affidandosi a cinque motivi.
La società intimata non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
In prossimità dell’adunanza camerale, la parte ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 844, 1585 c.c. e 32 Cost. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente rigettato il gravame incidentale proposto, avverso la decisione di prime cure, da COGNOME NOME e COGNOME NOME, affermando che gli stessi, non essendo comproprietari dell’immobile di proprietà di COGNOME NOME, sarebbero privi di legittimazione ad agire. Tali soggetti, in quanto comodatari del cespite, erano pienamente titolati a proporre domanda di cessazione delle immissioni moleste e di risarcimento del correlato danno.
Con il secondo motivo, i ricorrenti si dolgono invece dell’omesso esame di fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe trascurato di considerare che i predetti soggetti abitavano, di fatto, l’alloggio oggetto delle immissioni denunziate.
Le censure sono inammissibili per difetto di interesse all’impugnazione.
La Corte di Appello, all’esito della valutazione in punto di fatto devoluta al giudice di merito, ha affermato che ‘Nel caso che ci occupa dai rilievi effettuati dai consulenti, al tempo dell’accertamento (che è seguito a provvedimenti dell’amministrazione locale, su cui oltre) non è emerso che l’incremento di rumore provocato dai macchinari in uso presso l’esercizio commerciale supera la differenza di tre db, e quindi la soglia prevista dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14/11/1997, che richiama la Legge 447 del 1995: ‘I valori limite differenziali di immissione, definiti dall’art. 2, comma 3, lettera b), della legge 26 ottobre 1995, n. 447, sono: 5 db per il periodo diurno e 3 db per il periodo notturno, all’interno degli ambienti abitativi’. Il Ctu P.I.
NOME COGNOME, nella sua relazione datata 18.11.2002, dopo attente misurazioni compiute il 02.10.2002 in ore diurne e notturne, ha precisato che la differenza di rumore, tra quanto verificato con e senza i frigoriferi del supermercato in funzione, varia da 0.7 ed 1.1 db e che in ogni caso i rumori complessivamente percepibili non raggiungono 21 db ed arrivano a 27,5 db solo per effetto del violento sbattere di una porta verificatosi durante l’acquisizione dei dati. Deve quindi ritenersi che il disturbo acustico provocato dal supermercato, al momento della misurazione ad opera del CTU, non è tale da superare la soglia di tollerabilità e anzi neppure prossimo a questa’ (cfr. pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata).
Con tale decisivo passaggio motivazionale, la Corte di seconda istanza, riformando la decisione di prime cure, ha escluso che, nella fattispecie, sia stata conseguita la prova del superamento della soglia di tollerabilità del rumore, e dunque ha rigettato la domanda. Tale ratio , non attinta dai motivi di doglianza in esame, esclude evidentemente in radice la sussistenza di un illecito, e dunque di un danno risarcibile, tanto in capo al COGNOME NOME, proprietario dell’appartamento occupato da COGNOME NOME e COGNOME NOME, che in capo a questi ultimi, i quali, di conseguenza, non hanno alcun interesse attuale e concreto ad impugnare il capo della decisione che ha escluso la sussistenza della loro legittimazione ad agire. Anche ravvisando la sussistenza di quest’ultima, infatti, la domanda risarcitoria non avrebbe potuto comunque trovare accoglimento, alla luce della valutazione in fatto prescelta dalla Corte distrettuale.
Sotto questo profilo, va data continuità al principio secondo cui l’interesse ad agire richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza
l’intervento del giudice poiché il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per l’attore senza che siano ammissibili questioni di interpretazioni di norme, se non in via incidentale e strumentale alla pronuncia sulla domanda principale di tutela del diritto ed alla prospettazione del risultato utile e concreto che la parte in tal modo intende perseguire (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28405 del 28/11/2008; Rv. 605612; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 15355 del 28/06/2010, Rv. 613874; Cass. Sez. 6-L, Ordinanza n. 2051 del 27/01/2011, Rv. 616029; Cass. Sez. L, Sentenza n. 6749 del 04/05/2012, Rv. 622515). Infatti … il processo non può essere utilizzato solo in previsione della soluzione in via di massima o accademica di una questione di diritto in vista di situazioni future o meramente ipotetiche (Cass. Sez. L, Sentenza n. 27151 del 23/12/2009, Rv. 611498).
Con il terzo motivo, i ricorrenti denunziano la nullità della sentenza per vizio di apparenza della motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe escluso la sussistenza di un danno risarcibile sulla scorta di motivazione apodittica, fondata non già sulla valutazione dei criteri posti dall’art. 844 c.c., ma sul contenuto del regolamento condominiale. La Corte di merito, infatti, avrebbe affermato che COGNOME NOME e COGNOME NOME avevano agito sulla scorta delle norme regolamentari, che escludevano la possibilità di esercitare attività rumorose nei locali occupati dalla società odierna intimata, senza tuttavia essere comproprietari del bene di proprietà di NOME.
Con il quarto motivo, invece, la parte ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe erroneamente escluso
la sussistenza di un danno risarcibile in capo a COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Anche queste censure sono inammissibili per i medesimi motivi esposti in occasione dello scrutinio dei primi due motivi di ricorso.
A fronte della ravvisata insussistenza del superamento della soglia di tollerabilità delle immissioni rumorose, infatti, va ritenuto irrilevante il fatto che COGNOME NOME e COGNOME NOME avessero agito sulla scorta del regolamento di condominio (del quale non facevano parte, in quanto non proprietari del cespite asseritamente oggetto delle denunziate immissioni) ovvero sulla base della disposizione di cui all’art. 844 c.c. Alla terza doglianza, di conseguenza, non corrisponde alcun interesse concreto e diretto all’impugnazione, poiché dal suo eventuale accoglimento la parte ricorrente non ricaverebbe alcuna utilità pratica.
Stesso dicasi per il quarto motivo del ricorso, poiché una volta esclusa la sussistenza del superamento della soglia di tollerabilità delle immissioni denunziate, non v’è spazio per configurare alcun danno, e dunque alcun diritto al correlato risarcimento.
Con il quinto ed ultimo motivo, i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente condannato gli odierni ricorrenti alla refusione delle spese del doppio grado del giudizio di merito.
La censura è inammissibile.
La Corte di Appello, avendo accolto l’impugnazione principale della società odierna intimata, riformando di conseguenza la decisione di prime cure e rigettando la domanda proposta dagli odierni ricorrenti, ha correttamente regolato le spese del doppio grado, ponendole a
carico dei predetti in applicazione del criterio generale della soccombenza.
La decisione è coerente con i principi enunciati da questa Corte, secondo cui il governo delle spese del giudizio, quando il giudice di seconde cure riforma in tutto o in parte la sentenza di primo grado, va operato tenendo conto dell’esito complessivo del giudizio, anche a prescindere dall’esistenza di uno specifico motivo di impugnazione (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 9064 del 12/04/2018, Rv. 648466).
In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile (cfr. art. 360 bis cpc e SSUU n. 7155/2017).
Nulla per le spese, in assenza di svolgimento di attività difensiva da parte intimata nel presente giudizio di legittimità.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda