Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 31280 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 31280 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 01/12/2025
ORDINANZA
sul ricorso 7315-2021 proposto da:
DEGLI ALBIZZI NOME, rappresentatata e difesa dall’AVV_NOTAIO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO, nello studio del l’AVV_NOTAIO che la rappresenta e difende
– controricorrente e ricorrente incidentale –
NOVANTOTTO IN SRAGIONE_SOCIALERRAGIONE_SOCIALE.
– intimata – avverso la sentenza n. 216/2021 della CORTE DI APPELLO di ROMA, depositata il 13/01/2021;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. COGNOME NOME atto evocava in giudizio innanzi il Tribunale di Roma COGNOME COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, le prime due quali proprietarie, e la terza quale utilizzatrice, di alcuni locali siti in Roma, INDIRIZZO, lamentando che da essi provenivano immissioni rumorose oltre la soglia di normale tollerabilità a carico del suo appartamento sito in Roma, INDIRIZZO, e chiedendo la cessazione di queste ultime e la condanna dei convenuti all’esecuzione delle opere necessarie all’eliminazione delle cause del problema lamentato. Si costituivano i convenuti COGNOME RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE resistendo a vario titolo alla domanda, mentre rimaneva contumace in prime cure RAGIONE_SOCIALE
Con sentenza n. 22746/2018 il Tribunale di Roma, dopo aver disposto il mutamento del rito da sommario a ordinario ed istruito la causa con apposita C.T.U., accoglieva la domanda, ordinando ai
nonchè contro
DEGLI ALBIZZI NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, INDIRIZZO, nello studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende
– controricorrente –
nonchè contro
convenuti, ciascuno per quanto di ragione, la cessazione delle immissioni denunziate e dell’attività del bar denominato ‘RAGIONE_SOCIALE‘ sino all’esecuzione delle opere di insonorizzazione indicate dal C.T.U., nonché condannando tutte le convenute al pagamento della somma di € 500 per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione della decisione successivo al 10.2.2018 e RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno, quantificato in € 22.250.
Interponevano appello avverso detta decisione COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE Spiegava appello incidentale avverso la medesima pronuncia RAGIONE_SOCIALE Si costituiva invece in seconde cure, per resistere ai gravami, principale e incidentale, COGNOME NOME.
Con la sentenza impugnata, n. 216/2021, la Corte di Appello di Roma rigettava tanto il gravame principale che quello incidentale, confermando la decisione di prime cure.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a cinque motivi.
Resistono con controricorso RAGIONE_SOCIALE, che a sua volta propone ricorso incidentale affidato ad un motivo, e COGNOME NOME. COGNOME NOME ha altresì depositato controricorso in resistenza al ricorso incidentale.
In prossimità dell’adunanza camerale, tutte le parti costituite hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente principale lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 832, 1576, 1577, 1292, 1294 c.c. e 614 bis c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente posto l’esecuzione delle opere di insonorizzazione indicate dal C.T.U. a carico di tutte le parti
convenute, senza distinguere le porzioni dell’immobile adibito a bar, rispettivamente di proprietà di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE Poiché ciascuno dei rispettivi proprietari di dette porzioni può rispondere soltanto nei limiti del suo diritto dominicale, il giudice di merito non avrebbe potuto operare una condanna unitaria dei convenuti, ma avrebbe dovuto distinguerne specificamente le responsabilità.
Con il secondo motivo, COGNOME NOME si duole invece della violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello, confermando la decisione di prime cure, avrebbe sostanzialmente operato una condanna solidale delle convenute, mai richiesta dalla originaria parte attrice, la quale aveva, invece, invocato la condanna delle medesime convenute per quanto di rispettiva ragione.
Con il terzo motivo, ancora, la ricorrente principale denunzia l’omesso esame di un fatto decisivo e violazione degli artt. 2697, 1576, 1577, 2051 c.c. e 614 bis c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello non avrebbe considerato che dalle risultanze della C.T.U. era emerso che nessuna immissione rumorosa proveniva dal locale cucina, corrispondente alla proprietà della RAGIONE_SOCIALE.
Le tre censure, suscettibili di esame congiunto, sono in parte inammissibili ed in parte infondate.
E’ in particolare inammissibile la deduzione del vizio di omesso esame, contenuta nel terzo motivo, in presenza di una ipotesi di cd. doppia conforme. Peraltro, l’omesso esame denunciato dalla ricorrente non verterebbe su un fatto, ma sulle risultanze della C.T.U., e dunque va ribadito, sul punto, che l’omesso esame denunziabile in sede di legittimità deve riguardare un fatto storico considerato nella sua
oggettiva esistenza, ‘… dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo’ (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17761 del 08/09/2016, Rv. 641174; cfr. anche Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 2805 del 05/02/2011, Rv. 616733). Non sono quindi ‘fatti’ nel senso indicato dall’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, ed infine neppure le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio.
Sono invece infondate le rimanenti deduzioni, perché la Corte di Appello non ha affatto operato una condanna solidale delle parti convenute, ma si è limitata a confermare la decisione di prime cure, che a sua volta aveva condannato COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ad eseguire le opere indicate dal C.T.U., consistenti (secondo quanto risulta da pag. 4 della sentenza impugnata) nella ‘… installazione di un controsoffitto fonoisolante con doppia lastra di cartongesso a distanza di 15 cm. dalle volte, oltre all’eliminazione delle pareti piastrellate nei locali ristorante ed all’applicazione alle mandate dei ventilatori di silenziatori circolari …’ . Va inoltre evidenziato che -come evidenziato alle pagg. 4 e 5 del controricorso di COGNOME NOME– nel caso di specie ‘… sia il CTU, sia il Tribunale (n.1 dispositivo) disponevano che l’installazione di controsoffitto fonoisolante … dovesse essere effettuato sia nel soffitto della cucina, sia nel soffitto del bar/ristorante’ . La circostanza è
confermata dall’esame delle conclusioni del C.T.U. (allegata come doc. H al fascicolo depositato dalla parte ricorrente in questo giudizio di legittimità), che il Tribunale aveva posto a base della propria decisione, avendo l’ausiliario affermato che ‘… i lavori per ricondurre le immissioni nei limiti della normale tollerabilità consistono: nella realizzazione di un controsoffitto fonoisolante nell’intero locale, nel trattamento acustico dell’ambiente per ridurre il campo diffuso, nell’inserimento di supporti antivibranti a molla sotto le motocondensanti dei condizionatori Toshiba e nell’apposizione di silenziatori circolari sulle mandate di tali motocondensanti’ . L’affermazione, contenuta nel ricorso, secondo cui dai locali adibiti a cucina non proverrebbe alcuna immissione rumorosa, e non sarebbe dunque stato rilevato alcun obbligo di esecuzione di opere afferenti ad essi, non corrisponde quindi al vero, essendo apertamente sconfessata dalla stessa documentazione prodotta dalla ricorrente principale.
Con il quarto motivo, quest’ultima lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. e degli artt. 844, 2058 c.c. e 614 bis c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., perché la Corte di Appello non si sarebbe pronunciata sulla domanda di manleva, spiegata dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, sulla scorta delle previsioni contenute nel contratto di locazione esistente tra dette parti.
La censura è infondata.
La Corte di Appello si è pronunciata su detta domanda, rilevando che il gravame era stato proposto, unitariamente, dalla RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE e dunque che quest’ultima società aveva, sottoscrivendo l’atto di appello, ‘… manifestato piena adesione a tale domanda’ (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata). Non sussiste, di conseguenza, alcun vizio di omessa pronuncia, essendosi la Corte di
merito espressa sul rapporto interno corrente tra la ricorrente principale e la società RAGIONE_SOCIALE, rilevando come detti soggetti, avendo spiegato gravame unitariamente, avessero condiviso la loro linea difensiva, con conseguente implicita rinuncia alla domanda di manleva originariamente spiegata dalla COGNOME NOME avverso il gestore dell’esercizio commerciale dal quale provenivano le immissioni oggetto di causa.
Nemmeno si configurano gli ulteriori vizi denunziati dalla parte ricorrente, avendo il giudice di merito correttamente distinto gli interventi da realizzare nei locali dai quali provengono le immissioni rumorose, ponendo a carico dei proprietari quelle interessanti la struttura dei locali stessi, e limitando invece la condanna al risarcimento del danno al solo soggetto gestore dell’attività rumorosa.
Con il quinto ed ultimo motivo, infine, la ricorrente principale si duole della violazione degli artt. 132, 115, 116, 61 c.p.c. e 844 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe omesso di tener conto delle gravi carenze che erano state denunciate dall’odierna ricorrente all’operato del C.T.U.
La censura è infondata.
Dall’esame della C.T.U., che come già detto la parte ricorrente principale ha prodotto unitamente al ricorso, emerge che l’ausiliario ha, al contrario di quanto affermato dalla COGNOME NOME, puntualmente risposto alle osservazioni di tutti i consulenti di parte, pervenendo a conclusioni che sono state motivatamente fatte proprie dal Tribunale, nella sentenza poi confermata dalla Corte distrettuale.
La Corte di Appello, confermando la decisione di prima istanza, ha condiviso le conclusioni dell’ausiliario, fornendo peraltro adeguata motivazione al riguardo. Sul punto, comunque, va data continuità al principio secondo cui ‘Il giudice di merito, quando aderisce
alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili, senza che possa configurarsi vizio di motivazione, in quanto le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive’ (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 33742 del 16/11/2022, Rv. 666237; conf. Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 1815 del 02/02/2015, Rv. 634182 e Cass. Sez. 1, Sentenza n. 282 del 09/01/2009, Rv. 606211). La motivazione resa dal giudice di seconda istanza, stante la condivisione delle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, è quindi pienamente adeguata a dar conto delle ragioni della decisione.
Inoltre, va anche evidenziato che ‘Le contestazioni ad una relazione di consulenza tecnica d’ufficio costituiscono eccezioni rispetto al suo contenuto, sicché sono soggette al termine di preclusione di cui al comma 2 dell’art.157 c.p.c., dovendo, pertanto, dedursi -a pena di decadenza- nella prima istanza o difesa successiva al suo deposito’ (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 19427 del 03/08/2017, Rv. 645178; conformi Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4448 del 25/02/2014, Rv. 630339 e Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 15747 del 15/06/2018, Rv. 649414). Sul punto, la parte ricorrente non specifica di aver puntualmente e tempestivamente sollevato censure alla consulenza tecnica nella prima difesa utile successiva al deposito dell’elaborato del tecnico nominato dal Tribunale. E, sotto questo profilo, anche la censura contenuta a pag. 29 del ricorso, secondo cui la RAGIONE_SOCIALE non avrebbe preso
parte alle operazioni peritali, avrebbe dovuto tradursi in una tempestiva eccezione, che non risulta esser stata sollevata.
In definitiva, il ricorso principale va quindi rigettato.
Passando all’esame del ricorso incidentale, con l’unico motivo RAGIONE_SOCIALE denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 139 e ss. e 160 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe dovuto ravvisare la nullità della notificazione del ricorso introduttivo del giudizio di prime cure, eseguita nei confronti di RAGIONE_SOCIALE presso un indirizzo non corrispondente alla sede sociale.
La censura è inammissibile.
La Corte di Appello ha evidenziato che sia la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado che quella dell’ordinanza con la quale era stato disposto il mutamento del rito erano state eseguite presso una sede della società e che le relative cartoline di ritorno ‘… sono state sottoscritte per accettazione da persona addetta alla ricezione per RAGIONE_SOCIALE e recano il timbro della predetta società’ (cfr . pag. 3 della sentenza impugnata). La ricorrente incidentale, con la censura in esame, non contesta l’effettiva ricezione dell’atto da parte di proprio incaricato, né la presenza, sulle predette cartoline di ritorno, della firma dello stesso e del timbro della società -elementi, questi ultimi, valorizzati dalla Corte distrettuale per ravvisare il raggiungimento dello scopo informativo della notificazione- ma si diffonde sulla validità della notificazione diretta a persona giuridica che sia stata eseguita presso un luogo diverso dalla sede sociale o effettiva. In tal modo, la ricorrente incidentale non si confronta adeguatamente con la ratio della decisione, da ravvisarsi nella circostanza che il processo notificatorio, in ogni caso, era pervenuto al suo scopo,
essendo stata assicurata la conoscenza degli atti da parte della società che ne era la destinataria.
Peraltro, la Corte distrettuale ha anche evidenziato che la ‘… attestazione della ricezione da parte di un soggetto qualificatosi come addetto a tanto fa fede fino a querela di falso ed in assenza di querela non v’è ragione per ritenere viziata la notifica’ (cfr . ancora pag. 3 della sentenza). Tale affermazione, che non è attinta dalla censura in esame -non avendo RAGIONE_SOCIALE né affermato di aver proposto la querela di falso ritenuta necessaria dal giudice di merito, né contestato la necessità di tale rimedio- è pienamente coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui, nell’ambito del processo notificatorio, fanno fede fino a querela di falso gli atti che l’ufficiale giudiziario (o per esso, nel caso di notificazione eseguita a mezzo posta, l’ufficiale postale) attesti esser stati compiuti alla sua presenza, inclusa l’identificazione del soggetto destinatario della notificazione (cfr . Cass. Sez. 6 -2, Ordinanza n. 22225 del 04/08/2021, Rv. 662177 e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2323 del 02/03/2000, Rv. 534523). Poiché la dichiarazione contenuta nella cartolina postale di ritorno è ricevuta dall’ufficiale postale che materialmente consegna al destinatario il plico raccomandato, essa è assistita da fede privilegiata (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11452 del 23/07/2003, Rv. 565368; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19417 del 28/09/2004, Rv. 578406; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2421 del 04/02/2014, Rv. 630308; cfr. anche, nello stesso senso, Cass. Sez. 6 -5, Ordinanza n. 29019 del 05/12/2017, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
Il ricorso incidentale va quindi dichiarato inammissibile.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Condanna la ricorrente principale e la ricorrente incidentale, in solido tra loro, al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge, inclusi iva e cassa avvocati.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, addì 25 novembre 2025.
IL PRESIDENTE NOME COGNOME