RG Nr. 120/2024
REPUBBLICA ITALIANA
In Nome del Popolo Italiano LA CORTE D’APPELLO DI TRIESTE – Collegio di Lavoro – composta dai Signori Magistrati Dr.
NOME COGNOME Presidente Dr.
NOME COGNOME Consigliere rel.
NOME
NOME COGNOME Giudice Ausiliario di Corte di Appello ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._43_2025_- N._R.G._00000120_2024 DEL_03_05_2025 PUBBLICATA_IL_03_05_2025
Nella causa promossa in appello con ricorso depositato in data 11 ottobre 2024 con sede in INDIRIZZO (P. IVA ) in persona del legale rappresentante pro tempore dott. nato a Trieste il 05/03/1962 (c.f. ) residente in INDIRIZZO rappresentato e difeso, come da procura in calce alla memoria di costituzione in primo grado dd. 29/03/2023, dall’avv. NOME COGNOME del Foro di (c.f.: ), con domicilio eletto presso il suo Studio Legale in INDIRIZZO con autorizzazione a effettuare comunicazioni e ricevere notifiche al numero di fax NUMERO_TELEFONO ovvero alla PEC appellante C.F. C.F. , C.F. , rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOMEC.F. , con domicilio digitale appellato, appellante incidentale appello avverso la sentenza N. 134/2024 (N. 163/2023 R.G.), PRONUNCIATA DAL TRIBUNALE DI UDINE, SEZIONE LAVORO, IN DATA 16.04.2024 E NON NOTIFICATA In punto: impugnazione licenziamento disciplinare
CONCLUSIONI
Per parte appellante In via principale Accogliere il presente appello e, per l’effetto ed in totale riforma della sentenza n. 134/2024 emessa dal Tribunale di Udine, dott.ssa COGNOME pubblicata in data 16/04/2024 nel procedimento sub R.G. 163/2023, rigettare totalmente le domande proposte dall’odierno appellato nel giudizio di primo grado accertare che il licenziamento intimato ha prodotto effetto dal 16/06/2022 e, per l’effetto, dichiararsi come indebitamente corrisposte le somme percepite e relative alla retribuzione di giugno e luglio 2022 oltre ai ratei di TFR condannando il ricorrente alla restituzione di tale importo o comunque della somma maggiore o minore o comunque ritenuta di giustizia. In via di mero subordine dichiararsi estinto il rapporto di lavoro con applicazione della sanzione prevista dall’art.3 comma 1 d.lgs. n.23/2015 ovvero il pagamento di un’indennità risarcitoria non assoggettata a contribuzione previdenziale nella misura minima di n. 6 mensilità o in quella ritenuta di giustizia e comunque commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR pari ad euro 8.925,00.
In ogni caso, con vittoria delle spese legali e compensi di entrambi i gradi del giudizio, maggiorati ex art. 4, comma 1-bis d.M. n. 55/2014, per l’utilizzo di tecniche informatiche che agevolano la consultazione o la fruizione dell’atto e, in particolare, consentono la ricerca testuale all’interno dell’atto e dei documenti allegati, nonché la navigazione all’interno dell’atto.
Per parte appellata- appellante incidentale:
IN INDIRIZZO
rigettare l’appello e confermare parzialmente la sentenza del tribunale di C.F. RAGIONE_SOCIALEF. del trattamento di fine rapporto, pari a € 9.668,45.- dal giorno del licenziamento fino al 14 maggio 2024, con deduzione delle retribuzioni da lavoro subordinato percepite dal dr. alle dipendenze dell’Azienda Sanitaria Universitaria Friuli Centrale dal 1° agosto 2022 al 14 maggio 2024, nonché al versa-mento dei contributi previdenziali e assistenziali fino al 31 luglio 2022.
IN INDIRIZZO
in parziale riforma della sentenza appellata, accertare l’insussistenza della giusta causa ovvero accertare la non proporzionalità del licenziamento impugnato, dichiarare estinto il rap-porto di lavoro alla data del licenziamento e condannare pagare al dr. un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di € 9.668,45.- per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità, oltre alla rivalutazione monetaria e agli interessi legali fino al 6 marzo 2023 (vigilia della domanda) e oltre agli interessi ex art. 12844 c.c. dal 7 marzo 2023 al saldo. IN INDIRIZZO
in parziale riforma della sentenza appellata, accertare la genericità della contestazione disciplinare e dichiarare estinto il rapporto di lavoro alla data del licenzia-mento, condannando a pagare al dr. un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo compreso tra due e dodici volte € 9.668,45.-, oltre alla rivalutazione monetaria e agli interessi legali fino al 6 marzo 2023 (vigilia della domanda) e oltre agli interessi ex art. 12844 c.c. dal 7 marzo 2023 al saldo.
IN INDIRIZZO
in parziale riforma della sentenza del tribunale di Udine n. 134/2024 del 17 aprile 2024, 1. maggiorare ogni posta di cui sopra “in via principale”, ovvero di cui al p. 2 e 4 del dispositivo di prime cure, degli interessi ex art. 12844 c.c. dal 7 marzo 2023 (data della domanda) al saldo;
2. condannare a pagare al dr. la somma capitale di € 107.907,69.-, oltre agli interessi legali (art. 12841 c.c.) sulle singole poste di € 5.010,00.- maturate mensilmente da agosto 2022 fino al 6 marzo 2023 (vigilia della domanda) e oltre agli interessi ex art. 12844 c.c. dal 7 marzo 2023 al saldo;
3. maggiorare del 30% (ex art. 4, comma 1-bis D.M. 10 marzo 2014, n. 55) i compensi liquidati in prime cure, oltre rimborso 15%, c.n.a.p. e i.v.a. 1. IN OGNI CASO:
rifusione delle anticipazioni del grado per € 571,15.- (comprese le spese doc. 20 per il versamento del contributo unificato mediante piattaforma tecnologica, unica modalità consentita dalla legge, art. 192, commi 1 e 1-quinquies D.P.R. 115/2002) e dei compensi 2. maggiorati del 30% ex art. 4, comma 1-bis D.M. 10 marzo 2014, n. 55, oltre rimborso 15%, c.n.a.p. e i.v.a. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1.Con la sentenza impugnata il tribunale di Udine accoglieva l’impugnazione del licenziamento intimato in data 19.7.22 dal al proprio dipendente, dirigente medico, responsabile del servizio di anestesia;
il giudice di primo grado annullava il licenziamento e, in applicazione di art. 3 comma 2 legge n. 23/15, condannava la società premenzionata alla reintegrazione del dipendente e al pagamento di un’indennità risarcitoria non inferiore a dodici mensilità, detratti gli importi percepiti a titolo di retribuzione in altra occupazione reperita dal medico dall’1.8.22.
Il giudice condannava l’ente al pagamento anche della somma di euro 7500,00 a titolo risarcitorio per mancato guadagno rispetto all’attività libero professionale intra moenia che il Dottore avrebbe continuato a svolgere se non licenziato;
importo commisurato alle perdite subite nel periodo dalla sospensione dal servizio di data 16.6.22 all’assunzione ex novo presso altra azienda sanitaria.
Il tribunale rigettava la domanda riconvenzionale azionata dalla clinica ed avente ad oggetto la restituzione delle retribuzioni corrisposte al Dottore dal 16.6.22 all’effettivo licenziamento e condannava la società alla rifusione delle spese di lite.
2.Avverso la sentenza proponeva impugnazione la società instando per la riforma della sentenza e l’accoglimento della domanda riconvenzionale non accolta dal primo giudice.
In via subordinata instava per la tutela meramente indennitaria in ragione della sproporzione della sanzione espulsiva applicata rispetto al fatto addebitato.
Si costituiva l’appellato che instava per il rigetto dell’impugnazione e in via incidentale a propria volta proponeva impugnazione per la riforma della decisione con il favore delle spese di lite.
3. All’udienza dell’11 aprile 2025 la causa, che ha subito un rinvio d’ufficio e cambio di relatore in ragione della immissione in possesso del nuovo Consigliere Lavoro della Corte di Appello di Trieste, è stata discussa e decisa come da separato dispositivo di cui era data lettura alle parti in udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4. La società appellante ha contestato la decisione del tribunale di Udine con una serie di motivi.
Con il primo motivo lamentava l’errore commesso dal giudice che non aveva dato corso alle istanze di prova orale riprodotte anche in appello e volte a dimostrare che esistevano buone prassi nella compilazione della cartella clinica.
L’appellante eccepiva che l’art. 5 della legge Gelli richiamata dal , aveva chiesto di provare che c’erano delle procedure interne di compilazione, gestione e archiviazione delle cartelle cliniche note al dipendente oltre ad un protocollo specifico.
Osservava che anche il codice deontologico imponeva il rispetto dei criteri di chiarezza, trasparenza, veridicità e completezza nella compilazione della cartella clinica e che nel caso di specie in cui- come ammesso dallo stesso interessato – c’erano stati plurimi tentativi per poter inserire l’ago dal quale far passare l’anestesia, era evidente che questi criteri non erano stati rispettati.
Assumeva che l’indicazione di un unico tentativo e comunque di uno shot, era dicitura scorretta e non rispettosa di quanto avvenuto.
Con secondo motivo contestava la contraddittorietà della motivazione nel punto in cui il giudice non aveva tenuto conto che nella cartella clinica era previsto uno spazio per annotare le difficoltà incontrate dal professionista nelle operazioni compiute ed anche le eventuali complicanze sopravvenute;
nel caso di specie nonostante la somministrazione dell’anestesia al paziente fosse stata preceduta da plurimi dolorosi tentativi e dalla necessità di ricorrere a strumentazione specifica e ad una pluralità di aghi, tuttavia nessuna di queste attività era stata documentata nella cartella clinica.
A tal fine invocava le dichiarazioni stragiudiziali della dott.ssa eccepiva che in altre occasioni il Dottore aveva annotato i plurimi tentativi realizzati sul paziente, rilevava che l’indice di rischio aumenta in ragione dei tentativi di effettuare l’anestesia e che, secondo le linee guida EJA e SIAARTI, i tentativi dovevano essere indicati nella cartella clinica come da documentazione agli atti( cfr. docc. 19-20-21 parte appellante).
Con terzo motivo contestava egualmente la contraddittorietà della motivazione poiché la società aveva allegato elementi e dichiarazioni da cui emergeva che il contenuto della cartella clinica non rispecchiava le difficoltà incontrate dal Dottore nell’effettuare l’anestesia che, come documentato anche in sede di ATP, era durata oltre 40 minuti mentre di regola dura 10 minuti e a fronte della sintomatologia dolorosa del paziente, sarebbe stata opportuna la sostituzione del medico o l’adozione di altro tipo di anestesia ( totale). Comportamenti rifiutati dal Dottore che aveva insistito per praticare personalmente l’anestesia.
Con quarto e quinto motivo censurava la sentenza nel punto in cui il giudice aveva qualificato come sproporzionata la sanzione del licenziamento:
la gravità della condotta del dipendente che era il responsabile del servizio anestesia e la cui condotta poteva assurgere da modello diseducativo e disincentivante per gli altri medici, era grave in re ipsa.
Si trattava di una negligenza grave, sufficiente a giustificare il recesso considerato che il medico aveva omesso di indicare nella cartella elementi importanti come dimostrato dalla condotta postuma;
rispetto ai postumi e alla causa risarcitoria ancora in corso, come desumibile dalla relazione peritale del giudizio di ATP che chiedeva di poter produrre anche in questo giudizio.
In via subordinata eccepiva che la sproporzione della sanzione non avrebbe dovuto tradursi, come ritenuto dal primo giudice, nella tutela reintegratoria del lavoratore, bensì in una forma di tutela meramente indennitaria poiché la condotta era comunque rilevante sotto il profilo disciplinare.
Instava, attesa l’anzianità di servizio limitata, per la concessione della misura minima legale concedibile.
Eccepiva l’aliunde perceptum e percipiendum osservando che presso altra struttura sanitaria il Dottore avrebbe potuto svolgere anche attività libero professionale.
Contestava l’ulteriore risarcimento concesso dal giudice a titolo di mancato esercizio di attività intra- moenia, in ragione della onnicomprensività del parametro legale e la mancanza di prova del danno che gravava sul lavoratore.
Contestava la sentenza anche nel punto in cui il giudice aveva omesso ogni pronuncia rispetto alla domanda riconvenzionale azionata ed avente ad oggetto la restituzione di quanto corrisposto dalla società al proprio dipendente anche dopo la sospensione cautelare;
importi retributivi indebiti ex art. 1 comma 42 legge 92/12, che dovevano essere restituiti e che erano quantificati in euro 11.104,95.
5. Si costituiva il Dottore il quale contrastava l’appello principale di cui chiedeva la reiezione evidenziando che la cartella clinica è atto pubblico, che nessuna querela era stata proposta per falso e che nonostante l’opzione esercitata dal medico per il pagamento delle quindici mensilità in luogo della reintegrazione, tuttavia la società non aveva ancora eseguito la pronuncia di primo grado ( anzi erano pendenti i giudizi di opposizione avverso i decreti ingiuntivi ottenuti dal lavoratore nei confronti della ex datrice di lavoro). Riteneva corretta la tutela attenuata concessa dal giudice in ragione della previsione contrattuale che all’art. 11 lett. c) sanzionava con la sola sospensione massima per 10 giorni, la grave negligenza in servizio, rilevando che non gli era stato contestato anche il danno grave che per contro avrebbe giustificato il recesso immediato.
Eccepiva la novità delle allegazioni della società in appello con riferimento ai particolari appresi in sede di ATP e alle conseguenze derivate al paziente dalle procedure di anestesia.
Assumeva la genericità della contestazione disciplinare poiché la società non aveva specificato quali procedure non sarebbero state osservate dal sanitario ritenendo che- comunque- la datrice di lavoro non aveva provato che i sanitari erano stati istruiti sull’obbligo di compilare la cartella sanitaria in un certo modo.
Contestava l’aliunde perceptum perché non provato e non eccepito in primo grado;
riteneva dovuto il risarcimento anche rispetto all’attività libero professionale cessata a causa del recesso illegittimo.
Contestava la domanda riconvenzionale in ragione della sussidiarietà dell’art. 2041 c.c.;
in ogni caso eccepiva che la restituzione doveva avvenire al netto degli oneri e che non poteva comprendere le quote che erano state corrisposte al che non era stato neppure evocato in giudizio.
Insisteva pertanto per il rigetto dell’appello principale e la riforma parziale della sentenza che a propria volta impugnava in via incidentale con tre motivi.
Con il primo motivo di appello incidentale impugnava la sentenza per omessa pronuncia sulla richiesta degli accessori che era stata formulata in primo grado ex art. 1284 c.c. comma quarto con riferimento agli interessi maturati dopo il deposito della domanda giudiziale.
Con secondo motivo di appello incidentale censurava la sentenza nel punto in cui il giudice, nel liquidare i compensi per le spese di lite, non aveva tenuto conto della richiesta di aumento come prevista dal Dm 55/14 e ss modifiche per i collegamenti ipertestuali ex art.4 comma 1 bis ;
disposizione cogente per il giudicante.
Con terzo motivo contestava la sentenza nel punto in cui il giudice aveva limitato il danno da perdita di chance al periodo intercorso fino al 19.7.22, senza considerare la compatibilità dell’esercizio dell’attività intramoenia ;
attività che il Dottore avrebbe proseguito e il cui mancato guadagno avrebbe dovuto essere risarcito quanto meno fino all’esercizio dell’opzione di data 14 maggio 2024.
6. L’appello principale merita parziale accoglimento per le assorbenti ragioni che seguono, mentre l’appello incidentale va rigettato perché generico nei primi due motivi e assorbito il terzo motivo.
A. In fatto la vicenda prende avvio a seguito di licenziamento intimato in data 19 luglio 2022 da parte del al dirigente medico- responsabile del servizio di anestesia- Dottore in servizio dal 3.06.21.
Licenziamento applicato a seguito di contestazione disciplinare avente il seguente contenuto:
” “In data 01/06/2022 Lei ha autonomamente contattato il Direttore Sanitario dott. riferendo che in data 15/02/2022 nello svolgimento delle sue funzioni di anestesista e Responsabile del Servizio di Anestesia del si è occupato della procedura di induzione dell’anestesia spinale sul paziente nato in d. 04/02/1956.
Lei ha altresì precisato al dott. di essere riuscito a somministrare l’anestesia solo dopo plurimi tentativi di inserimento dell’ago e che il paziente è stato successivamente ricoverato presso l’Ospedale Santa Maria della Misericordia per gravi complicanze (pachimeningite) attualmente non risolte.
A seguito della Sua comunicazione la struttura si è attivata a svolgere indagini interne e a visionare la cartella clinica evidenti difficoltà nell’esecuzione della puntura, insistendo nella reiterazione delle operazioni di puntura per una decina di volte, richiedendo sostegno/aiuto alla collega per un cambio di postura del paziente (da fianco destro a seduto), reiterando numerose volte infruttuosi tentativi di inserimento dell’ago nella zona spinale per somministrare l’anestesia nonostante il dolore lamentato dal paziente, senza richiedere né dar seguito alle offerte di intervento in sostituzione da parte di colleghi presenti e disponibili e senza optare per l’anestesia generale. Nella documentazione anestesiologica, parte della cartella SDO 22.000506 del paziente non risulta registrata la dinamica dei fatti così come da Lei descritta al dott. e confermata dai colleghi presenti in turno.
Nella cartella risulta unicamente la registrazione dell’ora di inizio (15:15) e fine (15:58) dell’induzione dell’anestesia (ALR) con annotazione di un solo tentativo di somministrazione dell’anestesia spinale;
non si fa alcun cenno alle difficoltà riscontrate, al cambio di postura del paziente (da fianco destro a seduto), al dolore lamentato dal paziente.
Ritenendo che i descritti comportamenti costituiscano una grave violazione ai Suoi obblighi contrattuali in spregio a consolidate linee guida e buone pratiche medico-cliniche, nonché ai suoi obblighi di diligenza qualificata per carente compilazione della cartella clinica e in particolare della documentazione anestesiologica, tutte violazioni aggravate dalla posizione di responsabilità rivestita presso il Policlinico, con la presente si contestano i fatti sopra descritti rimanendo in attesa delle Sue giustificazioni in merito all’accaduto entro il termine di cinque giorni dal ricevimento della presente ai sensi e per gli effetti dell’art. 7 della Legge n. 300/1970 e del CCNL applicato. Considerata l’estrema gravità dei fatti contestati e al fine di proseguire nello svolgimento delle indagini interne disciplinari Lei è sospeso, sin dal ricevimento della presente, dal prestare servizio preso la scrivente”( cfr. doc. 9 parte ricorrente in primo grado).
Il 19 luglio 2022 il ricorrente era stato licenziato per giusta causa “stante l’irrimediabile lesione del vincolo di fiducia a base del rapporto di lavoro tra le parti anche in considerazione della Sua posizione di Responsabile del servizio di Anestesia”
( cfr. doc. 13 parte ricorrente in primo grado).
6.1.Per quanto evidenziato dalle parti in primo grado oggetto della contestazione era la compilazione incompleta della cartella nella quale il Dottore non avrebbe riportato con chiarezza e trasparenza le effettive modalità adottate per praticare l’anestesia al in particolare le difficoltà che il medico aveva incontrato nel somministrare l’anestesia tanto che la durata della procedura aveva superato ampiamente gli standard ordinari.
Particolari della procedura che- per contro- il Dottore aveva riferito al dott. proprio responsabile- appena ricevuto la notizia delle complicanze sopravvenute a danno del paziente e con cui a propria difesa il medico assumeva di aver praticato plurimi tentativi di introduzione del solo “ago introduttore”, ossia l’ago cavo all’interno del quale è poi posizionato l’ago lungo dal quale refluisce l’anestetico ( cfr. doc. 12 parte appellata).
Conseguentemente riteneva il medico che la compilazione fosse corretta poiché riportava la presenza di un unico tentativo di inoculazione- come avvenuto realmente in thesi- e comunque riferibile al solo ago lungo.
6.2.Dagli atti emerge che con la contestazione disciplinare al Dottore non era stata contestata la negligenza dell’operazione di anestesia, né tanto meno il nesso tra questa attività di anestesia spinale e la successiva patologia manifestata dal paziente, il quale successivamente aveva avviato una causa risarcitoria oltre che penale a danno della struttura sanitaria e dei suoi dipendenti.
Procedimento nel corso del quale era eseguito l’accertamento tecnico preventivo i cui esiti consulenziali parte appellante ha chiesto di acquisire in questa sede al fine di provare la gravità della condotta disciplinare per cui è causa ( cfr. doc. C parte appellante).
Produzione sopravvenuta cui si è opposto il medico e che il Collegio ritiene non rilevante in quanto al lavoratore non erano state contestati i danni provocati al paziente per condotta negligente.
7. Il primo giudice nel valutare le allegazioni delle parti aveva concluso per l’illegittimità del recesso con la seguente motivazione:
L’art. 5 della legge Gelli subordina l’obbligo di seguire le linee guida e le buone prassi, alla specificità, che viene prima, del singolo paziente:
“Gli esercenti le professioni sanitarie, nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ai sensi del comma 3 …”.
Ai sensi della norma citata, in ogni caso, le linee guida alle quali l’operatore è tenuto ad attenersi sono solo quelle pubblicate sul sito internet dell’Istituto superiore di sanità:
la difesa attorea ha, tuttavia, eccepito che sul quel sito non c’è traccia di linee guida in materia di anestesia subaracnoidea.
A fronte di tale precisa eccezione, costituendosi in causa, il non ha provato la presenza delle linee guida sul sito dell e ha piuttosto ha richiamato e prodotto due Linee Guida, quelle Eja e quelle SIAARTI (docc. 21 e 22).
Si tratta di documenti che non hanno reale efficacia generale e che non possono assurgere a criteri vincolanti per la valutazione della condotta tenuta dal ricorrente, non essendo state oggetto di pubblicazione come richiesto dalla legge ed in ogni caso la stessa parte resistente non è stata in grado di indicare in quale parte di questi documenti viene disciplinato il numero di tentativi che sono considerati ammessi per l’effettuazione di questa tipologia di anestesia, né a dire il vero cosa debba intendersi esattamente per “tentativo”. Nulla, inoltre, in ’operatore.
Nel caso di specie basterà rilevare che la cartella che è stata utilizzata per l’intervento di cui si tratta è proprio quella che era in uso presso il resistente e che era stata perfezionata su indicazioni del ricorrente.
Le voci contenute nella cartella risultano tutte debitamente compilate e l’unico dato che viene indicato da parte della società resistente come scorretto – in quanto non corrispondente alla realtà dei fatti – è l’indicazione del numero dei tentativi effettuati per somministrare l’anestesia.
Accanto a questa voce della cartella è effettivamente indicato il numero 1, mentre la difesa della resistente contesta che i tentativi sarebbero stati più di uno.
La parte ricorrente ha, tuttavia, specificato in ricorso che “il kit utilizzato, messo a disposizione dal , era composto da un ago introduttore (ago cannula) lungo 40 mm. e da un ago spinale, lungo 103 mm. e del diametro di 25 Gauge, corrispondenti a 0,5 mm. (doc. 5, pag. 6, doc. 6)1.
Il posizionamento dell’ago introduttore, che entra per una breve profondità nei tessuti, non permette l’esecuzione dell’anestesia spinale.
Questa anestesia è somministrata, invece, tramite l’ago lungo fatto scorrere all’interno dell’ago introduttore (che è cavo).
L’ago lungo – e solo questo – raggiunge lo spazio liquorale dove viene iniettato l’anestetico locale.
La manovra di posizionamento dell’ago introduttore è preliminare rispetto all’inserimento dell’ago spinale mediante il quale ultimo avviene la somministrazione liquorale dell’anestetico locale.
La lunghezza e la flessibilità dell’ago spinale (quello da 103 mm.) rende necessario un ago introduttore, perché altrimenti l’ago spinale si piegherebbe sulle resistenze dei primi strati (cute, sottocute, legamento interspinoso) di qualunque paziente… Come in altri casi e come succede talvolta a ogni anestesista, il ricorrente ha fatto alcuni tentativi di posizionamento cutaneo dell’ago introduttore, avvalendosi da ultimo dell’apparecchio a ultrasuoni…Nella pratica clinica e in letteratura scientifica, infatti, è nota la possibilità che, similmente al caso in oggetto, il posizionamento dell’ago introduttore incontri resistenze e, pertanto, l’operatore deve fare più tentativi con l’ago introduttore. A seconda delle difficoltà incontrate, è possibile che si renda necessario il cambio di postura del paziente, così da modificare l’allineamento della colonna, e che a questa manovra concorra un altro sanitario…Nessuna norma o criterio vincolante fissa un numero massimo di tentativi durante la procedura anestesiologica subaracnoidea.
Le resistenze incontrate sul paziente non sono state tali da giustificare l’anestesia generale.
Inserito dunque nell’ago introduttore l’ago spinale lungo e sottile, proseguendo in profondità fino allo spazio liquorale, l’anestesia è stata somministrata al paziente con un unico tentativo esattamente riportato in cartella clinica”.
A fronte di tali specifiche allegazioni che portano a ritenere che per “tentativo di somministrazione” si debba intendere esclusivamente quello in cui si inserisce l’ago spinale nello spazio liquorale e non la manovra di posizionamento dell’ago induttore la parte resistente non ha non è stato specificato neppure nella lettera di contestazione dell’addebito (e ciò basterebbe per rendere la contestazione generica e conseguentemente invalida) e, nel contempo, al fine di verificare quali fossero le buone pratiche in uso all’interno della struttura ove operava il ricorrente non è stato né allegato, né tantomeno provato che dopo l’adozione del nuovo modello di cartella clinica siano state diramate istruzioni o convocate riunioni per la corretta compilazione della cartella stessa. Non essendovi, quindi, chiare indicazioni interpretative delle singole voci contemplate dalla cartella, né prescrizioni precise sul contenuto essenziale della cartella non è possibile ritenere che la condotta tenuta dal ricorrente fosse scorretta o illecita.
Solo per completezza va anche sottolineato che dovendo la condotta del ricorrente essere esaminata e valutata (secondo quanto la stessa resistente ha più volte rimarcato) solo con riguardo alla completezza della cartella e in maniera non correlata a quelle che sono state le conseguenze sulla salute del paziente, non si può che rilevare che l’eventuale incompleta o errata compilazione della cartella in un unico caso isolato (non ci sono state contestazioni antecedenti di alcun tipo) non integra certamente un comportamento negligente di rilevanza e gravità tale da configurare una giusta causa di licenziamento, specie alla luce del fatto che per il comportamento negligente in sé e per sé considerato (come nel caso di specie non dovendosi considerare gli effetti per il paziente) la contrattazione collettiva applicabile di settore prevede solo una sanzione disciplinare conservativa. Deve, dunque, concludersi per l’insussistenza del fatto contestato.
”.
8. Questo Collegio non condivide la valutazione del primo giudice;
la condotta del Dottore il quale ha omesso di indicare nella cartella clinica tutti i tentativi effettuati al fine di somministrare l’anestesia spinale al , come descritti spontaneamente dallo stesso interessato al dott. risultanti anche dalle dichiarazioni dimesse dalla società subb. 24 e 25; dichiarazioni non contestate nel loro contenuto dalla parte attrice in primo grado.
Trattasi in particolare di dichiarazione della infermiera che aveva assistito il Dottore nell’attività di inoculazione, ed aveva riferito che erano stati utilizzati almeno due set completi di aghi ( sia cavo che lungo) e che c’erano stati almeno due tentativi di inoculazione oltre alla circostanza oggettiva che l’attività di anestesia fosse durata oltre 40 minuti e quindi un tempo superiore alla durata routinaria di 10 minuti.
( cfr.doc. 24).
Altra dichiarazione era della collega anestesista quale aveva confermato l’eccessiva durata dell’attività, l’esecuzione di plurimi tentativi e la necessità che tutte le attività realizzate sul paziente fossero oggetto di annotazione nella cartella sanitaria ( sub. Doc. 25).
Elementi introdotti dalla società e valorizzabili dalla Corte al fine di valutare la sussistenza della di reparto rivestita dal Dottore, a giustificare l’adozione di un provvedimento disciplinare da parte della datrice di lavoro.
8.1.In particolare non sono corrette le conclusioni del primo giudice secondo cui nel caso di specie, in mancanza di linee guida pubblicate sul sito dell’ , mancherebbe la prova della violazione di norme vincolanti.
Infatti la norma di cui all’art. 5 legge n. 24/17 prevede che in mancanza di raccomandazioni pubblicate sul sito premenzionato gli esercenti le professioni sanitarie si attengano “ alle buone pratiche clinico assistenziali”.
L’art. 261 del codice di deontologia medica del 2018 prevede un obbligo di completezza, chiarezza e diligenza a carico del sanitario nella compilazione della cartella clinica; obbligo di completezza e chiarezza ribadito anche dalla società appellante che aveva adottato un apposito protocollo prevedente le procedure interne e le modalità di compilazione della cartella clinica anche con riferimento al contenuto della stessa e alle annotazioni da apporre in ipotesi di pazienti sottoposti ad anestesia ed eventuale gestione di eventi inusuali ( cfr. doc. 7 parte appellante, art. 6 punto 9.).
9. Nel caso di specie per procedere all’anestesia spinale sul paziente, per quanto descritto dalle parti, il Dottore aveva dovuto richiedere l’ausilio dell’ecografo e di altra collega ( dott.ssa ; il cambio di posizione ( da decubito laterale a seduto) e nonostante il si lamentasse per il dolore , il Dottore aveva continuato a praticare l’anestesia, con un allungamento dei tempi di esecuzione dell’intervento che di regola- per quanto allegato dalla società e non contestato dalla parte appellata- è di breve durata ( non più di 10’). Durata superiore all’ordinario ( pari a 48’), che emerge anche dalle annotazioni della Cartella clinica dimessa in atti dalla parte appellata sub.
Doc. 4.
Risulta altresì provato in via documentale che il Dottore, in altre occasioni aveva annotato nella cartella clinica l’esistenza di diversi tentativi di inoculazione ( cfr. doc. 13 parte appellante);
procedura adottata anche dagli altri anestesisti compresa la ( cfr. docc. 20 parte appellante).
1 Art. 26
Cartella clinica
Il medico redige la cartella clinica, quale documento essenziale dell’evento ricovero, con completezza, chiarezza e diligenza e ne tutela la riservatezza;
le eventuali correzioni vanno motivate e sottoscritte.
Il medico riporta nella cartella clinica i dati anamnestici e quelli obiettivi relativi alla condizione clinica e alle attività diagnostico-terapeutiche a tal fine praticate;
registra il decorso clinico assistenziale nel suo contestuale manifestarsi o nell’eventuale pianificazione anticipata delle cure nel caso di paziente con malattia progressiva, garantendo la tracciabilità della sua redazione.
Il medico registra nella cartella clinica i modi e i tempi dell’informazione e i termini del consenso o dissenso della persona assistita o del suo rappresentante che nel caso di specie ( cfr. doc. 4 parte appellata) è mancata atteso che nella cartella compilata dall’interessato risulta annotato un unico tentativo di anestesia senza complicanze e con durata dalle ore 15.15 alle ore 15.58.
10. Non è quindi condivisibile l’assunto del giudice secondo cui non esistevano obblighi di condotta adottati dalla società e noti al Dottore o- quanto meno- specificati come violati in sede di contestazione disciplinare, trattandosi di buona pratica assistenziale adottata dalla società nel protocollo sub. Doc. 7. Inoltre l’inserimento di spazi nella cartella clinica per annotare i tentativi e le eventuali difficoltà incontrate dall’anestesista nella somministrazione, era conseguente alla richiesta del Dottore di utilizzare un modello simile a quello utilizzato in altre aziende sanitarie ; modello effettivamente adottato dalla società per il reparto di cui l’appellato era responsabile ( cfr. doc. 19 parte appellante).
Ne consegue che il professionista fosse consapevole degli obblighi di trasparenza e completezza, precisati anche nel protocollo in uso nella struttura;
la puntualità della memoria difensiva prodotta in sede disciplinare consente altresì di rigettare integralmente l’eccezione di genericità della contestazione sollevata anche in fase giudiziale.
La mera lettura del documento conferma che il dipendente avesse compreso le ragioni della contestazione, nonché quali addebiti e rilievi fossero stati sollevati e che pertanto il diritto di difesa era stato ampiamente rispettato.
Nella contestazione era lamentata la violazione di obblighi di diligenza qualificata che non potevano essere ignoti al professionista anche perché, per quanto esposto, inseriti nel codice deontologico del medico.
Fermo restando che il procedimento disciplinare è stato avviato dalla società a seguito di quanto riferito postumamente dal Dottore al proprio responsabile una volta nota la grave patologia sopravvenuta al 10.1.La gravità della mancanza emerge nel caso di specie anche per la posizione apicale assunta dal Dottore che era il responsabile della struttura di anestesia;
dipendente rispetto al quale il grado di affidamento della società era più elevato rispetto ad altri lavoratori, trattandosi di soggetto la cui condotta assumeva valore paradigmatico per gli altri colleghi ( cfr. cd. disvalore ambientale, in tema Cass. 25969/2023).
11.
La mancanza disciplinare non è quindi irrilevante come ritenuto dal primo giudice, ma assume caratteri di gravità tale da doversi escludere l’applicazione della tutela accordata dal tribunale.
Il primo giudice infatti in applicazione dell’orientamento interpretativo adottato dalla giurisprudenza di legittimità ( cfr. Cass. 30469/2023) e costituzionale ( cfr. da ultimo Corte Cost. 129/2024), ha avviso di questo Collegio, invece, per quanto espresso nei punti motivazionali che precedono, trattasi di mancanza grave per un dirigente medico e soprattutto per il responsabile del servizio di anestesia, il quale era consapevole o quanto meno doveva prevedere- nell’ambito della diligenza richiedibile a lavoratori aventi la sua professionalità- la rilevanza che le annotazioni nella cartella clinica assumono per la salute del paziente anche in relazione a successivi interventi o ricoveri. Inoltre va ricordato che rispetto alla cartella sanitaria la società ha presentato denuncia penale a danno del Dottore per il reato di cui all’art. 479 c.p. ;
denuncia presentata dopo il recesso in data 21 settembre 2022( cfr. doc. 29 ).
12.
In merito alla necessaria valutazione di proporzionalità e adeguatezza della sanzione soccorre l’art. 11 del Ccnl rubricato codice disciplinare.
La disposizione prevede sanzioni conservative ( quali il richiamo verbale, scritto, multa non superiore a quattro ore e sospensione non superiore a 10 giorni) per determinate condotte indicate soltanto in modo esemplificativo:
tra queste in particolare per il dipendente che “c) commetta grave negligenza in servizio, o irregolarità nell’espletamento dei compiti assegnati dal diretto superiore gerarchico o dalla direzione sanitaria;
d) non si attenga alle disposizioni terapeutiche impartite omiss”.
Le parti collettive hanno individuato sanzioni espulsive come il licenziamento immediato in presenza di un “ notevole inadempimento “ con riferimento a tutti i casi previsti per le sanzioni conservative “ qualora le infrazioni abbiano carattere di particolare gravità”.
Sempre sul piano dell’obbligo di graduazione nella scelta della sanzione, le parti sociali ritengono necessario che il datore di lavoro rispetti i seguenti criteri generali “ intenzionalità del comportamento, grado di negligenza, imprudenza o imperizia dimostrate, tenuto conto anche della prevedibilità dell’evento, rilevanza degli obblighi violati, responsabilità connesse alla qualifica occupata dal medico, grado di danno o di pericolo anche potenziale causato all’Amministrazione , agli utenti o a terzi ovvero al disservizio determinatosi, sussistenza di circostanze aggravanti o attenuanti riguardo al comportamento del medico, ai precedenti provvedimenti disciplinari adottati, al concorso nella mancanza di più lavoratori in accordo tra loro” ( cfr. art.11). 12.1.Nel caso di specie la condotta contestata e provata nei confronti del Dottore assume i caratteri di negligenza in servizio di particolare gravità, tenuto conto del diritto alla salute del paziente e degli obblighi gravanti sul Dottore che aveva assunto l’obbligo assistenziale nei confronti del quale si era affidato alla sua professionalità per un intervento che avrebbe dovuto essere routinario e che- per quanto emerso successivamente- potrebbe avergli cagionato un danno irreversibile.
Fermo restando che nel caso di specie al Dottore non sono contestate le eventuali conseguenze alla del giudice di irrilevanza della condotta in quanto sanzionabile esclusivamente con una sanzione conservativa in termini di tassatività.
Trattasi di negligenza in servizio di notevole gravità avendo il medico omesso di dettagliare nella cartella esattamente tutti tentativi e le complicanze sopravvenute nella inoculazione della anestesia spinale , quanto meno con riferimento al cambio di postura, all’utilizzo di una pluralità di aghi e al ricorso anche dell’ausilio ecografico e di altro collega.
Gravità particolare anche in ragione del ruolo di responsabile rivestito dall’interessato che impedisce di attribuire alla condotta la scarsa importanza dell’inadempimento nei termini attribuiti dal primo giudice che pertanto ha annullato il recesso ( cfr. art. 1455 cc).
13.
Tuttavia la carenza di altri precedenti disciplinari e l’assenza di contestazione ulteriore rispetto alla compilazione dell’atto, impedisce nel caso di specie di ritenere la sanzione adeguata nei termini di cui all’art. 2104 c.c. tanto da qualificare l’addebito così grave da giustificare l’immediata risoluzione del rapporto.
Soccorre in tal caso la norma di cui all’art. 3 comma 1 decreto legislativo che a fronte della illegittimità del recesso per carenza degli estremi del licenziamento per giusta causa, impone al giudice di dichiarare estinto il rapporto alla data del licenziamento con condanna del datore di lavoro al pagamento di una indennità.
Indennità che, tenuto conto della limitata anzianità di servizio del dirigente assunto il 3.06.21, appare equo commisurare a sei mensilità della retribuzione mensile utile come indicata dalla parte appellata in misura non contestata in primo grado dalla società e pari ad euro 9.668,45( cfr. ricorso di primo grado e buste paga prodotte sub. 2).
14.
L’illegittimità del licenziamento e l’applicazione del disposto normativo di cui all’art. 3 comma 1 decreto legislativo n. 23/15 impedisce alla Corte di accogliere la domanda riconvenzionale azionata anche in grado di appello dalla società e inerente la restituzione della retribuzione corrisposta al Dottore dalla sospensione cautelare del 16 giugno 2022 al licenziamento intimato in data 19.07.22 e pari ad euro 11.104,95 considerato che la norma impone al giudice di dichiarare risolto il rapporto alla data del licenziamento. A ciò si aggiunga che la norma collettiva prevede all’art. 11 una “ facoltà” di sospensione in capo all’Amministrazione, con diritto del dipendente ad un assegno alimentare, senza alcuna ulteriore previsione di retroattività del recesso nei termini sostenuti dalla società.
Né rileva la norma di cui all’art. 1 comma 42 legge n. 42/12 poiché manca il presupposto della legittimità del recesso.
alla reintegrazione e pari ad euro 7515,00;
risarcimento ulteriore per attività mancata fino a nuova assunzione che, in assenza di diritto al ripristino del rapporto non compete in ragione della natura omnicomprensiva dell’indennizzo predeterminato e forfettizzato previsto dal legislatore
( cfr. in tal senso Corte Cost. 194-18).
16.
Residua l’esame dei motivi di appello incidentale proposti dal Dottore.
Con il primo motivo lamenta il Dottore che il primo giudice avrebbe omesso ogni pronuncia sulla domanda di pagamento degli interessi ex art. 1284 comma quarto cc. Trattasi di motivo inammissibile in quanto non considera in modo specifico il decisum e infondato.
Il primo giudice nel capo 2 della sentenza impugnata si era limitato a pronunciare una sentenza di condanna “ generica” al versamento della indennità risarcitoria, senza prendere posizione sugli accessori perché pronuncia non necessaria nel caso di condanne di questa natura.
Il tribunale al punto 2 del dispositivo ha stabilito quanto segue:
” condanna il alla reintegrazione del ricorrente, nel posto di medico Responsabile del servizio di anestesia e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, entro il limite di dodici mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, con deduzione degli importi percepiti dal ricorrente al solo titolo di retribuzione a seguito della sua assunzione a tempo indeterminato presso l’ a partire dal 01.08.22. ”.
A seguire con riferimento alla misura risarcitoria ulteriore per euro 7.515,00 ha invece stabilito in modo specifico la misura dovuta a titolo di accessori.
In motivazione si legge quanto segue”… Il risarcimento, quindi, può essere liquidato utilizzando come parametro la media mensile dei compensi percepiti durante il periodo dal 03.06.21 al 16.06.22 ossia €. 5.010,00 mensili lordi e quindi in totale €. 7.515,00 lordi, determinati con riferimento all’attualità e, dunque, già inclusivi di interessi e rivalutazione dalla data del licenziamento ad oggi.
A tale importo dovranno aggiungersi interessi e rivalutazione monetaria dal giorno successivo al deposito della sentenza al saldo (cfr. Cass. sent. n. 11235/14 “il cumulo tra interessi e risarcimento del danno da rivalutazione monetaria, previsto dall’art. 429, terzo comma, cod. proc. civ., trova applicazione anche nel caso di crediti liquidati, ai sensi dell’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, a titolo di risarcimento del danno da licenziamento illegittimo, i quali, sebbene non siano sinallagmaticamente collegati con una prestazione lavorativa, rappresentano pur sempre l’utilità economica che da questa il lavoratore avrebbe tratto ove la relativa esecuzione non gli fosse stata gli interessi legali vanno attribuiti d’ufficio, con decorrenza dalla data del licenziamento sulla somma capitale via via rivalutata”. Trattasi di capo di decisione con cui l’appellante incidentale non si è confrontato in modo specifico come era suo onere e quindi il motivo è inammissibile in quanto non consente di comprendere le ragioni della erroneità della valutazione posta in essere dal giudice.
In ogni caso trattasi di motivo infondato ritenendo questo Collegio che la natura speciale della norma di cui all’art. 429 c.p.c. non sia stata abrogata dalla riforma introdotta successivamente dal legislatore alla norma generale di cui all’art. 1284 comma quarto cc che non è quindi applicabile ai rapporti di lavoro dipendente ex art. 15 disp. Prel. Cc..
17.
Il secondo motivo di appello incidentale relativo ai compensi di lite è egualmente infondato.
Parte appellante ha lamentato una omessa pronuncia sulla propria richiesta di aumento dei compensi ai sensi dell’art. 4 comma 1 bis DM 55/14;
trattasi di motivo infondato perché parte appellante con la censura non ha tenuto conto che il primo giudice nel liquidare le spese ha accolto la richiesta attorea.
Al punto 9 della parte motiva il primo giudice infatti stabiliva quanto segue:
”… 9. Le spese del presente giudizio, liquidate complessivamente come in dispositivo includendo l’aumento per l’utilizzo di tecniche informatiche, seguono per legge la soccombenza e vanno, quindi, poste a carico della parte resistente.
Per la quantificazione delle stesse sono applicati i parametri medi dello scaglione di riferimento per le fasi di studio, introduttiva e decisoria e i parametri minimi per la fase di trattazione (non essendosi tenuta attività istruttoria orale, né attività ulteriore rispetto all’esame dei documenti allegati) con riferimento alle cause di valore indeterminabile di media complessità, essendo state affrontate e risolte questioni giuridiche di ordinaria articolazione ed impegno.
”.
Parte appellante ha lamentato una omissione inesistente e soprattutto non ha chiarito in termini di violazione dei parametri quale sarebbe l’errore commesso dal primo giudice che complessivamente ha accordato un importo a titolo di spese legali per soli compensi pari ad euro 10.500,00.
Non avendo censurato la sentenza in termini di specificità sufficiente sul capo delle spese anche il secondo motivo di appello incidentale va rigettato.
18.
Il terzo motivo di appello incidentale riguarda il danno da mancato guadagno accordato dal giudice sul presupposto del diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro.
Capo di sentenza riformato in accoglimento dell’appello principale.
Ne consegue che questo motivo di appello incidentale va rigettato per incompatibilità con la pronuncia risolutoria adottata da questa Corte.
19.All’esito in accoglimento dell’appello principale la sentenza di primo grado va riformata nel punto La soccombenza reciproca delle parti in punto appello principale e incidentale costituisce motivo per compensare le spese di lite di entrambi i gradi nella misura di ½. La quota residua è posta a carico della parte appellante principale che comunque risulta perdente rispetto alla illegittimità del recesso e liquidata secondo i criteri di cui al DM 55/14 e ss modificazioni secondo i criteri di fascia interminabile di media complessità in favore della parte appellata, tenendo conto degli aumenti previsti dal legislatore per i collegamenti ipertestuali. Spese cui vanno aggiunti nella medesima quota di 1/2, gli esborsi per il contributo unificato ( cfr. Cass. 18529/19).
Al rigetto dell’appello incidentale consegue l’attestazione della sussistenza dei presupposti processuali per porre a carico dell’appellante incidentale l’ulteriore onere di cui all’art. 13 comma 1 quater DPR 115/02.
PER QUESTI MOTIVI Ogni contraria istanza eccezione domanda rigettata e/o assorbita, definitivamente pronunciando:
– In parziale accoglimento del proposto appello, in parziale riforma della sentenza impugnata, accertata l’illegittimità del recesso intimato a danno di , in applicazione dell’art. 3 comma 1 legge 23 del 2015, dichiara estinto il rapporto alla data del recesso e per l’effetto condanna la società appellante a corrispondere all’appellato un indennizzo commisurato all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto pari a complessivi euro 58.010,70
oltre ad interessi, previa rivalutazione, dalla data del recesso al saldo;
– Rigetta la domanda riconvenzionale riproposta in appello;
– Rigetta l’appello incidentale ;
– compensa per 1/2 le spese di entrambi i gradi e condanna l’appellante a rifondere all’appellato la quota residua che in detta frazione liquida quanto al primo grado in euro 5250,00 e quanto al secondo grado in euro 4236,00 oltre, per entrambi i gradi, a rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge;
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dell’appellante incidentale Dottore , 10 aprile 2025 Il Consigliere estensore NOME COGNOME Il Presidente NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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