Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 27712 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 27712 Anno 2025
Presidente: GRAZIOSI NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20169/2023 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME e COGNOME NOME; dall’avvocato
COGNOME NOME, rappresentato e difeso COGNOME NOME;
-controricorrenti- avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO di LECCE – SEZ.DIST. DI TARANTO n. 275/2023, depositata il 22/6/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/9/2025 dal Consigliere NOME COGNOME:
FATTI DI CAUSA
–NOME COGNOME convenne in giudizio, innanzi al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME, lamentando il contenuto calunnioso e diffamatorio di due denuncequerele presentate alla Procura di RAGIONE_SOCIALE, rispettivamente da NOME COGNOME il 17.3.2016 e da NOME COGNOME il 23.3.2016, nei confronti di NOME COGNOME – coniuge e difensore dell ‘ attrice – successivamente propalate dagli stessi:
a ) nei procedimenti penali ed amministrativi pendenti nei loro confronti per le violazioni loro contestate dal coniuge della ricorrente;
b ) in due note del 22.3.2016 inviate all ‘ Amministrazione RAGIONE_SOCIALE, al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, al RAGIONE_SOCIALE ed al RAGIONE_SOCIALE, contenenti le medesime accuse, con allegate copie delle querele;
c ) negli atti di opposizione all ‘ archiviazione proposti dai convenuti a fronte della richiesta di archiviazione del procedimento penale instaurato a carico di NOME COGNOME;
d ) negli scritti difensivi depositati nel giudizio civile n. 731/2016 R.G, promosso tra NOME COGNOME nei confronti dei medesimi convenuti.
A tal fine l ‘ attrice evidenziò come, pur non essendo espressamente nominata negli atti in questione, fosse chiaramente identificabile quale destinataria delle gravi affermazioni ivi contenute.
L ‘ attrice dedusse, quindi, di essere stata individuata come una donna furiosa, violenta, aggressiva, di essere stata falsamente accusata di essersi appostata, di aver inseguito i querelanti con la propria Land Rover Defender, di averli minacciati gravemente e di aver tentato di speronarli. Chiese, pertanto, la condanna dei
convenuti al pagamento della somma di euro 20.000,0 (o della diversa somma da ritenersi di giustizia) a titolo di risarcimento del danno morale per stress, disappunto, umiliazione, nonché del danno non patrimoniale di natura biologica ed attinente alla vita di relazione per disdoro, deformazione della propria personalità e attentato alla dignità, quali conseguenze delle asserite accuse infamanti e calunniose.
1.1. – Con sentenza emessa nel Luglio 2021, l ‘ adito Tribunale di RAGIONE_SOCIALE respinse la domanda attorea, assumendo che le denunce-querele presentate da entrambi i convenuti fossero univocamente rivolte nei confronti di NOME COGNOME e che, negli atti in questione, non fosse contenuto alcun elemento o riferimento specifico tale da consentire l ‘ identificazione – con margine di assoluta certezza – della donna ivi menzionata con NOME COGNOME, al punto da poter essere identificabile con una qualsiasi altra persona, quale un ‘ ospite o una parente.
– L ‘ impugnazione proposta da NOME COGNOME avverso detta decisione veniva rigettata dalla Corte d ‘ appello di Lecce, Sezione Distaccata di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza resa pubblica il 22 giugno 2023, che confermava integralmente la decisione di primo grado.
2.1 – In primo luogo, la Corte territoriale escludeva che potesse trovare applicazione il giudicato formatosi nel diverso giudizio civile definito con sentenza n.1918/2020, rilevando sia la diversità delle parti (segnatamente: NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME), sia dell ‘ oggetto. In tale giudizio, infatti, NOME COGNOME aveva ottenuto il risarcimento del danno morale subito a seguito dell ‘ introduzione, nella propria proprietà, di due cacciatori armati, poi identificati in NOME COGNOME ed NOME COGNOME, del danno patrimoniale (per la distruzione delle piante presenti sul fondo), nonché del danno non patrimoniale
derivante dalle false ed infamanti accuse mosse dai bracconieri nei suoi confronti.
2.2. – Inoltre, il giudice di secondo grado osservava che, mentre i convenuti-querelanti, in tutte le sedi, avevano sempre riferito che alla guida dell ‘ autovettura si trovava NOME COGNOME, viceversa, nella ricostruzione offerta da NOME COGNOME, era quest ‘ ultima ad essere posta alla guida dell ‘ autovettura.
2.3. – La Corte territoriale riteneva, poi, che l ‘ unica accusa rivolta alla donna non identificata riguardava il reato di minacce, perseguibile a querela, mai proposta dalla ricorrente, aggiungendo, altresì, che, anche a volerlo considerare perseguibile d ‘ ufficio in presenza di una aggravante, mancava comunque, nelle querele e negli atti menzionati da parte attrice, qualsiasi elemento utile a consentire di identificare con certezza la donna menzionata come NOME COGNOME.
2.4. -Pertanto, secondo la Corte territoriale, l ‘ odierna ricorrente non aveva corso alcun concreto pericolo di essere sottoposta ad indagine penale, dato che la donna menzionata negli scritti non risultava identificabile neppure sotto il profilo somatico.
– Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME, affidando le sorti dell ‘ impugnazione a sei motivi.
Hanno resistito con distinti controricorsi NOME COGNOME e NOME COGNOME.
-Tutte le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
– In via preliminare, occorre esaminare l ‘ eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata da entrambi i controricorrenti per la violazione del principio di chiarezza e sinteticità espositiva nella redazione dell ‘ atto di impugnazione di cui al n. 3 e al n. 4 dell ‘ art. 366 c.p.c., rinviando alla trattazione dei singoli motivi di
ricorso l ‘ esame dell ‘ ulteriore eccezione di inammissibilità per censure di ‘merito’, estranee ai vizi deducibili in sede di legittimità.
1.1. – L ‘ eccezione non può essere accolta.
È principio consolidato che il ricorrente debba prospettare l ‘ impugnazione nel rispetto dei canoni di chiarezza e sinteticità espositiva, selezionando i profili di fatto e di diritto posti a fondamento delle proprie doglianze, così da offrire al giudice di legittimità una rappresentazione concisa dell ‘ intera vicenda processuale e delle questioni giuridiche controverse, per poi illustrare le ragioni delle critiche nell ‘ alveo dei vizi tipizzati dall ‘ art. 360 c.p.c. (Cass., S.U., n. 37552/2021; Cass. n. 4300/2023).
Nel caso in esame, non è dato ravvisare nell’ esposizione intellegibile dei fatti e nello sviluppo delle argomentazioni svolte con il ricorso alcun deficit di chiarezza o sinteticità tale da integrare la violazione dei requisiti di contenuto-forma prescritti dall ‘ art. 366 c.p.c., i quali possono dirsi compromessi solo in presenza di un ‘ esposizione oscura o gravemente lacunosa, tale da rendere incomprensibili le censure sollevate. E questa lettura della disciplina recata dalle anzidette disposizioni del codice di rito è armonica pure con il diritto fondamentale di accesso al giudice sancito dall ‘ art. 6 CEDU, in quanto conforme al criterio di proporzionalità della restrizione rispetto allo scopo perseguito, evitando di incorrere in un eccessivo formalismo (Cass., Sez. U., n. 8950/2022).
2.- Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell ‘ art 360, comma primo, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza impugnata e, ai sensi dell ‘ art 360, comma primo, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c.
La Corte territoriale avrebbe travisato l ‘ oggetto della domanda, ritenendo che la titolarità della pretesa risarcitoria fosse subordinata alla prova della sua effettiva identificazione quale donna alla guida dell ‘ autovettura, mentre una siffatta
dimostrazione sarebbe, invece, irrilevante ai fini della configurazione dell ‘ illecito e delle conseguenti pretese risarcitorie.
La ricorrente sostiene, invero, che i convenuti, pur senza menzionarla espressamente, conoscevano la sua identità: sia perché già erano stati destinatari dell ‘ atto di citazione del 2 gennaio 2016, relativo al giudizio promosso dal suo coniuge NOME COGNOME, nel quale ella era stata chiaramente identificata come la donna presente con lui sull ‘ autovettura, sia perché allegavano sistematicamente il menzionato atto ai propri esposti. In tal modo, tutte le autorità destinatarie degli scritti oggetto di causa erano state poste nella condizione di percepire come riferite a NOME COGNOME le accuse ivi formulate, indipendentemente dalla prova della sua effettiva presenza sull ‘ autovettura e della guida della stessa.
1.1. – Il motivo è infondato.
Il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, stabilito nell ‘ art 112 c.p.c., in stretta correlazione con il principio della domanda di cui all ‘ art 99 c.p.c., impone al giudice di pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti della stessa.
In base a tale principio, il giudice di merito ha il poteredovere di inquadrare nella esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che sono dedotti a sostegno dell’azione , fermo solo il limite del rispetto del petitum e della causa petendi (Cass. n. 18868/2015).
L ‘ anzidetto principio è, dunque, da intendersi come divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene diverso da quello richiesto e non compreso nemmeno virtualmente nella domanda e come divieto di porre a fondamento della domanda una diversa causa petendi (Cass. n. 11289/2018; Cass. n. 644/2025). La violazione si configura, quindi, sia quando il giudice ometta di esaminare una domanda o un ‘ eccezione, sia quando sostituisca d ‘ ufficio un ‘ azione a un ‘ altra per effetto di un travisamento del contenuto della domanda (Cass. n. 19214/2023).
Resta fermo, tuttavia, che né il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, né quello del tantum devolutum quantum appellatum impediscono al giudice di fondare la decisione su un percorso argomentativo diverso o su una qualificazione giuridica difforme da quella prospettata dalle parti (Cass. n. 20652/2009; Cass. n. 513/2019).
Varrà osservare che, nella sentenza impugnata, non è dato ravvisare alcun mutamento della domanda originaria e conseguente violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c.
La Corte territoriale, nel pieno rispetto dei suddetti principi, ha pronunciato sul petitum ed entro i limiti di quanto è stato devoluto in appello, in piena coerenza con la natura del giudizio di secondo grado, circoscritto agli specifici motivi articolati dall ‘ appellante principale (e, eventualmente, incidentale) e volto a devolvere in tutto o in parte le questioni oggetto del giudizio di primo grado.
In tale cornice, il giudice di secondo grado si è pronunciato sulla domanda risarcitoria relativa alle accuse calunniose e diffamanti contenute nelle querele e negli altri scritti menzionati, rigettandola nel merito, per difetto di prova dell ‘ identificazione della ricorrente come destinataria delle accuse, sulla base del corredo istruttorio e probatorio di cui il giudice di primo grado si è avvalso per pervenire alla decisione e che è divenuto oggetto di cognizione del giudice di appello.
Con valutazione incensurabile in sede di legittimità il giudice d ‘appello ha ritenuto che la ‘donna’ menzionata nelle querele e negli ulteriori scritti non potesse essere identificata con l ‘ odierna ricorrente, apprezzando liberamente le risultanze istruttorie.
Ne consegue che negare il risarcimento del danno per difetto di prova della riferibilità delle accuse alla odierna ricorrente non costituisce inammissibile mutamento o travisamento della domanda originaria, non avendo la Corte territoriale alterato il petitum o la
causa petendi (tra le altre: Cass. n. 6533/2024); diversamente il giudice d’appello ha ritenuto insussistenti, sotto il profilo allegatorio e probatorio, i presupposti atti a configurare il reato di calunnia e, quale conseguenza RAGIONE_SOCIALE stesso, il risarcimento per il danno non patrimoniale lamentato.
– Con il secondo motivo è dedotta, ai sensi dell ‘ art 360, comma primo, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza impugnata e, ai sensi dell ‘ art 360, comma primo, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 167, primo comma, c.p.c. , per aver la Corte territoriale erroneamente posto a carico dell ‘ attrice l ‘ onere di provare la propria identità al momento del fatto e la propria posizione alla guida dell ‘ autovettura, nonostante non vi fosse stata alcuna contestazione specifica da parte di NOME COGNOME e NOME COGNOME sul fatto che la donna presente a bordo dell ‘ autovettura in compagnia di NOME COGNOME fosse effettivamente NOME COGNOME.
La ricorrente, a tal fine, evidenzia che il giudice di appello:
a ) avrebbe errato nel considerare ‘ equivalenti ad una contestazione implicita ‘ le affermazioni difensive dei convenuti che, nel corso del giudizio di merito, avevano dichiarato di non aver riconosciuto la donna al momento dei fatti e di non ritenere che fosse la predetta alla guida della Land Rover, sottolineando altresì che la contestazione idonea a rendere il fatto controverso deve essere specifica e non implicita o desunta per equivalenza;
b ) avrebbe effettuato un errato controllo probatorio su un fatto che, non essendo stato contestato, era da considerarsi pacifico ed escluso dall ‘ ambito degli accertamenti richiesti:
Si assume, quindi, che le difese articolate dai convenuti non erano volte a contestare l ‘ identità della donna, né la titolarità della pretesa risarcitoria, ma si limitavano a postularne l ‘ infondatezza.
2.1. – Il motivo è inammissibile prima che infondato.
Anzitutto, la censura è inammissibile nella parte in cui mira in realtà a sollecitare una nuova valutazione del materiale istruttorio e dell ‘ accertamento in fatto operato dalla Corte territoriale in ordine alla sussistenza di una non contestazione dei fatti rilevanti.
Secondo consolidato orientamento, l ‘ accertamento in ordine alla sussistenza o meno di una contestazione rientra nell ‘ ambito dell ‘ interpretazione dell ‘ atto di parte e costituisce esercizio di potere riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti del vizio previsto dall ‘ art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. È dunque prerogativa del giudice di merito apprezzare l ‘ esistenza e il valore di una condotta di non contestazione (Cass. n. 3680/2019).
Orbene, nel caso di specie, la Corte territoriale, interpretando le difese dei convenuti, ha rilevato che gli stessi, in tutte le sedi, hanno affermato che la donna vista al momento dell ‘ inseguimento non era identificata e che alla guida della Land Rover si trovava NOME COGNOME. La ‘reiterazione’ di tali affermazioni, ripetute costantemente, è stata ritenuta dal giudice di appello ‘equivale(nte) quanto meno a contestazione implicita’ dell ‘ allegazione dell ‘ attrice, secondo cui sarebbe stata ella stessa alla guida, così da porre in rilievo l ‘ effettiva sussistenza di una specifica contrapposizione alle contrarie allegazioni di parte attrice.
2.2.- In ogni caso, la censura è infondata.
Giova rammentare che la titolarità attiva del rapporto controverso costituisce elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, spettando all ‘ attore allegarla e provarla, salvo che il convenuto la riconosca espressamente o svolga difese incompatibili con la sua negazione (Cass., S.U., n. 2951/2016; Cass. n. 10435/2025). Ciò che, nella specie, è da escludere in ragione di quanto innanzi evidenziato in punto di accertamento da parte del giudice di appello sulla portata e valenza delle difese svolte dai convenuti.
3.- Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell ‘ art 360, comma primo, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza e, ai sensi dell ‘ art 360, comma primo, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c., 111 Cost. e 2909 c.c., per aver la Corte territoriale erroneamente escluso che la sentenza definitiva n. 1918/2020, emessa dal Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, potesse essere invocata come giudicato esterno nel presente giudizio sul presupposto che riguardasse soggetti diversi (NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME) ed un oggetto differente.
Ad avviso della ricorrente, il giudice di appello avrebbe così omesso di considerare l ‘ efficacia riflessa del giudicato, riconosciuta dall ‘ art 2909 c.c., incorrendo nella violazione e falsa applicazione dell ‘ istituto.
In particolare, la sentenza n. 1918/2020 viene invocata dalla ricorrente, rimasta estranea al precedente giudizio, a proprio favore in base all ‘ assunto per cui non le sarebbero opponibili i rilievi concernenti il rispetto del diritto al contraddittorio e del diritto di difesa, non venendo in rilievo l ‘ ipotesi del giudicato che pregiudichi un terzo non parte del processo.
La COGNOME aggiunge che la sentenza n. 1918/2020, avendo già accertato l ‘ infondatezza delle accuse relative alle minacce, all ‘ inseguimento e al tentativo di speronamento, nonché rigettato la domanda riconvenzionale dei convenuti per totale assenza di prova e qualificato come calunniose le accuse da essi mosse, conterrebbe un accertamento negativo sull ‘ intera prospettazione di NOME COGNOME e NOME COGNOME. Tale accertamento, a giudizio della stessa, non riguarderebbe soltanto il suo coniuge NOME COGNOME, ma si estenderebbe anche alla sua stessa posizione.
3.1. – Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
3.1.- Il motivo è inammissibile nella parte in cui la ricorrente intende, con tale prospettazione, invocare la possibilità che sia l ‘ accertamento di fatto contenuto nella sentenza pronunciata inter
alios ad esplicare i propri effetti in questo giudizio, ai fini della ricostruzione della vicenda materiale.
In tal caso, l ‘ efficacia riflessa del giudicato, riguardando esclusivamente l ‘ accertamento dei fatti, non può essere fatta valere in questa sede dalla ricorrente (Cass. n. 8101/2020).
3.2.- Quanto, poi, alla possibilità che la sentenza pronunciata inter alios produca effetti giuridici nei confronti della ricorrente, la doglianza è infondata.
Invero, la più recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 18325/2019; Cass. n. 14481/2020; Cass. n. 12969/2022; Cass. n. 26811/2022; Cass. n. 2462/2024) è ormai consolidata nell ‘ affermazione di principio secondo cui l ‘ efficacia riflessa del giudicato costituisce pretesa non riconosciuta dall ‘ ordinamento giuridico, che non ammette che il giudicato possa produrre effetti nei confronti di terzi rimasti estranei al processo, nemmeno quando essi siano titolari di una situazione giuridica dipendente. Con la precisazione, però, che non è in discussione che, in riferimento alla posizione del terzo, ‘i limiti soggettivi di efficacia del giudicato restano disciplinati dalle norme positive’ ; e, tra queste, va annoverata la norma dell ‘ art. 1306 c.c., la quale, in ambito di solidarietà passiva, comporta che il giudicato intervenuto fra il creditore e uno dei debitori solidali ‘non ha effetto contro gli altri debitori’ (comma primo), mentre ‘(g)li altri debitori possono opporla al creditore, salvo che sia fondata su ragioni personali del condebitore’.
Norma, quella recata dall ‘ art. 1306 c.c., che, tuttavia, non ha rilievo alcuno nella fattispecie oggetto di cognizione, giacché vengono in rilievo pretese risarcitorie affatto distinte -quella del COGNOME, oggetto della sentenza di cui si invoca il giudicato riflesso, e quella della COGNOME nel presente giudizio -che non danno luogo ad un ‘ unica obbligazione risarcitoria dal lato attivo in forza
della quale la COGNOME possa invocare il giudicato favorevole formatosi nel diverso giudizio risarcitorio promosso dal COGNOME.
3.2.1. – Peraltro, non può non rilevarsi che la censura sarebbe stata infondata anche alla luce della giurisprudenza più risalente (tra le altre: Cass., S.U., n. 6523/2008; Cass. n. 2137/2014; Cass. n. 12252/2017; Cass. n. 15599/2019), secondo la quale l ‘ accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato non estende i suoi effetti, né è vincolante, nei confronti dei terzi ma, quale affermazione obiettiva di verità, è idoneo a spiegare efficacia riflessa verso soggetti estranei al rapporto processuale sempreché il terzo non sia titolare di un rapporto autonomo e indipendente rispetto a quello in ordine al quale il giudicato interviene, non essendo ammissibile, in una siffatta evenienza, che egli, salvo diversa ed espressa indicazione normativa, ne possa ricevere pregiudizio giuridico o possa avvalersene a fondamento della sua pretesa.
A tal fine, quindi, occorre un nesso di pregiudizialitàdipendenza giuridica che sussiste allorquando un rapporto giuridico, pregiudiziale o condizionante, rientra nella fattispecie di altro rapporto giuridico condizionato o dipendente, il quale solo legittima l ‘ efficacia riflessa del giudicato nei confronti di soggetti in tutto o in parte diversi, nel rispetto dei diritti costituzionali del contraddittorio e di difesa.
Nella specie detto nesso di pregiudizialità difetta, derivandone, quale diretta conseguenza, l ‘ autonomia del diritto fatto valere dalla ricorrente in giudizio. Come, infatti, già evidenziato, la ricorrente è titolare di una posizione giuridica distinta da quella oggetto di accertamento nella sentenza n. 1918/2020 e rispetto alla quale, come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale (cfr. p. 3 sentenza impugnata), non c ‘ è identità, né quanto al petitum , né quanto alla causa petendi .
Del resto, perché il giudicato possa spiegare efficacia riflessa (nei termini dianzi precisati) deve contenere un accertamento giuridico insuscettibile di una nuova valutazione, per cui non è sufficiente che i fatti siano in parte comuni, ma occorre che il punto controverso sia stato risolto nel primo processo in modo necessario e vincolante e, pertanto, non possa formare oggetto di ulteriore accertamento nel secondo.
Nella specie, la ricorrente invoca un giudicato che non è incompatibile con il proprio diritto risarcitorio, posto che è astrattamente possibile ipotizzare che tale diritto, distinto da quello azionato dal COGNOME, possa essere oggetto di un accertamento (ed esito) diverso da quello del proprio coniuge.
4.- Con il quarto motivo è denunciata, ai sensi dell ‘ art 360, comma primo, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 c.p.c. e 111 Cost., nonché, ai sensi dell ‘ art 360, comma primo, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 2909 c.c., per avere la Corte territoriale omesso di considerare la sentenza definitiva n. 1918/2020 quale elemento di prova documentale rilevante -anche a prescindere dal riconoscimento della sua efficacia di giudicato – ai fini della ricostruzione della situazione di fatto e di diritto oggetto di causa.
4.1. – Il motivo è inammissibile, prima ancora che infondato.
La censura, pur formalmente prospettata come violazione di norme processuali e sostanziali, mira in realtà a sollecitare una rivalutazione del materiale istruttorio e, più in generale, un riesame del merito, non consentito in sede di legittimità.
La ricorrente contesta l ‘ apprezzamento dei fatti storici e delle prove operato dal giudice di primo grado – e confermato dal giudice di appello – al fine di ottenere una diversa ricostruzione più conforme alle proprie adduzioni, in palese violazione del principio secondo cui il giudizio di legittimità non costituisce un ulteriore grado di merito (tra le altre: Cass. n. 8758/2017).
Con riferimento alla dedotta violazione dell ‘ art. 115 c.p.c., occorre ribadire che sono sindacabili in sede di legittimità esclusivamente in due casi : a ) quando il giudice abbia posto a fondamento della decisione fatti non allegati o non provati, ritenuti erroneamente notori o acquisiti tramite scienza privata; b ) quando abbia omesso di valutare una prova ritualmente acquisita, della cui decisività la parte abbia esplicitamente prospettata l ‘ incidenza, salvo che ne abbia motivatamente escluso la rilevanza (tra le molte: Cass. n. 20382/2016; Cass. n. 4699/2018; Cass., S.U., n. 20867/2020).
Nella specie, non ricorre la prima ipotesi e, quanto alla seconda, l ‘ eventuale omissione valutativa potrebbe al più configurare un vizio di omesso esame di cui all ‘ art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. Tuttavia, in riferimento al limite derivante da decisione c.d. ‘doppia conforme’ ex art. 348ter , comma quinto, c.p.c. (applicabile ratione temporis , prima della novella di cui al d.lgs. n. 149/2022, che ha introdotto analoga previsione all ‘ art. 360, comma quarto, c.p.c.), non si indicano qui le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell ‘ appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (tra le molte: Cass. n. 5947/2023).
4.2. -Comunque, la censura, se mai fosse ammissibile, sarebbe infondata.
La Corte territoriale non ha affatto trascurato né la sentenza n. 1918/2020, né la documentazione ivi prodotta, ma ne ha scrutinato la portata probatoria, escludendone il carattere decisivo ai fini dell ‘ identificazione di NOME COGNOME quale conducente della Land Rover o della ricostruzione della dinamica dell ‘ inseguimento (cfr. p. 5 della sentenza di appello).
Occorre rammentare che, come riconosciuto dalla stessa ricorrente, il giudice civile può attribuire valore indiziario a qualsiasi elemento istruttorio ritualmente acquisito nel processo, ivi
compresi gli atti e le prove assunte in altri giudizi, dei quali le sentenze rese costituiscono mera documentazione (Cass. n. 840/2015; Cass. n. 25067/2018). Ciò nondimeno, tale utilizzazione resta sempre subordinata all ‘ autonoma valutazione delle risultanze istruttorie, che il giudice è chiamato a compiere nell ‘ esercizio del proprio potere discrezionale di libero apprezzamento; valutazione che, come detto, il giudice di appello ha ampiamente compiuto.
– Con il quinto motivo è dedotta, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c., 2727, 2729 e 2700 c.c., per avere la Corte territoriale violato le norme in materia di istruzione probatoria.
Il motivo è articolato in più profili di censura, i quali si palesano in parte inammissibili e in parte infondati.
5.1. a ) Con una prima censura si deduce che il giudice di appello non abbia fatto buon governo delle norme che disciplinano la prova delle presunzioni (2727 e 2729 c.c.), essendosi limitato ad una valutazione atomistica dei singoli elementi, omettendo di compiere la valutazione complessiva richiesta dai principi che disciplinano il predetto istituto.
b ) Con un secondo profilo di censura si lamenta la violazione dell ‘ art. 2700 c.c. per aver la Corte territoriale negato rilievo probatorio alla relazione del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del 17.2.2016, così come all ‘ annotazione di NUMERO_DOCUMENTO (11.5.2016), entrambi atti pubblici riportanti l ‘ identificazione della COGNOME.
c ) Con un terzo profilo di censura si deduce che il giudice di secondo grado abbia travisato il contenuto dell ‘ informativa della Polizia Giudiziaria dell ‘ 11.12.2018 e del relativo report satellitare.
5.2.- Quanto al primo profilo di censura sub a ) -, occorre preliminarmente richiamare i principi consolidati in materia di presunzioni semplici.
Ai sensi dell ‘ art. 2729 c.c., sono ammesse soltanto presunzioni gravi, precise e concordanti. La gravità attiene al grado
di probabilità che dal fatto noto possa essere desunto quello ignoto; la precisione richiede che il fatto noto sia determinato nei suoi lineamenti fenomenici e definito nella realtà storica; la concordanza ricorre solo in presenza di una pluralità di elementi presuntivi che, dotati di elevato grado di probabilità, convergano univocamente nella dimostrazione del fatto ignoto (tra le tante: Cass. n. 11906/2003; Cass. n. 9054/2022; Cass. n. 22544/2025).
Il ragionamento presuntivo si articola in due fasi: in primis , un ‘ analisi atomistica dei singoli indizi per escludere quelli irrilevanti o ambigui, ed una seconda fase -se residuano elementi aventi dignità probatoria -di valutazione complessiva volta a verificarne la concordanza (‘convergenza del molteplice’: Cass. n. 19894/2005 e Cass. n. 9054/2022, citata).
Quanto alla violazione dell ‘ art. 2729 c.c., ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., può dirsi integrata non solo quando il giudice escluda la prova per presunzioni ove essa sia ammessa, ma anche quando si affermi che essa debba necessariamente fondarsi su una pluralità di indizi, quando si ometta la valutazione complessiva degli indizi residui o quando si fondi la presunzione su fatti indeterminati, su inferenze dotate di basso grado di probabilità o tra loro discordanti.
Viceversa, non è configurabile violazione di legge quando la doglianza si limiti a prospettare una diversa qualificazione del fatto noto, un ‘ inferenza probabilistica alternativa o un dissenso rispetto alla valutazione compiuta dal giudice di merito.
In siffatti casi resta aperta unicamente la strada della censura per il vizio di cui al novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., che (come interpretato da Cass., S.U., n. 8053/2014), deve far emergere l ‘ assoluta illogicità o contraddittorietà del ragionamento decisorio, intrinseca alla sentenza impugnata (senza rinvio ad elementi ad essa estranei), tale da integrare la violazione del c.d. ‘minimo costituzionale’ della motivazione aliunde , restando
escluso, peraltro, che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un fatto decisivo e discusso tra le parti e che la censura possa fondarsi un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito (tra le altre: Cass. n. 5279/2020; Cass. n. 22366/2021; Cass. n. 22186/2025).
Difatti, è principio consolidato che spetta al giudice di merito valutare l ‘ opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti noti, applicare le regole di esperienza e verificare la ricorrenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
5.1.1. -Tanto premesso, la Corte territoriale ha correttamente proceduto, in primo luogo, alla disamina dei singoli elementi indiziari, e segnatamente: dei provvedimenti civili e penali richiamati, degli atti del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, del report satellitare, delle dichiarazioni delle parti, al fine di valutarne gravità e precisione (pp. 5-10 sentenza di appello).
La relazione del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del 17 febbraio 2016 è stata ridimensionata ai fini dell ‘ identificazione di NOME COGNOME sull ‘ autovettura, poiché riferita a un intervento dei militi avvenuto post facta . Da questa circostanza la Corte ha plausibilmente desunto che la presenza della COGNOME, accertata solo dopo i fatti, non costituisse indizio grave della sua presenza anche durante l ‘ inseguimento, essendo tale esito compatibile con possibili scenari alternativi -quali la presenza di altra persona, diversa dalla COGNOME, sull ‘ autovettura prima dell ‘ arrivo della pattuglia -, risultando quindi privo del requisito della gravità.
Parimenti, i provvedimenti giudiziari richiamati -tra cui la sentenza civile n. 1918/2020, il decreto di archiviazione del 18 marzo 2020, l ‘ ordinanza del 17 novembre 2020 del giudice penale e il decreto penale di condanna n. 2301/2016 -sono stati considerati meri indizi, privi tuttavia di decisività ai fini della prova dell ‘ identità della COGNOME al momento dell ‘ inseguimento, sia perché
non aventi efficacia di giudicato per difetto di identità di parti, petitum e causa petendi , sia perché privi di un accertamento puntuale, circa la condotta o la posizione della ‘donna’ nella fase dell ‘ inseguimento e del presunto speronamento; ne è conseguita la loro inidoneità a soddisfare il requisito della precisione di cui all ‘ art. 2729 c.c.
Quanto al report satellitare, la Corte territoriale ne ha escluso la portata dirimente poiché privo di ‘supporto’ rispetto «all ‘individuazione della ‘donna’ in COGNOME NOME» e, comunque, non escludente ‘affatto il tentativo di inseguimento’.
Pure le dichiarazioni di parte -in particolare quelle rese da NOME COGNOME, il quale aveva sempre identificato la ‘donna’ sull ‘ autovettura come la moglie -sono state ridimensionate in considerazione della versione opposta, offerta dai convenuti; pertanto, anche tale elemento è stato correttamente ritenuto privo di univocità logica.
Né può affermarsi che la Corte territoriale abbia svolto un esame meramente atomistico degli indizi.
Dal corpo della motivazione emerge invece che la Corte territoriale ha valutato congiuntamente i diversi elementi presuntivi: la relazione del CFS del 17 febbraio 2016 e l ‘ annotazione di P.G. dell ‘ 11 maggio 2016 sono state valutate insieme, evidenziandosi come entrambe si riferissero ad accertamenti successivi all ‘ inseguimento e che, pertanto, neppure la loro combinazione fosse idonea a dimostrare la presenza della COGNOME al momento dei fatti; il contenuto del video -limitato alle riprese interne alla proprietà privata -è stato comparato con il tracciato del report satellitare e con le dichiarazioni contenute nelle querele, concludendosi che nessuno di tali elementi, neppure considerati unitariamente, documentava la sequenza successiva, comprendente l ‘ appostamento, l ‘ inseguimento e il tentativo di speronamento; i dati oggettivi del tracciato satellitare relativo ad
orario e velocità praticati sono stati messi in relazione con l ‘ ammissione, resa da NOME COGNOME nella denuncia-querela del 30 dicembre 2015, di aver effettuato un tentativo di inseguimento.
5.2.- Con riferimento alla censura sub b ) – con cui la ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia negato ogni valore probatorio alla relazione del CFS del 17 febbraio 2016 e abbia omesso ogni riferimento all ‘ annotazione di P.G. n. 8/16 dell ‘ 11 maggio 2016 (entrambi atti pubblici riportanti l ‘ identificazione della COGNOME), la doglianza è infondata.
È principio consolidato di questa Suprema Corte che i verbali redatti dai pubblici ufficiali fanno prova, ex art. 2700 c.c., dei fatti che il verbalizzante attesti essere avvenuti in sua presenza o essere stati da lui compiuti, mentre le altre circostanze che egli indichi di avere accertato per averle apprese de relato , ovvero che siano frutto di deduzioni, costituiscono materiale indiziario soggetto al libero apprezzamento del giudice (tra le molte: Cass. n. 10128/2003; Cass. n. 31107/2022; Cass. n. 23252/2024).
La Corte territoriale si è attenuta a tale principio: ha riconosciuto coperti da fede privilegiata l ‘ orario di arrivo della pattuglia, il luogo del rinvenimento della ricorrente e la sua presenza al momento del controllo; ha, invece, qualificato come circostanze de relato l ‘individuazione della COGNOME come la ‘donna’ presente durante l ‘ inseguimento o alla guida della Land Rover.
Detti elementi, privi di fede privilegiata, rivestono natura meramente indiziaria e sono rimessi al libero apprezzamento del giudice di merito. Ne consegue che il giudice di appello ha correttamente ritenuto provata la presenza della ricorrente al momento dell ‘ intervento, ma non anche la sua presenza nei fatti precedenti, escludendo, all ‘ esito della valutazione della parte de relato , che essa fosse idonea a dimostrare l ‘identità della ‘donna’.
5.3.- La doglianza sub c ) – con cui la ricorrente prospetta il travisamento del report satellitare acquisito nel procedimento
penale n. 5580/2018, allegato all ‘ informativa della P.G. dell ‘ 11 dicembre 2018, sostenendo che i dati in esso riportati sarebbero incompatibili con il ‘pericolosissimo inseguimento’ e con il ‘tentativo di speronamento’ riferiti dai convenuti, è inammissibile.
Insegna questa Suprema Corte che il travisamento della prova, per essere da essa censurabile ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per violazione dell ‘ art. 115 c.p.c., postula: a ) che l ‘ errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova (” demonstrandum “), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima (” demonstratum “), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che il giudice di merito ha ritenuto di poter trarne; b ) che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio; c ) che l ‘ errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se correttamente fondata sui contenuti informativi che risultano oggettivamente dal materiale probatorio e che sono inequivocabilmente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito; d ) che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di possibilità, ma di assoluta certezza” (Cass. n. 9507/2023).
In definitiva, come affermato da S.U. 5792/2022 (e più di recente ribadito, tra le altre, da Cass. n. 13085/2025), il travisamento del contenuto oggettivo della prova si configura soltanto in caso di svista percettiva concernente il fatto probatorio in sé, e non quando la divergenza attenga alla verifica logica della riconducibilità dell ‘ informazione probatoria al fatto da provare.
Nella specie, la censura della ricorrente -secondo cui i dati temporali, di percorso e di velocità risultanti dal report riportati dalla Corte territoriale (pp. 8-9 sentenza appello) non potevano condurre a ritenere la compatibilità con un tentativo di inseguimento, ma avrebbero dovuto invece essere letti come prova di un ‘ incompatibilità rispetto a un inseguimento ‘pericolosissimo’
con un ‘tentativo di speronamento’ -, anziché evidenziare un errore percettivo sul contenuto oggettivo del documento, si traduce nella prospettazione di una diversa inferenza logico-probatoria, attinente al demonstrandum e non al demonstratum .
Peraltro, pur restando assorbenti i rilievi che precedono, anche qualora si accedesse alla lettura proposta dalla ricorrente, non vi sarebbe la certezza che la decisione della Corte territoriale sarebbe stata necessariamente diversa, permanendo comunque la ratio decidendi della sentenza impugnata, fondata sull ‘ assenza di identificazione certa della ‘donna’ al momento dei fatti.
– Con il sesto motivo è prospettata, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 368 e 595 c.p., 115 e 132 c.p.c., nonché denunciato, ai sensi dell ‘ art 360, primo comma, n. 5 c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo.
a ) In primo luogo, la ricorrente lamenta che la Corte territoriale, nel rigettare la domanda, non abbia correttamente valutato il contenuto degli esposti dei convenuti, poiché dalle denunce non emergeva solo l ‘ attribuzione del reato di minacce, ma anche quello di violenza privata, concretizzatasi nell ‘ inseguimento e nel tentativo di speronamento dell ‘ autovettura dei querelanti.
b ) Con un secondo profilo, si censura la sentenza impugnata per aver escluso sia l ‘ elemento oggettivo, che soggettivo del reato di calunnia.
Sul piano oggettivo, la Corte territoriale avrebbe erroneamente considerato la sola denuncia ‘in sé e per sé’, senza tener conto di circostanze preesistenti o successive atte a contraddire il contenuto della denuncia, in violazione del principio della ‘calunnia implicita’, in base al quale il reato si concretizza qualora la denuncia contenga elementi sufficienti a consentire all ‘ autorità l ‘ identificazione della persona accusata.
Quanto all ‘ elemento soggettivo, il giudice d ‘ appello ha ritenuto che i denuncianti non potessero essere certi dell ‘ identità della donna accusata e, pertanto, non potessero rispondere del reato ai suoi danni. Una tale impostazione contrasterebbe con l ‘ orientamento consolidato secondo il quale, ai fini della calunnia, è sufficiente il dolo generico, ossia la consapevolezza della falsità delle accuse e dell ‘ innocenza della persona incolpata, senza che sia necessaria la specifica intenzione di far condannare un determinato innocente.
c ) È, inoltre, lamentata la violazione dell ‘ art. 132, comma secondo, n. 4 c.p.c., per omessa motivazione in ordine alla pretesa risarcitoria relativa alla diffamazione.
d ) Infine, si denuncia l ‘ omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti e in particolare: l ‘ allegazione alle querele dell ‘ atto di citazione recante l ‘ indicazione dell ‘ attrice come moglie di COGNOME; la possibilità per le autorità destinatarie -Procura, GIP, giudice civile e autorità amministrative -di identificarla agevolmente; la reiterazione delle accuse nelle note del 22 marzo 2016 e in ulteriori procedimenti, anche quando l ‘ identità della donna era ormai pacifica.
6.1. – Il primo profilo di doglianza è, prima ancora che infondato – alla luce delle considerazioni che verranno svolte di seguito sul secondo profilo di censura, sub b ) -, inammissibile.
Si sostanzia, infatti, nella richiesta di un nuovo esame, precluso in questa sede, degli esiti delle motivate valutazioni cui la Corte territoriale è giunta in punto di accertamento dei fatti e della relativa prova, intendendo la ricorrente sollecitare questo giudice di legittimità ad un ulteriore apprezzamento di merito circa l ‘ esistenza di un ulteriore fatto reato (violenza privata per l ‘ inseguimento e il tentativo di speronamento), oggetto di calunnia, che si dovrebbe desumere dagli atti del processo.
6.2.- Il secondo profilo di censura – che, come detto, investe anche la doglianza sub a) , attenendo alla configurazione stessa del reato di calunnia – è infondato.
In via preliminare deve ribadirsi che, ai sensi dell ‘ art. 368 c.p., si configura il reato di calunnia ogniqualvolta la falsa imputazione sia idonea, per le modalità e le circostanze che la sorreggono, a rendere l ‘ accusa univocamente riferibile a una persona reale, determinata o determinabile (Cass. pen. n. 21990/2020).
Ciò posto, ai fini della configurabilità del reato, non è necessario l ‘ avvio di un procedimento penale, essendo sufficiente che l ‘ incolpazione contenga in sé gli elementi necessari e sufficienti per l ‘ esercizio dell ‘ azione penale nei confronti di una persona univocamente e agevolmente individuabile, fino a precisare che non sussiste il delitto allorché l ‘ accusa abbia ad oggetto reati procedibili a querela e questa non sia presentata o risulti invalida, poiché in tale ipotesi la condotta è di per sé inidonea a determinare l ‘ avvio di un procedimento penale (Cass. pen. n. 10282/2014; Cass. pen. n. 20064/2024).
Quanto alla c.d. ‘calunnia implicita’, questa ricorre allorquando dal tenore della denuncia e dal contesto emerga la volontaria attribuzione di un fatto costituente reato a una persona che l ‘ autore sa essere innocente, anche se non nominativamente indicata, purché determinabile sulla base degli elementi contenuti nell ‘ atto (Cass. pen. n. 7490/2009).
Già in epoca risalente era stato precisato che una siffatta species di calunnia si configura quando dal testo o dal contesto delle dichiarazioni risulti necessariamente la consapevole attribuzione del fatto a persona diversa dall ‘ autore e che questi sa innocente, sia per l ‘ insussistenza del fatto stesso sia perché commesso da altri (Cass. pen. n. 394/1969).
La Corte territoriale ha fatto buon governo di tali principi, avendo osservato -in coerenza con la necessità, oggettiva, che la falsa incolpazione deve presentare elementi idonei a rendere l ‘ accusa univocamente riferibile a una persona determinata o determinabile – che gli esposti oggetto di causa, da un lato, non menzionavano espressamente la ricorrente e, dall ‘ altro, non contenevano riferimenti idonei a consentire l ‘ individuazione della ‘donna’ evocata in modo certo ed univoco.
Non può pertanto condividersi la tesi della ricorrente secondo cui l ‘ univocità identificativa sarebbe potuta emergere da circostanze successive, quali l ‘ allegazione sistematica, da parte dei convenuti, dell ‘ atto di citazione loro notificato dal coniuge della ricorrente ove la medesima era indicata come la donna presente sull ‘ autovettura.
La identificazione o identificabilità dell ‘ accusato deve infatti desumersi dal contenuto originario dell ‘ incolpazione, non già ricostruito ex post attraverso elementi esterni. Opinando diversamente, si giungerebbe a trasformare in univoca un ‘ accusa che non lo fosse, con indebita estensione soggettiva dell ‘ imputazione.
Nel caso in esame, la Corte territoriale ha coerentemente osservato che la ‘donna’ menzionata negli esposti non risultava identificabile neppure sotto il profilo somatico (p. 10 sentenza appello), con la conseguenza che da tali atti non avrebbe potuto trarre origine un ‘ indagine penale a carico della ricorrente (Cass. pen. n. 27805/2025).
In tale quadro, la decisione impugnata si è uniformata al consolidato orientamento di legittimità secondo cui la denuncia di un reato perseguibile d ‘ ufficio o la proposizione di querela per un reato della stessa natura può comportare responsabilità civile del denunciante soltanto quando l ‘ atto contenga sia l ‘ elemento oggettivo sia quello soggettivo della calunnia. Diversamente,
l ‘ attività del pubblico ministero -titolare dell ‘ azione penale -interrompe il nesso causale con l ‘ eventuale danno, mentre la denuncia integra l ‘ adempimento di un dovere civico, funzionale all ‘ interesse pubblico alla repressione dei reati, che verrebbe compromesso se il denunciante potesse essere ritenuto responsabile per denunce semplicemente inesatte o successivamente rivelatesi infondate (Cass. n. 1542/2010; Cass. n. 11898/2016; Cass. n. 30988/2018; Cass. n. 15296/2024).
Con riguardo all ‘ elemento soggettivo, poi, la Corte territoriale ha affermato che per l ‘ integrazione del dolo di calunnia è necessaria la prova certa che l ‘ accusatore abbia agito nella consapevolezza dell ‘ innocenza del soggetto incolpato, richiamando il principio, pacificamente accolto dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il dolo sussiste solo quando vi sia esatta corrispondenza tra il momento rappresentativo (chiara coscienza della non colpevolezza) e il momento volitivo (intenzionalità dell ‘ incolpazione), mentre l ‘ erronea convinzione della colpevolezza del denunciato esclude il dolo (Cass. pen. n. 17992/2007; Cass. pen. n. 27846/2009).
La Corte territoriale, nell ‘ osservare che i querelanti non disponevano neppure di una chiara identificazione della persona cui attribuivano le condotte, limitandosi a menzionare genericamente una ‘donna’, ha correttamente motivato sulla mancanza ab origine di quella ‘sicura conoscenza della non colpevolezza’ che integra il dolo della calunnia. La genericità e l ‘ incertezza dell ‘ individuazione della donna accusata hanno impedito di attribuire agli accusatori la coscienza di riferire falsamente un reato ad un soggetto innocente.
Va dunque escluso che la Corte d ‘ appello abbia richiesto un dolo specifico, non avendo preteso l ‘ intenzione di far condannare un determinato innocente ed attendendosi pertanto alla nozione di dolo generico. La motivazione della sentenza impugnata va intesa nel senso che la mancanza di una precisa rappresentazione del
soggetto accusato ha comportato l ‘ assenza della necessaria consapevolezza dell ‘ innocenza, e quindi del dolo.
Non è pertanto ravvisabile alcuna violazione della disciplina recata dall ‘ art. 368 c.p.
6.3.- È infondato anche il profilo di censura che lamenta la mancanza di motivazione sulla domanda di risarcimento per diffamazione.
Ai sensi del vigente art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., la motivazione affetta da anomalia che la rende al di sotto del ‘minimo costituzionale’, così da integrare violazione di legge (artt. 111, comma sesto, Cost., art 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.), è vizio – attinente all ‘ esistenza della motivazione in sé e che deve risultare dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – che si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l ‘ aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nella manifesta e irriducibile contraddittorietà, ovvero motivazione incomprensibile o perplessa.
Al di fuori di tali ipotesi, il vizio può essere denunciato esclusivamente come omesso esame di un fatto storico decisivo, evenienza che, nella specie, risulta preclusa, come detto, dalla ricorrenza della c.d. ‘doppia conforme’.
Inoltre, il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all ‘ art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendosi ritenere per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l ‘ iter argomentativo seguito.
In tal senso la Corte d ‘ appello ha posto a fondamento della propria decisione la non riferibilità univoca alla ricorrente della
‘donna’ menzionata negli esposti, adottando una ratio decidendi che, sebbene espressa con riguardo alla calunnia, si connota per essere logicamente incompatibile con l ‘ accoglimento della domanda risarcitoria per diffamazione, in quanto anche quest ‘ ultima richiede – quale presupposto indefettibile – la riferibilità dell ‘ offesa ad un soggetto determinato o determinabile.
Ne consegue che la domanda relativa alla diffamazione risulta assorbita e implicitamente rigettata in forza della chiara affermazione della non identificabilità della ‘donna’ nella persona dell ‘ attrice, non delineandosi alcuna delle figure sintomatiche di vizio motivazionale che integrano la violazione del ‘minimo costituzionale’ ai sensi dell’ art. 132, comma secondo, n. 4, c.p.c., né la violazione dell ‘ art. 595 c.p.
6.4. – L ‘ ultimo profilo di censura è inammissibile, prima ancora che infondato (per aver la Corte territoriale comunque preso in esame anche i fatti oggetto dei documenti indicati dalla COGNOME).
Come già evidenziato, in presenza di c.d. ‘doppia conforme’, ai sensi dell ‘ art. 348ter , comma quinto, c.p.c., per evitare l ‘ inammissibilità del motivo di cui all ‘ art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. è necessario indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza che ha rigettato l ‘ appello, dimostrando che siano tra loro diverse; nel caso di specie, la ricorrente, pur lamentando il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, non ha assolto a tale onere.
-Il ricorso va, dunque, rigettato e la ricorrente condannata a rifondere a ciascuna parte controricorrente le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 /2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis RAGIONE_SOCIALE stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere ai controricorrenti le spese del giudizio di legittimità, che liquida, per ciascuna parte controricorrente, in euro 3.500 oltre a euro 200 per gli esborsi e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater d.p.r. n. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis RAGIONE_SOCIALE stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 settembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME