Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5037 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5037 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 26/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 21800 – 2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dalla quale è rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
COGNOME e NOME, elettivamente domiciliati in Roma, c.INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale sono rappresentati e difesi, giusta procura in calce al controricorso, con indicazione dell’indirizzo pec;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 554/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, pubblicata il 24/1/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’ 8/5/2024 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del dicembre 2008, rinnovato nel 2009, NOME COGNOME e NOME COGNOME convennero in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Roma, l’RAGIONE_SOCIALE esponendo che avevano acquistato dalla convenuta un immobile nello stabile da lei costruito, in Roma, alla INDIRIZZO e lamentando di aver riscontrato la mancata predisposizione di dispositivi idonei a evitare le infiltrazioni d’acqua prodottesi sulle pareti di alcuni vani e di non aver ricevuto il certificato di abitabilità. Chiesero, pertanto, la condanna della società al risarcimento dei danni conseguenti ai vizi di costruzione lamentati, al rimborso delle somme necessarie alla loro eliminazione e alla restituzione del quantum corrispondente al deprezzamento dell’immobile.
Con sentenza n.2038/2016, il Tribunale di Roma accolse la domanda e, ritenuta l’applicabilità dell’art. 1669 cod. civ. anche all’appaltatore -venditore, condannò la società convenuta al pagamento della somma di Euro 19.750,00 per l’eliminazione dei vizi e alla restituzione della somma di Euro 8.667,90 per deprezzamento conseguente al mancato rilascio del certificato di agibilità.
Con sentenza n. 554/2019, la Corte d’appello di Roma rigettò l’appello d i RAGIONE_SOCIALE
Per quel che qui ancora rileva, la Corte confermò che al venditore-costruttore, come ritenuto dal Tribunale, fosse applicabile l’art. 1669 cod. civ. e che i vizi riscontrati fossero gravi perché incidenti sulla funzionalità dell’immobile; escluse la rilevanza dell’omessa pronuncia sulle eccezioni di decadenza e prescrizione dell’azione perché
tardivamente sollevate soltanto in comparsa conclusionale; quindi, quanto all’omessa consegna del certificato di abitabilità, la Corte rilevò che la società non aveva dimostrato di aver attivato le opportune sollecitazioni per ottenerne il rilascio in un tempo tollerabile; infine, confermò il giudizio di attendibilità e condivisibilità delle conclusioni della c.t.u. espletata.
Avverso la sentenza n.554/2019 della Corte d’appello di Roma la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidandolo a quattro motivi; NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, deve essere disattesa l ‘eccezione di improcedibilità del ricorso sollevata dai controricorrenti, fondata sull’essere avvenuto il deposito del ricorso, ex art. 369 cod. proc. civ., prima della ricezione dell’avviso di ricevimento e, perciò, prima della prova del perfezionamento della notifica: in particolare, i controricorrenti hanno invocato il principio secondo cui «la distinzione dei momenti di perfezionamento della notifica per il notificante e il destinatario dell’atto, risultante dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, trova applicazione soltanto quando dall’intempestivo esito del procedimento notificatorio, per la parte di questo sottratta alla disponibilità del notificante, potrebbero derivare conseguenze negative per il notificante, quale la decadenza conseguente al tardivo compimento di attività riferibile all’ufficiale giudiziario, non anche quando la norma preveda che un termine debba decorrere o un altro adempimento debba essere compiuto dal tempo dell’avvenuta notificazione, come per il deposito del ricorso per cassazione e del controricorso, dovendo essa in tal caso intendersi per entrambe le parti perfezionata, come si ricava dal tenore testuale dell’articolo 369 cod. proc. civ., al momento della ricezione dell’atto da parte del
destinatario, contro cui l’impugnazione è rivolta (v. Cass. Sez. L, n. 24346 del 29/10/2013).
Quel che tuttavia i controricorrenti non considerano -per cui il principio invocato è inconferente è che l’art. 369 cod. proc. civ., nell’indicare , per il deposito del ricorso, il termine dei venti giorni dall’ultima notificazione alle parti stabilisce un termine soltanto finale, per garantire la tempestività dell’adempimento processuale; deve, quindi, essere data la prova, prima dell’udienza di trattazione o di discussione, del perfezionamento della notifica nell’ipotesi diversa dal caso in esame in cui l’intimato non si costituisca .
Ugualmente infondata è l’eccezione di tardività del controricorso, come sollevata dalla ricorrente: l’ art. 370 cod. proc. civ., nella formulazione, applicabile ratione temporis , precedente la modifica ex art. 3, comma 27, lett. f) num. 1) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, prevedeva il doppio termine dei venti giorni successivi al deposito del ricorso che, a propria volta, ai sensi dell’art. 369 cod. proc. civ., deve avvenire, come detto, non oltre venti giorni dall’ ultima notificazione; il momento iniziale di questo doppio termine e, cioè, il momento perfezionativo « dell’ultima notificazione» è stato identificato da questa Corte con la data di ricezione dell’atto da parte del destinatario (Cass. Sez. 3, n. 24639 del 2015); nella specie, dunque, la notifica del ricorso è avvenuta in data 31/7/2019, laddove il controricorso è stato notificato in data 4/10/2019.
Ciò precisato, con il primo motivo, la RAGIONE_SOCIALE ha lamentato, in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1669 cod. civ. e, in riferimento al n. 5 del primo comma dell’art. 360 c od. proc. civ. l’omesso esame del fatto che l’utilizzo dell’immobile non sarebbe stato mai menomato o compromesso apprezzabilmente; in particolare, in sede di integrazione dell’indagine, il consulente nominato avrebbe
escluso, grazie all’utilizzo di una termocamera e un igrometro a contatto, la presenza di acqua nel pavimento e di infiltrazioni.
1.1. Il motivo è infondato quanto alla prospettata violazione di legge: per principio consolidato, nei gravi difetti di costruzione per i quali è operante a carico dell’appaltatore la garanzia prevista dall’art. 1669 cod. civ., rientrano proprio le infiltrazioni d’acqua perché incidono sulla funzionalità dell’opera menomandone il godimento; è stato precisato che tali anomalie si sostanziano in carenze costruttive dell’opera o di realizzazione dell’opera con materiali inidonei e/o non a regola d’arte tali da compromettere la sua funzionalità e l’abitabilità ed eliminabili solo con lavori di manutenzione, ancorché ordinaria, e cioè mediante opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici o mediante opere che integrano o mantengono in efficienza gli impianti tecnologici installati (Cass. Sez. 2, n. 11740 del 01/08/2003; Sez. 2, n. 8140 del 28/04/2004; Sez. 2, n. 27315 del 17/11/2017; Sez. 2, n. 24230 del 04/10/2018; in ultimo, Sez. 2, n. 9620 del 2023, non mass.).
1.2. Inammissibile è, invece, il profilo dell’omesso esame : ex art. 348 ter, comma V, cod. proc. civ., nella formulazione introdotta dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv., con modif., in l. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis per essere stato l’appello introdotto nel 2016, la censura per vizio di motivazione non è proponibile perché l’appello è stato rigettato sulla base dello stesso iter logico del primo Giudice e ricorre l’ipotesi di «doppia conforme»; questa ipotesi è ravvisabile, peraltro, non soltanto quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti
ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Cass. Sez. 6 – 2, n. 7724 del 09/03/2022).
2. Con il secondo motivo, la RAGIONE_SOCIALE ha denunciato, in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1490 cod. civ. : secondo la ricorrente, la fattispecie avrebbe dovuto essere più correttamente inquadrata nell’ambito giuridico dell’art. 1490 cod. civ., posto che la controversia ha ad oggetto un contratto di compravendita di un immobile; così correttamente inquadrata, la domanda sarebbe stata necessariamente rigettata per intervenuta decadenza dalla garanzia, come fissato, per la compravendita, in otto giorni dalla scoperta dei vizi denunciati; sul punto, peraltro, il giudice di primo grado non si sarebbe espresso e la Corte d’appello non avrebbe esaminato la censura formulata in merito, limitandosi ad affermare che il T ribunale aveva deciso nel senso dell’applicazione dell’art. 1669 cod. civ in conformità a uniforme giurisprudenza.
2.1. Il motivo è inammissibile perché non conferente rispetto alla ratio decidendi . La Corte d’appello ha, diversamente da quanto riportato in ricorso, rimarcato che le eccezioni di decadenza e prescrizione dall’azione di garanzia sono state tardivamente proposte soltanto nelle comparse conclusionali ed erano in conseguenza inammissibili; non rilevava, perciò, il loro mancato esame (pag. 4 della sentenza, secondo capoverso).
Così decidendo, la Corte d’appello ha correttamente applicato la giurisprudenza di questa Corte secondo cui la decadenza dal diritto di garanzia per i vizi della cosa venduta non può essere rilevata d’ufficio, ma va ritualmente eccepita da chi vi ha interesse, cioè dal venditore ( ex multis , Cass. Sez. 2, n. 3429 del 16/02/2006; Sez. 2, n. 1031 del 29/01/2000), così come la decadenza dalla denuncia dei vizi dell’opera appaltata.
La ricorrente ha rappresentato che la Corte d’appello non avrebbe «detto» «in base a quale norma sia vietato eccepire nelle conclusionali le eccezioni di decadenza e prescrizione dell’azione»: sul punto, è sufficiente riportare che la preclusione alla formulazione di nuove eccezioni nelle memorie illustrative finali, diverse dalle mere argomentazioni che, seppure nuove, siano basate su fatti in precedenza accertati o su acquisizioni processuali mai oggetto di contestazione tra le parti, deriva dalle preclusioni fissate ancor prima per il thema decidendum e probandum e dal rispetto del principio di difesa della controparte.
Pertanto, poiché in risposta alla prospettazione della decadenza dalla garanzia per vizi, il contraente e il committente hanno l’onere di dimostrare la tempestività della denuncia, è evidente che l’eccezione di decadenza risulta tardiva se formulata dopo le preclusioni assertive e probatorie.
In tal senso la censura sulla natura del contratto e sull’erronea applicazione dei più lunghi termini di decadenza dell’art. 1669 cod. civ. risulta inammissibile per difetto di interesse perché, di là della operazione ermeneutica e della individuazione di termini più brevi per l’esercizio dell’azione di garanzia per vizi, vi è che correttamente l’eccezione di decadenza è stata ritenuta inammissibile perché tardivamente proposta.
Con il terzo motivo, la RAGIONE_SOCIALE ha lamentato, in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1477 cod. civ. e, in riferimento al n. 5 del primo comma dell’art. 3 60 cod. proc. civ., l’ome sso esame di un fatto decisivo: la società sostiene che nel 2007 non avrebbe potuto produrre il certificato di abitabilità in quanto l’immobile faceva parte di altre unità in corso di costruzione e la
richiesta avrebbe potuto essere trasmessa soltanto al compimento dei lavori, nel 2015.
3.1. In disparte ogni considerazione sulla inammissibilità della denuncia ex n. 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ. come già esposta al punto 1.2, tutto il motivo risulta inammissibile perché si risolve in una richiesta di riesame in merito della imputabilità della mancata consegna del certificato; sul punto, la Corte d’appello ha reso una articolata motivazione sulle possibili ragioni, non chiarite dalla società venditrice-costruttrice, che potrebbero aver causato il ritardo nel rilascio o il mancato rilascio del certificato e che hanno fondato il giudizio di intervenuto deprezzamento dell’immobile; questa motivazione non è stata adeguatamente censurata con il ricorso, incentrato sull’argomento inconferente dell’essere stata resa una decisione di analogo contenuto da un Collegio giudicante parzialmente coincidente nella sua composizione.
Con il quarto motivo, la ricorrente ha sostenuto, in riferimento al n. 5 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 161 cod. proc. civ. , per non avere la C orte d’appello accertato se nel primo grado si fossero verificati «errori ed omissioni circa l’attendibilità e l’ utilizzabilità della c.t.u.».
In particolare, la società sostiene che la c.t.u. non avrebbe accertato se gli attori avessero subito o meno un pregiudizio nell’utilizzo e nella fruibilità dell’immobile ; gli attori inoltre non avrebbero mai dimostrato la fondatezza delle loro pretese ma avrebbero, al contrario, fondato l’intera difesa sull’esito della consulenza tecnica.
4.1. Il motivo è inammissibile per sua formulazione. In disparte il ripetuto riferimento al n. 5, la ricorrente ha soltanto riproposto una sua ricostruzione dello svolgimento del processo e, in particolare, delle indagini peritali, degli elementi probatori raccolti e della loro
valutazione, del tutto trascurando che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa: in conseguenza, la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti ( ex multis , Cass. Sez. 1, n. 6519 del 06/03/2019).
Il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna del l’ RAGIONE_SOCIALE al rimborso delle spese processuali in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME, liquidate in dispositivo in relazione al valore , con distrazione in favore dell’avv. NOME COGNOME dichiaratosi antistatario.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna l’RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge, con distrazione in favore dell’avv. NOME COGNOME dichiaratosi antistatario .
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda