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Giustificato motivo oggettivo: quando è pretestuoso?

La Cassazione chiarisce i confini del controllo sul licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Se la ragione organizzativa addotta dall’azienda risulta pretestuosa e non veritiera, il licenziamento è illegittimo e scatta la reintegrazione. Il giudice non valuta la convenienza della scelta, ma la sua effettiva esistenza e il nesso causale con il recesso.

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Pubblicato il 14 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Giustificato Motivo Oggettivo: La Cassazione Traccia i Confini del Controllo Giudiziale

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo rappresenta uno degli argomenti più delicati nel diritto del lavoro, poiché tocca il bilanciamento tra la libertà di iniziativa economica del datore di lavoro e il diritto alla stabilità del posto di lavoro del dipendente. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna a fare chiarezza sui poteri del giudice nel valutare la legittimità di un tale recesso, ribadendo un principio fondamentale: il controllo giudiziale non verte sulla convenienza economica della scelta aziendale, ma sulla veridicità e non pretestuosità della ragione addotta.

I Fatti del Caso: Un Licenziamento Contestato

Una società operante nel settore del trasporto scolastico licenziava una lavoratrice adducendo come motivazione la soppressione del suo posto di lavoro. Secondo l’azienda, una modifica nel contratto d’appalto con il Comune aveva ridotto il numero di assistenti necessari per ogni automezzo, rendendo la sua posizione superflua. La lavoratrice impugnava il licenziamento, dando il via a un lungo iter giudiziario.

Il Percorso Giudiziario e il Principio della Cassazione

Il caso, dopo i primi due gradi di giudizio, giungeva una prima volta in Cassazione. In quella sede, la Suprema Corte aveva cassato la decisione d’appello, enunciando un importante principio di diritto. I giudici di legittimità avevano stabilito che, per la validità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, è sufficiente che la scelta imprenditoriale abbia effettivamente comportato la soppressione del posto e che le ragioni organizzative indicate siano reali e non un mero pretesto. Il giudice non può, invece, sindacare l’opportunità economica di tale scelta, né pretendere la prova di un andamento economico negativo dell’azienda. La causa veniva quindi rinviata alla Corte d’Appello per una nuova valutazione basata su questo principio.

Il giudizio di rinvio e il nuovo ricorso in Cassazione

La Corte d’Appello, nel cosiddetto giudizio di rinvio, esaminava nuovamente il caso e concludeva ancora una volta per l’illegittimità del licenziamento. Secondo i giudici, le ragioni addotte dalla società erano destituite di fondamento e, in sostanza, pretestuose. Nello specifico, la riorganizzazione non appariva genuina, mancando anche la prova del nesso causale tra la riduzione dei posti e il licenziamento specifico di quella lavoratrice rispetto ad altre colleghe in posizione identica. Contro questa seconda pronuncia d’appello, la società proponeva un nuovo ricorso in Cassazione.

Le Motivazioni della Sentenza

Con l’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione ha rigettato quasi tutti i motivi di ricorso dell’azienda. Ha ritenuto che la Corte d’Appello avesse correttamente applicato il principio di diritto a essa demandato. Il giudice del rinvio, infatti, non aveva rivalutato la convenienza della scelta aziendale, ma si era limitato a verificare, come richiesto, la veridicità e la non pretestuosità della causale addotta. L’accertamento in fatto ha portato a concludere che le motivazioni organizzative erano, in concreto, insussistenti. La Cassazione ha quindi confermato che quando la ragione posta a base del recesso si rivela falsa, il licenziamento è illegittimo. In questo contesto, i giudici hanno anche richiamato le recenti sentenze della Corte Costituzionale che, in caso di insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, impongono la reintegrazione del lavoratore, eliminando la discrezionalità del giudice tra tutela reale ed economica.
L’unico motivo di ricorso accolto ha riguardato un aspetto procedurale: la condanna della società al pagamento delle spese legali del precedente giudizio di Cassazione, nel quale la lavoratrice non si era costituita. La Corte ha quindi cassato la sentenza su questo unico punto, decidendo nel merito e rideterminando le spese complessive del lungo contenzioso.

Le Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un confine netto per il controllo giudiziario sui licenziamenti economici. L’autonomia dell’imprenditore (tutelata dall’art. 41 della Costituzione) è salva, ma non può tradursi in un potere arbitrario. Il datore di lavoro ha l’onere di dimostrare non solo che una riorganizzazione è avvenuta, ma che essa è la causa effettiva, reale e non pretestuosa della soppressione di uno specifico posto di lavoro. Se questa prova manca, il licenziamento è illegittimo e le conseguenze, alla luce degli interventi della Consulta, sono quelle della massima tutela per il lavoratore: la reintegrazione nel posto di lavoro.

Un giudice può valutare se la scelta di riorganizzazione di un’azienda, che ha portato a un licenziamento, sia economicamente conveniente?
No, l’ordinanza conferma che il giudice non può entrare nel merito delle scelte imprenditoriali per valutarne la convenienza o l’opportunità economica. Il suo controllo è limitato alla verifica della veridicità e della non pretestuosità della ragione addotta.

Cosa succede se il datore di lavoro indica una ragione organizzativa che poi si rivela falsa o usata come pretesto per licenziare?
Se il giudice accerta che la ragione organizzativa è insussistente, finta o meramente pretestuosa, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è considerato illegittimo. La ragione addotta deve essere effettiva e causare direttamente la soppressione del posto di lavoro.

In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo illegittimo perché il fatto è insussistente, il lavoratore ha sempre diritto alla reintegrazione?
Sì. La sentenza richiama gli interventi della Corte Costituzionale (sent. n. 59/2021 e n. 125/2022) che hanno reso obbligatoria l’applicazione della tutela reintegratoria quando viene accertata l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, senza lasciare al giudice la facoltà di scegliere una tutela solo economica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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