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Giustificato motivo oggettivo: l’onere della prova

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una società di trasporti contro la sentenza che aveva ritenuto illegittimo il licenziamento di un dipendente per giustificato motivo oggettivo. La decisione si fonda sul fatto che la soppressione del posto di lavoro addotta come motivazione non era effettiva, in quanto le mansioni del lavoratore erano già state modificate da anni. La Corte ha ribadito che il datore di lavoro ha l’onere di provare la veridicità e l’attualità del motivo del recesso e che la Cassazione non può riesaminare nel merito le prove.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Giustificato Motivo Oggettivo: La Cassazione Chiarisce l’Onere della Prova del Datore di Lavoro

L’ordinanza n. 18402/2024 della Corte di Cassazione offre un importante spunto di riflessione sul giustificato motivo oggettivo di licenziamento, delineando con precisione i confini dell’onere probatorio a carico del datore di lavoro. Il caso analizzato riguarda un licenziamento basato sulla soppressione di un posto di lavoro, una motivazione che, tuttavia, si è rivelata meramente pretestuosa agli occhi dei giudici.

I Fatti del Caso: Un Licenziamento Contestato

Una società operante nel settore dei trasporti aveva licenziato un proprio dipendente adducendo come giustificato motivo oggettivo la soppressione della sua posizione di “addetto alla raccolta dati traffico”. Secondo l’azienda, l’introduzione di nuove tecnologie (tablet) aveva reso superflua tale mansione. Il lavoratore ha impugnato il licenziamento, sostenendo che la motivazione fosse infondata, dando il via a un lungo percorso giudiziario.

Il Percorso Giudiziario e il Giustificato Motivo Oggettivo

Sia il Tribunale in primo grado sia la Corte d’Appello hanno dato ragione al lavoratore. I giudici di merito hanno accertato che, già dal 2015, ben prima del licenziamento avvenuto nel 2018, il dipendente non svolgeva più le mansioni di raccolta dati. La sua attività era stata di fatto sostituita con compiti di addetto alla biglietteria-capolinea e gestione delle problematiche dei passeggeri. Di conseguenza, la ragione addotta per il licenziamento – la soppressione del posto di “addetto alla raccolta dati” – è stata ritenuta insussistente e pretestuosa, rendendo il recesso illegittimo. La società, non soddisfatta, ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

L’Analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato i tre motivi di ricorso presentati dall’azienda, dichiarandoli tutti inammissibili. Vediamo nel dettaglio le motivazioni della decisione.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha innanzitutto respinto le censure di natura processuale, affermando che i giudici d’appello avevano correttamente valutato gli argomenti proposti.

Il cuore della decisione, però, risiede nel rigetto dei motivi relativi alla valutazione delle prove. L’azienda lamentava l’omesso esame di documenti e la mancata ammissione di prove testimoniali che, a suo dire, avrebbero dimostrato la veridicità delle sue affermazioni. La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: il suo ruolo non è quello di un terzo grado di giudizio sul merito della causa. Non può, cioè, riesaminare le prove o sostituire la propria valutazione a quella dei giudici delle istanze precedenti. Il compito di valutare l’attendibilità delle prove e di scegliere quali porre a fondamento della decisione spetta esclusivamente al giudice di merito.

Inoltre, la Corte ha invocato il principio della cosiddetta “doppia conforme”. Poiché sia il Tribunale che la Corte d’Appello erano giunti alla medesima conclusione basandosi su una valutazione concorde dei fatti, il ricorso in Cassazione su tali aspetti era inammissibile. L’onere di dimostrare che le ragioni di fatto delle due sentenze fossero diverse spettava alla società ricorrente, onere che non è stato assolto.

Le Conclusioni: Cosa Insegna Questa Ordinanza

Questa ordinanza è emblematica per diversi motivi. In primo luogo, rafforza il principio secondo cui il giustificato motivo oggettivo deve essere effettivo, reale e attuale al momento del licenziamento. Non è possibile utilizzare una motivazione pretestuosa, basata su una riorganizzazione aziendale avvenuta anni prima, per giustificare un recesso. In secondo luogo, essa chiarisce che il datore di lavoro ha il pieno onere di provare in giudizio la sussistenza delle ragioni poste a base del licenziamento. Infine, la decisione ribadisce i limiti del giudizio di legittimità: la Cassazione valuta la corretta applicazione del diritto, non può entrare nel merito delle prove per sovvertire una decisione basata su un’accurata e coerente ricostruzione dei fatti operata dai giudici di primo e secondo grado.

Un datore di lavoro può licenziare un dipendente per la soppressione di una mansione che di fatto non svolgeva più da anni?
No. La decisione della Corte di Cassazione conferma che il giustificato motivo oggettivo deve essere effettivo e attuale. Se il lavoratore è già stato riassegnato ad altre mansioni da tempo, la soppressione formale della sua vecchia posizione non costituisce una ragione valida per il licenziamento, che risulterebbe quindi illegittimo.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove, come documenti o testimonianze?
No. La Corte ha ribadito che il suo compito non è quello di essere un “giudice di terzo grado” per riesaminare i fatti. La valutazione delle prove, della loro attendibilità e concludenza, è un compito esclusivo dei giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello). Il ricorso in Cassazione è ammesso solo per questioni di legittimità, cioè per verificare la corretta applicazione delle norme di legge.

Cosa significa il principio della “doppia conforme”?
È un principio processuale secondo cui, se le sentenze del Tribunale e della Corte d’Appello giungono alla stessa conclusione basandosi sulla medesima ricostruzione dei fatti, un ricorso in Cassazione che contesti tale ricostruzione è inammissibile. In questo caso, entrambe le corti di merito hanno concordato che il motivo del licenziamento era insussistente, bloccando di fatto la possibilità per l’azienda di contestare nuovamente i fatti davanti alla Suprema Corte.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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