Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 34576 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 34576 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 340-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo STUDIO COGNOME NOME COGNOME E SOCI, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME elettivamente domiciliati presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 137/2021 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 29/10/2021 R.G.N. 72/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 340/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 08/11/2024
CC
Fatti di causa
La Corte d’appello di Trieste, con la sentenza in atti, ha respinto il reclamo proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Udine che aveva confermato l ‘ ordinanza, emessa in sede sommaria, di annullamento dei licenziamenti intimati ai lavoratori NOME COGNOME e NOME COGNOME per giustificato motivo oggettivo.
La Corte accoglieva invece il gravame incidentale dei due lavoratori in ordine al pagamento delle spese della fase di opposizione da parte della datrice integralmente soccombente che erano state erroneamente compensate dal tribunale di Udine.
A fondamento della sentenza la Corte ha sostenuto che non fosse stato provato dal datore di lavoro il gmo addotto per il licenziamento dei due lavoratori ‘per soppressione della posizione ricoperta’ dai lavoratori “attuata nell’ambito dell’integrale riorganizzazione della Direzione Recupero Crediti posta in atto ai fini di ottimizzare l’efficienza operativa della struttura e razionalizzare le attività “.
Secondo la Corte d’appello invece la riorganizzazione allegata dalla datrice di lavoro non era avvenuta ed erano ‘insussistenti le ragioni produttive addotte’ perché ‘i programmi gestionali in uso rimasero immutati ed essi consentivano di seguire tutto l’iter di una pratica e pure immutate rimasero le varie fasi di lavorazione in concreto delle pratiche affidate alla Direzione in oggetto. Si è assistito ad una rivisitazione della situazione, ma solo nominalistica per passare dalle ‘unità organizzative’ ai ‘team leader’ ma senza alterare i contenuti del lavoro in concreto svolto ed i responsabili delle prime (unità organizzative) sono divenuti dei team leaders, tanto che un tanto accade per gli addetti COGNOME NOME e COGNOME che erano degli impiegati mentre i due reclamati erano dei
quadri……. Eloquente poi il dato per cui il direttore generale e amministrativo e finanziario dell’impresa ha esposto di non sapere di fatto in che modo fossero stati individuati i due attori come esuberi.’
Per la Corte la motivazione poteva essere di carattere economico ma essa non era stata mai addotta dalla datrice di lavoro (‘Logico il notare che i due interessati con la loro rilevante anzianità ed esperienza ben sarebbero stati in grado anche loro di fare i team leaders ma è evidente che il conservarli in servizio sarebbe stato più
costoso’).
Inoltre dagli atti di causa, secondo la Corte di appello, emergeva che i lavoratori non rifiutarono affatto di essere reinseriti in azienda al primo livello impiegatizio offerto loro dal datore di lavoro in sede di commissione di conciliazione, ma che avessero chiesto solo la garanzia di stabilità del posto offerto che non venne loro fornita.
Tanto premesso, la Corte d’appello ha sostenuto quindi che ricorresse l’illegittimità dei licenziamenti per manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento, vuoi per l’inesistenza delle ragione produttive addotte e vuoi per l’impossib ilità di un repêchage di cui si è esclusa la ricorrenza, per cui confermava in toto la sentenza di primo grado – che a sua volta aveva confermato l’ordinanza emessa nella fase sommaria – con cui il tribunale aveva annullato gli impugnati licenziamenti e disposto la reintegrazione dei lavoratori nei loro posti di lavoro condannando RAGIONE_SOCIALE a risarcire il danno.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE con quattro motivi ai quali hanno resistito i due lavoratori con controricorso; le parti hanno depositate memorie prima dell’udienza ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c. Il collegio ha
riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo di ricorso si denuncia la nullità della sentenza per difetto di motivazione in violazione degli articoli 132, numero 4 c.p.c. (contenuto della sentenza); 118 disp. att. c.p.c. (motivazione della sentenza); art. 111, comma 6 Costituzione, ex articolo 360 n. 4 c.p.c., atteso che la decisione era stata espressa dalla Corte territoriale con una motivazione fin troppo concisa avendo concluso apoditticamente con una mera statuizione circa il mancato assolvimento dell’onere probatorio, di fatto omettendo di addurre una motivazione effettiva della conclusione cui era giunta.
1.1. Il motivo è infondato perché nella sentenza è presente una motivazione adeguata sotto tutti gli aspetti rilevanti ai fini della decisione della causa, sia in relazione alla illegittimità dei licenziamenti ex art 3 l. 604/1966, sia in relazione alle conseguenze sanzionatorie previste dall’art. 18 l. 300/70.
La Corte ha analizzato i motivi di impugnazione dedotti dall’appellante ed ha spiegato perché andassero disattesi. Dopo aver correttamente ricordato che l’onere della prova del gmo insistesse sul datore di lavoro, ha richiamato le prove acquisite nel giudizio rapportando la conclusione alla corretta nozione legale di g.m.o. assunta come parametro della decisione ed ha perciò affermato che fossero inesistenti sia le ragioni produttive allegate dal datore , sia la prova dell’impossibilità del repêchage.
Quindi ha confermato le conseguenze sanzionatorie già disposte dai giudici di primo grado richiamando la nozione di manifesta insussistenza del fatto, all’epoca ancora vigente.
La decisione impugnata, pubblicata il 29.10.2021, è intervenuta prima della sentenza della Corte Cost. 125/2022 che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 18 St. lav. come
modificato dalla L. n. 92/2012, nella parte in cui richiedeva ai fini della reintegra il carattere manifesto dell ‘ insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Mentre con la pronuncia n. 59/2021 (pubblicata il 7.4.2021) la Corte Cost. aveva già eliminato il carattere facoltativo della reintegrazione nell’ipotesi in cui il g iudice abbia ritenuto insussistente il fatto posto a base del licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo.
Si tratta di una motivazione chiara e logica, del tutto rispondente alle regole processuali dettate dagli articoli 132, n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c..
D’altra parte è riconosciuto che nella vigente regolamentazione processuale il vizio della motivazione, tale da indurre la nullità della pronuncia impugnata, è solo quello relativo alla quadruplice nota declinazione che ne hanno dato le Sezioni Unite (con le sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014): la ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’ , la ‘motivazione apparente’ , il ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e la ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile ‘ . Tutti casi che nella specie non ricorrono, come risulta anche dal contenuto della sentenza riportato in sintesi nello storico della lite.
La riprova più evidente che nel caso di specie non sia presente alcuna anomalia o oscurità nella motivazione della sentenza impugnata è data dalle analitiche censure che sono state prospettate dalla ricorrente nei successivi motivi di ricorso i quali si confrontano, punto per punto, con le varie affermazioni effettuate dalla Corte sui vari presupposti di diritto ed -inammissibilmente – anche di fatto su cui si regge la stessa sentenza impugnata.
2.- Con il secondo motivo si sostiene la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 3 legge n. 604/1966 in relazione alla
nozione di licenziamento per giustificato motivo, ex articolo 360 numero 3 c.p.c.
2.1. La ricorrente premette che con tale motivo non intende esaminare il merito della controversia bensì ottenere l’accertamento della illegittima interpretazione dell’art.3 l.604/66) che definisce il giustificato motivo in termini di ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.
Nella censura sollevata si sostiene però che la Corte d’appello avrebbe completamente omesso di considerare la legittima facoltà del datore di lavoro di attuare una revisione organizzativa mediante soppressione di alcune posizioni di lavoro ed accorpamento delle relative mansioni tra il restante personale in forza all’azienda ed a prescindere dal costo di ciascun lavoratore: ‘ ciò che è effettivamente avvenuto nel caso in esame e che senza dubbio, se opportunamente valutato, avrebbe consentito e consisterebbe tuttora di ritenere i licenziamenti in questione congruamente ed obiettivamente motivati’.
2.3. Il motivo non può essere però accolto perché presenta profili di inammissibilità e profili di infondatezza.
2.4. Esso è inammissibile laddove mira a porre in discussione l’accertamento effettuato dai giudici di merito, con una triplice conforme valutazione, circa la mancanza di effettività della riorganizzazione lavorativa addotta dal datore di lavoro a fondamento del licenziamento per gmo.
Ciò che la Corte d’appello, come i precedenti giudici di merito, hanno negato non è perciò (in diritto) la facoltà del datore di lavoro di attuare una revisione organizzativa, secondo quanto sostiene la ricorrente; essi hanno invece sostenuto che su questo punto non ci fosse (in fatto) una prova dell’effettività
della riorganizzazione addotta e che si sia trattato piuttosto di un’operazione apparente (rivisitazione nominalistica).
E questo ‘zoccolo duro’, che è il fatto accertato dopo tre giudizi (che ha condotto ad affermare l’inesistenza di ragioni produttive), non può essere rimesso in discussione in questa sede di cassazione sostenendo che vi fu un una riorganizzazione effettiva attraverso ‘la creazione di nuove strutture’.
Secondo la Corte d’appello la riorganizzazione addotta fu invece solo nominalistica, perché cambiò l’etichetta, senza alterare i contenuti del lavoro svolto in concreto; e fu di mera facciata (i responsabili delle precedenti unità organizzative divennero team leaders, mentre non cambiarono i programmi gestionali e rimasero le stesse fasi di lavorazione). Non si sa nemmeno perché furono licenziati i due lavoratori; forse per motivi economici (costavano di più), che non sono stati però nemmeno addotti a fondamento del licenziamento. Non si sa quindi perché il loro rapporto di lavoro non potesse continuare e dovesse invece cessare.
2.5. Il motivo di ricorso è invece infondato laddove, contrariamente a quanto sembra sostenere, la difesa attorea, ai fini dell’esistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento previsto dalla legge non basta certamente la mera soppressione del posto (cioè il fatto in sé del licenziamento o dei licenziamenti della cui illegittimità si discute nel giudizio) senza che esista a monte una ragione tecnico organizzativa produttiva che deve essere legata alla soppressione del posto attraverso il nesso di causa.
Senza la prova della ragione organizzativa il motivo oggettivo sarebbe infatti monco e non corrispondente alla nozione legale che parla di ‘ licenziamento.. determinato…da ragioni inerenti all’attivita’ produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa ‘.
2.6. Mancando la ragione addotta verrebbe meno quindi anche il nesso causale; l ‘ulteriore estremo su cui deve concentrarsi il controllo di legittimità sul potere datoriale di licenziamento (occorre ‘che le addotte ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, causalmente determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo’ ; Cass. n. 10699/2017).
2.7. Il licenziamento per gmo non si giustifica quindi soltanto con la soppressione del posto senza che esista la ragione organizzativa oggettivamente verificabile che si pone a monte e che determina tale soppressione.
2.8. Ma è pure inesatto sostenere che il venir meno delle mansioni sarebbe stata la ragione organizzativa della soppressione del posto di lavoro; posto che dire che il licenziamento è giustificato per il venir meno delle mansioni senza spiegare per quale ragione siano venute meno non soddisfa il requisito dell’art.3 il quale rich iede appunto di dover individuare le ragioni inerenti all’attivita’ produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa che hanno determinato il venir meno delle mansioni; e di indicarle specificamente nella motivazione del licenziamento.
2.9.- Il punto è chiaro ed illustrato dalla giurisprudenza di questa Corte allorchè ha puntualmente rilevato che ‘ il diritto del datore di lavoro di ripartire diversamente determinate mansioni fra più dipendenti non deve far perdere di vista la necessità di verificare il rapporto di congruità causale fra la scelta imprenditoriale e il licenziamento, nel senso che non basta che i compiti un tempo espletati dal lavoratore licenziato risultino essere stati poi distribuiti ad altri, ma è necessario che tale riassetto sia all’origine del licenziamento anziché costituirne mero effetto di risulta (cfr. in tal senso Cass. n. 24502/11). Se
tale redistribuzione fosse un mero effetto, di risulta (e non la causale del licenziamento) si dovrebbe concludere che la vera ragione del licenziamento risiede altrove e non in un’esigenza di più efficiente organizzazione produttiva ‘ (Cass. 13516/2016).
2.10.- Nel caso che si giudica, la Corte di appello di Trieste, in effetti, non ha messo in dubbio la soppressione definitiva dei posti di lavoro bensì ha accertato l’ineffettività della motivazione che stava a monte. Per la Corte il giustificato motivo oggettivo era carente perché non era provata la ragione economica per la quale si era proceduto alla soppressione dei posti ed ai licenziamenti; posto che secondo quanto accertato in giudizio non c’era stata nessuna riorganizzazione ed alcuna soppressione della funzione e della posizione di lavoro.
E tale carenza, diversamente da quanto ritiene RAGIONE_SOCIALE, è tutt’altro che irrilevante ai fini della causa, dal momento che incide sulla nozione di giustificato motivo oggettivo essendo al contrario insufficiente che per effetto di tale finta innovazione organizzativa le attività della Direzione recupero credito siano state poi suddivise tra tre team leaders in luogo delle cinque preesistenti Direzioni, con il conseguente esubero di due posizioni.
2.11. Va pure negato che quello così operato dalla Corte d’appello sia stato un controllo nel merito della riorganizzazione dell’impresa confliggente con l’art.30 della legge 183/2010, essendo bensì rimasto un controllo di effettività che rientra a pieno titolo nei poteri di legittimità riconosciuti al giudice in base all’art. 4 l.183/1966.
2.12. In questi termini si è del resto pronunciata costantemente la giurisprudenza di legittimità; su cui da ultimo, v. Cass. n. 752 del 12/01/2023 ‘ In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, per la legittimità del recesso è sufficiente che le addotte ragioni inerenti l’attività produttiva e l’organizzazione
del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, determinino causalmente un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo che richiede la soppressione di un’individuata posizione lavorativa, non essendo tale scelta imprenditoriale sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità, in ossequio al disposto dell’art. 41 Cost.; tuttavia, se il giudice accerti, in concreto, l’inesistenza della ragione organizzativa o produttiva indicata, la cui prova grava sul datore di lavoro, il licenziamento risulterà ingiustificato per la mancanza di veridicità o la pretestuosità della causale addotta ‘.
Inoltre, nella medesima direzione, cfr. Cass. n. 31660 del 14/11/2023, n. 24882 del 20/10/2017, n. 10699 del 03/05/2017.
2.14. Lo stesso orientamento giurisprudenziale, che costituisce diritto vivente, ha ricevuto da ultimo l’autorevole riscontro nella sentenza n. 128 della Corte Costituzionale depositata il 16.7.2024, la quale, nel richiamare la nozione del gmo, ha posto in evidenza coma ‘ la sua connotazione ‘economica’ presuppone che la soppressione di un determinato posto di lavoro sia necessitata da una scelta organizzativa correlata all’attività produttiva, con la precisazione che la ragione produttiva e organizzativa non si identifica con la soppressione del posto di lavoro, ma ne deve costituire la causa giustificatrice .’
3.Con il terzo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 3 l. n. 604/1966 con riferimento all’obbligo di repêchage ex articolo 360 numero 3 c.p.c. nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto illegittimo il licenziamento dei due lavoratori anche per non aver il datore adempiuto all’obbligo di repêchage, pur a fronte del dato pacifico dell’effettiva proposizione da parte della datrice di lavoro di un’offerta di ricollocazione per entrambi i lavoratori,
nonché della condizione posta da quest’ultimi di ottenere tra le altre richieste una garanzia di stabilità del posto di lavoro ed il divieto di trasferimento per i successivi tre anni, in sede di conciliazione, presso la Commissione provinciale di conciliazione sede di Udine.
Il terzo motivo deve ritenersi assorbito posto che il rigetto dei primi due motivi è tale da determinare senz’altro la conferma della decisione adottata circa l’illegittimità del licenziamento impugnato, a prescindere dall’adempimento dell’obbligo del repêchage su cui il motivo insiste.
4.- Con il quarto motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 3 legge 604 del 66 con riferimento alle conseguenze della violazione dell’obbligo di repêchage ma anche circa l’inesistenza delle ragioni produttive che non possono essere quelle reintegratorie stabilite in sentenza. La Corte d’appello ha sostenuto che, quanto alle conseguenze delle illegittimità dei licenziamenti, la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento di cui al 4 comma dell’articolo 18, legge 300/70 che dà diritto alla tutela piena e reale del posto lavoro va riferita vuoi alla inesistenza delle ragioni produttive addotte, vuoi all’impossibilità di un repêchage di cui pure si è esclusa la ricorrenza.
4.1. Il motivo è infondato a prescindere dalle conseguenze discendenti dalla mancanza del repechagè; avendo la Corte territoriale accertato l’inesistenza a monte delle ragioni produttive addotte e ciò conduce pacificamente alla tutela reintegratoria senza che, a seguito della sentenza n. 125/2022 della Corte costituzionale, sia più necessario accertare nemmeno la manifesta insussistenza del fatto.
Il ricorso va quindi rigettato. Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c. Sussistono le
condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in euro 5.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie, oltre accessori dovuti per legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio dell’8.11.2024
La Presidente dott.ssa NOME COGNOME