Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1452 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1452 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11663/2018 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che l a rappresenta e difende
-ricorrente-
Contro
MINISTERO ECONOMIA FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso l’ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che lo rappresenta e difende ex lege
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO ROMA n. 7199/2017 depositata il 14/11/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/10/2023 dal Consigliere COGNOME
RITENUTO CHE
La ricorrente, secondo quanto esposto in ricorso, ha presentato in data 1.2.1995 domanda di condono edilizio per le opere realizzate abusivamente su un immobile di sua proprietà, provvedendo al versamento di lire 36.731.000 in favore del Ministero dell’economia e finanze (Mef) , a titolo di oblazione per abusivismo edilizio, e del Comune di Roma, per concessione in sanatoria; ha inoltre presentato, in data 9.12.2004, un’ulteriore domanda di condono per le medesime opere realizzate sull’appartamento de quo ed effettua to il pagamento per intero; dopo aver ricevuto un preavviso di rigetto, in data 23 marzo 2016 ha convenuto in giudizio sia Roma capitale che il Mef, lamentando la mancata restituzione delle somme versate a titolo di oblazione e oneri concessori.
Il Tribunale, affermando la sua giurisdizione, ha condannato Roma capitale al pagamento di 10.733,52 euro in favore della ricorrente, mentre, per quanto concerne le somme richieste al Mef, dichiarava l’intervenuta prescrizione del diritto al rimborso.
H a proposto appello l’odierna ricorrente , chiedendo la riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui non si riconosceva il diritto ad ottenere la ripetizione delle somme che aveva corrisposto al Mef. Si costitutiva in giudizio il Ministero, riproponendo l’eccezione relativa al difetto di giurisdizione e insistendo nel far valere la prescrizione del diritto.
La C orte d’appello di Roma ha dichiarato il difetto di giurisdizione, sul rilievo che, per le procedure andate a buon fine di sanatoria degli abusi edilizi tramite oblazione, la giurisdizione amministrativa si estende a ogni controversia relativa al rimborso delle somme versate in eccedenza e rilevando anche -ad abundantiam – che il diritto vantato dalla ricorrente è prescritto per il decorso del termine triennale.
Averso la predetta sentenza ha proposto ricorso la COGNOME affidandosi a tre motivi. Il Ministero si è costituito con controricorso.
La causa è stata trattata all’udienza camerale non partecipata del 4 ottobre 2023.
RITENUTO CHE
1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione della legge n. 47 del 1985 in quanto il giudicante avrebbe erroneamente applicato l’art. 35 della predetta legge, trattandosi nel caso di specie di un caso di restituzione di somme non dovute e non di una sanatoria andata a buon fine. La ricorrente deduce di aver chiesto alla pubblica amministrazione l’integrale restituzione delle somme versate per ottenere il condono edilizio dell’immobile di sua proprietà, a seguito di rigetto dell’istanza di condono, di cui ella aveva avuto già una anticipazione (preavviso di rigetto del 16.9.2009), prima della instaurazione del giudizio ex art 702 bis c.p.c., e comunque aveva ricevuto il provvedimento formale di diniego in data 16 giugno 2017, provvedimento depositato all’udienza del 14 novembre 2017, di discussione ex 281 sexies c.p.c. davanti alla Corte d’appello di Roma. Di contro, il Ministero deduce che, per quanto concerne le controversie relative alle procedure andate a buon fine di sanatoria per abusi edilizi tramite oblazione, la giurisdizione spetta in capo al giudice amministrativo, secondo quanto dispone l’art. 35 L. 47/1985 .
2.- Il motivo è fondato.
Preliminarmente si osserva che pur trattandosi di una questione di giurisdizione il processo può essere trattato in sezione semplice poiché l’art. 374 c.p.c. va interpretato nel senso che, tranne nei casi di impugnazione delle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, i ricorsi che pongono questioni di
giurisdizione possono essere trattati dalle sezioni semplici allorché sulla regola finale di riparto della giurisdizione “si sono già pronunciate le sezioni unite”, ovvero sussistono ragioni di inammissibilità inerenti alla modalità di formulazione del motivo (ad esempio, per inosservanza dei requisiti di cui all’art. 366 c.p.c., difetto di specificità, di interesse etc.) ed all’esistenza di un giudicato sulla giurisdizione (esterno o interno, esplicito o implicito), costituendo questione di giurisdizione anche la verifica in ordine alla formazione del giudicato (Cass. sez. un. 1599/2022). Nella fattispecie sulla specifica questione le sezioni unite di questa Corte si sono già pronunciate enunciando un principio che la Corte di merito ha trascurato di applicare ; il giudice d’appello, infatti, ha applicato il principio proprio delle procedure andate a buon fine e non quello pertinente alla fattispecie concreta.
La parte lamenta infatti che la causa sia stata trattata travisando il senso della sua richiesta, poiché il rimborso era stato chiesto sul presupposto del rigetto della domanda di sanatoria; scansiona in ricorso il verbale dell’udienza di discussione svoltasi ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c. (scansione comunque non necessaria perché il verbale fa parte della sentenza impugnata) dal quale risulta che in quella occasione essa ha depositato l’istanza di rigetto definitivo.
Pertanto la Corte di merito, già consapevole della sussistenza di un preavviso di rigetto precedente alla instaurazione del giudizio, esplicitamente menzionato alla pagina 2 della sentenza impugnata, è stata informata che la procedura si era ormai definitivamente conclusa in senso negativo; tuttavia non ha valutato questo elemento di fatto nella sua effettiva portata, e cioè per la idoneità a dimostrare che non si trattava di una procedura edilizia andata a buon fine e pertanto non poteva applicarsi l’art . 35 della legge 47/1985, bensì il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite di
questa Corte già nel 2008, secondo il quale la giurisdizione sulla domanda di restituzione dell’oblazione corrisposta per la sanatoria di un immobile abusivo ai sensi della legge 28 febbraio 1985 n. 47, nel caso in cui l’istanza di sanatoria sia stata respinta, non è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, a norma dell’art. 35, comma sedicesimo, della medesima legge, che concerne le controversie sulla regolarità del procedimento di sanatoria e sul rimborso delle somme in eccedenza rispetto alla conclusiva determinazione dell’oblazione da parte del sindaco bensì, in virtù di un’interpretazione costituzionalmente orientata della predetta norma (alla luce dell’art. 103, primo comma, della Costituzione, il quale richiede che la P.A. abbia agito nella veste di autorità), al giudice ordinario. Infatti, in tale caso, la P.A., avendo esaurito il procedimento, stante la definitività del diniego, non è qualificata, in ordine ai tempi e modi della restituzione delle somme, da alcun potere autoritativo e le parti si trovano in posizione sostanzialmente paritaria (Cass. sez. un n. 29291 del 15/12/2008; conf. Cass. sez. un. n. 12899/2013)
3.- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art . 360 n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione della legge 724/1994, in quanto la Corte avrebbe ritenuto erroneamente applicabile alla fattispecie il termine prescrizionale di 36 mesi per il diritto al versamento dell’oblazione
Il motivo è inammissibile.
Le argomentazioni rese dalla Corte di merito sulla prescrizione costituiscono – come peraltro esplicitamente detto in sentenzaargomentazioni ad abundantiam e come tali non aventi contenuto decisorio; il dispositivo infatti dichiara il difetto di giurisdizione con il che il giudice si spoglia di ogni potestas decidendi . Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte è inammissibile, in sede di giudizio di legittimità, il motivo di ricorso che censuri
un’argomentazione della sentenza impugnata svolta ad abundantiam , in quanto la stessa, non costituendo una ratio decidendi della decisione, non spiega alcuna influenza sul dispositivo della stessa e, pertanto, essendo improduttiva di effetti giuridici, la sua impugnazione è priva di interesse ( ex multis v. Cass. 18429 del 08/06/2022).
Con il terzo motivo del ricorso si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. per la condanna alle spese pronunciata a carico della ricorrente nonostante essa Corte si sia dichiarata ‘incompetente’.
Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo del ricorso. Ritenuta infatti la giurisdizione del giudice ordinario, in accoglimento del primo motivo del ricorso, inammissibile il secondo, la sentenza impugnata viene cassata e la causa deve essere rimessa alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione per un nuovo esame nel merito della questione. La Corte d’appello deciderà sulle spese, in esse comprese quelle del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara inammissibile il secondo, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia per un nuovo esame alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 04/10/2023.