Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 25649 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 25649 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11661/2022 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO che li rappresenta e difende
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 818/2022 depositata il 08/03/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 818 del 2022, in riforma della sentenza del Tribunale di Roma ha dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario rimettendo le parti dinanzi al Tribunale di Roma.
La Corte distrettuale ha affermato che è principio di diritto consolidato che ‘le erogazioni eseguite dall’ente pubblico datore di lavoro a carico del RAGIONE_SOCIALE costituiscono prestazioni strettamente inerenti al rapporto di pubblico impiego, con la conseguenza che in caso di controversia in merito la giurisdizione va attribuita, giusta la disciplina transitoria di cui all’art. 69, co. 7 del d.lgs. n.165/2001 (e, prima, dell’omologo art. 45, co. 7 del d.lgs. n. 80/1998), al Giudice amministrativo ovvero del Giudice ordinario a seconda che -rispettivamente – le questioni controverse siano antecedenti ovvero successive al 30 giugno 1998 (v., ex aliis, Cass. S.U. n. 21586/2011)’.
Ha quindi richiamato il principio del petitum sostanziale ai fini del riparto della giurisdizione.
Ha affermato la sussistenza della giurisdizione ordinaria perché ‘Nel caso di specie, che riguarda un rapporto obbligatorio avente a oggetto prestazioni di un RAGIONE_SOCIALE integrativo, la questione sottoposta a vaglio giudiziale è se i pagamenti eseguiti dall’Istit uto -già- datore di lavoro tra il mese di maggio 1999 e il mese di maggio 2016 siano o meno legittimi e, per l’effetto, se in relazione a essi sussista il diritto degli appellanti di ritenerli o, al contrario, il diritto dell’RAGIONE_SOCIALE di
ripeterli. La ‘questione’, dunque, si colloca dopo il discrimine temporale che radica la giurisdizione del Giudice ordinario (in questo senso, v. proprio Cass. S.U. n. 21586/2011, citata). Non rileva in senso opposto l’evenienza che il titolo dei pagamenti oggetto di causa sia fondato su (ovvero negato da) vicende sostanziali o processuali collocabili anche in epoca precedente al detto discrimine temporale, trattandosi di vicende che attengono al merito della controversia e che saranno quindi indagate del Giudice che ha giurisdizione sulla sua cognizione’.
Per la cassazione della sentenza di appello ricorre l’RAGIONE_SOCIALE prospettando due motivi di ricorso.
Resistono con controricorso NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, eredi di NOME COGNOME.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISONE
Viene in rilievo questione di giurisdizione, si rileva quindi che il Collegio è delegato a trattare la questione di giurisdizione in virtù del Decreto del Primo Presidente in data 10 settembre 2018 in quanto essa rientra, nell’ambito delle materie di competenza della sezione lavoro, tra le questioni indicate nel richiamato Decreto sulle quali si è consolidata la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte.
Con il primo motivo di ricorso è dedotta, con riguardo alla giurisdizione, la violazione dell’art. 69 del d.lgs. n. 165 del 2001, in relazione all’art.111 Cost., in particolare primo comma, e in relazione al reg. 44/01, nonché indiretta violazione dell’a rt. 111 Cost, comma 7, in lettura integrata con l’art. 6 CEDU.
Il ricorrente richiama alcune sentenze di questa Corte sul riparto di giurisdizione e afferma che il discrimine temporale nella specie va determinato con riguardo alla data di cessazione del servizio intervenuta per il COGNOME prima del 30 giugno 1998.
La questione dei versamenti a titolo di riliquidazione della pensione integrativa, chiesti in restituzione con diffida 9/11/2016, non ha
eliminato il collegamento con il rapporto di lavoro con conseguente giurisdizione del GA attesa la data di cessazione del rapporto.
3. Il motivo non è fondato.
Deve ribadirsi il principio, reiteratamente affermato da queste Sezioni Unite, secondo cui la giurisdizione si determina sulla base del petitum sostanziale, che va identificato non tanto in funzione della pronuncia che in concreto si chiede al giudice, quanto, piuttosto, della causa petendi , cioè ‘della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati’ (tra le molte, Cass., S.U., n. 618 del 2021, n. 26500 del 2020, n. 6040 del 2019, n. 33212 del 2018, n. 29081 del 2018, n. 11711 del 2016, n. 21677 del 2013, n. 15323 del 2010).
Questa Corte (Cass., S.U., n. 296 del 2000) ha già affermato che poiché la domanda di riliquidazione della pensione integrativa, dall’RAGIONE_SOCIALE corrisposta al proprio personale a mezzo di apposito fondo ed in aggiunta al trattamento pensionistico riguarda spettanza di natura sostanzialmente retributiva, che trovano titolo immediato e diretto nel rapporto di pubblico impiego, sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a conoscere della stessa, sulla base della disposizione transitoria di cui all’art. 45, comma 17, del d. lgs. n. 80 del 1998, trattandosi di controversia, che, seppure introdotta con ricorso depositato successivamente al 1° luglio 1998, è afferente ad una fase del rapporto di pubblico svoltosi anteriormente alla data del 30 giugno 1998, stabilita in quest ‘ ultima norma quale discrimine temporale per il trasferimento alla giurisdizione ordinaria delle controversie in materia di impiego pubblico.
Peraltro, con orientamento consolidato, è stato stabilito che l ‘art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001 fissa il discrimine temporale per il passaggio dalla giurisdizione amministrativa a quella ordinaria alla data del 30 giugno 1998, con riferimento al ‘momento storico’ dell’avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze, in relazione alla cui giuridica rilevanza sia insorta controversia, con la conseguenza
che, ove la lesione del diritto del lavoratore sia prodotta da un atto, provvedimentale o negoziale, deve farsi riferimento all’epoca della sua emanazione, assumendo rilievo, qualora l’Amministrazione si sia pronunciata con una pluralità di atti, lo specifico provvedimento che ha inciso sulla posizione del dipendente, la cui eventuale portata retroattiva non influisce sulla determinazione della giurisdizione.
Ciò significa che occorre far riferimento al momento in cui, in concreto, la pretesa dedotta in giudizio sia divenuta azionabile, muovendo dalla premessa che in tema di pubblico impiego contrattualizzato, la sopravvivenza della giurisdizione del giudice am ministrativo, regolata dall’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, costituisce, nelle intenzioni del legislatore, ipotesi assolutamente eccezionale (vedi, per tutte: Cass. SU n. 7305 del 22/10/2017).
In base a tale ultimo principio deve essere dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario, come ha fatto la Corte d’appello.
Indubbiamente la presente fattispecie ha avuto uno sviluppo peculiare, nel quale ha assunto un ruolo di primo piano la sentenza n. 1992 del 2011 con la quale il Consiglio di Stato, in riforma della sentenza del TAR Lazio n.12052 del 2004, ha rigettato la domanda proposta dagli odierni controricorrenti, per il riconoscimento nella liquidazione del trattamento pensionistico integrativo, dell’indennità di cui all’art.1, comma 1, della legge n. 334 del 1997 .
Sulla base di tale sentenza l” RAGIONE_SOCIALE effettuava diffida in data 9 novembre 2016 per ottenere la restituzione di quanto corrisposto a titolo di integrazione del trattamento pensionistico de quo.
Gli odierni controricorrenti successivamente hanno agito in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma per l’accertamento negativo del debito in relazione ai pagamenti eseguiti dall’Istituto – già- datore di lavoro tra il mese di maggio 1999 e il mese di maggio 2016.
Pertanto, nella specie alla base del credito azionato vi è un rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato del de cuius , svoltosi prima vicende del 30 giugno 1998, ma questa circostanza non rileva per
la individuazione del giudice dotato di giurisdizione perché, come si è detto, a questo fine ciò che conta è il momento storico in cui, in concreto, la pretesa dedotta in giudizio è divenuta azionabile, e non vi sono dubbi sul fatto che questo momento sia successivo al 30 giugno 1998 discutendosi della non ripetibilità di quanto erogato dall’Istituto dal 1999 al 2016 (si v., CEDU decisione dell’11 febbraio 2021, caso Casarin c/Italia e Corte cost. sentenza n. 8 del 2023).
Con il secondo motivo di ricorso è dedotto il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 5, cpc), in relazione alla violazione dei principi di cui all’art.111 Cost e in particolare, del comma 6, in una lettura con l’art. 6 CEDU.
Il ricorrente si duole che le questioni sulla legittimità o meno dei pagamenti, pur decisive e trattate in corso di causa, non sarebbero state approfondite dalla Corte d’Appello.
5. Il motivo è inammissibile.
Il vizio di motivazione denunciabile per cassazione ai fini dell’articolo 360, n. 5, cpc, deve essere relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Di contro il non soddisfacente (o asseritamente incongruente) esame di elementi istruttori (come chiaramente sono i documenti prodotti in giudizio) non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice. Esula, infine, dal vizio di legittimità ex articolo 360, n.5, cpc, qualsiasi contestazione volta a criticare in sé il convincimento che il giudice di merito si è formato, ai sensi dell’articolo 116 del cpc, in esito all’esame del materiale probatorio e al conseguente giudizio di prevalenza degli elementi di fatto da ciò evincibili, perché spetta unicamente al giudice del merito la valutazione della prova e perché
è sempre esclusa in cassazione ogni nuova valutazione dei fatti (cfr., ex aliis , Cass. n.29194 del 2023).
La censura per come prospettata non rientra nel paradigma del vizio denunciato ed è pertanto inammissibile.
Il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto del ricorso, facendo applicazione del principio della ragione più liquida, segue il difetto di rilevanza dell’eccezione di inammissibilità dello stesso proposto dai controricorrenti.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 5.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro