Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 15681 Anno 2024
Civile Ord. Sez. U Num. 15681 Anno 2024
Presidente: COGNOME PASQUALE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso 3843-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Presidente pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso l’Ufficio di Rappresentanza della Regione, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COMUNE RAGIONE_SOCIALE CAGLIARI , in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE E LE ATTIVITA’ CULTURALI ;
R.G.N. 3843/2023 Ud. 27/02/2024
– intimato – avverso la sentenza n. 322/2022 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 06/07/2022.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO Procuratore NOME COGNOME, il quale chiede l ‘ accoglimento del ricorso e l ‘ affermazione della giurisdizione del Giudice amministrativo.
FATTI DI CAUSA
1. ─ E’ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di Cagliari con cui è stato dichiarato che spetta al giudice ordinario conoscere delle domande spiegate dal Comune del capoluogo sardo nei confronti della Regione RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE e del RAGIONE_SOCIALE. Tale domanda si inseriva nella controversia introdotta da RAGIONE_SOCIALE innanzi al Tribunale di Cagliari: controversia che aveva ad oggetto il risarcimento dei danni per i maggiori oneri sopportati dalla detta società con riferimento alla durata dei lavori ad essa affidati dal Comune di Cagliari. Per la precisione, l ‘ appaltatrice aveva lamentato plurime sospensioni illegittimamente disposte da parte dell’ente committente, al quale era stata imputata l’inadeguata gestione dei rapporti con altre Amministrazioni: la Regione RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE e il RAGIONE_SOCIALE. In tale giudizio il Comune di Cagliari aveva richiesto e ottenuto la chiamata in causa delle predette Amministrazioni perché venissero condannate al pagamento delle somme eventualmente riconosciute all’attrice all’esito del giudizio: e ciò sul presupposto che i ritardi fossero ad esse ascrivibili.
2. La pronuncia della Corte di appello è di opposto segno
rispetto a quella del Tribunale, il quale aveva ritenuto che la giurisdizione sulla domanda di manleva spettasse al giudice amministrativo.
Secondo la Corte distrettuale «il Comune di Cagliari non ha posto a fondamento di tale domanda l’illegittimità dei provvedimenti assunti dalla Regione e dal RAGIONE_SOCIALE né ha domandato il risarcimento dei danni ad esso conseguenti per tale illegittimità, ma ha sostenuto che detti provvedimenti costituivano una causa di forza maggiore: il che pertanto escludeva che il Comune «potesse ritenersi inadempiente alle obbligazioni assunte con il contratto di appalto stipulato con la RAGIONE_SOCIALE» . In tal senso – ha spiegato il Giudice di appello – « la chiamata in causa delle A mministrazioni non aveva quale titolo l’allegazione dell’illegittimità dei provvedimenti da esse emanati e con essa non è stata proposta la domanda del risarcimento dei danni conseguenti a tale illegittimità, così come invece affermato dal Tribunale, quanto piuttosto l’allegazione della sussistenza di un factum principis al quale era riferibile l’anomalo andamento del rapporto di appalto , con la conseguenza che le pretese risarcitorie dell’appaltatore direttamente o indirettamente -dovevano essere poste a carico delle amministrazioni che avevano determinato l’insorgenza di una forza maggiore, esimente per essa debitrice».
Il ricorso per cassazione della Regione RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE si fonda su due motivi; resiste con controricorso il Comune di Cagliari.
Il Pubblico RAGIONE_SOCIALE ha concluso per l’accoglimento del ricorso. La Regione RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
RAGIONI RAGIONE_SOCIALE DECISIONE
1. Col primo motivo si oppone la violazione o falsa applicazione degli artt. 7, commi 1 e 4, e 30 c.p.a.. Viene rilevato che il Comune, nella chiamata di terzo, aveva invocato come causa di forza maggiore, esimente dalla propria eventuale responsabilità per i ritardi accertati, una serie di atti regionali e ministeriali con i quali erano stati adottati i
vincoli RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE aventi effetto anche nelle aree interessate dall’appalto: atti che erano pacificamente riconducibili all’esercizio di poteri autoritativi. La parte ricorrente deduce che l’accertamento di tale responsabilità, unitamente alla previa verifica della legittimità dei provvedimenti dai quali la medesima fosse derivata, non può che essere demandato alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Col secondo mezzo la Regione denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 30, comma 2, c.p.a., 2043 c.c. e 386 c.p.c.. Rileva, in sintesi, che l’unico titolo di responsabilità che giustificherebbe la chiamata in causa avrebbe natura extracontrattuale e che l’accertamento di tale responsabilità per i danni derivanti dai provvedimenti adottati, i quali avrebbero provocato l’impossibilità di realizzare i lavori, rientrerebbe necessariamente nell’ambito di giurisdizione del giudice amministrativo. Si evidenzia, in proposito, come il comma 2 dell’art. 30 del c.p.a. rafforzi il precetto generale dell’art. 2043 c.c. delineando una condanna al risarcimento del danno ingiusto della pubblica amministrazione derivante dell’illegittimo esercizio dell’RAGIONE_SOCIALE amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria; si assume che la Corte di appello avrebbe inteso invece svincolare la chiamata in causa dall’ illegittimità dei provvedimenti amministrativi i quali, nondimeno, sono stati contraddittoriamente apprezzati quale fonte di responsabilità per le amministrazioni convenute.
I due motivi si prestano a una trattazione congiunta e appaiono fondati.
Come rammentato nel proprio controricorso dal Comune, la società RAGIONE_SOCIALE aveva agito in giudizio per ottenere la condanna al risarcimento del danno iscritto in quindici riserve di contabilità: danno derivante da diverse sospensioni, parziali o totali, dei lavori programmati nel contratto di appalto. Lo stesso Comune eccepì essersi
trattato, per quanto qui rileva, di sospensioni dei lavori disposte a seguito dei provvedimenti emessi dall’RAGIONE_SOCIALE, della RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE; chiese, quindi, di essere autorizzato a chiamare in causa la Regione e il RAGIONE_SOCIALE, cui erano riferibili i provvedimenti che determinarono il prolungato stallo delle RAGIONE_SOCIALE, proprio in quanto intendeva riversare su tali soggettività le conseguenze di una propria eventuale soccombenza.
Ora, ai fini del riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva il petitum sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi , ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione (Cass. Sez. U. 31 luglio 2018, n. 20350; cfr. pure, tra le tante: Cass. Sez. U. 7 settembre 2018, n. 21928; Cass. Sez. U. 15 settembre 2017, n. 21522; Cass. Sez. U. 11 ottobre 2011, n. 20902).
Come si legge nel provvedimento impugnato (pagg. 4 s.), il Comune aveva sostenuto che la Regione RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE era responsabile dei danni cagionati alla società appaltatrice «per aver la stessa adottato una serie di provvedimenti illegittimi» (tra cui una proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area ) che avevano comportato plurime sospensioni dei lavori; sempre secondo il Comune, la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE presso il RAGIONE_SOCIALE per i RAGIONE_SOCIALE e le RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva poi concorso alla causazione dei ritardi con l’emanazione di un decreto che aveva sottoposto il «complesso minerario di Tuvixeddu» alle disposizioni di tutela previste dal d.lgs. n. 42 del 2004: decreto che, nella prospettazione del Comune, aveva finito per ostacolare – si intende, anche in questo caso illegittimamente, non avendo altrimenti
senso la rivalsa azionata nei confronti del chiamato in causa per i ritardi lamentati -la realizzazione del progetto.
Appare evidente, in conseguenza, che il titolo per agire in manleva nei confronti delle citate Amministrazioni fosse proprio l’ illegittimità di tali provvedimenti.
Tale prospettazione si coniuga con la giurisdizione del giudice amministrativo. Infatti, la giurisdizione del giudice ordinario si configura nelle controversie in cui si denunci un comportamento della PRAGIONE_SOCIALE privo di ogni interferenza con un atto autoritativo, non potendosi reputare neanche mediatamente espressione dell’esercizio del potere autoritativo, o quando l’atto o il provvedimento di cui la condotta dell’amministrazione sia esecuzione non costituisca oggetto del giudizio, facendosi valere unicamente l’illiceità del comportamento d el soggetto pubblico ex art. 2043 c.c., suscettibile di incidere su posizioni di diritto soggettivo del privato (Cass. Sez. U. 29 dicembre 2016, n. 27455; in senso conforme, di recente: Cass. Sez. 1 marzo 2023, n. 6100; Cass. Sez. U. 8 aprile 2022, n. 11451, non massimata in CED ): non, quindi, laddove si deduca l’illegittimo esercizio de lle potestà pubblicistiche.
L ‘affermazione, contenuta nel la sentenza impugnata, per cui il Comune di Cagliari non avrebbe posto a fondamento della domanda l’illegittimità dei provvedimenti della Regione e del RAGIONE_SOCIALE, ma si sarebbe limitata a sostenere che gli stessi costituissero causa di forza maggiore, ovvero integrassero gli estremi del factum principis , non merita condivisione, in quanto smentita dalla posizione assunta dal Comune nei confronti delle chiamate in causa. L’assunto riflette, per la verità, una tesi nemmeno sostenibile sul piano teorico. Per avanzare una pretesa nei confronti della Regione e del RAGIONE_SOCIALE il Comune doveva poter innestare detta pretesa su di un titolo; ritenere che la forza maggiore, che può appunto dipendere dal factum principis , svolgesse detta funzione non ha evidentemente senso: la forza
maggiore esauriva infatti la propria portata sul piano dell’obbligazione principale tra committente e appaltatrice, escludendo, nel caso fosse stata positivamente riscontrata, la responsabilità della prima; non poteva invece fondare la pretesa azionata nei confronti delle chiamate in causa: a tal fine era necessario allegare e provare l’esistenza di un atto o di un fatto che assurgesse ad RAGIONE_SOCIALE fonte dell’obbligazione intercorrente tra il Comune, da un lato, e la Regione e il RAGIONE_SOCIALE, dall’altro.
Non è parimenti concludente il richiamo, operato nella sentenza impugnata, all’arresto di Cass. 23 maggio 1967, n. 1118, secondo cui ove si contenda fra le parti se un atto amministrativo possa essere invocato o meno come motivo di risoluzione di un rapporto negoziale, l’accertamento diretto a stabilire se esso, in quanto non causato da violazione di legge o del negozio, possa assimilarsi al factum principis ovvero se sia stato invece determinato dal fatto colposo della parte (difforme dagli obblighi assunti nel negozio di diritto privato) nei cui confronti venne emanato, costituisce una indagine che può essere liberamente effettuata dal giudice ordinario, posto che le ragioni contenute nel provvedimento amministrativo assumono, sul piano processuale, il valore di meri elementi probatori suscettibili di prova contraria. Il detto principio opera, infatti, con riguardo alla fattispecie indicata: con riferimento, cioè, alla lite, tra le parti di un rapporto contrattuale, vertente sulla risoluzione del negozio che le riguarda; non vale certamente a escludere la giurisdizione del giudice amministrativo nella causa introdotta dalla domanda di manleva con cui una di dette parti denunci l’illegittimo esercizio di potestà pubblicistiche da parte del chiamato in causa.
La sentenza va quindi cassata e la causa deve essere riassunta avanti al giudice amministrativo munito di giurisdizione.
– Le spese del giudizio di legittimità saranno regolate dal detto giudice.
P.Q.M.
La Corte
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo, rinviando al TAR territorialmente competente; rimette la decisione sulle spese processuali al giudizio di merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite