Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 7355 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 7355 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8334/2019 R.G. proposto da:
NOME COGNOME , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ope legis dall’RAGIONE_SOCIALE presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO
Oggetto: Pubblico impiego – Personale NATO – Missioni speciali NATO – Bosnia Herzegovina – Differenze retributive – Giurisdizione
R.G.N. 8334/2019
Ud. 21/02/2024 CC
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 3770/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 12/09/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 21/02/2024 dal AVV_NOTAIO.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 3770/2017 pubblicata il 12 settembre 2018, la Corte d’Appello di Roma, nella regolare costituzione dell’appellato RAGIONE_SOCIALE, ha respinto il gravame proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Roma del 16 maggio 2014.
NOME COGNOME, cittadina bosniaca, aveva lavorato dal 4 settembre 1998 al 20 dicembre 2010 alle dipendenze del RAGIONE_SOCIALE in Bosnia Herzegovina, ad aveva agito innanzi il Tribunale capitolino per ottenere la condanna del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle differenze retributive rispetto al trattamento riconosciuto dal CCNL per il personale civile a statuto locale dei comandi NATO in Italia e del TFR nonché per il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali
Dichiarato dal Tribunale di Roma il difetto di giurisdizione del giudice italiano e proposto appello da parte di NOME COGNOME, la Corte d’appello ha disatteso il gravame rilevando preliminarmente la necessità di tenere distinti i profili attinenti la giurisdizione da quelli concernenti l’individuazione della legge applicabile.
Operata tale premessa, la Corte d’appello ha affermato che la giurisdizione sulla controversia doveva essere individuata sulla scorta della Convenzione sulle missioni speciali NATO – sottoscritta a New York il giorno 8 dicembre 1969 e ratificata anche dalla Bosnia Herzegovina –
a mente del cui art. 40 lo Stato ospitante esercita la propria giurisdizione sui cittadini dello stesso Stato che fanno parte della missione.
La Corte d’appello ha altresì richiamato la Convenzione di Londra del 19 giugno 1951, ritenuta applicabile anche alla Repubblica di Bosnia Herzegovina, avendo quest’ultima aderito alla convenzione nel 2008 ed operando il principio generale di cui all’art. 5 c.p.c.
La Corte capitolina, quindi, ha concluso che non solo non sussisteva la giurisdizione del giudice italiano, ma anche al rapporto di lavoro non era applicabile la legge italiana, sussistendo invece la giurisdizione della Bosnia Herzegovina e l’applicazione della relativa legislazione.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma ricorre NOME COGNOME.
Resiste con controricorso il RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380 bis.1, c.p.c.
La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a tre motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce la ‘violazione e falsa applicazione della Convenzione di Londra, ratificata dall’Italia con legge 30.11.1995, n. 1335 ed in particolare dell’art. 9, n. 4, cui la Bosnia Erzegovina ha aderito solo nel 2008. Disapplicazione della Convenzione di Londra e di tutt i i trattati internazionali richiamati nell’impugnata sentenza di appello, per la loro manifesta contrarietà ai principi di ordine pubblico internazionale ed interno’ , lamentando la non conformità a diritto della statuizione della Corte territoriale relativa all’applicazione della Convenzione di Londra per contrasto con l’ordine
pubblico e per essere l’adesione della Bosnia Erzegovina intervenuta solo nel 2008.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, testualmente, ‘insufficiente, erronea e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia’ , impugnando la decisione della Corte d’appello in quanto la stessa non avrebbe valutato l’eccezione di nullità dei contratti sottoscritti, e per non aver rilevato che la controversia non era arbitrabile, essendo il procedimento arbitrale nullo ‘perché privo del principio del giusto processo (art. 111 Cost.)’ .
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, la ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 9, comma 1 -bis del T.U. sulle spese di giustizia (DPR 115/2002), così come modificato dall’art. 37, comma 6, del D.L. n. 98 del 6 luglio 2011, convertito in legge n. 111 del 16 luglio 2011’ , per non avere rilevato che la controversia era esonerata dal pagamento del contributo unificato e per aver omesso di valutare la dichiarazione sul reddito familiare che comportava l’esenzione ex art. 152 disp. att. c.p.c.
In via preliminare va precisato che il Collegio è delegato a trattare la questione di giurisdizione posta con il ricorso in virtù del decreto del Primo Presidente in data 10 settembre 2018, in quanto essa rientra, nell’ambito delle materie di competenza della sezione lavoro, tra le questioni indicate nel richiamato decreto sulle quali si è consolidata la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
Questa Corte -dapprima con decisione a Sezioni Unite (Cass. Sez. U – Sentenza n. 8228 del 22/03/2019) e poi con una nutrita serie di ulteriori decisioni, in alcuni casi assunte su ricorsi dal contenuto sovrapponibile a quello del ricorso ora in esame (tra le quali Cass. Sez. L, Ordinanza n. 29854 del 2023; Cass. Sez. L, Ordinanza n. 34618 del
2022; Cass. Sez. L, Sentenza n. 30525 del 2021; Cass. Sez. L, Ordinanza n. 11760 del 2021; Cass. Sez. L, Ordinanza n. 11638 del 2021; Cass. Sez. L, Sentenza n. 4413 del 2021) e le cui motivazioni vengono qui richiamate anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c. -ha ormai da tempo chiarito che, ai fini della decisione delle controversie relative al lavoro prestato in favore degli organi militari e degli uffici civili dei paesi aderenti alla NATO, occorre fare riferimento all’art. 9, n. 4), della Convenzione di Londra, resa esecutiva in Italia con legge 30.11.1955, n. 1335, secondo cui le esigenze locali in materia di manodopera civile di una forza militare o di un elemento civile sono soddisfatte allo stesso modo di quelle dei servizi analoghi dello Stato ricevente, con la loro assistenza e per il tramite dei servizi della manodopera.
Le condizioni di impiego e di lavoro, in particolare i salari e gli accessori di salari, le condizioni per la protezione dei lavoratori (c.d. personale a statuto locale) sono regolamentate in conformità alla legislazione in vigore dello Stato ricevente e tali lavoratori civili impiegati da una forza armata o da un elemento civile non sono in alcun caso considerati come membri di tale forza armata o di detto elemento civile.
Da ciò consegue che la domanda relativa al rapporto di lavoro proposta da un cittadino dello Stato di soggiorno, che sia colà residente e la cui assunzione sia avvenuta per il soddisfacimento delle esigenze locali della Forza italiana, appartiene alla giurisdizione del giudice dello Stato di soggiorno.
Tale principio trova applicazione anche nel caso in esame, in quanto la Bosnia Erzegovina, in data 1° febbraio 2008, ha ratificato la Convenzione tra gli Stati parte del Trattato Atlantico del Nord e gli altri partecipanti al Partenariato per la pace, relativa allo statuto delle loro
forze, conclusa a Bruxelles il 19 giugno 1955, in forza della quale gli Stati aderenti si impegnano (art. 1) all’applicazione delle disposizioni recate, appunto, dalla Convenzione di Londra del 19 giugno 1951.
Ai principi sin qui richiamati la decisione impugnata si è pienamente conformata, con conseguente rigetto del motivo e conferma della giurisdizione della Bosnia Erzegovina sulle domande proposte dalla parte ricorrente, attenendo al merito ogni questione circa la fondatezza delle stesse.
Il difetto di giurisdizione del giudice italiano preclude invece di prendere in considerazione le doglianze espresse nel secondo motivo.
Il terzo motivo di ricorso è, parimenti, privo di pregio.
In primo luogo, l’invocato disposto di cui all’art. 152 disp. att. c.p.c. è applicabile unicamente nei giudizi aventi ad oggetto prestazioni previdenziali o assistenziali.
In secondo luogo, vanno ribaditi i principi già fissati da questa Corte a Sezioni Unite (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
La debenza dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato è normativamente condizionata a due presupposti.
Il primo, di natura processuale è costituito dall’adozione di una pronuncia di integrale rigetto o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, la cui sussistenza -in ragione dei ‘dubbi sulla ricorrenza di una fattispecie di integrale rigetto o di inammissibilità o di improcedibilità dell’impugnazione ‘ (così sempre Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020) – è oggetto dell’attestazione resa dal giudice dell’impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002 , la quale prescinde dall’accertamento dell ‘effettiva debenza ab origine del contributo unificato -e ciò perchè, come chiarito dalla stesse Sezioni Unite, ‘ in ragione della natura tributaria del contributo unificato, il giudice della causa non è mai
chiamato a pronunciarsi sulla debenza del medesimo al momento dell’iscrizione della causa a ruolo, che è questione di competenza esclusiva dell’amministrazione giudiziaria’ -dovendo il giudice dell’impugnazione unicamente attestare la riconducibilità della pronuncia adottata nell’ambito delle ipotesi di legge , e cioè attestare l’astratta sussistenza del presupposto di insorgenza dell’obbligazione tributaria di versamento del doppio contributo.
Il secondo, di diritto sostanziale tributario, consiste nell’obbligo della parte impugnante di versare il contributo unificato iniziale, presentando, peraltro, detto obbligo natura di debito tributario – in quanto partecipa della natura del contributo unificato iniziale ed è volto a ristorare l’amministrazione della Giustizia dei costi sopportati per la trattazione della controversia -l’accertamento della cui debenza è estraneo alla cognizione della giurisdizione civile ordinaria, spettando invece alla giurisdizione del giudice tributario.
Da ciò consegue che l’attestazione resa dal giudice dell’impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002 non contiene un accertamento in ordine alla debenza del contributo unificato -e quindi neppure del suo raddoppiamento – ma solo l’attestazione della sussistenza dello specifico presupposto processuale , da ciò derivando l’ inammissibilità del motivo di ricorso che venga a fondare la censura di una decisione di merito sulla deduzione del l’insussistenza dell’obbligo di versamento del contributo unificato.
Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia -e richiamato quanto appena illustrato sul punto – va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 2.800,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale in data 21 febbraio