Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7152 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7152 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10844/2020 R.G. proposto da : ROMA CAPITALE, elettivamente domiciliato in ROMA VINDIRIZZO DI GIOVE 21, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 644/2020 depositata il 29/01/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/02/2025
dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La presente controversia trae la propria origine dalla domanda proposta da RAGIONE_SOCIALE (già Ferrovie dello Stato) nei confronti di Roma Capitale, volta ad ottenere il pagamento della somma di € 875.176, 00 oltre accessori, per l’autorizzazione concessa fin dal 24.1.2000 all’allora Comune di Roma dalle Ferrovie dello Stato per procedere alla realizzazione di un attraversamento ferroviario con scatolari in cemento armato della linea ferroviaria Roma-Formia al chilometro 8+279, nell’ambito dei lavori di sistemazione idraulica del fosso dell’Acqua Marian, affidati in appalto a seguito di gara pubblica.
RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi RAGIONE_SOCIALE) aveva evidenziato il comportamento contrario a buona fede tenuto dal Comune di Roma che, in un primo momento, aveva chiesto ed ottenuto l’autorizzazione alla realizzazione dell’attraversamento ferroviario, concordando con RAGIONE_SOCIALE modalità, termini e costi per la realizzazione dell’opera, e, successivamente, dopo aver portato a compimento i lavori, non aveva mai provveduto al pagamento di quanto dovuto, omettendo di formalizzare l’accordo e di sottoscrivere la relativa convenzione.
La RFI aveva chiesto, in subordine, la condanna di Roma Capitale al pagamento della somma ritenuta di giustizia a titolo di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c. e/o ex art. 2043 c.c.. Il Tribunale di Roma ha accolto l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario sollevata da Roma Capitale, ritenendo che la
questione appartenesse alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 655/2020, depositata il 29.1.2020, in riforma della sentenza n. 3538/2015 del Tribunale di Roma, ha dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario ed ha rimesso le parti davanti al primo giudice per la riassunzione del processo.
Il giudice di secondo grado ha evidenziato che la circostanza che l’accordo fosse stato concluso nella fase esecutiva dell’opera deliberata da Roma Capitale non fosse idonea a qualificarlo come atto in materia urbanistica, di uso del territorio ed edilizia, trattandosi semplicemente della regolamentazione di un rapporto meramente patrimoniale occasionato dalla necessità di rivolvere un’interferenza nella realizzazione di un’opera pubblica, in relazione alla quale non rilevavano scelte discrezionali della P.A., né vi era stato il ricorso a strumenti autoritativi, neppure dedotti da Roma Capitale con riferimento all’accordo stesso.
In particolare, il Comune di Roma aveva chiesto (ed ottenuto) l’autorizzazione all’attraversamento della linea Roma Formia a fronte del rimborso dei costi per l’istruttoria della pratica, sorveglianza lavori, collaudo, rallentamento treni e canone annuo e l’accordo non aveva alcuna incidenza sull’uso del territorio, che era, invece, stato oggetto del procedimento amministrativo riguardante la realizzazione dell’opera pubblica, non incidendo neppure sui beni dell’allora Ente Ferrovie dello Stato, ma solo sulla regolarità della sua attività di concessionario di pubblico servizio.
Infine, l’accordo in esame non poteva ritenersi integrativo o sostitutivo della procedura amministrativa inerente la realizzazione dell’opera, non concorrendo a determinare il contenuto del provvedimento finale già in sé compiuto, ma intervenendo nella fase esecutiva dell’opera al fine di risolvere un’interferenza. Lo stesso accordo era espressione di una facoltà improntata ad un
rapporto paritario senza esplicazione di specifici poteri pubblici né di discrezionalità amministrativa.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione Roma Capitale, affidandolo ad un unico articolato motivo.
RFI ha resistito in giudizio con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato le memorie ex art. 380 bis. 1 c.p.c..
RAGIONE DELLA DECISIONE
Roma Capitale ha invocato il difetto di giurisdizione del giudice adito.
Espone la ricorrente che il petitum sostanziale originario di RFI non verteva sulla mancata conclusione di un contratto in senso civilistico, ma sulla mancata conclusione di una convenzione unilateralmente predisposta dall’Ente RAGIONE_SOCIALE nell’ambito dei suoi poteri pubblicistici derivanti dalla concessione ferroviaria.
Inoltre, evidenzia la ricorrente che dallo scambio epistolare tra le parti non emergeva alcuna contrattazione tra R.F.I. e l’Amministrazione, essendo la convenzione stata disposta in aperto esercizio della discrezionalità del Comune di Roma, tale da non poter essere considerato un rapporto meramente patrimoniale. In ogni caso, l’accordo in oggetto rientrava negli accordi di cooperazione previsti dall’art. 11 d.lgs n. 163/2006.
Infine, la ricorrente contesta l’affermazione della Corte d’Appello, secondo cui l’accordo in oggetto non poteva ritenersi integrativo o sostitutivo della procedura amministrativa inerente la realizzazione dell’opera, emergendo da una più approfondita lettura della documentazione versata in atti la necessità di regolare amministrativamente e tecnicamente l’attraversamento ferroviario in relazione alle diverse modalità dovute ai vincoli della Soprintendenza.
Il ricorso presenta concomitanti profili di inammissibilità ed infondatezza.
Va preliminarmente osservato che questo Collegio può affrontare la questione di giurisdizione oggetto del ricorso -non essendo necessaria devolverla alle Sezioni Unite di questa Corte – non potendo ritenersi nuova la questione di giurisdizione sulla quale risultano chiari principi informatori risultanti dalle pronunce delle Sezioni Unite, ancorché non ritagliate sullo specifico caso, suscettibili di rappresentare una guida orientativa alle Sezioni Semplici, a norma dell’art. 374 comma 1° ultima parte c.p.c., e di fornire loro precise indicazioni (vedi, analogamente, il recente decreto del Primo Presidente della Cassazione n. 13749/2024, pronunciato a norma dell’art. 363 bis c.p.c., in cui è stato affermato il principio che una questione non presenta il requisito della grave difficoltà interpretativa, richiesta per l’ammissibilità del rinvio pregiudiziale, ove nella giurisprudenza della Corte di Cassazione si rinvenga l’enunciazione dei principi suscettibili di orientare la risoluzione del dubbio posto dal rimettente).
Va, in primo luogo, evidenziato che dalla ricostruzione della Corte d’Appello, emerge che RAGIONE_SOCIALE ha invocato un comportamento contrario a buona fede tenuto dal Comune di Roma che, in un primo momento, ha chiesto ed ottenuto l’autorizzazione alla realizzazione dell’attraversamento ferroviario, concordando con RAGIONE_SOCIALE modalità, termini, e costi per la realizzazione dell’opera, e, successivamente, dopo aver portato a compimento i lavori, non aveva mai provveduto al pagamento di quanto dovuto, omettendo di formalizzare l’accordo e di sottoscrivere la relativa convenzione. La Corte d’Appello ha, altresì, evidenziato che la relazione tra RFI e l’allora Comune di Roma si era svolta su un piano paritetico senza esplicazione di specifici poteri pubblici né di discrezionalità amministrativa.
Tale ricostruzione è stata contestata da Roma Capitale con censure inammissibili, in quanto involgenti la richiesta di un nuovo sindacato di merito – si assume, in particolare, che RAGIONE_SOCIALE
richiesto l’accertamento dell’illegittimità dell’omissione di formalizzazione della convenzione tra Amministrazione e l’allora RAGIONE_SOCIALE, che l’accordo tra le parti non aveva un contenuto meramente patrimoniale e paritetico, essendo comunque riconducibile all’esercizio dei poteri autoritativi della P.A. – che non hanno considerato che è principio consolidato di questa Corte quello secondo cui il potere di interpretazione e qualificazione della domanda è demandato al giudice di merito, il quale è tenuto ad accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa. Il relativo giudizio, estrinsecandosi in valutazioni discrezionali sul merito della controversia, è sindacabile in sede di legittimità unicamente se sono stati travalicati i detti limiti o per vizio della motivazione (vedi Cass. n. 13602/2019; vedi anche Cass. n. 31546/2019), vizi neppure dedotti dalla ricorrente.
Orbene, alla luce del c.d. petitum sostanziale, che va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, quanto, soprattutto, in funzione della ‘causa petendi ‘, ossia dell’intrinseca della posizione dedotta in giudizio, da individuarsi con riguardo ai fatti allegati (vedi Cass. S.U. 15323/2010; Cass. S.U. 20902/2011; più recentemente, Cass. S.U. 23600/2020; Cass. S.U. 9771/2020; Cass. n. 27325/2024) non vi è dubbio che, nel caso di specie, la giurisdizione appartenga al giudice ordinario, venendo in considerazione, da un lato, un’attività meramente comportamentale e materiale della P.A. l’allora Comune di Roma la quale non ha agito, nemmeno mediatamente, esercitando un potere autoritativo, essendosi limitata a chiedere all’allora RAGIONE_SOCIALE un nulla osta per il rilascio di un autorizzazione per la realizzazione di un attraversamento ferroviario, concordando all’uopo un corrispettivo (nella fase già esecutiva della realizzazione di un’opera pubblica), e, dall’altro, una causa petendi, fondata sulla lesione dell’affidamento ingenerato
dalla P.A. resasi asseritamente responsabile della violazione dei principi di buona fede e correttezza.
Univoci e concordanti sono i precedenti delle Sezioni Unite, che rappresentano una precisa guida orientativa per questo Collegio.
In particolare, le Sezioni Unite (n. 18669/2023; conf. n. 26921/2021), nel richiamare la sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004, hanno affermato che ‘.. condizione ineludibile per configurare la giurisdizione amministrativa, sia di legittimità sia esclusiva, è che la pubblica amministrazione agisca come autorità, e non come «qualsiasi litigante privato», e che oggetto di causa sia sempre la contestazione dell’esercizio del potere in concreto.
In questa prospettiva, la intrinseca natura della situazione giuridica dedotta in giudizio -che, come si è detto, costituisce l’oggetto dell’indagine sul petitum sostanziale -viene a coincidere con la verifica della esistenza o meno di una contestazione in concreto dell’esercizio del potere da parte della pubblica amministrazioneautorità, contestazione che costituisce condizione ineludibile per radicare la giurisdizione amministrativa.
Non è quindi la generica inerenza dell’oggetto della controversia a una «materia» tra quelle elencate nell’art. 133, cod. proc. amm., a far radicare la giurisdizione esclusiva, ma la contestazione delle modalità di esercizio del potere concretamente esercitato dalla pubblica amministrazione in quella materia …’.
La pronuncia delle S.U. n. 18669/2023 ha esaminato una fattispecie in cui -analogamente al caso in esame – era stata posta a fondamento della domanda la lesione dell’affidamento del soggetto privato, ingenerato dal comportamento della pubblica amministrazione, contrario ai canoni di correttezza e buona fede.
Anche nell’ordinanza n. 8236/2020 le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che ‘Perché sussista la giurisdizione del giudice amministrativo, in definitiva, è necessario, anche nelle materie di giurisdizione esclusiva, che la controversia inerisca ad una
situazione di potere dell’amministrazione. È necessario, cioè, che la causa petendi si radichi nelle modalità di esercizio del potere amministrativo. Ciò non accade quando la causa del danno di cui il privato chiede il risarcimento risieda non nel cattivo esercizio del potere amministrativo, bensì, …, in un comportamento (nel cui ambito l’atto di esercizio del potere amministrativo -provvedimentale o adottato secondo moduli convenzionali – rileva come mero fatto storico) la cui illiceità venga dedotta prescindendo dal modo in cui il potere è stato (o non è stato) esercitato e venga prospettata come violazione di regole comportamentali di buona fede e correttezza alla cui osservanza è tenuto qualunque soggetto, sia esso pubblico o privato…’.
Infine, speculare al caso di specie è quello esaminato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 4948/2015, nella quale il Supremo Collegio ha affermato la giurisdizione del giudice amministrativo nell’ambito di una controversia in cui era stata stipulata una convenzione stipulata tra il Ministero dei Trasporti, ente RAGIONE_SOCIALE e il Comune di Maddaloni nel 1986 per la soppressione di passaggi a livello e per la rinuncia di quest’ultimo ente alla servitù di attraversamento a raso. In particolare, le Sezioni Unite hanno ritenuto che l’accordo rientrasse tra quelli di cui all’art. 15 della L. 7 agosto 1990, n. 241, come tale soggetto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per effetto del richiamo alla citata Legge, art. 11, (comma 5), in quanto la controversia non atteneva ad aspetti meramente patrimoniali del rapporto regolati dall’autonomia negoziale per la composizione di contrapposti interessi, ma involgeva, invece, valutazioni tecniche strettamente inerenti al momento funzionale di esso, poiché la violazione degli obblighi scaturenti dalla convenzione incideva sulle modalità e sui beni destinati all’esercizio del servizio ferroviario e sulla conformazione e regolamentazione dell’assetto del territorio. In particolare, era emerso dalla ricostruzione della Corte di merito
che, all’esito delle intese raggiunte tra Comune, Regione e Ministero dei Trasporti, era stato depositato il progetto esecutivo dalle Ferrovie dello Stato, sulla cui attuazione, tuttavia, il Comune aveva manifestato il proprio dissenso. Era stata quindi indetta una conferenza dei servizi tra Regione, e Comune e ente F.S. (L. n. 241 del 1990, art. 14), onde “acquisire intese, concerti, nulla osta o assensi”, a conferma del coinvolgimento di molteplici interessi pubblici implicanti scelte e valutazioni tecnico – discrezionali, onde bilanciare la tutela del servizio di viabilità e di quello ferroviario. Il Comune, nel contestare la legittimità dell’attuazione della convenzione, aveva emanato atti autoritativi avvalendosi dei poteri pubblici conferitigli dalla legge per la tutela di interessi pubblici.
Le Sezioni Unite, nella sentenza sopra citata, proprio in relazione a quest’ultimo profilo, hanno ritenuto che, in relazione alla richiesta di R.F.I. di adempimento della convenzione e di risarcimento danni, fosse corretta la declinatoria di giurisdizione del giudice ordinario.
La sentenza impugnata ha richiamato la sentenza sopra citata delle Sezioni Unite, evidenziando, correttamente, che la controversia di cui è causa atteneva (al contrario di quella esaminata dalle S.U.) ad aspetti meramente patrimoniali del rapporto e non involgeva valutazioni tecniche strettamente inerenti al momento funzionale dell’accordo che, peraltro, oltre a non essere stato formalmente consacrato in una convenzione, era stato concluso su un piano paritetico tra le parti, senza che il Comune avesse esercitato i suoi poteri autoritativi.
In una tale situazione, alla luce delle sentenze delle Sezioni Unite sopra richiamate, pienamente condivisibile è la conclusione con cui la sentenza impugnata ha attribuito la giurisdizione della presente controversia al giudice ordinario.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in € 10. 200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I Sezione civile