Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 3605 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 3605 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/02/2024
La Corte di Appello di Bari, in accoglimento dell’impugnazione proposta dalla Regione Puglia, ha riformato la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva accolto il ricorso di NOME COGNOME ed ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
Il ricorrente, dapprima Dirigente Coordinatore dell’Assessorato alla Sanità e successivamente preposto alla direzione dell’RAGIONE_SOCIALE della Regione Puglia, aveva sostenuto che tale RAGIONE_SOCIALE doveva essere qualificato Settore e che la retribuzione di posizione doveva conseguentemente essere pari all’importo annuo di € 41.316,55; considerato che gli era stata corrisposta la minor somma di € 28.405,13 aveva agito in giudizio chiedendo che la Regione venisse condannata al pagamento delle differenze retributive, previa disapplicazione degli atti di macro organizzazione adottati.
La Corte territoriale ha richiamato la delibera della Giunta Regionale n. 973/2001 (di cui non era stata chiesta espressamente la disapplicazione), alla quale avevano fatto seguito le delibere nn. 169/2002 e 10/2003; in forza degli accorpamenti e delle soppressioni effettuate, l’Assessorato all’Ambiente era stato strutturato nel settore Ecologia e Valutazione Impatto ambientale, nel quale era stato ricompreso l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Ciò premesso, ha rilevato che il petitum sostanziale in base al quale si determina la giurisdizione andava individuato nella contestazione del corretto esercizio del potere amministrativo esercitato con l’atto di macro organizzazione, e che doveva pertanto essere esclusa la giurisdizione del giudice ordinario, il quale non avrebbe potuto disapplicare l’atto amministrativo presupposto, in
quanto il potere di disapplicazione presuppone che sia dedotto in causa un diritto soggettivo sul quale abbia inciso un provvedimento amministrativo illegittimo.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, illustrato da memoria, cui ha resistito la Regione Puglia con controricorso.
DIRITTO
L’unico motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 63 del d.lgs. n. 165/2001 in relazione all’art. 360, comma primo, nn. 1 e 3 cod. proc. civ., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Addebita alla Corte territoriale di avere travisato il petitum sostanziale, costituito dalla disapplicazione delle deliberazioni nn. 10 e 11 della Giunta Regionale Puglia e di ogni atto presupposto e consequenziale, e dunque non riferito alla verifica della legittimità del provvedimento di macro-organizzazione in via immediata e diretta, ma alla concreta gestione del rapporto di lavoro.
Precisa che era stato censurato il provvedimento che aveva disposto il passaggio del COGNOME dalla direzione e coordinamento del settore Sanità alla direzione dell’RAGIONE_SOCIALE rifiuti con riconoscimento della retribuzione di posizione di III fascia, inferiore a quella di I fascia percepita fino al 31.3.2003 ed era stata chiesta la condanna della Regione Puglia alla corresponsione delle differenze retributive dovute; evidenzia che l’impugnazione degli atti di macroorganizzazione presupposti era stata proposta al solo fine di sostenere l’infondatezza dei successivi atti di gestione del rapporto, costituiti dalle delibere della Giunta Regionale nn. 2121/2003 e 20/2004 e dalle determinazioni dirigenziali nn. 234/2004 e 286/2004.
Aggiunge che i provvedimenti impugnati non hanno introdotto alcuna innovazione nell’organizzazione regionale, in quanto finalizzati alla determinazione e alla liquidazione della retribuzione di posizione (già realizzata con la delibera n. 10/2003 esaminata con la sentenza del TAR n. 465/2003),
riguardano direttamente ed esclusivamente il rapporto di lavoro del COGNOME e degli altri dirigenti della Regione Puglia.
Occorre preliminarmente rilevare che con decreto del 10 settembre 2018 il Primo Presidente di questa Corte, rilevato che si sono formati orientamenti ormai consolidati sulle questioni di giurisdizione nella materia del pubblico impiego contrattualizzato, ha assegnato alla Sezione Lavoro i ricorsi per cassazione avverso le sentenze di giudici ordinari che affrontano dette questioni.
Ciò premesso, il ricorso è fondato.
Ai sensi dell’art. 63 c. 1 del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 “sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, ad eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro di cui al comma 4, incluse le controversie concernenti l’assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti. Quando questi ultimi siano rilevanti ai fini della decisione, il giudice li disapplica, se illegittimi. L’impugnazione davanti al giudice amministrativo dell’atto amministrativo rilevante nella controversia non è causa di sospensione del processo”.
Le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 7032/2021 hanno ribadito i principi espressi da Cass. S.U. n. 1484/2006, secondo cui “la giurisdizione del giudice ordinario o di quello amministrativo deve essere in concreto identificata non già in base al criterio della soggettiva prospettazione della domanda, ma alla stregua del c.d. “petitum” sostanziale, ossia considerando l’intrinseca consistenza della posizione soggettiva addotta in giudizio ed individuata dal giudice stesso con riguardo alla sostanziale protezione accordata a quest’ultima dal diritto positivo. In proposito, inoltre, non rileva che la pretesa giudiziale sia stata prospettata come richiesta di annullamento di un atto amministrativo, siccome l’individuazione della giurisdizione è determinata dall’oggetto della domanda, il quale deve essere inquadrato, in base al suddetto
criterio del “petitum” sostanziale, all’esito dell’indagine sull’effettiva natura della controversia in relazione alle caratteristiche del particolare rapporto fatto valere in giudizio” e ciò anche quando vengano in considerazione atti amministrativi presupposti illegittimi incidenti sulle situazioni soggettive oggetto della controversia (Sez. U. n. 32625 del 17/12/2018 “In tema di pubblico impiego privatizzato, la controversia relativa ad una pretesa attinente ad un rapporto di lavoro, che riguardi quindi un diritto soggettivo, rispetto alla quale un atto amministrativo di organizzazione, di cui si contesti la legittimità, costituisca un mero atto presupposto, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, rilevando a tali fini il “petitum” sostanziale che va individuato sulla base delle caratteristiche del rapporto dedotto in giudizio – nella specie, il ricorrente aveva impugnato la revoca di un incarico dirigenziale lamentando l’illegittima soppressione del dipartimento cui era preposto)”.
Ciò premesso, nella vicenda in esame il petitum sostanziale è volto al riconoscimento del diritto del dirigente a percepire la retribuzione di posizione in conformità alle previsioni della contrattazione collettiva; viene dunque in rilievo un diritto soggettivo rispetto al quale l’atto amministrativo presupposto può essere disapplicato dal giudice ordinario, in quanto lesivo del diritto stesso nella sua consistenza.
La controversia si fonda sulla titolarità del diritto soggettivo alla retribuzione e la contestazione investe la corretta classificazione dell’ufficio per conseguire un incremento della retribuzione di posizione, sicché gli atti amministrativi vengono in rilievo come lesivi del diritto azionato.
Trovano dunque applicazione mutatis mutandis i medesimi principi espressi da Cass. n. 33975/2023, in una fattispecie in cui il ricorrente aveva lamentato la violazione dei criteri di ripartizione fra i dirigenti in servizio per una determinata annualità e sulla determinazione dell’ammontare dell’apposito fondo secondo le somme appostate e residuate dagli anni precedenti ed aveva agito per rivendicare il proprio diritto alla retribuzione di risultato.
Tale interpretazione è pienamente in linea con la più recente giurisprudenza di questa Corte, che ha riconosciuto la giurisdizione del giudice ordinario in
contro
versie promosse dai dipendenti per ottenere la condanna del datore di lavoro al pagamento delle differenze retributive in relazione alle quote residue di fondi contrattuali, in quanto si prospetta «la lesione del diritto soggettivo al pagamento di differenze sulla retribuzione, rispetto alla quale la illegittimità del mancato incremento dei fondi ad opera del datore, pur dedotta, costituisce una censura verificabile dal giudice in via incidentale.» (Cass. Sez. U, 11/11/2022, n. 33365).
Peraltro, il medesimo principio era già stato espresso proprio con riferimento ad una controversia di impugnazione delle delibere di determinazione del fondo di risultato al fine di rivendicare le conseguenti differenze retributive, senza che potesse attribuirsi rilievo alla opposta natura di atti di macro-organizzazione assunti dalla PRAGIONE_SOCIALE., che agisce con i poteri del privato datore di lavoro (Cass. Sez. U., 28/06/2019, n. 17568, e 08/07/2019, n. 18262), segnando espressamente la differenza con il precedente rappresentato da Cass. n. 27285 del 2017, in quanto riferibile a diversa fattispecie di riduzione autoritativa delle dotazioni del Fondo operata dalla Giunta regionale .
Il ricorso va pertanto accolto e va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario; la sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte, in accoglimento del ricorso, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario; cassa sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Bari, alla quale demanda anche di provvedere al regolamento delle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso nella Adunanza camerale del 11 gennaio 2024.
La Presidente NOME COGNOME