Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31249 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31249 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
La Corte di appello di Venezia ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che si era dichiarato carente di giurisdizione sulla controversia promossa dai dipendenti o ex dipendenti dell’ Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto (ARPAV), in epigrafe indicati, nei confronti della stessa ARPAV, con la quale avevano lamentato la mancata corresponsione di somme relative a retribuzione accessoria spettanti dal 1999 al 2017 in relazione a tre fondi contrattuali previsti per l’area del Comparto sanità.
La Corte territoriale ha respinto l’eccezione di inammissibilità dell’appello e, al pari del primo giudice, ha ritenuto che la giurisdizione appartenesse al giudice amministrativo sul rilievo che il petitum sostanziale oggetto della domanda era l’aumento dei fondi e non una ripartizione di quelli disponibili.
I ricorrenti avevano lamentato l’insufficiente implementazione dei fondi, non avendo l’ARPAV tenuto conto a tal fine dell’incremento del personale in servizio in conseguenza delle nuove assunzioni.
La Corte territoriale ha, pertanto, ritenuto che non si trattasse di atti di gestione del rapporto di lavoro ma, piuttosto, di esercizio di un potere
discrezionale dell’amministrazione di fronte al quale la posizione da tutelare, di interesse legittimo, poteva essere fatta valere solo davanti al giudice amministrativo.
Ad avviso della Corte di merito tale conclusione risulterebbe confermata dal fatto che nel sistema negoziale del pubblico impiego contrattualizzato non esistono previsioni che rendono automatico l’incremento dei Fondi in relazione all’incremento della dotazione organica ed inoltre le norme collettive che li disciplinano svincolano la capienza dal semplice incremento del personale in servizio e la rimettono alla valutazione discrezionale dell’amministrazione.
Secondo il giudice di appello, quanto meno per l’incremento dei fondi successivi al 21.12.2004 era necessaria l’autorizzazione regionale ; in sede di contrattazione decentrata la stessa ARPAV aveva espressamente condizionato l’efficacia dell’ipotesi di accordo del 23.6.2017 al rilascio dell’autorizzazione regionale, e anche sotto questo profilo non vi era stato alcun riconoscimento di debito da parte ARPAV; nulla aggiungeva a tale ricostruzione in punto di giurisdizione la delibera del D.G. ARPAV n. 338/2017 d.d. 29.12.2017, non essendovi prova che i fondi contrattuali per il trattamento accessorio per le annualità 2015-2017 (costituiti in via provvisori a ai sensi dell’art. 40, comma ter, d.lgs. n. 165/2001 in mancanza di accordo sindacale sul contenuto del contratto integrativo) fossero stati vincolati dalla consulenza redatta dal Dott. COGNOME in ordine alla nozione di ‘dotazione organica’.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME e gli altri lavoratori in epigrafe indicati hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo, illustrato da memoria.
L’ARPAV ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
DIRITTO
1.Con un unico articolato motivo proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 1 cod. proc. civ., il ricorso denuncia l’erroneità della sentenza che, in violazione e falsa applicazione dell’art. 37 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., ha ritenuto
carente di giurisdizione l’autorità giudiziaria ordinaria per essere la giurisdizione del giudice amministrativo.
Espongono i ricorrenti che con il ricorso introduttivo del giudizio era stata chiesta la condanna della datrice di lavoro RAGIONE_SOCIALE a corrispondere le differenze retributive arretrate afferenti al Fondo per la remunerazione del lavoro straordinario e di particolari condizioni di disagio, al Fondo per la produttività collettiva per il miglioramento dei servizi e per il premio della qualità delle prestazioni individuali nonché al Fondo per il finanziamento delle fasce retributive, delle posizioni organizzative, del valore comune, dell’indennità professionale specifica; in particolare, era stata chiesta la quota residua dei Fondi, mai corrisposta ancorché dovuta (spettanze relative al periodo 1999/2017, sempre calcolate con riguardo ad un numero di lavoratori inferiore a 100 unità rispetto a quelli che, tempo per tempo, erano effettivamente in servizio).
Deducono che l’assegnazione di fondi residui, richiesta nel presente giudizio, non rientra tra gli atti di macro-organizzazione che comportano l’esonero della giurisdizione ordinaria a favore di quella amministrativa e negano che la posizione giuridica azionata sia suscettibile di assumere valenza di diritto soggettivo se non dopo l’adozione di provvedimenti organizzativi (connessi alla consistenza delle piante organiche) che appartengono alla discrezionalità amministrativa dell’ente.
Sostengono che alla fattispecie non trova applicazione l’art. 30 c.p.a., non essendo stato impugnato un provvedimento di cui si assume l’illegittimità, ma piuttosto contestato un comportamento omissivo dell’ente convenuto nella sua veste di datore di lavoro.
Allegano di aver chiesto il pagamento di differenze retributive (nella forma di residui dei fondi per cui è causa) ed insistono per la giurisdizione del giudice ordinario del lavoro adito “non rilevando il fatto che la prospettazione di parte sia rivolta anche avverso atti prodromici di cui si contesta la legittimità (come quello che controparte ha erroneamente definito atto discrezionale di incremento dei Fondi, non essendo né discrezionale né volto ad alcun incremento degli
stessi)”, e non trattandosi di una fattispecie che rientra nella giurisdizione esclusiva riservata al pubblico impiego non contrattualizzato.
Precisano che l’ARPAV, al pari della ASL, è soggetto pubblico che agisce mediante atti di diritto privato, evidenziando che nel caso in esame ciò di cui si controverte non è la contestazione di atti di riduzione dei fondi ma piuttosto l’errata determinazione del fondo per effetto della scorretta applicazione delle norme di legge e di contratto tempo per tempo vigenti.
Evidenziano che l’ARPAV aveva disposto una consulenza per accertare quali fossero le somme per tali titoli dovute, nel 2016 aveva erogato un acconto, ed aveva disposto lo stanziamento delle risorse finanziarie necessarie a coprire le erogazioni previste in forza dell ‘accordo sindacale consapevolmente sottoscritto dal Direttore Generale in data 23.6.2017 senza preventiva autorizzazione regionale.
In via preliminare va rilevato che il Collegio è delegato a trattare la questione di giurisdizione -posta dal primo motivo del ricorso principale – in virtù del decreto del Primo Presidente in data 10 settembre 2018 in quanto essa rientra, nell’ambito del le materie di competenza della Sezione lavoro, tra le questioni indicate nel richiamato decreto sulle quali si è consolidata la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte.
3 . L’eccezione di inammissibilità del ricorso è infondata , in quanto il ricorso individua con chiarezza le ragioni per le quali la Corte territoriale ha errato nell’escludere la giurisdizione del giudice ordinario.
Inoltre nessun giudicato si può formare sulla qualificazione degli atti di costituzione dei fondi come atti di macroorganizzazione (si tratta di una qualificazione di per sé non sufficiente a far affermare la giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto il giudice ordinario può disapplicare l’atto amministrativo presupposto se incidente su un diritto soggettivo che non sorge solo per effetto dell’atto medesimo) .
La Corte territoriale ha escluso che con l’atto di appello vi sia stato mutamento della causa petendi , e tale statuizione è rimasta incensurata.
Nemmeno con il ricorso per cassazione i ricorrenti hanno mutato la causa petendi; hanno infatti invocato la giurisdizione del giudice ordinario sostenendo
di essere titolari del diritto soggettivo al pagamento di differenze di retribuzione di fonte contrattuale.
Ciò premesso, quando sia censurata la sentenza per motivi attinenti alla giurisdizione, ai sensi dell’art. 360 primo comma n.1 cod. proc. civ., la Corte di cassazione è giudice anche del fatto, e può pertanto conoscere dei fatti processuali e di tutti i fatti dai quali dipenda la soluzione della questione.
L’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio, se presuppone la specificazione nel ricorso, a pena di inammissibilità del motivo, degli errori imputati alla pronuncia impugnata e dei fatti processuali posti alla base della censura, tuttavia, una volta superato il vaglio di ammissibilità della censura autorizza a procedere direttamente all’apprezzamento della domanda, traendone conseguenze in piena autonomia e indipendenza (cfr. Cass. sez. un. 05/11/2019 n. 28332, 21/04/2015 n. 8074 e 02/04/2007 n. 8095).
Nel caso in esame la censura è adeguatamente specifica, sicché è imposto al Collegio di procedere ad un autonomo esame della domanda formulata nel giudizio per stabilire se essa appartenga o meno alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Ciò posto, va qui ribadito che, ai fini del riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, ciò che rileva non è già la prospettazione delle parti, bensì il “petitum” sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della ” causa petendi”, ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio, che deve essere individuata con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione (cfr. Cass.31/07/2018 n. 20350).
Nel caso in esame i ricorrenti hanno agito in giudizio per ottenere la condanna della convenuta a corrispondere le differenze arretrate afferenti al Fondo per la remunerazione del lavoro straordinario e di particolari condizioni di disagio, al Fondo per la produttività collettiva per il miglioramento dei servizi e per il premio della qualità delle prestazioni individuali nonché al Fondo per il finanziamento delle fasce retributive, delle posizioni organizzative, del valore comune, dell’indennità professionale specifica.
In particolare, hanno chiesto che venisse corrisposta la quota dei Fondi, relativa agli anni dal 1999 al 2017, in base alle disposizioni del CCNL e mai corrisposta nella misura loro spettante ancorché, a loro avviso, dovuta.
I ricorrenti si dolgono del criterio di costituzione e sviluppo dei Fondi in questione per chiedere il pagamento di differenze retributive, lamentano la lesione di diritti soggettivi rispetto ai quali il comportamento datoriale (di mancato incremento del fondo tenendo conto del numero dei lavoratori) costituisce atto prodromico del quale è censurata la legittimità in via del tutto incidentale; come evidenziato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza Cass. n. 33365/2022 resa in una fattispecie analoga, tale situazione è del tutto diversa da quella decisa da questa Corte con l’ordinanza n. 27285 del 17/11/2017, poiché nel caso in esame la pretesa non è correlata esclusivamente all’illegittimo esercizio di un potere autoritativo organizzativo.
I ricorrenti non hanno infatti impugnato un atto regolamentare dell’amministrazione che nell’esercizio del potere amministrativo abbia, come in quel caso, deciso la riduzione dei Fondi.
Il diritto soggettivo dei ricorrenti, nella prospettazione degli stessi e sulla base delle richieste avanzate, non necessita per assumere consistenza della rimozione di un mai intervenuto provvedimento di macro-organizzazione.
La domanda, per come formulata nel ricorso introduttivo del giudizio e sviluppata nelle argomentazioni a sostegno della stessa, ha come presupposto la verifica incidentale dell’obbligo di ridefinizione dei fondi contrattuali aziendali del personale non dirigente (accertamento incidentale consentito al giudice ordinario), e si sostanzia nella richiesta di pagamento di differenze retributive di fonte contrattuale.
La sussistenza o meno delle condizioni per l’incremento dei fondi attiene all’esame della domanda ed è noto che ai fini della soluzione della questione di giurisdizione, si devono prendere in esame i fatti allegati dalle parti, al fine di verificare la natura giuridica della situazione giuridica azionata, prescindendo dall’effettiva sussistenza dei fatti dedotti, trattandosi di un profilo afferente al merito della controversia, da scrutinare a cura del giudice effettivamente munito di giurisdizione (Cass. S.U. n. 17626/2024).
In conclusione, per le ragioni esposte, deve essere dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario, il ricorso va accolto e la sentenza, cassata, in applicazione dell’art. 383 cod. proc. civ. (Cass. n.20098/2015; Cass. S.U. n. 1316/1979) deve essere rinviata al Tribunale di Venezia, al quale il giudice di appello avrebbe dovuto rimettere la controversia ai sensi dell’art. 353 cod. proc. civ. nella versione applicabile alla fattispecie in esame, in quanto trattasi di impugnazione anteriore al 28.2.2023 (art. 35, comma 4, d.lgs. n. 149/2022); il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Non sussistono le condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n.115 del 2002, per il raddoppio del contributo unificato.
PQM
La Corte dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata; rinvia al Tribunale di Venezia anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte