Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 22201 Anno 2025
Civile Ord. Sez. U Num. 22201 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22897/2024 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO NOME INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato DI COGNOME che la rappresenta e difende
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende
-controricorrenti-
FONDO DI GARANZIA RAGIONE_SOCIALE -intimato avverso SENTENZA di CONSIGLIO DI STATO ROMA n. 6063/2024 depositata il 09/07/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME il quale conclude chiedendo l”accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Il Fondo di Garanzia per le Piccole e Medie Imprese (‘Fondo’) è uno strumento di intervento dello Stato nell’economia nazionale (gestito dalla Banca del Mezzogiorno – Mediocredito Centrale s.p.a., sotto l’egida del Ministero dello Sviluppo Economico) deputato a concedere una garanzia pubblica sulle operazioni di microcredito, assicurando alle imprese di ottenere finanziamenti senza garanzie aggiuntive.
La Banca Valsabbina (Banca), odierna ricorrente, ha presentato richiesta, in data 23 giugno 2015, al Fondo di Garanzia per le Piccole e Medie Imprese, gestito da Medio Credito Centrale S.p.A. ora Banca del Mezzogiorno -Medio Credito Centrale S.p.A. (Fondo o Gestore), odierna controricorrente, per un finanziamento da erogare alla società RAGIONE_SOCIALE per un importo pari ed € 250.000,00 ed il relativo Comitato di Gestione del Fondo, con delibera del 23 luglio 2015, ha concesso la garanzia per un importo massimo garantito dal Fondo stesso di € 200.000,00, pari all’80% dell’operazione di finanziamento.
L’impresa beneficiaria rimaneva inadempiente e la Banca provvedeva ad escutere la garanzia prestata da Medio Credito Centrale con richiesta di attivazione del Fondo in data 3 maggio 2018.
A seguito dell’analisi della documentazione allegata dalla Banca alla richiesta di attivazione del Fondo, Medio Credito Centrale ha verificato che la finanziata RAGIONE_SOCIALE non poteva collocarsi nella ‘Fascia 1’ di valutazione di cui alla lettera A delle ‘Disposizioni Operative’, requisito necessario per l’ammissione alla garanzia secondo la procedura ‘semplificata’.
Preso atto di tale circostanza, Medio Credito Centrale comunicava, a mezzo PEC dell’1 agosto 2018, l’avvio del procedimento di inefficacia della garanzia, in ragione del fatto che le Disposizioni Operative prevedono espressamente che le imprese beneficiarie debbono essere valutate sulla base degli ultimi due bilanci approvati alla data di presentazione della domanda di ammissione alla garanzia (nel caso in esame, invece, erano stati valutati i bilanci degli anni 2012 e 2013, nonostante il bilancio del 2014 fosse già stato approvato in data 29 maggio 2015 e, quindi, in data antecedente la presentazione della richiesta di ammissione alla garanzia diretta avvenuta in data 23 giugno 2015).
L’odierna ricorrente inviava le proprie controdeduzioni, rappresentando che l’approvazione del bilancio del 2014, pur essendo precedente alla richiesta di ammissione alla garanzia, era stata resa pubblica solo con il deposito del bilancio avvenuto il 29 giugno 2015.
Il Gestore, non ritenendo valide tali osservazioni, ha successivamente comunicato la decisione del Consiglio di Gestione
del Fondo di ritenere l’inefficacia della garanzia a suo tempo concessa.
La Banca Valsabbina ha impugnato tale provvedimento avanti il TAR per la Lombardia.
Il TAR adito, previo riconoscimento della giurisdizione del Giudice amministrativo, ha accolto il ricorso.
Avverso tale pronuncia ha proposto appello Mediocredito CentraleRAGIONE_SOCIALE contestando contesta la sussistenza della giurisdizione del Giudice amministrativo, riconosciuta dal primo giudice.
Con la sentenza n. 6063/2024, pubblicata in data 9 luglio 2024, il Consiglio di Stato, Sez. VI, ha accolto l’appello proposto da Medio Credito Centrale e, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario.
Contro la sentenza del Consiglio di Stato la Banca ha proposto ricorso, sulla base di un unico motivo. Medio Credito Centrale -Banca del Mezzogiorno S.p.A. ha resistito con controricorso.
Ha resistito con controricorso anche Il Ministero delle Imprese e del RAGIONE_SOCIALE, in giudizio il Ministero delle Imprese, costituitosi al solo fine di far dichiarare la propria estraneità alla lite.
Il Fondo Di Garanzia per Le Piccole e Medie RAGIONE_SOCIALE resta intimato. Proposta dalla Prima Presidente la definizione accelerata del ricorso, ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., in ragione della manifesta infondatezza dell’impugnazione per cassazione, la causa, su tempestiva istanza della ricorrente, è stata, quindi, fissata, per la decisione in camera di consiglio.
Le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis.1 c.p.c. Il Procuratore generale ha depositato le conclusioni scritte, chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con un unico motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, 1 c.o., n. 1, cod. proc. civ., la Banca Valsabbina, Società Cooperativa per azioni a.r.l., censura la sentenza del Consiglio di Stato n. 5965/2024 nella parte in cui, in accoglimento del primo motivo di ricorso in appello proposto da Mediocredito centrale, ha riformato la sentenza di primo grado dichiarando la sussistenza della giurisdizione del Giudice Ordinario a conoscere della controversia in esame.
Il ricorso è infondato.
In fatto è avvenuto che, concessa una garanzia alla Banca Valsabbina per una operazione di finanziamento svolta dalla stessa nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, in sede di attivazione della garanzia il Gestore ha appreso che RAGIONE_SOCIALE non aveva i requisiti per l’ammissione alla garanzia in base alla procedura ‘semplificata’, secondo le ‘Disposizioni Operative’ vigenti ratione temporis.
In rapporto a ciò è stata ritenuta ex post l’inefficacia della garanzia accordata dal Fondo.
La tesi sostenuta dalla banca ricorrente è che, diversamente da quanto ritenuto dalla Consiglio di Stato, la giurisdizione spetterebbe al giudice amministrativo, perché si sarebbe di fronte non ad una questione attinente all’inadempimento del contratto, ma ad una revoca disposta per l’assenza di una condizione richiesta per potere usufruire della garanzia.
La tesi non è condivisibile.
Il Collegio ritiene di dover muovere dal consolidato indirizzo giurisprudenziale di queste Sezioni Unite (cfr. Cass., Sez. Un., 20
luglio 2011, n. 15867; Cass., Sez. Un., 13 ottobre 2011, n. 21062; Cass., Sez. Un., 25 gennaio 2013, n. 1776).
In base ad esso, il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di controversie riguardanti la concessione e la revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche deve essere attuato sulla base del generale criterio fondato sulla natura della situazione soggettiva azionata.
Ne consegue che: (a) sussiste sempre la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, mentre alla pubblica amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’ an , il quid e il quomodo dell’erogazione; (b) qualora la controversia attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione o dell’acclarato sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, la giurisdizione spetta al giudice ordinario, anche se si faccia questione di atti formalmente intitolati come revoca, decadenza o risoluzione, purché essi si fondino sull’ inadempimento alle obbligazioni assunte di fronte alla concessione del contributo; in tal caso, infatti, il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, attenendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e all’inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione;
viceversa, è configurabile una situazione soggettiva d’interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, solo ove la controversia riguardi una fase procedimentale
precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario.
In particolare, in ordine alla controversia originata dalla revoca di un contributo pubblico, è stato precisato che la giurisdizione spetta all’autorità giudiziaria ordinaria quando la revoca discenda dall’accertamento di un inadempimento (da parte del fruitore) delle condizioni stabilite in sede di erogazione o comunque dalla legge, nonché nel caso di sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, mentre sussiste, invece, la giurisdizione del giudice amministrativo quando occorra sindacare il corretto esercizio della ponderazione comparativa degli interessi in sede di attribuzione del beneficio o in relazione a mutamenti intervenuti nel prosieguo e, quindi, quando il giudizio riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio oppure allorché, successivamente alla concessione, l’atto sia stato annullato o revocato per illegittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario (Cass., Sez. Un., 21 giugno 2023, n. 17757).
Con specifico riferimento alla garanzia concessa dal Fondo ex L. n. 662 del 1996 è stato affermato che “superata ogni questione della fase prodromica al finanziamento” originario (ossia quello erogato dalla banca mutuante in favore dell’impresa), “gli obblighi conseguenti e le garanzie assunte dal M.C.C., quale gestore del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, nel caso di parziale o totale inadempimento del mutuatario, non possono che
dar luogo a controversie in materia di diritti di credito dei quali, salvo il caso di giurisdizione esclusiva di giudici speciali , solo il giudice ordinario può conoscere”; in questa prospettiva, la “garanzia prestata da RAGIONE_SOCIALE non si differenzia da alcuna analoga obbligazione fideiussoria di qualsiasi altro garante personale, per crediti conseguenti a mutui bancari, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario” (Cass. civ., sez. un., ord. 7 maggio 2014, n. 9826).
4. In applicazione di tali principi nel caso in esame deve riconoscersi che la circostanza – posta a sostegno del ricorso – che il Gestore avrebbe fatto valere ex post l’inesistenza un presupposto condizionante l’ammissione, non è rilevante ai fini della giurisdizione. Tale circostanza, infatti non incide sulla natura dei poteri esercitati dal Gestore. Questo, nel negare l’attivazione della garanzia, non ha affatto esercitato poteri discrezionali, ma ha fatto valere una ragione di non operatività della stessa garanzia a causa dell’assenza di una condizione stabilita dal contratto.
Mutatis mutandis vale pertanto il principio, riconosciuto dalle Sezioni Unite in tema di revoche di contributi, secondo cui è devoluta al giudice ordinario ogni controversia che sia incentrata sulla impugnativa di una revoca del contributo anteriormente accordato, qualora l’ intervento dell’amministrazione in sede di revoca non abbia altro spazio di verifica che quello afferente alle condizioni puntualmente stabilite al riguardo dalla legge, senza margine di valutazione discrezionale per ragioni di tutela dell’interesse pubblico (Cass., Sez. Un., 13 aprile 2023, n. 9816; Cass., Sez. Un., 7 agosto 2023, n. 23991; Cass., Sez. Un., Cass., Sez. Un., 15 novembre 2023, n. 31738).
Sono pertanto del tutto corrette le considerazioni proposte dal Consiglio di Stato con la sentenza impugnata, laddove il giudice amministrativo rileva che «l’atto impugnato non è frutto di una valutazione di opportunità, bensì dell’accertamento della mancanza di un requisito stabilito a priori ; in altri termini, lo stesso non appare frutto di un potere amministrativo, bensì di mera verifica dei presupposti già predeterminati e sui quali l’amministrazione non può incidere, con conseguente emersione di una situazione giuridica di diritto oggettivo da ritenersi devoluta alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria».
5. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità in favore della controricorrente Medio Credito Centrale -Banca del Mezzogiorno S.p.A. come liquidate in dispositivo.
Spese compensate fra la ricorrente e il Ministero delle Imprese e del RAGIONE_SOCIALE, chiamato nel presente giudizio per esigenze di contraddittorio e affermatosi indifferente rispetto all’esito della lite (cfr. Cass. n. 8491/2023).
Non vi è luogo alla liquidazione delle spese di lite nei confronti della parte intimata.
La decisione assunta dal Collegio è integralmente conforme (non soltanto per ciò che attiene all’esito del ricorso, ma anche per le ragioni che tale esito sostengono, relative alla maturazione del termine prescrizionale per l’esercizio del diritto al risarcimento del danno) alla proposta di definizione accelerata formulata ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c. Trovano pertanto applicazione le previsioni di cui all’art. 96, terzo e quarto comma, c.p.c., sulla condanna della parte soccombente al pagamento, in favore delle controparti, di una somma equitativamente determinata e, in favore della cassa
delle ammende, di una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore a euro 5.000. L’art. 380 -bis, comma terzo, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022) – che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c. codifica, infatti, un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente (Cass., S.U., n. 27195/2023; Cass., S.U., n. 28540/2023).
Sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente Banca del Mezzogiorno -Medio Credito Centrale, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.200,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge; condanna, altresì, la ricorrente al pagamento della somma di euro 7.200,00, in favore della stessa controricorrente e al pagamento dell’ulteriore importo di euro
3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende; compensa le spese fra la ricorrente e il Ministero delle Imprese e del made in Italy.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite