Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 34501 Anno 2024
Civile Ord. Sez. U Num. 34501 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 26/12/2024
Sul ricorso iscritto al n. r.g. 5326/2024 proposto da:
COMUNE DI TERMOLI, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE PUGLIA RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOMERAGIONE_SOCIALE
– intimati –
per regolamento di giurisdizione in relazione al giudizio pendente n. 1217/2021 del TRIBUNALE di LARINO.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME il quale chiede affermarsi la giurisdizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria.
FATTI DI CAUSA
1.1) Il Comune di Termoli è stato convenuto in giudizio possessorio incardinato da RAGIONE_SOCIALE e Metano Puglia per la reintegrazione nel possesso del piazzale in uso alla stazione di rifornimento gestita da Metano Puglia, perchè aveva fatto demolire il cordolo di cemento a sostegno della recinzione, la recinzione sovrastante ed i cancelli a servizio della stessa Con ricorso per il regolamento preventivo della giurisdizione ai sensi dell’art. 41 cod. proc. civ., il Comune ha chiesto che in relazione alla controversia de qua sia dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo sull’assunto che detta attività era stata posta in essere in esecuzione della comunicazione fatta pervenire alle attrici in data 30.7.2021, a mezzo della quale si era loro intimato di procedere alla rimozione delle opere presenti in loco in quanto edificate abusivamente su area di proprietà comunale, ed ancor prima dell’ordinanza 249 del 3.10.2017 portante analoga intimazione e divenuta definitiva per decorrenza del termine di riassunzione previsto dall’art. 48 cod. proc. amm.
In particolare, il Comune di Termoli, richiamati i termini della vicenda, contesta le contrarie determinazioni adottate in punto di giurisdizione dai giudici del possessorio -dell’avviso, entrambi, tanto quello del ricorso che quello del reclamo, che non essendo stata dimostrata la natura indisponibile del bene oggetto di spoglio, costituente condizione per riconoscere che il Comune avesse agito nell’esercizio dei poteri di autotutela conferitigli dall’art. 823, comma 2, cod. civ., il bene ricadeva nel patrimonio disponibile dell’ente locale ed andava, di conseguenza, riconosciuta la giurisdizione del g.o..
Il Comune sostiene che l’attività in questione è diretta attuazione dei pregressi ricordati provvedimenti amministrativi, ditalchè «il sindacato sull’efficacia, portata e contenuto dei suddetti provvedimenti amministrativi (presupposti e conseguenziali) che controparte ha inteso
devolvere al G.O., costituisce attività invece propria del G.A.».
Assume che secondo un noto insegnamento di questa Corte, ove risulti, sulla base del criterio del petitum sostanziale, che la tutela invocata non attiene ad una situazione possessoria, ma comporti un controllo di legittimità sull’esercizio dei poteri autoritativi che fanno capo alla P.A., la giurisdizione appartiene irrevocabilmente al giudice amministrativo.
1.2. Le intimate non hanno inteso resistere alla istanza ricorrente; il regolamento è stato avviato, ai sensi dell’art. 380-ter cod. proc. civ., alla trattazione camerale sulla base delle requisitorie scritte del pubblico ministero, che ha concluso per la reiezione del ricorso e l’affermazione della giurisdizione della giurisdizione del giudice ordinario.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va previamente riconosciuta l’ammissibilità del mezzo proposto, poichè il regolamento preventivo di giurisdizione è esperibile anche nella fase cautelare del giudizio possessorio, qualora sia inerente alla giurisdizione sulla domanda di merito (Sez. U, n. 21099 del 04/11/2004; cfr anche utilmente Cass., Sez. U, 29/01/2018, 2144; Cass., Sez. U, 20/11/2017, n. 27441; Cass., Sez. U, 11/04/2017, n. 9283), atteso che il provvedimento cautelare, destinato a perdere efficacia per effetto della sentenza di merito, non assume carattere decisorio e non statuisce sulle posizioni soggettive con la forza dell’atto giurisdizionale idoneo ad assumere autorità di giudicato, neppure in punto di giurisdizione (Cass., Sez. U, 26/06/2020, n. 12864; Cass., Sez. U, 23/09/2013, n. 21677; Cass., Sez. U, 31/01/2006, n. 2053).
Nel merito il ricorso è infondato e, conformemente alle richieste del Procuratore Generale, deve essere rigettato.
Come è noto, è salda convinzione che questa Corte ha reiteratamente enunciato, allorché essa sia attinta con l’istanza per la regolazione della giurisdizione, che la giurisdizione si determina in base alla domanda e, ai fini del riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già
la prospettazione delle parti, bensì il ” petitum ” sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della ” causa petendi “, ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione (Cass., Sez. U, 31/07/2018, n. 20350; Cass., Sez. U, 16/05/2008, n. 12378; Cass., Sez. U, 13/07/2006, n. 15899).
In particolare, facendo applicazione del predetto criterio al contenzioso possessorio che occupa la P.A. si afferma stabilmente che le azioni possessorie sono esperibili davanti al giudice ordinario nei confronti della P.A. quando il comportamento della medesima non si ricolleghi ad un formale provvedimento amministrativo, emesso nell’ambito e nell’esercizio di poteri autoritativi e discrezionali ad essa spettanti, ed avente contenuto, in senso lato, ablativo, ma si concreti e si risolva in una mera attività materiale lesiva di beni, dei quali il privato vanti il possesso; ove risulti, invece, sulla base del criterio del ” petitum ” sostanziale, che oggetto della tutela invocata non è una situazione possessoria, ma il controllo di legittimità dell’esercizio del potere, va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, competente essendo il giudice amministrativo (Cass., Sez. U, 21/06/2012, 10285; Cass., Sez. U, 12/09/2008, n. 23561; Cass., Sez. U, 7/11/1994, n. 9206).
Più in dettaglio si è fatto osservare che, ove il comportamento della P.A. si concreti in un’attività di carattere meramente materiale, disancorata e non sorretta da atti o provvedimenti amministrativi, di fronte ai quali le posizioni soggettive del privato hanno natura non di diritto soggettivo, bensì di interesse legittimo, sussiste e deve affermarsi la giurisdizione del giudice ordinario, mentre, ove dette azioni siano proposte in relazione a comportamenti attuati in esecuzione di poteri pubblici o comunque di atti amministrativi, deve essere dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario con conseguente riconoscimento della giurisdizione del giudice
amministrativo (Cass., Sez. U, 19/02/2024, n. 4409; Cass., Sez. U, 11/11/2019, n. 29087; Cass., Sez. U, 13/12/2018, n. 32364).
5. Su queste premesse la tesi dell’odierno ricorrente è che, appartenendo il bene al proprio patrimonio indisponibile, esso già con l’ordinanza 249/2017, a mezzo della quale, come si è detto, era stata intimata la riduzione in pristino del bene abusivamente occupato dalle intimate, abbia esercitato i poteri di autotutela possessoria accordatigli dall’art. 823, comma 2, cod. civ. e che, di conseguenza, l’asserito spoglio costituisca estrinsecazione di poteri autoritativi non sindacabili dal giudice ordinario in quanto il controllo sull’esercizio legittimo dei medesimi compete al giudice amministrativo.
6. L’assunto non è condivisibile.
E’ ben vero che l’art. 823, comma 2, cod. civ., laddove stabilisce che “spetta all’autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico”, conferisce alla medesima a questo fine “la facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di avvalersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso regolati dal presente codice”; e neppure si dubita che l’alternatività dei rimedi che l’art. 823, comma 2, cod. civ. rende praticabili a tutela del patrimonio pubblico, ancorché dettato per i beni demaniali, sia espressione di un principio generale che si rende applicabile anche in rapporto alle analoghe azioni privative della proprietà o del possesso che abbiano ad oggetto beni rientranti nel patrimonio indisponibile (Cass., Sez. U, 18/10/1986, n. 6129; Cons. St., Sez. V, 1/10/1999, n. 1224).
Tuttavia, come bene ha rilevato il giudice del reclamo, è convinzione comune che il potere di autotutela amministrativa, che in forza della norma richiamata si rende spendibile anche in relazione ai beni del patrimonio indisponibile -ed in guisa del quale nella specie in disamina ad avviso della ricorrente andrebbe riconosciuta la giurisdizione del giudice amministrativo, giusta gli atti autoritativi previamente assunti a supporto
dell’attività materiale, concretasi nella rimozione delle opere realizzate dalle intimate -presupponga, e richieda perciò che sia comprovata da chi agisce in autotutela, l’incontestata appartenenza del bene al proprio patrimonio indisponibile. Ora, è noto, come ha ricordato anche il Procuratore Generale, che, per giurisprudenza costante di questa Corte, onde dar prova che il bene rivesta questa natura è richiesto il concorso di un duplice requisito: un requisito di ordine soggettivo, consistente nell’esistenza di un atto che destini il bene ad un uso pubblico ed un requisito di ordine oggettivo rappresentato dalla concreta utilizzazione del bene per fini pubblici, con l’ovvio corollario che anche il difetto di uno solo di questi requisiti riconduce il bene nell’alveo del patrimonio disponibile; si afferma infatti stabilmente che «affinché un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili, in quanto destinati a un pubblico servizio ai sensi dell’art. 826, comma 3, c.c., deve sussistere il doppio requisito (soggettivo e oggettivo) della manifestazione di volontà dell’ente titolare del diritto reale pubblico (e, perciò, un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell’ente di destinare quel determinato bene a un pubblico servizio) e dell’effettiva e attuale destinazione del bene al pubblico servizio»; sicché in difetto di tali condizioni e della conseguente ascrivibilità del bene al patrimonio indisponibile, la cessione, ad esempio, in godimento del bene medesimo in favore di privati non può essere ricondotta a un rapporto di concessione amministrativa, ma, inerendo a un bene facente parte del patrimonio disponibile, al di là del “nomen iuris” che le parti contraenti abbiano inteso dare al rapporto, e viene a inquadrasi nello schema privatistico della locazione, con la conseguente devoluzione della cognizione delle relative controversie alla giurisdizione del giudice ordinario (Cass., Sez. U, 25/03/2016, n. 6019; e così Cass., Sez. U, 12/10/2020, n. 21991; Cass., Sez. U, 21/05/2019, n. 13664; Cass., Sez. U, 28/06/2006, n. 14865).
Questo profilo è rimasto del tutto insoddisfatto nella prospettazione ricorrente.
Il rilievo in senso contrario operato dal giudice del reclamo che, a fronte della pretesa del Comune di veder affermata la natura indisponibile del bene sul presupposto della certificazione urbanistica versata in atti, attestante la destinazione del bene a spazio pubblico e a fascia di rispetto autostradale, ha esattamente replicato «che la destinazione urbanistica impressa al bene non è di per sé sola sufficiente a ricondurlo nell’ambito del patrimonio pubblico indisponibile, se non se provi la sua effettiva e reale utilizzazione per lo svolgimento di un pubblico servizio», così come «la sottoposizione di parte dell’area a vincolo di non edificabilità prova l’esatto opposto ovvero la natura disponibile del bene», stante la sua pacifica usucapibilità, non ha trovato replica alcuna da parte del ricorrente se non nell’insistita e ripetuta asserzione che, essendo il proprio operato riconducibile ad una pregressa fase di delibazione amministrativa, tanto varrebbe a radicare la giurisdizione del g.a.
Ora si è visto che a tanto si può pervenire solo qualora l’esercizio dell’autotutela amministrativa abbia ad oggetto un bene appartenente al patrimonio indisponibile. Ne consegue che, in difetto di prova sul punto, l’operato del Comune di Termoli assume e riveste i caratteri propri di un’attività materiale, rispetto alla quale il sindacato giurisdizionale richiesto non involge la cognizione di profili afferenti alla spendita di poteri autoritativi, di modo che possa argomentarsi la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, ma ricade nella giurisdizione del giudice ordinario che occorre pertanto riconoscere e dichiarare.
Non si fa luogo a liquidazione delle spese non avendo le intimate svolto attività processuale.
P.Q.M.
Dichiara la giurisdizione del giudice ordinario avanti al quale rimette le parti.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della Sezioni Unite civili il giorno 12.11.2024.
Il Presidente NOME COGNOME