Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6587 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6587 Anno 2024
Presidente: GENOVESE NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3537/2023 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME, rappresentata e difeso dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna n. 2323/22, depositata il 21 novembre 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 novembre 2023
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 17 luglio 2018, il Tribunale di Bologna accolse la domanda proposta dall’RAGIONE_SOCIALE nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, condannando quest’ultima al pagamento della somma di Euro 162.701,94, a titolo di corrispettivo per forniture di merce.
L’impugnazione proposta dall’RAGIONE_SOCIALE nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) è stata rigettata dalla Corte d’appello di Bologna con sentenza del 21 novembre 2022.
A fondamento della decisione, la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ha ritenuto che la giurisdizione in ordine alla controversia spettasse alla Autorità giudiziaria italiana, ai sensi dell’art. 4, n. 7 della Convenzione bilaterale tra l’Italia e la Tunisia del 15 novembre 1967, ratificata con legge 28 gennaio 1971, n. 267: premesso infatti che, ai fini dell’individuazione del luogo di esecuzione della prestazione occorreva fare riferimento all’obbligazione rimasta inadempiuta, ha affermato che, avendo l’RAGIONE_SOCIALE agito per il pagamento del corrispettivo di forniture, trovava applicazione il criterio di cui all’art. 1182, terzo comma, cod. civ., in virtù del quale il luogo di esecuzione dell’obbligazione doveva essere individuato in Borgo INDIRIZZO, dove aveva sede la società creditrice.
Avverso la predetta sentenza l’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo. L’RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, vanno disattese le eccezioni d’inammissibilità della impugnazione, sollevate dalla difesa della controricorrente in relazione alla carente esposizione dei fatti di causa, alla mancata indicazione degli atti e dei documenti su cui si fonda il ricorso ed alla mancanza di raccordo tra i motivi d’impugnazione e le norme di RAGIONE_SOCIALE di cui la ricorrente denuncia la violazione.
La narrativa del ricorso contiene infatti un’efficace sintesi della vicenda
sostanziale e processuale, ricostruendo i passaggi essenziali del rapporto contrattuale intercorso tra le parti e ripercorrendo le fasi del giudizio di merito, con precisione tale da consentire di cogliere con immediatezza l’oggetto della questione sottoposta all’esame di questa Corte ed il senso e la portata delle censure mosse alla sentenza impugnata. La formulazione di queste ultime risulta a sua volta caratterizzata da un sufficiente grado di specificità, permettendo d’individuare senza incertezze le affermazioni della sentenza impugnata di cui viene chiesto il riesame ed i criteri di collegamento di cui viene fatta valere la violazione, mentre la sostanziale concordanza delle parti in ordine allo svolgimento dei fatti fa apparire irrilevante l’omessa indicazione dei documenti su cui le censure si fondano.
Ai fini del rispetto dei limiti contenutistici di cui all’art. 366, primo comma cod. proc. civ., è d’altronde necessario e sufficiente che il ricorso sia redatto secondo canoni di chiarezza e sinteticità espositiva, i quali esigono che il ricorrente selezioni accuratamente i profili di fatto e di RAGIONE_SOCIALE della vicenda cui si riferiscono le doglianze proposte, in modo tale da offrire a questa Corte una concisa rappresentazione dei fatti e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 cod. proc. civ. (cfr. Cass., Sez. Un., 30/11/2021, n. 37552; Cass., Sez. III, 13/02/2023, n. 4300; Cass., Sez. V, 30/04/2020, n. 8425). Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, quale corollario del requisito di specificità dei motivi, dev’essere infatti interpretato, anche alla luce dei principi enunciati dalla Corte EDU (cfr. sent. 28/10/2021, COGNOME e altri c. Italia) in modo non eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del RAGIONE_SOCIALE in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e dei documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure (cfr. Cass., Sez. Un., 18/03/2022, n. 8950; Cass., Sez. III, 4/03/2022, n. 7186).
Con l’unico motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 19 e 20 cod. proc. civ., dell’art. 4 della Convenzione bilaterale italo-tunisina, dell’art. 3 della legge 31 maggio 1995, n.
218 e dell’art. 7, n. 1, lett. b) , primo trattino, del regolamento UE n. 1215/ 2012, sostenendo che la giurisdizione spettava al Giudice RAGIONE_SOCIALE, giacché il contratto di fornitura si era concluso con l’accettazione da parte dell’RAGIONE_SOCIALE degli ordini impartiti da essa ricorrente, pervenuta in territorio RAGIONE_SOCIALE, dove era avvenuta anche la consegna della merce. Premesso infatti che la determinazione della competenza giurisdizionale richiede innanzitutto l’individuazione del petitum e della causa petendi della domanda, afferma che nella specie la causa petendi era costituita da una compravendita a distanza di beni mobili, in ordine alla quale la giurisdizione spetta al giudice del luogo di consegna materiale dei beni.
2.1. Il motivo è fondato.
Non può infatti condividersi il richiamo della sentenza impugnata all’art. 4 della Convenzione bilaterale tra l’Italia e la Tunisia del 15 novembre 1967, il quale individua l’Autorità giurisdizionale competente ai soli fini del reciproco riconoscimento delle sentenze in materia civile e commerciale, senza dettare una disciplina generale del riparto di giurisdizione nelle controversie che coinvolgano i rispettivi cittadini: in tal senso depongono chiaramente non solo il tenore letterale della norma in esame, che fa riferimento alla «competenza dell’autorità giurisdizionale dello Stato, nel quale la decisione è stata pronunciata», ma anche l’intestazione del titolo in cui è collocata, riguardante il «riconoscimento delle sentenze», e l’oggetto della Convenzione, consistente nell’assistenza giudiziaria tra i due Paesi.
La materia in questione deve ritenersi quindi disciplinata dall’art. 3, comma secondo, della legge 31 maggio 1995, n. 218, in riferimento al quale questa Corte ha a lungo affermato costantemente che, per determinare l’ambito della giurisdizione italiana, nelle materie non escluse dal campo di applicazione della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, occorreva fare riferimento ai criteri stabiliti dalle Sezioni II, III e IV del Titolo II della medesima Convenzione, i quali trovavano applicazione anche nei confronti del convenuto non domiciliato né residente in Italia e non appartenente ad uno Stato contraente, giacché il rinvio ai predetti criteri era destinato ad operare oltre la sfera dell’efficacia personale della stessa (cfr. Cass., Sez. Un., 2/12/2013, n. 26937; 12/04/2012, n. 5765; 11/02/2003, n. 2060). Nell’ambito di tale
orientamento era stato poi precisato che il rinvio contenuto nell’art. 3, comma secondo, della legge n. 218 del 1995 si riferiva esclusivamente alla Convenzione di Bruxelles, e non poteva essere esteso al Regolamento CE n. 44/2001, non avendo quest’ultimo sostituito definitivamente (e quindi implicitamente abrogato) la Convenzione, la quale continuava ad operare relativamente ai rapporti con soggetti non domiciliati in uno degli Stati dell’Unione ovvero domiciliati in uno degli Stati che, pur facendo parte dell’Unione, non avessero adottato il predetto regolamento (cfr. Cass., Sez. Un., 21/10/2009, n. 22239).
Il predetto orientamento ha costituito peraltro oggetto di rimeditazione da parte della giurisprudenza più recente, la quale, richiamando anche la giurisprudenza unionale (cfr. Corte di giustizia UE, sent. 3/09/2020, in causa C186/19, RAGIONE_SOCIALE ; 29/07/2019, in causa C-451/18, Tibor ), ha osservato che la Convenzione di Bruxelles, nazionalizzata dall’art. 3, comma secondo, della legge n. 218 del 1995, s’intende ormai trasfusa nel Regolamento UE n. 1215/2012, che ha sostituito il Regolamento CE n. 44/ 2001, con la duplice conseguenza che le disposizioni di quella Convenzione restano operanti per i soli territori degli Stati membri che rientrano nell’ambito di applicazione territoriale della stessa e che sono esclusi dal Regolamento ai sensi dell’art. 355 del TFUE, e che, se il convenuto non è domiciliato in uno Stato membro, la giurisdizione italiana, quando si tratti di una delle materie già comprese nel campo di applicazione della Convenzione di Bruxelles, sussiste in base ai criteri stabiliti dal Regolamento n. 1215/2012 (cfr. Cass., Sez. Un., 8/01/2024, n. 613; 10/07/2023, n. 19571; 24/11/2021, n. 36371; 10/11/2021, nn. 33002 e 33003; 25/06/2021, n. 18299).
Com’è noto, mentre in riferimento all’art. 5, n. 1 della Convenzione di Bruxelles si è ritenuto che il forum destinatae solutionis debba essere individuato avendo riguardo al luogo in cui è stata o dev’essere eseguita la specifica obbligazione intorno alla quale le parti controvertono, da determinarsi in conformità della legge sostanziale applicabile al rapporto sulla base del RAGIONE_SOCIALE internazionale privato del giudice adìto (cfr. Cass., Sez. Un., 6/06/2002, n. 8224; 6/08/1998, n. 7714; 19/12/1994, n. 10910; v. anche Corte di Giustizia UE, 5/10/1999, in causa C-420/97, RAGIONE_SOCIALE; 29/06/1994, in causa C-
288/92, RAGIONE_SOCIALE; 6/10/1976, in causa C-14/76, COGNOME), e nel caso in cui la controversia abbia ad oggetto una vendita internazionale di merci, in conformità della Convenzione di Vienna dell’11 aprile 1980, resa esecutiva con legge 11 dicembre 1985, n. 765 (cfr. Cass., Sez. Un., 21/10/2009, n. 22239; 9/02/2009, n. 3059; 20/04/2004, n. 7503), l’art. 5, n. 1 del Regolamento n. 44/01 e l’art. 7 del Regolamento n. 1215/ 2012 sono stati interpretati nel senso che, ai fini dell’individuazione del forum destinatae solutionis , occorre avere riguardo all’obbligazione caratterizzante il contratto (cfr. Corte di Giustizia UE, sent. 14/07/2016, in causa C-196/15, RAGIONE_SOCIALE; 25/02/2010, in causa C-381/08, RAGIONE_SOCIALE), il quale coincide, salvo diversa convenzione, con il luogo in cui i beni sono stati o avrebbero dovuto essere consegnati, da individuarsi, secondo la giurisprudenza di legittimità, con riferimento al luogo di recapito finale della merce, al luogo cioè in cui la stessa entra nella disponibilità materiale, e non solo giuridica, dell’acquirente (cfr. Cass., Sez. Un., 22/11/2021, n. 35784; 13/12/2018, n. 32362; 19/03/2009, n. 6598; 20/06/2007, n. 14299).
Non possono quindi condividersi le conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata, la quale, sulla base della disciplina dettata dall’art. 4 n. 7 della Convenzione bilaterale tra l’Italia e la Tunisia, ha ritenuto che, avendo l’RAGIONE_SOCIALE agito per il pagamento del corrispettivo di una fornitura di merce, da effettuarsi presso la sede della creditrice, ai sensi dell’art. 1182 cod. civ., la giurisdizione spettasse all’Autorità giudiziaria italiana, in qualità di giudice del luogo in cui doveva essere eseguita la prestazione dedotta in giudizio: trattandosi di compravendita di merci, la prestazione caratteristica avrebbe dovuto essere infatti individuata nella consegna della merce venduta, da eseguirsi in Tunisia, presso la sede della società convenuta, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. b) , primo trattino, del Regolamento UE n. 1215/2012, la giurisdizione in ordine alla domanda di pagamento del corrispettivo spettava all’Autorità giudiziaria tunisina.
Il ricorso va pertanto accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata, senza rinvio.
Le spese dei tre gradi di giudizio seguono la soccombenza, e si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
accoglie il ricorso e cassa senza rinvio la sentenza impugnata. Condanna la controricorrente al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese processuali, che liquida in Euro 13.430,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 406,50, ed agli accessori di legge, per il giudizio di primo grado, in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, per il giudizio di appello ed in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge per il giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 29/11/2023 e, a seguito di riconvocazione, il