Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 18636 Anno 2024
Civile Ord. Sez. U Num. 18636 Anno 2024
Presidente: COGNOME PASQUALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9512/2023 R.G. proposto da COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona dei liquidatori p.t. NOME COGNOME e NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
-controricorrente –
RAGIONE_SOCIALE , in persona dei legali rappresentanti p.t. NOME COGNOME e NOME COGNOME, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente – avverso la sentenza del la Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE n. 664/23, depositata il 16 febbraio 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 aprile 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto la dichiarazione della giurisdizione dell’Autorità giudiziaria italiana.
FATTI DI CAUSA
1. NOME COGNOME convenne in giudizio la RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE liquidazione, e l’RAGIONE_SOCIALE, per sentir accertare l’invalidità di due contratti d’investimento finanziario sottoscritti rispettivamente nel mese di maggio 2003 e nel mese di dicembre 2005, con la condanna delle convenute alla restituzione delle somme versate, ed in subordine per sentirne accertare la responsabilità contrattuale, con la condanna al risarcimento dei danni.
A sostegno della domanda, riferì che le Banche, avvalendosi dell’operato di due sedicenti intermediari, successivamente sottoposti a procedimento penale proprio a causa della condotta tenuta nei confronti di essa attrice e di numerosi altri investitori, avevano raccolto consistenti somme, andate poi disperse a causa d’investimenti non autorizzati effettuati dai medesimi intermediari, i quali avevano potuto agire indisturbati grazie alle clausole contrattuali imposte dalle Banche ed all’inadempimento degli obblighi informativi gravanti sulle stesse.
Si costituì l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, sostenendo di non essere legata da alcun
rapporto ai cosiddetti intermediari COGNOME e COGNOME, i quali avevano agito in qualità di consulenti dell’attrice, e chiedendo quindi il rigetto della domanda.
Si costituì inoltre la RAGIONE_SOCIALE, ed eccepì il difetto di giurisdizione dell’Autorità giudiziaria italiana, nonché, in via subordinata, l’infondatezza della domanda.
1.1. Con sentenza del 3 marzo 2017, il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE dichiarò il difetto di giurisdizione dell’Autorità giudiziaria italiana, per essere la controversia riservata a quella della Svizzera.
L’impugnazione proposta dalla COGNOME è stata rigettata dalla Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE con sentenza del 16 febbraio 2023.
A fondamento della decisione, la Corte ha ritenuto non pertinenti le censure riflettenti la nullità dei contratti d’investimento e della clausola di elezione della giurisdizione straniera, rilevando che il difetto di giurisdizione era stato dichiarato in applicazione non già della predetta clausola, ma del criterio generale di cui all’art. 2 della Convenzione di Lugano del 30 ottobre 2007.
Premesso inoltre che la giurisdizione si determina in base alla domanda, da individuarsi con riferimento al petitum sostanziale, ha confermato che, ai sensi dell’art. 2 cit., la giurisdizione spettava al Giudice RAGIONE_SOCIALE, nel cui territorio avevano domicilio entrambe le Banche. Ha ribadito inoltre l’inapplicabilità dell’art. 16 della Convenzione, osservando che, sebbene la COGNOME rivestisse la qualità di consumatore, non ricorreva alcuna delle ipotesi tassative previste dall’art. 15, ed in particolare quella di cui alla lett. c) , giacché le attività in cui rientravano i contratti d’investimento stipulati dall’attrice non erano svolte dalle convenute in Italia, né dirette verso l’Italia.
Precisato infatti che la direzione dell’attività verso lo Stato in cui è domiciliato il consumatore presuppone l’intenzione del professionista di offrire le sue prestazioni alla potenziale clientela di quello Stato, direttamente o avvalendosi di mandatari o di società strettamente collegate, la Corte ha rilevato che l’attrice non aveva allegato alcun convincente elemento di collegamento tra l’attività contrattuale svolta dalle Banche convenute e l’Italia. Pur osservando che il primo contratto, avente ad oggetto un prodotto estero denominato Travel point , era stato stipulato a seguito dell’apertura di un conto in
Svizzera, cointestato al COGNOME ed al marito della COGNOME presso la RAGIONE_SOCIALE, il cui direttore aveva presentato il COGNOME come ideatore e gestore del prodotto, nonché esperto finanziario e gestore di fiducia della Banca, ha infatti evidenziato che il contratto era stato stipulato in Svizzera, il COGNOME non era un mandatario o un impiegato della Banca, ma un conoscente di famiglia, e il COGNOME non aveva operato in qualità d’intermediario finanziario, ma quale mandatario dell’attrice.
In ordine al secondo contratto, avente ad oggetto il prodotto Talete A e B , anch’esso gestito dal RAGIONE_SOCIALE, pur rilevando che la sottoscrizione dell’attrice era stata apposta nella sede di RAGIONE_SOCIALE della San Paolo Banco di RAGIONE_SOCIALE e raccolta dal COGNOME, munito di delega dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE), ha osservato che il contratto si era perfezionato in Svizzera con l’accettazione della proposta da parte della filiale di Lugano, la stipulazione aveva avuto luogo su suggerimento del COGNOME, che aveva agito in qualità di consulente finanziario dell’attrice, e il COGNOME aveva agito in qualità di procuratore della stessa.
Relativamente ad entrambi i contratti, la Corte ha rilevato infine che l’attrice non aveva allegato che le prestazioni in questione fossero offerte anche sul territorio italiano dalle convenute o da società ad esse collegate, ritenendo inconferente il richiamo al fatto notorio, il quale dispensa la parte dall’onere della prova, ma non da quello dell’allegazione.
Avverso la predetta sentenza la COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, illustrato anche con memoria. Hanno resistito con controricorsi la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, che ha depositato anche una memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 15, par. 1, lett. c) , della Convenzione di Lugano, degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per aver escluso la direzione dell’attività delle convenute verso l’Italia, senza considerare che tale presupposto può consi-
stere anche nello svolgimento di attività serventi o strumentali o di sollecitazione al pubblico attraverso soggetti appartenenti allo stesso gruppo imprenditoriale o aventi una ragione sociale in gran parte comune. Premesso che la riconducibilità del contratto a una siffatta attività può essere desunta sia dallo avvio di contatti o dalla prenotazione di beni o servizi o dalla conclusione di un contratto a distanza, non richiedendosi che l’attività sia diretta intenzionalmente verso altri Stati, osserva che per il contratto stipulato con la RAGIONE_SOCIALE la sussistenza del predetto presupposto emergeva dalla scelta della legge e della giurisdizione svizzera, dall’autorizzazione della Banca a ricevere ordini tramite qualsiasi mezzo, dall’utilizzazione da parte della Banca di una denominazione riferibile alla capogruppo italiana e dalla sua notoria appartenenza al medesimo RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; per il contratto stipulato con l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, venivano inoltre in considerazione la sottoscrizione presso la filiale di RAGIONE_SOCIALE della San Paolo Banco di RAGIONE_SOCIALE, richiesta dal direttore della filiale svizzera, e quella di documenti recanti richiami alla legislazione fiscale italiana ed agli accordi tra la Svizzera e l’Unione Europea, nonché l’appartenenza dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE) al RAGIONE_SOCIALE. Nessun rilievo potevano invece assumere, in contrario, la sottoscrizione in Svizzera del contratto concluso con la RAGIONE_SOCIALE e l’assenza di un rapporto di mandato con il COGNOME ed il COGNOME, essendo stati questi ultimi presentati dalla RAGIONE_SOCIALE come soggetti ad essa collegati, ed avendo l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE formalizzato il mandato dopo la fase precontrattuale. La sentenza impugnata ha infine trascurato la circostanza che il COGNOME ed il COGNOME avevano truffato numerosi altri soggetti italiani, avvalendosi dell’opera delle convenute.
2. Il ricorso è fondato.
A sostegno della domanda di risarcimento, l’attrice ha infatti allegato in via principale l’invalidità dei contratti d’investimento finanziario da lei stipulati su suggerimento o comunque con l’intervento del COGNOME e del COGNOME, asseritamente accreditati dalle Banche convenute come persone di loro fiducia ovvero operanti per loro conto, ed in subordine il danno cagionato dagl’investimenti finanziari effettuati a mezzo dei predetti soggetti, che avevano potuto agire senza autorizzazione di essa ricorrente, gestendo liberamente le somme versate sui conti correnti a lei intestati, in virtù delle clausole contrat-
tuali imposte dalle medesime convenute e dell’inadempimento degli obblighi informativi gravanti sulle stesse. Tale prospettazione della vicenda è stata ritenuta dalla sentenza impugnata inidonea a giustificare l’attribuzione della controversia alla giurisdizione dell’Autorità giudiziaria italiana, in ragione della collocazione della sede delle società convenute in Svizzera, dove sono stati stipulati anche i contratti di investimento, e dell’inapplicabilità delle disposizioni della Convenzione di Lugano che, per i contratti conclusi dai consumatori, attribuiscono la giurisdizione, in via alternativa, ai giudici del luogo dove è domiciliato il consumatore. Nel censurare tale decisione, la ricorrente ha quindi insistito da un lato sul rapporto intercorrente tra le società convenute ed i soggetti che hanno agito in qualità d’intermediari, e dall’altro sull’appartenenza delle medesime società a gruppi bancari operanti in Italia o sullo svolgimento da parte delle stesse di un’attività diretta anche verso l’Italia.
Non merita consenso, al riguardo, l’eccezione sollevata dalla difesa della RAGIONE_SOCIALE, secondo cui queste ultime circostanze sono state fatte valere soltanto in sede di legittimità, essendosi la ricorrente limitata, nel giudizio di merito, a dedurre la nullità dei contratti di conto corrente e della clausola, negli stessi contenuta, che devolveva le relative controversie alla giurisdizione svizzera. Premesso infatti che l’appartenenza delle convenute rispettivamente al gruppo RAGIONE_SOCIALE ed al gruppo RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE è stata allegata fin dall’atto di citazione in primo grado, si osserva che nella risoluzione delle questioni di giurisdizione queste Sezioni Unite sono chiamate ad operare come giudice anche del fatto, e possono quindi procedere direttamente all’apprezzamento delle risultanze istruttorie, traendone le conseguenze in piena autonomia e indipendenza sia dalle deduzioni delle parti che dalle valutazioni del giudice del merito, a condizione che nel ricorso siano stati specificati gli errori addebitati alla pronuncia impugnata e i fatti processuali posti a base della censura (cfr. Cass., Sez. Un., 5/11/2019, n. 28332; 21/04/2015, n. 8074; 2/04/2007, n. 8095).
2.1. La tesi sostenuta dalla ricorrente trova fondamento nel richiamo allo art. 15, par. 1, lett. c) , della Convenzione di Lugano, che, in materia di contratti conclusi dal consumatore per uno scopo che può considerarsi estraneo alla sua attività commerciale o professionale, deroga al criterio generale pre-
visto dall’art. 2 della medesima Convenzione ed a quello speciale previsto in via alternativa dall’art. 5, n. 1, lett. a) per la materia contrattuale, dichiarando applicabili, per la determinazione del giudice competente, i criteri previsti dalla Sezione IV della Convenzione, a condizione che il contratto sia stato concluso «con una persona che esercita attività commerciali o professionali nello Stato vincolato dalla Convenzione in cui è domiciliato il consumatore o, con qualsiasi mezzo, dirige tali attività verso detto Stato o verso più Stati tra cui detto Stato, e il contratto rientra nell’ambito di tali attività». In tale ipotesi, così come in quelle previste dalle lettere a) e b) del medesimo articolo, la competenza si determina ai sensi dell’art. 16, secondo cui «l’azione del consumatore avverso la controparte contrattuale può essere proposta o davanti al giudice dello Stato vincolato dalla presente convenzione nel cui territorio è domiciliata tale parte, o davanti al giudice del luogo in cui è domiciliato il consumatore» (par. 1 ), mentre «l’azione della controparte contrattuale avverso il consumatore può essere proposta solo davanti al giudice dello Stato vincolato dalla presente convenzione nel cui territorio è domiciliato il consumatore» (par. 2). In assenza delle condizioni previste dall’art. 15, tornano invece applicabili il foro generale previsto dall’art. 2, secondo cui «le persone domiciliate nel territorio di uno Stato vincolato dalla presente Convenzione sono convenute davanti ai giudici di tale Stato, qualunque sia la loro nazionalità», e il foro speciale alternativo previsto dall’art. 5, n. 1, lett. a) , secondo cui «la persona domiciliata nel territorio di uno Stato vincolato dalla presente convenzione può essere convenuta in un altro Stato vincolato dalla presente convenzione: in materia contrattuale, davanti al giudice del luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio è stata o dev’essere eseguita» (c.d. forum destinatae solutionis ). I criteri previsti dagli artt. 15 e 16 per i contratti conclusi dai consumatori sono poi derogabili, ai sensi dell’art. 17, solo mediante accordo stipulato successivamente al sorgere della controversia, o che consenta al consumatore di agire dinanzi a giudici diversi da quelli indicati, oppure concluso tra un consumatore e una controparte entrambi domiciliati o abitualmente residenti al momento della conclusione del contratto nello stesso Stato vincolato dalla Convenzione, e che attribuisca la competenza ai giudici di tale Stato, sempre che la legge di quest’ultimo non vieti siffatte con-
venzioni.
2.2. Tale disciplina corrisponde a quella dettata dalla Sezione IV del Regolamento UE n. 44/2001 (poi sostituito dal Regolamento UE n. 1215/2012, che agli artt. 17-19 detta una disciplina pressocché identica), in riferimento alla quale la giurisprudenza unionale ha affermato che, ai fini dell’applicabilità dell’art. 15, devono ricorrere cumulativamente tre presupposti: a) una parte contrattuale abbia la qualità di consumatore e agisca in un contesto che può essere considerato estraneo alla sua attività professionale, b) il contratto tra un simile consumatore e un professionista sia stato effettivamente concluso, e c) un siffatto contratto rientri in una delle categorie di cui al par. 1, lett. da a) a c) dell’art. 15 (cfr. Corte di Giustizia UE, sent. 28/01/2015, in causa C375/13, COGNOME; sent. 14/03/2013, in causa C-419/11, RAGIONE_SOCIALE). In ordine a tali categorie, ed in particolare a quella di cui alla lett. c) , si è rilevato che il testo dell’art. 15, par. 1, del Regolamento n. 44/2001, pur ricalcando sostanzialmente quello dell’art. 13, par. 1, della Convenzione di Bruxelles, non coincide integralmente con esso, giacché le nozioni di «proposta specifica» e «pubblicità» sono sostituite dal riferimento ad una gamma più ampia di attività, in modo tale da rafforzare la tutela dei consumatori, la cui vulnerabilità rispetto alle offerte dei professionisti deve ritenersi accresciuta, anche a causa della diffusione dei nuovi mezzi di comunicazione e dello sviluppo del commercio elettronico (cfr. Corte di Giustizia UE, sent. 14/05/ 2009, in causa C-180/06, RAGIONE_SOCIALE). Si è quindi affermato che, ai fini dell’applicazione del criterio di cui all’art. 15, lett. c) , del Regolamento UE, può essere utile accertare se prima dell’eventuale conclusione del contratto con il consumatore esistessero indizi tali da evidenziare l’intento del professionista di trattare con consumatori residenti in altri Stati membri, tra i quali quello sul territorio del quale il consumatore stesso è domiciliato, nel senso di essere disponibile a concludere un contratto con tali consumatori (cfr. Corte di Giustizia UE, sent. 7/12/2010, in cause riunite C-585/98 e C-144/09, COGNOME). E’ stato inoltre chiarito che «l’art. 15, par. 1, lett. c) , del Regolamento n. 44/ 2001, nella parte in cui riguarda il contratto concluso nell’ambito di un’attività commerciale o professionale “diretta” da un professionista “verso” lo Stato membro del domicilio del consumatore, in combinato disposto con l’art. 16,
par. 1, del medesimo Regolamento, dev’essere interpretato nel senso che può essere applicato a un contratto, stipulato tra un consumatore e un professionista, che non rientra in quanto tale nell’ambito dell’attività commerciale o professionale “diretta” da tale professionista “verso” lo Stato membro del domicilio del consumatore, ma che presenta un collegamento stretto con un contratto precedentemente stipulato dalle medesime parti nel contesto di una attività siffatta»: tale presupposto è stato ritenuto configurabile anche in un contratto di mandato, qualificato come «prolungamento diretto» dell’attività principale e ad essa «complementare…, essendo volto a consentire di raggiungere l’obiettivo economico perseguito attraverso quest’ultimo contratto» (cfr. Corte di Giustizia UE, sent. 23/12/2015, in causa C-297/14, COGNOME). E’ stato infine affermato che, ai fini dell’applicabilità dei criteri di collegamento previsti per i contratti del consumatore, non si richiede che il contratto tra quest’ultimo e il professionista sia stato concluso a distanza, risultando altrimenti frustrato l’obiettivo del rafforzamento della tutela del consumatore, perseguito attraverso la formulazione meno restrittiva dell’art. 15, par. 1, lett. c) : nel contempo, è stato tuttavia precisato che sia l’avvio di con tatti a distanza che la prenotazione di un bene o di un servizio a distanza o, a fortiori , la conclusione a distanza di un contratto stipulato con un consumatore, possono costituire indizi di riconducibilità del contratto ad un’attività commerciale o professionale diretta verso lo Stato di residenza del consumatore (cfr. Corte di Giustizia UE, sent. 6/09/2012, in causa C-190/11, Mühlleitner).
2.3. I principi enunciati dalla giurisprudenza unionale hanno trovato accoglimento e sviluppo anche nella giurisprudenza di legittimità, la quale, dopo essersi in un primo momento limitata a distinguere, tra i contratti conclusi dal consumatore, quelli di cui alle lett. a) e b) dell’art. 15 del Regolamento UE n. 44/2001, che ricadono sic et simpliciter nell’ambito di applicazione della disciplina dettata dall’art. 16 (vendita a rate di mobili; prestiti con rimborso rateizzato o altre operazione di credito connesse con il finanziamento di vendite di mobili) da quelli per i quali è ulteriormente richiesta l’ulteriore condizione di cui alla lett. c) dell’art. 15 (cfr. Cass., Sez. Un., 19/05/2009, n. 11532; v. anche, in riferimento alla Convenzione di Lugano, Cass., Sez. Un., 4/03/2021, n. 6001), ha successivamente affermato, proprio con riguardo
agli artt. 15 e 16 della Convenzione di Lugano, che «la direzione dell’attività verso lo Stato membro del domicilio del consumatore può consistere anche in attività serventi o strumentali, di sollecitazione al pubblico attraverso agenti o mediatori (beninteso, anche solo prospettati come tali ed impregiudicato l’accertamento dell’effettività di tale presupposto, riservato però – intuitivamente – al merito devoluto al giudice munito di giurisdizione) o perfino attraverso quella di soggetti (come società appartenenti allo stesso gruppo e controllate dalla stessa holding di quella convenuta, con la quale questa abbia perfino coincidenti gli organi gestionali) che, appartenendo allo stesso gruppo imprenditoriale e finanche spendendone una ragione sociale in gran parte comune ad evidente sottolineatura nel pubblico della riferibilità ad un unitario centro di interessi, la promuovano o la esercitino anche in proprio»: si è infatti osservato che «tutte tali attività (da un lato, sollecitazione e stipula di contratti attraverso agenti o mediatori; dall’altro lato, induzione di affidamento sull’unitarietà del centro di interessi di riferimento mediante l’operato di società dello stesso gruppo e comunque avvinte da stretti legami) presentano un collegamento adeguat amente stretto – quanto meno nel senso economico e non formalmente giuridico di cui alla sentenza CGUE COGNOME citata e siccome all’altra, nel primo caso, finalizzate ovvero, nel secondo, di evidente sostegno indiretto o promozione quale mezzo di induzione di affidamento nella collegata – con l’attività abituale svolta dal soggetto non consumatore, cui invece si riconduce la stipula del contratto del cui inadempimento o imperfetto adempimento è causa; ed anzi si può dire che tali attività siano lo strumento mediante il quale l’attività economica del professionista si sia diretta appunto, se non altro nella specie, verso un altro degli Stati contraenti della Convenzione e – in particolare – verso l’Italia, donde la giurisdizione dei giudici di questa» (cfr. Cass., Sez. Un., 4/03/2019, n. 6280; v. anche Cass., Sez. Un., 12/04/2023, n. 9782).
2.4. Tali principi, pur essendo stati in gran parte richiamati dalla sentenza impugnata, non possono ritenersi correttamente applicati nel caso in esame, essendosi la Corte territoriale limitata, nell’accertamento della direzione della attività svolta dalle convenute, a prendere atto del dato formale costituito dalla collocazione della loro sede in Svizzera, dove si svolge la loro attività e
dove sono stati anche stipulati i contratti d’investimento finanziario, e dell’assunzione della relativa iniziativa da parte dell’attrice, anziché da parte delle Banche, nonché dell’insussistenza di un rapporto di mandato tra queste ultime, il COGNOME ed il COGNOME, trascurando invece altri elementi fattuali della vicenda, prospettati dall’attrice ed idonei ad evidenziare il collegamento tra la predetta attività e il territorio italiano.
Premesso infatti che risultano pacifiche, nella specie, l’avvenuta effettuazione degl’investimenti da parte della COGNOME in qualità di consumatrice e per uno scopo estraneo all’esercizio di un’attività professionale, nonché l’effettiva stipulazione di contratti d’investimento tra le parti, essendo contestata soltanto la riconducibilità della fattispecie all’art. 15, par. 1, lett. c) , della Convenzione di Lugano, e segnatamente la direzione dell’attività svolta dalle Banche convenute verso l’Italia, non può condividersi l’affermazione dell’insussistenza di un rapporto di mandato tra le stesse, il COGNOME ed il COGNOME, quanto meno nel senso (anch’esso eminentemente economico, più che giuridico) inteso dalla Corte di Giustizia UE. A sostegno della domanda, la ricorrente ha infatti allegato che i contratti sono stati stipulati su suggerimento e con l’intermediazione dei predetti soggetti, da essa ritenuti collegati alle Banche ed almeno apparentemente operanti d’intesa con le stesse, essendo stato uno di essi (il COGNOME) asseritamente indicato da un funzionario della COGNOME come «persona di fiducia» della Banca, e l’altro (il COGNOME) delegato dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE alla firma del contratto fuori sede, sì da potersi reputare ininfluenti sia il mancato conferimento di un formale incarico a tali soggetti che i rapporti contestualmente instauratisi tra gli stessi e la COGNOME. Il collegamento tra i predetti soggetti e le società convenute risulta d’altronde evidenziato dal ruolo agli stessi attribuito nell’avvio dei contatti con le Banche e nella individuazione di quelle presso le quali dovevano essere depositate le somme da impiegare nell’acquisto di strumenti finanziari, nonché dalla funzione strumentale svolta da tali depositi rispetto alla gestione degl’investimenti, asseritamente affidata al COGNOME; nel caso del COGNOME, il rapporto fiduciario con una delle Banche si è peraltro concretizzato pacificamente nel conferimento di una delega a raccogliere la firma dell’investitrice presso la sede di RAGIONE_SOCIALE dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, la cui individuazione come luogo di sottoscrizione
del contratto o quanto meno della proposta da parte dell’investitrice fa apparire ogni discussione in ordine alla configurabilità di tale fattispecie come contratto a distanza superflua, se non addirittura controproducente per la convenuta, trattandosi di un elemento idoneo, come si è detto, ad evidenziare ulteriormente la direzione della sua attività verso l’Italia. L’attività di sollecitazione all’investimento svolta dal RAGIONE_SOCIALE e dal RAGIONE_SOCIALE presso il pubblico dei consumatori italiani emerge infine dall’affermazione secondo cui, a seguito della perdita delle somme investite, essi sarebbero stati chiamati a rispondere in sede penale per il reato di truffa consumato a danno dell’attrice e di numerosi altri investitori, con la conseguenza che non può dubitarsi della avvenuta prospettazione da parte della COGNOME dello svolgimento, da parte delle Banche svizzere convenute, di un’attività diretta verso l’Italia, attraverso l’opera di soggetti agenti in collegamento con la loro organizzazione. In favore della riconducibilità dei contratti stipulati tra le parti ad un’attività diretta verso l’Italia depone comunque anche l’appartenenza di ciascuna delle società convenute ad un gruppo d’imprese bancarie notoriamente operante anche nel nostro Paese, del quale condivide anche la ragione sociale, sì da configurarsi come un’articolazione organizzativa del medesimo centro d’interessi, esercente la propria attività imprenditoriale in una pluralità di Stati, non solo membri dell’UE ma anche estranei ad essa, come l’Italia e la Svizzera.
Può quindi concludersi per la sussistenza dei presupposti di fatto richiesti dall’art. 15, par. 1, lett. c) , della Convenzione di Lugano per l’applicabilità dell’art. 16, che attribuisce l’azione proposta dal consumatore alla giurisdizione del giudice dello Stato nel cui territorio è domiciliato l’attore, in alternativa a quella del giudice dello Stato in cui è domiciliata l’altra parte del contratto, ai sensi dell’art. 16 della medesima Convenzione, e quindi nella specie, alla giurisdizione dell’Autorità giudiziaria italiana, essendo la COGNOME domiciliata in Italia. Nessun rilievo può assumere, in contrario, la circostanza, fatta valere dalla COGNOME nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ., che il contratto di conto corrente includa una clausola di deroga alla competenza giurisdizionale che individua quale giudice competente l’Autorità giudiziaria svizzera, non ricorrendo nel caso in esame alcuna delle condizioni che, ai sensi dell’art. 17, consentono di derogare alla disciplina
dettata dalla Sezione IV della Convenzione.
La sentenza impugnata va pertanto cassata, con il conseguente rinvio della causa al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e dichiara la giurisdizione dell’Autorità giudiziaria italiana, rinviando la causa al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 9/04/2024