Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3982 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2   Num. 3982  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25224/2023 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME  COGNOME  che  lo  rappresenta  e  difende  unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE,  rappresentata  e  difesa  da ll’avvocato  NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso  la  sentenza  della CORTE  D’APPELLO di  MESSINA  n. 255/2023 depositata il 09/10/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME conveniva in giudizio, avanti il Tribunale civile di Barcellona Pozzo di Gotto, INDIRIZZO, esponendo di essere proprietaria di un fondo rustico di are 8,80 e di un fabbricato rurale ivi esistente, siti in INDIRIZZO (al NCT foglio 17, particelle 222-223-224) ricevuti in donazione dalla madre, COGNOME NOME, con atto di donazione del 12.6.1998 in Notar Cutropia (rep.45649); a sua volta la Sig.ra COGNOME NOME (madre dell’attrice) aveva acquistato la proprietà dei beni cedutili dagli eredi di NOME (dichiarazione di successione del DATA_NASCITA), emigrati in Australia, a tal uopo rappresentati da un procuratore. NOME a sua volta aveva acquistato il bene per successione di NOME.
 Il  Tribunale accoglieva  la  domanda  e  dichiarava  l’attrice proprietaria degli immobili oggetto del giudizio, con conseguente condanna del convenuto alla restituzione degli stessi.
Il Tribunale evidenziava che in altro giudizio, l’attrice aveva, invece, richiesto la risoluzione del contratto di locazione, relativamente al medesimo immobile, assumendo che lo NOME lo detenesse quale conduttore, in virtù del rapporto di locazione (nel quale la NOME era subentrata), intercorso tra lo NOME ed il sacerdote NOME; questi, a sua volta, lo aveva affittato per conto dei signori NOME, proprietari e danti causa di COGNOME NOME che, da questi ultimi, appunto, lo aveva acquistato, facendone contestuale donazione alla figlia, NOME.
Quel  giudizio  in  primo  e  secondo  grado  si  era  concluso  nel senso dell’insussistenza di un contratto di locazione.
La  decisione  era  stata,  invece,  riformata  dalla Corte  di cassazione che, con sentenza n. 13833/2010, aveva rinviato alla Corte  di  Appello  di  Messina,  in  diversa  composizione,  affinché decidesse attribuendo efficacia probatoria alla produzione documentale, trascurata in primo e in secondo grado, dalla quale ‘conseguiva  la  legittimità  dell’azione  di  rilascio  proposta  dall a NOME ‘ .
In sede di rinvio, quindi, la Corte di Appello di Messina, con sentenza n. 570/2017, aveva ordinato il rilascio dell’immobile  in favore di NOME.
Sulla scorta di tali statuizioni, prodotte in giudizio, il Tribunale accoglieva la domanda prendendo atto che ‘i documenti citati dalla S.C. erano  stati prodotti  anche  nel  giudizio  e  dovendosene considerare la portata probatoria’.
NOME proponeva appello avverso la sentenza
NOME COGNOME, resisteva al gravame eccependo anche l’ intervenuto acquisto per usucapione della proprietà dell’immobile.
La  Corte  d’Appello, con  ordinanza  del  27.  Marzo  2020 sospendeva il giudizio ex art. 295 c.p.c. in attesa del deposito della Corte di cassazione della decisione sul ricorso promosso da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza della Corte di Appello n. 570/2017 (che aveva dichiarato  la  risoluzione  del  contratto  di  locazione  per  grave inadempimento  dello  NOME,  ordinando  il  rilascio  del  bene  con condanna alle spese in capo allo stesso).
 La  Corte  di  cassazione  con  ordinanza  n.  27157/2021  del 6.10.2021  confermava  la  sentenza  di  secondo  grado  e  venuta
meno  la  causa  di  sospensione,  il  giudizio  di  appello  veniva regolarmente riassunto.
La Corte d’Appello di Messina rigettava il gravame.
La decisione del Tribunale sulla valenza dei documenti probatori prodotti doveva essere confermata. Il giudicato circa la sussistenza di un valido rapporto di locazione tra NOME (proprietaria-locatrice) e COGNOME NOME (conduttore) rendeva del tutto inconsistenti i motivi di gravame volti a denegare portata probatoria ai suddetti documenti sulla scorta dei quali era stata acclarata l’esistenza di un valido rapporto di locazione . In particolare, si ricavava la prova che la locazione era intercorsa fra lo NOME e un rappresentante (il sacerdote NOME) dei NOME originari proprietari, cui era succeduta, a seguito di compravendita, NOME COGNOME, madre della COGNOME.
NOME COGNOME, donataria della COGNOME, quindi, era ‘subentrata nei diritti e negli obblighi derivanti dal contratto di locazione ai sensi dell’art. 1602 c.c. ‘.
Dalla suddetta sentenza derivava che NOME COGNOME aveva, in ogni caso, acquisito per usucapione ventennale il diritto di proprietà dell’immobile per cui è causa, avendo unito il proprio possesso (dal 12 giugno 1998) a quello di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali, a loro volta, lo avevano unito a quello del proprio dante causa, COGNOME NOME, nato il DATA_NASCITA, deceduto il 17.03.1986, giusta denuncia di successione registrata il 03.1.1991 al n. 29, vol. 13417 . NOME NOME aveva ricevuto detti immobili dal padre NOME che ne risultava, infatti, intestatario dalla data di istituzione del Catasto fino alla sua morte, avvenuta nel 1964. NOME
momento della proposizione dell’azione di rivendica, quindi, la COGNOME aveva maturato il  termine ventennale per l’usucapione ordinaria. Con  l’atto  di  donazione,  infatti,  COGNOME  NOME  ha  trasferito  il possesso del bene (alla medesima  trasmesso  con  l’atto di compravendita dai NOME) ad NOME COGNOME, che aveva continuato ad esercitarlo durante il rapporto locativo nel quale era subentrata -da locatrice -come rilevato dalla Corte di Cassazione.
Infine, la  Corte  d’Appello  rigettava  il  motivo  di  gravame relativo al provvedimento di revoca dell’ordinanza ammissiva del giuramento decisorio deferito allo NOME evidenziando che sulla base delle considerazioni svolte risultava corretta la decisione in quanto il giuramento decisorio che era stato deferito dall’attore e ammesso dal giudice non fosse in realtà rilevante perché la decisione della causa poteva basarsi sulla documentazione in atti erroneamente trascurata in un primo momento.
 NOME  NOME  ha  proposto  ricorso  per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di un motivo di ricorso.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del  giudizio  ai sensi  dell’art.  380 -bis  cod.  proc.  civ.,  ritualmente comunicata alle parti.
 A  seguito  di  tale  comunicazione,  la  parte  ricorrente,  a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso.
12 . È stata fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
Il ricorrente con  memoria  depositata  in  prossimità dell’udienza ha insist ito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
 Il  motivo  di  ricorso  è  così  rubricato:  violazione  o  falsa applicazione  degli  articoli  2736,  n.  1,  e  2738,  comma  1,  c.c.  e dell’ articolo 345, ultima comma,  c.p.c., con riferimento alla prestazione di giuramento decisorio già avvenuto e poi revocato e decisione della controversia su base documentale.
La  Corte d’A ppello  di  Messina,  attenendosi  alla  motivazione della  sentenza  di  primo  grado,  ha  ritenuto  implicitamente  che  il provvedimento di revoca dell’ordinanza ammissiva del giuramento del decisorio fosse giustificato e adeguatamente motivato.
In particolare, nella specie il giuramento decisorio era stato deferito dall’allora attrice al convenuto per farne dipendere la decisione della causa. Il convenuto aveva prestato il giuramento rispondendo puntualmente ai singoli capitoli e negando tutte le circostanze dedotte. Pertanto, giusto il combinato disposto degli articoli indicati in rubrica la causa avrebbe dovuto essere decisa sulla base delle risposte fornite con le quali il convenuto ha negato l’intervenuta usucapione degli immobili da parte de ll’attrice e che la stessa fosse proprietaria. Secondo il ricorrente era precluso al giudice far ricorso alle prove documentali, in quanto la prova legale costituita dal giuramento decisorio impediva al giudice la possibilità di un diverso accertamento dei fatti.
 La  proposta  di  definizione  del  giudizio  formulata  ai  sensi dell’art. 380 -bis c.p.c. è di inammissibilità e/o manifesta infondatezza del ricorso per le seguenti ragioni: unico, articolato motivo: inammissibile. Va premesso che l’ordinanza ammissiva del
giuramento decisorio può essere revocata anche dopo la prestazione dello stesso se il giudice si convinca che non sussistevano le condizioni per il suo deferimento, senza che assuma rilevanza il contegno processuale delle parti, in quanto trattasi di mezzo istruttorio per il quale la legge pone condizioni di ammissibilità non derogabili dalle parti e dunque non rimesse alla loro disponibilità (Sez. 3, n.22805 del 28 ottobre 2014). D’altronde, l’esistenza delle condizioni di ammissibilità del giuramento decisorio, concernenti la modalità della delazione, l’essenza della formula e la sua idoneità alla definizione della lite, deve essere verificata dal giudice anche d’ufficio, e, pertanto, qualora il giuramento sia stato ammesso in primo grado, il giudice d’appello, investito della questione della decisorietà del giuramento, può verificarne le condizioni di ammissibilità (Sez. 1, n. 24246 del 30 dicembre 2004).
Dal complesso della motivazione della sentenza impugnata si capisce che il richiamo “per relationem” all’inciso del Tribunale sull’irrilevanza del giuramento rispetto alla documentazione in atti -compendia la pregnanza della sequenza delle allegazioni considerate  decisive  dalla  Corte  d’appello  e  non  impugnate  in questa sede.
Il ricorrente con la memoria pur prendendo atto dell’orientamento  giurisprudenziale  che  ammette la  revocabilità dell’ordinanza  ammissiva  del  giuramento  decisorio sostiene  che l’orientamento  andrebbe  rivisto  trattandosi  di  una  prova  legale rispetto alla quale non può prevalere la prova documentale.
Pertanto, il ricorrente chiede affermarsi il seguente principio di diritto:  una  volta  ammesso e  prestato il  giuramento decisorio,  il
giudice del merito non può decidere in modo difforme il giudizio sulla base di prove documentali anche se abbia revocato l’ammissione del giuramento decisorio.
Preliminarmente deve richiamarsi la pronuncia delle Sezioni Unite secondo cui: nel procedimento ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., come disciplinato dal d.lgs. n. 149 del 2022, il presidente della sezione o il consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, può far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis.1, non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4 e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (cfr. Sez. U, Sentenza n. 9611 del 2024 depositata il 10.4.2024).
4.1  La  memoria  del  ricorrente  non  offre  elementi  tali  da indurre il collegio a conclusioni diverse rispetto a quelle formulate con la proposta che, invece, devono condividersi.
Da un lato, infatti, deve darsi continuità al principio già indicato nella proposta secondo cui: L’ordinanza ammissiva del giuramento decisorio  può  essere  revocata  anche  dopo  la  prestazione  dello stesso se il giudice si convinca che non sussistevano le condizioni per  il  suo  deferimento,  senza  che  assuma  rilevanza  il  contegno processuale delle parti, in quanto trattasi di mezzo istruttorio per il quale la legge pone condizioni di ammissibilità non derogabili dalle
parti e, dunque, non rimesse alla loro disponibilità (Sez. 3, Sentenza n. 22805 del 28/10/2014, Rv. 633248 – 01) , dall’altro deve evidenziarsi che tale potere spetta anche al giudice dell’appello . Si è detto, infatti, che: L’esistenza delle condizioni di ammissibilità del giuramento decisorio, concernenti la modalità della delazione, l’essenza della formula e la sua idoneità alla definizione della lite, deve essere verificata dal giudice anche d’ufficio, e, pertanto, qualora il giuramento sia stato ammesso in primo grado, il giudice d’appello, investito della questione della decisorietà del giuramento, può verificarne la ricorrenza anche se il soccombente l’abbia contestata soltanto nella comparsa conclusionale del giudizio di secondo grado (Sez. 1, Sentenza n. 24246 del 30/12/2004, Rv. 579301 – 01).
In sostanza l’ammissione della formula del giuramento decisorio non preclude, neanche in sede di decisione sul merito, una nuova valutazione delle condizioni per l’ammissibilità del giuramento, prestato su quella formula, in quanto il doveroso esercizio, da parte del giudice, dell’indicato controllo non trova ostacolo nell’art. 2738, primo comma, cod. civ. – che attribuisce efficacia di prova legale al prestato giuramento, con preclusione di ogni prova contraria in quanto per il prodursi di tale effetto la legge pone condizioni di ammissibilità non derogabili dalle parti e dunque non rimesse alla loro disponibilità.
In conclusione, posto il potere del giudice che ha ammesso il giuramento decisorio di revocarlo anche dopo il suo espletamento, nella  specie  la  decisione  si  rivela  pienamente  giustificata  non sussistendo  in radice i  presupposti  per  la  sua  ammissibilità
riguardanti le modalità della delazione, l’essenza della formula e la sua idoneità alla definizione della lite,
Il giuramento, decisorio o suppletorio, non può vertere sull’esistenza o meno di rapporti o di situazioni giuridiche, né può deferirsi per provocare l’espressione di apprezzamenti od opinioni né, tantomeno, di valutazioni giuridiche, dovendo la sua formula avere ad oggetto circostanze determinate che, quali fatti storici, siano stati percepiti dal giurante con i sensi o con l’intelligenza. Non può pertanto costituirne oggetto la qualità di amministratore di condominio, implicando l’accettazione della nomina, che è un atto negoziale e non un fatto storico (Cass. civ., Sez. II, Ordinanza, 25/10/2018, n. 27086 (rv. 651016-01)
I capitoli in cui era articolato il giuramento riportati dal ricorrente nel ricorso ne rilevano l’inammissibilità e l’irrilevanza ai fini della decisione della causa. Lo stesso ricorrente a pag. 14 del ricorso sostiene che la causa avrebbe dovuto essere decisa sulla base delle risposte ai capitoli con i quali il convenuto aveva giurato negando l’intervenuta usucapione degli immobili e che gli stessi non erano di proprietà di quest’ultima. Infatti, le circostanze relative alla consegna al solo scopo di ospitalità dell’immobile al sacerdote ed il fatto che egli custodiva il bene su incarico dei legittimi proprietari emigrati in Australia erano irrilevanti, mentre i capitoli relativi al possesso del l’immobile o all’ averlo usucapito e alla proprietà del bene vertevano non su fatti storici ma su aspetti giuridici che non potevano essere ammessi, integrando non già fatti suscettibili di formare oggetto di giuramento bensì situazioni giuridiche suscettibili di valutazione, siccome qualificanti il contenuto del rapporto instauratosi tra il soggetto e la “res”.
In definitiva occorre ribadire che il giuramento decisorio non può  avere  ad  oggetto  l’esistenza  o  inesistenza  di  rapporti,  di situazioni,  o  di  qualità  giuridiche,  né  può  deferirsi  per  provocare apprezzamenti, opinioni ovvero valutazioni di carattere giuridico, dovendo la sua formula avere ad oggetto circostanze determinate che nella specie non ricorrevano in alcun modo.
Inoltre, nella specie, manca l’idoneità alla definizione della lite anche  perché  con  sentenze  passate  in  giudicato  si  è  accertata l’esistenza del rapporto di locazione intercorrente tra le parti e la titolarità del bene rivendicato in capo ad NOME. La stessa, dunque, ha provato anche l’acquisto a titolo originario del bene in contestazione  mentre  con  efficacia  di  giudicato  si  è  accertata  la qualità di conduttore e quindi mero detentore del ricorrente.
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza  dei  presupposti  processuali  per  il  versamento  di  un
ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge; condanna altresì la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., al pagamento, in favore della parte controricorrente, della ulteriore somma pari ad euro 6.000,00, nonché al pagamento della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende;
dichiara  la  sussistenza  dei  presupposti  processuali  per  il versamento, da parte della  ricorrente,  di  un  ulteriore  importo  a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda