Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 12543 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 12543 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: TRICOMI IRENE
Data pubblicazione: 12/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11802/2023 R.G. proposto da COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in PEC DEL DIFENSORE DOMICILIO DIGITALE, avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOMEricorrente- contro
PROVINCIA DI ORISTANO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in PEC DEL DIFENSORE DOMICILIO DIGITALE avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI SEZ.DIST. DI SASSARI n. 49/2023 depositata il 08/03/2023, RG7/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’Appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, ha respinto l’appello proposto da NOME COGNOME nei confronti della Provincia di Oristano, avverso la sentenza n. 49/2023 emessa dalla Corte di Appello in sede di rinvio, a seguito dell’ordinanza di questa Corte n. 22405 del 2020 di cassazione con rinvio della sentenza emessa dalla medesima Corte di appello n. 299 del 2014. Con la sentenza n. 299 del 2014 la Corte d’appello di Cagliari riformava la sentenza del Tribunale di Oristano intervenuta tra le parti e, per l’effetto, in parziale accoglimento della domanda proposta da NOME COGNOME, dipendente della Provincia di Oristano inquadrata nella categoria D3 del CCNL 31 marzo 1999, accertava il demansionamento derivante dalla sottrazione, dal 1° maggio 2008, della responsabilità del servizio «controllo atmosferico ed acustico», avente valenza di posizione organizzativa; condannava la Provincia al pagamento della relativa indennità, maggiorata degli interessi. Condannava, altresì, la Provincia al pagamento, per gli anni 2004,2005 e 2007, della indennità di produttività in misura pari al punteggio massimo di valutazione, oltre interessi.
1.1. In accoglimento del secondo e del quarto motivo di ricorso per cassazione proposto dalla Provincia di Oristano, questa Corte con l’ordinanza n. 22405/20 ha affermato, in particolare, dopo aver ripercorso la disciplina normativa e contrattuale, che: ‘ nella fattispecie di causa si è verificato il mancato rinnovo alla Cambera dell’incarico di posizione organizzativa dopo la naturale scadenza, nell’aprile 2008, che dunque non richiedeva alcuna determinazione né motivazione ‘ .
Questa Corte ha, quindi, statuito che: ‘ La Corte territoriale si è discostata dai principi sopra esposti, che in questa sede vanno
ribaditi, sul rilievo che la originaria ricorrente era inquadrata nella posizione D3- ex ottava qualifica funzionale; ha infatti ritenuto che a tale inquadramento debba corrispondere la responsabilità di un servizio, responsabilità che nello specifico organigramma della Provincia di Oristano corrispondeva alla titolarità di una posizione organizzativa (…) Tale conclusione si pone in contrasto con il dettato degli articoli 8 e 9 del CCNL del 31 marzo 2009. Il disposto dei richiamati articoli esclude ogni possibilità di conseguire -o comunque di mantenere -la posizione organizzativa fuori dalle procedure in essi stabilite. In tal senso è chiaro il tenore testuale del comma due dell’articolo 8. (..) La COGNOME, in quanto dipendente inquadrata nella ex VIII qualifica funzionale, ha avuto accesso alla posizione economica D3 secondo la tabella di corrispondenza allegata al CCNL 31 marzo 1999. (…) Nel nuovo sistema di classificazione, ai sensi dell’articolo 3 del predetto CCNL, ciascuna categoria individua mansioni professionalmente equivalenti e nel suo ambito sono individuate posizioni differenziate unicamente sotto il profilo economico sicché alla posizione D3 non può attribuirsi alcun rilievo di apicalità in termini di mansioni. (…) La categoria D, secondo la declaratoria riportata nell’allegato A al CCNL, non è caratterizzata, contrariamente a quanto assunto in sentenza, dallo svolgimento di compiti di responsabilità di un servizio, potendo avere un contenuto di tipo tecnico, gestionale o direttivo. Di qui l’infondatezza dell’assunto secondo cui nelle ipotesi in cui nell’organigramma dell’ente locale le posizioni organizzative coincidano con la responsabilità dei servizi sussisterebbe un diritto dei funzionari D3 ad ottenerle’.
Questa Corte con l’ordinanza n. 22405 del 2020 quindi ha statuito ‘La sentenza impugnata deve essere conclusivamente cassata nella parte in cui ha dichiarato illegittima la privazione dal 1° maggio 2008 della responsabilità del servizio «controllo atmosferico ed
acustico» ed ha condannato la Provincia al pagamento della indennità di posizione organizzativa, maggiorata degli interessi legali. La causa deve essere rinviata alla Corte d’Appello di Cagliari sezione distaccata di Sassari affinché si adegui nella decisione ai principi di diritto qui ribaditi’.
1.2. La Corte d’Appello , con la pronuncia rescissoria oggetto dell’odierno ricorso, ha affermato che ‘ l’ordinanza della Cassazione – accogliendo il 2° e il 4° motivo di impugnazione basati sulla violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3 cpc – ha cassato la sentenza della Corte di Appello di Cagliari per violazione o falsa applicazione di norme di diritto sì che al giudice del rinvio – l’intestata Corte – altro non resta che uniformarsi ai principi di diritto formulati dalla Cassazione sopra riportata.
Con conseguente “infondatezza dell’assunto secondo cui nelle ipotesi in cui nell’organigramma dell’ente locale le posizioni organizzative coincidano con la responsabilità dei servizi sussisterebbe un diritto dei funzionari D3 ad ottenerle”.
Inoltre, contrariamente all’assunto della Cambera, la Corte di cassazione non ha frainteso la ragione dell’invocato demansionamento – perdita della responsabilità di servizio invece che perdita della posizione organizzativa – come si evince dal passo della motivazione in cui si afferma che “La Corte territoriale si è discostata dai principi sopra esposti, che in questa sede vanno ribaditi, sul rilievo che la originaria ricorrente era inquadrata nella posizione D3- ex ottava qualifica funzionale; ha infatti ritenuto che a tale inquadramento debba corrispondere la responsabilità di un servizio, responsabilità che nello specifico organigramma della Provincia di Oristano corrispondeva alla titolarità di una posizione organizzativa. 25. Tale conclusione si pone in contrasto con il dettato degli articoli 8 e 9 del CCNL del 31 marzo 2009 ‘ .
Pertanto, è istato considerata nammissibile la richiesta della Cambera di riesame della specifica situazione organizzativa esistente presso la Provincia di Oristano e, per l’effetto, di riassegnazione – sia pure soltanto ai fini del riconoscimento del relativo trattamento economico attesa l’attuale condizione di lavoratrice pensionata – del ruolo di responsabile di servizio la cui privazione avrebbe comportato il lamentato demansionamento.
Per l’effetto, si è stabilito che la ex lavoratrice dovesse essere ‘ condannata alla restituzione delle somme percepite in esecuzione della sentenza cassata della Corte di Appello di Cagliari pari a € 71.430,88 oltre interessi al tasso legale dal dovuto al saldo’.
Per la cassazione della sentenza di appello rescissoria ricorre la lavoratrice prospettando 4 motivi di ricorso.
Resiste la Provincia di Oristano con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Primo motivo. Violazione e falsa applicazione dell’art. 384, 2° comma, cpc, ai sensi dell’art.360, c.1, n.3, cpc – Omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che oggetto di discussione fra le parti ai sensi dell’art.360, c.1, n.5, per avere deciso senza effettuare gli ulteriori accertamenti indispensabili alla sua decisione.
Secondo motivo. Violazione e falsa applicazione dell’art. 48, comma 3, e 107 del D.Lgs 18/8/2000 n.267 (TUEL) ai sensi dell’art.360 c.1, n.3 Violazione e falsa applicazione dell’art.9, comma 1, dell’art.3, c.6, e dell’art. 16, comma 2, lett. c, del CCNL 31/3/1999 nonché Violazione dell’art.1, n. 2 del CCNL di interpretazione autentica dell’art.9, comma 3, del CCNL del 31.3.1999 del Comparto Regioni e autonomie locali in relazione agli artt.8 e 16 dello stesso CCNL nonché in relazione agli artt.4 e 17, comma 2, lett. c del CCNL dell’1/4/1999, ai sensi dell’art.360 c.1, n.3, per avere deciso in materia di conferimento e revoca della
responsabilità di servizio con valenza di posizione in violazione delle citate norme di legge e di contratto – Omesso esame di fatti decisivi e documenti per il giudizio ed oggetto di discussione fra le parti ai sensi dell’art.360, c.1, n.5, cpc, per avere omesso l’esame del Contratto Decentrato integrativo dell’ente cui la contrattazione collettiva aveva demandato la disciplina del conferimento degli incarichi di posizione organizzativa, nonché del Regolamento e dello Statuto dell’ente in cui erano stati d eterminati i principi generali in materia.
Terzo motivo. Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cpc ai sensi dell’art. 360, c.1, n.3 – Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ed oggetto di discussione fra le parti ai sensi dell’art.360, c.1, n.5, cpc., per non avere esaminato le allegazioni e produzioni relative al demansionamento subito dalla ricorrente per motivi diversi dalla privazione della responsabilità di servizio con valenza di PO e quindi per non aver deciso la domanda ritualmente riproposta.
Quarto motivo. Violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113, 345, commi 1 e 3, cpc e dell’art.394, comma 3, cpc, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., nonché Falsa applicazione degli art.336, comma 2, cpc, e art.389 cpc sempre ai sensi dell’art.360, comma 1, n.3, per aver deciso la domanda nuova, e quindi oltre i limiti di quella ammissibile sull’an, relativa alla restituzione di s omme in parte coperte dal giudicato, in parte oggetto di giudizi pendenti tanto in appello quanto in cassazione, (forse) per effetto della riconferma del contenuto dell’ordinanza di rinvio della Corte di Cassazione.
I suddetti motivi di ricorso devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione.
Gli stessi sono inammissibili.
Le censure , pur richiamando l’art. 384, cpc., nella sostanza non considerano, nella specie, così disattendendo il carattere di specificità del ricorso per cassazione che è impugnazione a critica
vincolata, il vincolo che discende dalla pronuncia rescindente per il giudice del rinvio, e la irretrattabilità del principio di diritto per la Corte nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza rescissoria.
5.1. Come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, a norma dell’art. 384, primo comma, cod. proc. civ., l’enunciazione del principio di diritto vincola il giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi, con conseguente preclusione della possibilità di rimettere in discussione questioni, di fatto o di diritto, che siano il presupposto di quella decisione, e di tener conto di eventuali mutamenti giurisprudenziali della stessa Corte, anche a Sezioni Unite, non essendo consentito in sede di rinvio sin dacare l’esattezza del principio affermato dal giudice di legittimità (v., ex aliis , Cass., n. 26545 del 2024, n. 29879 del 2023, n. 7091 del 2022, Cass. n. 20887 del 2018; si v. anche Cass. n. 21006 del 2005).
Il giudice del rinvio deve uniformarsi non solo alla «regola» enunciata, ma anche alle premesse logico giuridiche della decisione, e attenersi agli accertamenti già compresi nell’ambito di tale enunciazione, senza poter estendere la propria indagine a questioni che, pur se in ipotesi non esaminate nel giudizio di legittimità, costituiscono il presupposto stesso della pronuncia, formando oggetto di giudicato implicito interno, atteso che il riesame delle suddette questioni verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza, in contrasto col principio di intangibilità della stessa (Cass., n. 7091 del 2022, cit.).
Il Giudice delle Leggi ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 384, cod. proc. civ., nella parte in cui non consente che il giudice del rinvio possa discostarsi dal principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione, perché l’obbligo, per il giudice del rinvio, di uniformarsi al principio di diritto è coerente con la funzione nomofilattica della suprema Corte, ‘le cui
fondamenta poggiano anche sul principio costituzionale di uguaglianza (art. 3 Cost.), in forza del quale casa analoghi devono essere giudicati, per quanto possibile, in modo analogo’ (Corte cost., n. 149 del 2013).
5.2. La ricostruzione consolidata nella giurisprudenza di questa Corte (si veda, ex aliis , Cass., S.U., 17332 del 2021, cui adde Cass., n. 25969 del 2023) sul carattere cd. chiuso del giudizio di rinvio evidenzia che quest’ultimo non costituisce la rinnovazione o la prosecuzione del giudizio di merito, bensì la fase rescissoria rispetto a quella rescindente del giudizio di cassazione. Il giudizio di rinvio si presenta, quindi, come una prosecuzione del processo di Cassazione, nel corso del quale il giudice di merito ha il compito di svolgere quelle attività necessarie a conformarsi al principio di diritto enunciato dalla Corte ai sensi dell’art. 384, cod. proc. civ.
Dunque, il ricorso per cassazione avverso la sentenza del giudice di rinvio può essere fondato soltanto sulla deduzione dell’infedele esecuzione dei compiti affidati con la precedente pronuncia di annullamento, ed il sindacato della Corte si risolve nel controllo dei poteri propri del suddetto giudice di rinvio, per effetto di tale affidamento e dell’osservanza dei relativi limiti. Nella specie invece è censurata sotto più profili proprio l’attuazione dei principi enunciati da questa Corte con l’ordinanza r escindente.
5.3. La Corte d’Appello con la sentenza n. 49/23, ha applicato i principi di diritto affermati da questa Corte con la ordinanza n. 22505/20. Di talché, le censure investono la statuizione assunta dalla Corte con la pronuncia rescindente, chiedendosi, nella sostanza la pronuncia di una nuova regula iuris , ma tale istanza si pone in contrasto con il principio di irretrattabilità del principio di diritto enunciato in sede rescindente.
Come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., n. 14691 del 2021), la Corte di cassazione, nuovamente investita del
ricorso avverso la sentenza pronunziata dal giudice di merito in sede rescissoria, come nella specie, deve giudicare muovendo dalla regula iuris in precedenza enunciata, perché l’efficacia vincolante, che si estende anche alle premesse logico-giuridiche della decisione adottata oggetto di giudicato implicito interno, viene meno solo qualora la norma, in epoca successiva alla pubblicazione della pr onuncia rescindente, ma prima della decisione sull’impugnazione della sentenza rescissoria, sia stata dichiarata costituzionalmente illegittima ovvero sia divenuta inapplicabile per effetto di ius superveniens (cfr. fra le tante Cass. n. 20128/2013; Cass. n. 13873/2012; Cass. n. 17442/2006).
Tali evenienze – intervento del legislatore, pronuncia di illegittimità costituzionale – non si sono verificate e alle stesse non è assimilabile il confronto casistico e l’intervento delle successive decisioni di questa Corte indicati dalla ricorrente.
5.4. Nella specie, la controversia è stata decisa da questa Corte con la ordinanza n. 22405 del 2020, e la regula iuris pronunciata in detta sede non è suscettibile in diritto di riesame, come nella sostanza richiesto dalla ricorrente.
L’ordinanza n. 22405/20 di questa Corte ha soppesato gli argomenti che le parti hanno sottoposto al giudicante, dando preferenza agli uni piuttosto che agli altri, così appunto dirimendo la questione stessa e fissando, da controversi che erano, i punti di fatto e di diritto che devono ritenersi oramai consolidati tra le parti, presentando peraltro quelle caratteristiche idonee alla formazione del giudicato (cfr., Cass., S.U., n. 24646 del 2016).
Ai principi enunciati da questa Corte in sede rescindente, ha dato attuazione, con la sentenza 49/2023, la Corte d’Appello . Va in proposito ricordato che il giudice di rinvio, quando la sentenza di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, come è accaduto nella specie, è
tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’art. 384, comma 1, c.p.c., al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l ‘ accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo (Cass., n. 17240 del 2023).
Quanto al l’inammissibilità del quarto motivo di ricorso si osserva, inoltre, che la Corte d’Appello, proprio quale giudice del rinvio, ha statuito anche in ordine alla restituzione delle somme percepite dalla ricorrente in esecuzione della sentenza cassata dall’ordinanza n. 22405/20 di questa Corte, statuizione rispetto alla quale le censure prospettate con il suddetto quarto motivo risultano generiche, limitandosi a richiamare documentazione, senza riportarne il contenuto ritenuto rilevante e indicarne in modo circostanziato il luogo di produzione in giudizio.
Come già affermato da questa Corte, la domanda di restituzione delle somme pagate in esecuzione di una sentenza, successivamente cassata in sede di legittimità, va proposta esclusivamente dinanzi al giudice competente per effetto del rinvio, e non dinanzi al giudice che sarebbe competente secondo le norme ordinarie. Il diritto alle restituzioni nasce per effetto della cassazione della sentenza e, dunque, da una vicenda processuale, ma è pur sempre inerente e collegato alla vicenda sostanziale oggetto del giudizio cui si correlano le restituzioni, e che la norma dell’art. 389 c.p.c., là dove prevede che sia competente il giudice di rinvio in caso di cassazione con rinvio o quello che ha emesso la sentenza impugnata, appare significativa dell’intenzione del legislatore di attribuire il giudizio di restituzioni allo stesso giudice ufficio avanti al quale rispettivamente continua ad essere giudicata o è stata giudicata la vicenda sostanziale oggetto della lite (Cass., n. 22359 del 2021).
I profili di censura che sono prospettati come omesso esame, risultano inammissibili, in quanto per come formulati, esulano dal paradigma legale della censura di cui all’art. 360, n.5, cpc , come
novellato, evidenziando non l’omesso esame di un fatto storico, ma una critica alle ragioni di diritto e alla valutazione delle risultanze istruttorie operate dalla Corte d’Appello nel dare attuazione ai principi enunciati da questa Corte in sede rescindente.
Il ricorso è inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 3.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, spese generali in misura del 15 % e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro