Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2096 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 2096 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 1818-2023 proposto da:
NOME COGNOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
Cassazione – giudizio di rinvio -limiti ex art. 394 cpc qualificazione domanda
R.G.N. 1818/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 05/12/2024
CC
avverso la sentenza n. 285/2022 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 11/10/2022 R.G.N. 139/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
con sentenza dell’11 ottobre 2022, la Corte d’appello di Ancona (in sede di rinvio dall’ordinanza di questa Corte 23 febbraio 2022, n. 5985, di annullamento della sentenza della stessa Corte d’appello n. 281/2017, di analoga reiezione) ha rigettato l’appello proposto d a NOME COGNOME avverso la sentenza primo grado, di rigetto della sua domanda di maggiori compensi pretesi per il rapporto di collaborazione coordinata continuativa intercorso con RAGIONE_SOCIALE per attività di autotrasporto e distribuzione di giornali, oltre attività aggiuntiva di smistamento di riviste e di apposizione di bolli e locandine;
investito dalla sentenza rescindente dell’esame della domanda relativa a quest’ultima attività parasubordinata aggiuntiva -differente da quella in origine pattuita tra le parti, non assorbita, ancorché accessoria, da quella di autotrasporto e distribuzione di giornali -in quanto non svolto dalla sentenza poi sul punto annullata (in accoglimento del II motivo di ricorso per cassazione), il giudice di rinvio ha ritenuto il difetto di un’idonea domanda.
E ciò, sull’assorbente rilievo della deduzione da parte del lavoratore -nel ricorso introduttivo e ribadito in sede di riassunzione -di svolgimento dell’attività aggiuntiva ‘senza che ne fosse obbligato’ : e pertanto spontaneamente, in assenza di un titolo contrattuale. Con la conseguenza dell’utile esperibilità
di una domanda, autonoma e diversa, ai sensi dell’art. 2041 c.c.: tuttavia, non proposta;
con atto notificato il 9 gennaio 2023, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione con undici motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c., cui la società ha resistito con controricorso;
il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380 bis 1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
CONSIDERATO CHE
il ricorrente ha dedotto violazione dell’art 394 c.p.c., vizio motivo ed error in procedendo , per non avere la Corte d’appello rispettato il carattere chiuso del giudizio di rinvio, pertanto circoscritto allo stretto esame del rapporto di collaborazione coordinata continuativa tra le parti, senza la possibilità di ampliare il thema decidendum (primo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 394 c.p.c., per l’inammissibilità, in sede di giudizio di rinvio, di una diversa ricostruzione dei fatti (terzo motivo);
essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati;
con l’ordinanza rescindente n. 5985/2022, questa Corte ha così delimitato il perimetro del giudizio di rinvio: ‘Con il secondo motivo è dedotta la violazione dell’art. 414 c.p.c nonché l’omesso esame di fatto decisivo con riguardo alla seconda attività di smistamento e apposizione bolli e locandine, non considerata dalla corte di appello, quale attività parasubordinata aggiuntiva.
La censura è fondata. La sentenza impugnata, sebbene contenga, come sopra detto, il riferimento ad entrambe le domande azionate, in concreto le unifica nella congiunta
trattazione qualificando quella relativa alla attività aggiuntiva (smistamento dei giornali e apposizione di bolli e locandine) quale accessoria della prima. Dalla stessa sentenza risulta con chiarezza che quella relativa a smistamento dei giornali e apposizione di bolli e locandine è attività differente da quella in origine pattuita tra le parti, che, a prescindere dalla natura dell’attività principale, merita una specifica considerazione ed un esame della relativa richiesta. Invero non può in tal senso ritenersi corretta la valutazione di accessorietà di una prestazione in assenza di una specifica pattuizione o previsione che la preveda (ad es. tipologia mansionistica articolata su plurimi profili professionali) ed anzi con accordi tra le parti di contenuto differente. Il concetto di accessorietà, comunque collegato astrattamente ad una prestazione principale, non può, solo per tale legame, essere da quella completamente assorbito nella sua rilevanza, senza che sia effettuata una precisa misurazione della entità delle energie lavorative richieste e della congruità del corrispettivo dovuto (Cass. n. 16094/2016; Cass.n. 12763/1998). Tale esame non è stato svolto. La censura deve quindi essere accolta.’ (così in motivazione, sub p.to 2); 3.1. giova in proposito ribadire i principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità, in ordine alla diversità dei limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio, a seconda che la sentenza di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per l’una e per l’altra ragione: a ) nella prima ipotesi, essendo il giudice di rinvio tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’art. 384, primo comma c.p.c., al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al
processo; b ) nella seconda ipotesi, potendo esso non solo valutare liberamente i fatti già accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata, tenendo peraltro conto delle preclusioni e decadenze già verificatesi; c ) nella terza ipotesi, potendo la potestas iudicandi del giudice di rinvio, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, comportare la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione sia consentita in base alle direttive impartite dalla Corte di cassazione e sempre nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse (Cass. 6 aprile 2004, n. 6707; Cass. 7 agosto 2014, n. 17790; Cass. 24 ottobre 2019, n. 27337; Cass. 14 gennaio 2020, n. 448: Cass. 15 giugno 2023, n. 17240);
3.2. nel caso di specie, si verte nella terza ipotesi di annullamento, sia per violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 414 c.p.c.), sia per vizio motivo (omesso esame di un fatto decisivo): e pertanto, di possibilità di estrinsecazione della potestas iudicandi del giudice di rinvio, oltre che nell’applicazione del principio di diritto, anche nella valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonché di altri fatti, la cui acquisizione sia consentita in base alle direttive impartite dalla Corte di cassazione e sempre nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse.
Sicché, la Corte d’appello ha correttamente condotto il proprio esame, come invitata a fare dall’ordinanza rescindente in quanto omesso dalla sentenza d’appello annullata, delle circostanze di fatto tempestivamente allegate dal lavoratore; e segnatamente, della deduzione di svolgimento dell’attività aggiuntiva ‘senza’ esserne ‘obbligato’ : e pertanto
spontaneamente, in assenza di un titolo contrattuale (così dal quart’ultimo al penultimo capoverso di pg. 2 della sentenza);
4. in estrema sintesi, il ricorrente ha poi dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 167, 416 c.p.c., per non rilevabilità d’ufficio dell’eccezione di una causa di ingiustificato arricchimento (secondo motivo); violazione e falsa interpretazione della domanda, travisamento dei fatti di causa in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5, per inammissibilità di una diversa ricostruzione dei fatti in sede di rinvio (quarto motivo); violazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c., per la formazione di gi udicato sull’ordinanza rescindente in ordine alla qualificazione causale del rapporto dedotto in giudizio (quinto motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c., per illegittima applicazione di una norma inconferente (sesto motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. ovvero omesso esame di un fatto decisivo, per illegittima applicazione dei canoni interpretativi in base al semplice inciso ‘senza esservi obbligato’ (settimo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112 c.p.c. ovvero omesso esame di un fatto decisivo, per erronea valutazione di rilevanza delle espressioni usate dalle parti (ottavo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 420 c.p.c., 2727, 2729 c.c. e omesso esame di un fatto d ecisivo, violazione dell’art. 112 c.p.c., nonché per vizio di ultrapetizione ed extrapetizione in ordine alla qualificazione del rapporto tra le parti come privo di causa (nono motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 420 c.p.c., 2727, 2729 c.c. e omesso esame di un fatto decisivo, per arbitraria interpretazione delle allegazioni e delle domande delle parti sull’assunto erroneo di un rapporto senza causa tra le stesse (decimo motivo);
essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono sostanzialmente inammissibili e comunque infondati;
6. al di là della doverosa articolazione, non sempre rispettata, del ricorso per cassazione in specifiche censure riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad uno dei cinque motivi di impugnazione previsti dall’art. 360, primo comma c.p.c., sicché, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di uno dei predetti motivi, è indispensabile che le censure individuino con chiarezza i vizi prospettati, tra quelli inquadrabili nella tassativa griglia normativa (Cass. S.U. 8 novembre 2021, n. 32415), essendo giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito (Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 14 maggio 2018, n. 11603), le censure sono state formulate senza indicazione, tanto meno puntuale, degli errores in iudicando , peraltro in assenza di errori di diritto, neppure sotto il profilo del vizio di sussunzione (Cass. 30 aprile 2018, n. 10320; Cass. 25 settembre 2019, n. 23851) e sono pure generiche, essendo tali errori denunciati in modo vago; neppure essendo più configurabile quello di ‘difetto di motivazione’, a seguito della novellazione del testo dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (Cass. S.U. 7 aprile 2014, n. 8053); 6.1. nella loro formulazione sinteticamente illustrata, i suindicati motivi non si confrontano in modo adeguatamente specifico con la qualificazione della domanda, da parte della Corte di rinvio cui essa è riservata quale giudice del merito, sulla base delle allegazioni della parte, non preclusa dall’ordinanza rescindente di questa Corte (anzi, ponendosi nell’alveo dell’accertamento
commesso), così mettendo capo ad un accertamento giuridicamente corretto e congruamente argomentato (dall’ultimo capoverso di pg. 2 al primo di pg. 3 della sentenza): in violazione del principio di specificità stabilito dall’art. 366, primo comma, n. 4 c.p.c., che per ogni motivo esige l’indicazione della rubrica, la puntuale esposizione delle ragioni per cui è proposto nonché l’illustrazione degli argomenti posti a sostegno della sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo, come espressamente indicato nella rubrica, giustifichino la cassazione della pronunzia (Cass. 18 agosto 2020, n. 17224, in motivazione sub p.to 2.2).
Sicché, le censure si risolvono, nella sostanza, in una diversa interpretazione e valutazione delle risultanze processuali e ricostruzione della fattispecie operata dalla Corte territoriale, insindacabili in sede di legittimità (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass. S.U. 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987), per esclusiva spettanza al giudice del merito, autore di un accertamento in fatto, argomentato in modo pertinente e adeguato a giustificare il ragionamento logico-giuridico alla base della decisione;
il ricorrente ha infine dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. artt. 91, 92, secondo comma c.p.c. nell’interpretazione costituzionalmente corretta della sentenza della Corte costituzionale n. 77 del 2018, per avere il giudice di rinvio erronea statuito sulle spese del giudizio (undicesimo motivo);
esso è infondato;
ribadito il principio, secondo cui, in sede di legittimità, la statuizione sulle spese processuali è sindacabile nei limiti dell’accertamento che risulti violare il principio secondo il quale
esse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, esulando tuttavia dal potere di controllo della Corte di cassazione la valutazione, nella giustificata discrezionalità del giudice di merito, dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte: sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (Cass. 19 giugno 2013, n. 15317; Cass. 31 febbraio 2017, n. 8421; Cass. 17 ottobre 2017, n. 24502; Cass. 12 marzo 2019, n. 7060), la Corte territoriale ha correttamente applicato il regime di soccombenza, a carico del lavoratore;
10. pertanto il ricorso deve essere rigettato, con la regolazione delle spese del giudizio di legittimità secondo il regime di soccombenza e con raddoppio del contributo unificato per il ricorrente, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. S.U. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso e condanna il lavoratore ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 4.000,00 per compensi professionali; oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 5 dicembre 2024 Il Presidente est.
(dott. NOME COGNOME)