Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 3365 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 3365 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7994/2018 R.G. proposto da:
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME (nella qualità di erede di NOME COGNOME), NOME COGNOME, NOME COGNOME , elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME e COGNOME NOME
-ricorrenti – contro
Oggetto: Dipendenti RAGIONE_SOCIALE – Polizza di previdenza integrativa – Adeguamento
R.G.N. 7994/2018
Ud. 12/01/2024 CC
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
L’RAGIONE_SOCIALE E LO RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE , in ope legis in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso AVVOCATURA GENERALE
persona del legale rappresentante pro tempore e domiciliata DELLO STATO che la rappresenta e difende
-controricorrente – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO ROMA n. 3634/2017 depositata il 11/09/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 12/01/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 3634/2017 dell’11 settembre 2017, la Corte d’appello di Roma, decidendo in sede di rinvio ex art. 384 c.p.c. a seguito della decisione di questa Corte n. 15209/2013, ha – nella regolare costituzione dell’appellata RAGIONE_SOCIALE respinto l’appello proposto da una serie di dipendenti (o loro eredi) della RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) avverso la sentenza del Tribunale di Roma del 3 aprile 2007.
Nel giudizio promosso innanzi il Tribunale capitolino i ricorrenti -tutti dipendenti RAGIONE_SOCIALE già in epoca anteriore all’entrata in vigore della L. n. 70/1975 -dopo aver premesso:
-che, sulla base di un risalente accordo aziendale, essi erano beneficiari di un trattamento di previdenza integrativa tramite polizza assicurativa collettiva n. 33000 presso INA, operante mediante accantonamenti annuali di somme equivalenti al 20% della retribuzione;
-che la successiva legge n. 70/1975 aveva escluso de futuro tali forme di previdenza integrativa, prevedendo tuttavia la conservazione dei fondi integrativi per il personale già in servizio o già cessato;
-che a partire del 1982, RAGIONE_SOCIALE aveva ‘congelato’ i propri versamenti al valore monetario maturato a dicembre 1981;
avevano domandato, sul presupposto dell’illegittimità di detto ‘congelamento’, la condanna dell’Ente a procedere anche in via risarcitoria -all’integrazione del trattamento previdenziale da erogare a fine rapporto mediante integrazione delle somme non corrisposte, pari al 20% degli incrementi retributivi maturato dal 1982 in poi.
Il giudizio, si è, poi, sviluppato -in sintesi -nelle seguenti decisioni:
-la già citata sentenza del Tribunale di Roma del 3 aprile 2007, la quale ha dichiarato il difetto di giurisdizione in ordine sia alle domande dei ricorrenti il cui rapporto era cessato prima del 1° luglio 1998 sia alle domande dei ricorrenti volte a conseguire la riliquidazione dei riscatti parziali effettuati nel corso del rapporto di impiego mentre ha accolto le domande dei ricorrenti il cui rapporto era cessato dopo il 30 giugno 1998;
-la sentenza della Corte d’appello di Roma del 26 novembre 2010 la quale aveva disatteso i motivi di gravame concernenti la declinatoria di giurisdizione mentre aveva riformato la decisione di prime cure, rigettando le domande degli originari ricorrenti;
-nella sentenza di questa Corte (Cass. Sez. U, Sentenza n. 15209 del 2013) che aveva accolto il ricorso dei lavoratori, rilevando che la decisione della Corte capitolina aveva esaminato e valutato il contenuto di un contratto di
assicurazione INA (n. 59000), diverso da quello sul quale gli originari ricorrenti avevano fondato le loro domande (n. 33000).
Per quanto ancora rileva nella presente sede, la Corte capitolina ha ritenuto infondato il gravame formulati dai ricorrenti il cui rapporto era cessato dopo il 30 giugno 1998.
La Corte d’appello, infatti, richiamando precedenti di questa Corte ha osservato che il mancato adeguamento della base di calcolo stipendiale ai fini della determinazione dei versamenti ad RAGIONE_SOCIALE era legittimamente fondato sull’art. 46, terzo comma, d.P.R. n. 509/1979 e sulla L. n. 84/1982 che demandava la regolamentazione del trattamento economico del personale dipendente RAGIONE_SOCIALE alla contrattazione collettiva, la quale aveva legittimamente previsto la conservazione del trattamento di previdenza nel valore fissato in base ai criteri di cui al già citato art. 46, terzo comma, d.P.R. n. 509/1979.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma ricorrono NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME, NOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME (nella qualità di erede di COGNOME NOME), NOME COGNOME, COGNOME NOME.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE PER LE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE L’RAGIONE_SOCIALE E LO RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380 bis.1, c.p.c.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. L’unico motivo di ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1411 e 1920, ultimo comma, c.c. ‘con riferimento alla natura autonoma del diritto di credito dei dipendenti beneficiari-assicurati ed alla sua intangibilità ed indifferenza rispetto alle modifiche previste dall’art. 52, comma 4 CCL RAGIONE_SOCIALE 1982, quale diritto quesito discendente direttamente ed immediatamente dalla polizza assicurativa. Erroneità ed ingiustizia del dispositivo della Sent enza impugnata’ .
Argomentano i ricorrenti che, nel proprio ricorso in appello, essi non si erano limitati alle censure scrutinate dalla Corte territoriale, ma avevano dedotto anche l’illegittimità del dedotto congelamento in relazione al proprio autonomo diritto di credito, discendente direttamente ed immediatamente dagli artt. 1411 e 1920 c.c e dalla polizza n. 33000, e della quale pacificamente gli ex dipendenti erano stati designati assicurati -beneficiari.
Si dolgono del fatto che tale ulteriore argomentazione non sia stata presa in considerazione dalla Corte d’Appello che si sarebbe limitata a riportare solo le statuizioni di precedenti sentenze di legittimità e di merito che non erano pertinenti alla fattispecie dedotta dagli appellanti, riferita specificamente alla qualità di terzi beneficiari di polizza assicurativa rivestita dai lavoratori ed alla conseguente intangibilità dei diritti ad opera del successivo CCNL.
Pertanto, i ricorrenti prospettano di non aver fondato la propria domanda solo sulla dedotta contrarietà dell’articolo 52, comma 4, del C.C.N.L. con l’articolo 14 della legge 70/1975 e con l’articolo 2077 c.c. (contrarietà che risulterebbe superata dalla legge n. 84 del 1982 e dalla efficacia erga omnes del contratto del pubblico impiego), ma anche sulle ulteriori censure e gli ulteriori profili di illegittimità/inefficacia dell’articolo 52, comma 4, cit., debitamente illustrati nell’atto d’appello.
2. Il ricorso è inammissibile.
Come già rammentato in precedenza, la decisione della Corte d’appello di Roma ora impugnata è stata assunta in sede di rinvio ex art. 384 c.p.c. a seguito di precedente decisione di questa Corte.
Da ciò consegue che il giudizio innanzi alla Corte capitolina, proprio in quanto giudizio di rinvio ex art. 394 c.p.c., non veniva a costituire la rinnovazione o la prosecuzione del giudizio di merito, ma integrava la fase rescissoria rispetto a quella rescindente del giudizio di cassazione, e che, pertanto, in quella sede non potevano essere oggetto di discussione tutte le questioni che costituivano – esplicitamente o implicitamente – presupposti decisi nella pronuncia della Corte di cassazione.
Come chiarito, anche recentemente, da questa Corte (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 25642 del 2023), a norma dell’art. 384, primo comma, c.p.c., l’enunciazione del principio di diritto vincola il giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi, con conseguente preclusione della possibilità di rimettere in discussione questioni, di fatto o di diritto, che siano il presupposto di quella decisione, e di tener conto di eventuali mutamenti giurisprudenziali della stessa Corte, anche a Sezioni Unite, non essendo consentito in sede di rinvio sindacare l’esattezza del principio affermato dal giudice di legittimità (cfr. fra le tante Cass. Sez. L, Sentenza n. 21776 del 2022; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 29879 del 27/10/2023; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 7091 del 03/03/2022; Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 20887 del 22/08/2018).
È stato precisato anche che, in caso di ricorso per cassazione avverso la sentenza pronunciata ex art. 394 c.p.c., fondato sulla deduzione della infedele esecuzione dei compiti affidati con la precedente pronuncia di annullamento, il sindacato della Corte si risolve nel controllo dei poteri propri del giudice di rinvio, per effetto di
tale affidamento e dell’osservanza dei relativi limiti, la cui estensione varia a seconda che l’annullamento stesso sia avvenuto per violazione di norme di diritto ovvero per vizi della motivazione, in quanto, nella prima ipotesi, egli è tenuto soltanto ad uniformarsi al principio di diritto enunciato nella sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti, già acquisiti al processo, mentre, nel secondo caso, la sentenza rescindente – indicando i punti specifici di carenza o di contraddittorietà della motivazione – conserva al giudice stesso tutte le facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell’ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 2652 del 02/02/2018; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13719 del 14/06/2006).
C orollario dei richiamati principi è l’orientamento, egualmente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in conseguenza della struttura “chiusa” del giudizio di rinvio, la posizione delle parti viene ad essere cristallizzata nei termini in cui era rimasta definita nelle precedenti fasi processuali fino al giudizio di cassazione, e precisamente fino all’ultimo momento utile in cui, ex art. 372 c.p.c. detta posizione poteva subire eventuali specificazioni nei limiti e nelle forme previste per il giudizio di legittimità, con la conseguenza che il giudice di rinvio può prendere in considerazione fatti nuovi incidenti sulla posizione delle parti, senza intaccare il decisum della pronuncia di cassazione solo a condizione che si tratti di fatti dei quali non era stata possibile l’allegazione fino a quell’ultimo momento utile nel giudizio di cassazione (art. 372 c.p.c.), per essersi i fatti medesimi verificati dopo quel momento (Cass. Sez. L – Sentenza n. 11411 del 11/05/2018);
Non è, in sintesi, consentito qualsiasi riesame dei presupposti di applicabilità del principio di diritto enunciato, sulla scorta di fatti o
profili non dedotti nei precedenti gradi del giudizio di merito, né il giudice del rinvio può procedere all’esame di ogni altra questione, anche rilevabile d’ufficio, che tenda a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione in contrasto con il principio della sua intangibilità (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5381 del 07/03/2011).
Nel caso in esame, per contro, la questione evidenziata nel ricorso non risulta essere stata oggetto del precedente giudizio di legittimità, con la conseguenza che la stessa non è esaminabile in questa sede perché già implicitamente sottoposta o non sottoposta a questa Corte nel precedente giudizio rescindente.
I ricorrenti, quindi, non possono nella presente sede venirsi a dolere del vizio di omessa pronuncia su questione che essi stessi ammettono essere stata sollevata nella fase anteriore alla sentenza rescindente senza che il mancato esame di tale profilo fosse stato fatto oggetto del precedente ricorso in sede di legittimità.
Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso discende la condanna dei ricorrenti alla rifusione in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna i ricorrenti a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 6.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell ‘adunanza camerale in data 12 gennaio