Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3239 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3239 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21266/2019 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO, presso lo RAGIONE_SOCIALEo dell’AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO COGNOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO, SC.A, INT.6, presso lo RAGIONE_SOCIALEo dell’AVV_NOTAIO che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di RAGIONE_SOCIALE n. 3037/2019 depositata il 09/05/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE rigettava la domanda proposta ai sensi dell’art. 2041 cod. civ. dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE” in relazioni a prestazioni rese, dopo la cessazione dell’efficacia di un contratto di appalto, nel periodo compreso fra il primo gennaio 1987 e il 31 marzo 1989; accoglieva, al contrario l’azione di ripetizione di indebito proposta dall’RAGIONE_SOCIALE in via riconvenzionale, condannando la società attrice alla restituzione della somma di euro 2.850.860,80, con gli interessi legali decorrenti dal 28 febbraio 1991.
La Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE, in parziale riforma della decisione di primo grado, rigettava la domanda proposta in via riconvenzionale dall’RAGIONE_SOCIALE, compensando interamente le spese di entrambi i gradi del giudizio di merito.
RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso incidentale.
La Corte di Cassazione riteneva fondata la censura proposta con il ricorso principale con cui era stata denunciata l’erronea applicazione dell’art. 183 c.p.c. per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto ammissibile l’eccezione di prescrizione del diritto azionato dal l’ RAGIONE_SOCIALE con la domanda proposta in via riconvenzionale, anche se sollevata con la prima memoria
Ric. 2019 n. 21266 sez. S2 – ud. 18/01/2024
presentata ex art. 183, comma 5, c.p.c.. Tutti i motivi del ricorso incidentale della RAGIONE_SOCIALE venivano, invece, rigettati. La sentenza della Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE veniva dunque cassata in accoglimento del ricorso principale e rinviava alla Corte di Appello di RAGIONE_SOCIALE, in diversa composizione, per nuovo giudizio in applicazione del principio affermato.
RAGIONE_SOCIALE riassumeva il giudizio chiedendo di condannare la RAGIONE_SOCIALE a restituirle la somma di € 2.850.860,80, oltre interessi.
Si costituiva la RAGIONE_SOCIALE chiedendo, in via principale di dichiarare inammissibile la domanda in riassunzione per difetto di ius loquendi del difensore e comunque per difetto di legittimazione attiva e processuale e nel merito di rigettare la domanda perché infondata in fatto e diritto in quanto il pagamento asseritamente duplicato sarebbe stato imputato da RAGIONE_SOCIALE a copertura di altri crediti precedenti, scaduti e non assistiti da alcun titolo giudiziale.
La Corte d’Appello rigettava l’appello di COGNOME e confermava la sentenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE. In particolare, delimitato il giudizio di rinvio rispetto ai principi espressi dalla Corte di Cassazione evidenziava di essere chiamata ad effettuare una nuova valutazione de ll’ impugnazione a suo tempo proposta dalla COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE che aveva respinto la sua domanda proposta, ex art. 2041 c.c. nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE in relazione a prestazioni rese dopo la cessazione dell’efficacia di un contratto di appalto, nel periodo compreso tra il primo gennaio 1987 e il 31 marzo 1989, e che, invece, aveva accolto l’azione di ripetizione di indebito proposta dall’RAGIONE_SOCIALE in via riconvenzionale, condannando la
NOME alla restituzione della somma di € 2.859.860,80, oltre interessi.
Il credito vantato dall’RAGIONE_SOCIALE derivava dal preteso doppio pagamento per un decreto ingiuntivo già emesso a favore di RAGIONE_SOCIALE per il corrispettivo del contratto di appalto per l’automazione informatica dei servizi del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE
La Corte d’Appello rilevava, come già affermato dal Tribunale, la tardività dell’eccezione di prescrizione del diritto alla restituzione del pagamento indebito sollevata nell’ambito del giudizio di primo grado dalla RAGIONE_SOCIALE.
Le ulteriori censure prospettate dalla RAGIONE_SOCIALE erano ritenute infondate in conformità alle affermazioni di principio effettuate dalla Suprema Corte che aveva già affrontato e risolto in senso sfavorevole alla RAGIONE_SOCIALE la questione dell’eccepito difetto di legittimazione in capo all’RAGIONE_SOCIALE sulla base del rilievo che il d.l. n. 34 del 1999, convertito con modificazioni nella L.n. 453/99, che aveva soppresso l’RAGIONE_SOCIALE, soggetto costituente organo de ll’ ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, e contestualmente istituito l’omonima RAGIONE_SOCIALE sanitaria, aveva stabilito la successione di quest’ultima alla prima per soli dodici mesi ai fini della valutazione de ll’ opportunità di procedere alla risoluzione, conferma o revisione, in tutto o in parte, dei rapporti in corso, relativi alla gestione dell’assistenza sanitaria, con utenti, autorità competenti e altre amministrazioni, nei contratti in corso per la costruzione di strutture destinate ad attività assistenziali, nonché nei contratti in corso per la fornitura di beni e servizi destinati al l’ assistenza sanitaria e prevedeva che assumeva la qualità di sostituto processuale dell ‘ RAGIONE_SOCIALE nel
contenzioso giudiziale ed extragiudiziale concernente appalti o concessioni per opere pubbliche a prevalente o esclusiva destinazione sanitaria, con la conseguenza che tale disciplina non poteva trovare applicazione rispetto al caso di specie.
Infatti, difettava il requisito dell’attualità del rapporto in quanto la richiesta di indebito arricchimento riguardava un rapporto conclusosi nel 1989, mentre lo specifico rapporto sottostante non atteneva né alla gestione dell’assistenza sanitaria, né alla fornitura di beni e servizi destinati all’assistenza sanitaria, né ad opere pubbliche a prevalente od esclusiva destinazione sanitaria, riguardando il contratto di appalto in questione l’automazione delle procedure gestionali. Tali conclusioni devono ritenersi confermate dalle argomentazioni svolte dalla Suprema Corte circa il fatto che la costituzione in ente avente personalità giuridica di diritto pubblico de ll’RAGIONE_SOCIALE era stata effettuata per la prima volta con il d.l. n. 341 del 1999, convertito con modifiche nella l. n. 453 del 1999, che non aveva disposto una successione a carattere universale della neocostituita RAGIONE_SOCIALE rispetto all’omonima RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ed i rapporti derivanti, in precedenza, dal l’ utilizzazione di tale struttura sanitaria potevano legittimamente essere riferiti al l’ RAGIONE_SOCIALE della quale il RAGIONE_SOCIALE costituiva parte integrante, sebbene dotato di autonomia organizzativa, gestionale e contabile.
COGNOME non aveva fornito ulteriori argomentazioni idonee ad incrinare i suddetti percorsi argomentativi.
Quanto al merito, la Corte riteneva di dover condividere integralmente le valutazioni operate dal Tribunale per pervenire all’accoglimento della domanda riconvenzionale proposta
dal l’ RAGIONE_SOCIALE che aveva fornito la prova documentale dell’avvenuto versamento della complessiva somma di lire 4.990.601.580 a mezzo di cinque mandati di pagamento riscossi dalla RAGIONE_SOCIALE il 26 ottobre 1989 con causale “atti di pignoramento 8260, 8261, 8262 del 24 luglio 1989, nonché del versamento dell’ulteriore somma di lire 5.520.036.240 con mandato di pagamento n.30337 riscosso il 28 febbraio 1991 dalla RAGIONE_SOCIALE, con causale ” per altrettant. già commutate vaglia cambiario Banca d’Italia, pignoramento NOME .
La difesa della RAGIONE_SOCIALE senza contestare la riscossione dei mandati di pagamento, né i relativi importi, né di avere agito esecutivamente per azionare i decreti ingiuntivi dichiarati provvisoriamente esecutivi si era limitata a strutturare la propria difesa imputando somme relative al sesto mandato a “crediti vantati nei confronti della stessa RAGIONE_SOCIALE, esigibili e non assistiti da titoli giudiziari ‘ , oltre che ad eccepire l’intervenuta prescrizione.
Tali deduzioni non erano idonee ad inficiare il decisum del Tribunale, attenendo all’assetto complessivo della situazione dare avere intercorrente tra le parti senza alcun riferimento specifico al rapporto oggetto del giudizio (asseriti ingenti crediti portati da fatture versate in atti ed emesse in forza di contratti pienamente vigenti, inserimento del credito della RAGIONE_SOCIALE nella massa passiva, transazione del 30 giugno 2009, di poco successiva alla sentenza della Corte di Appello).
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di quattro motivi di ricorso.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso e, con memoria depositata in prossimità dell’udienza , ha insistito nelle sue richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c. in relazione all’eccezione di difetto di legittimazione ad causam dell’RAGIONE_SOCIALE alla domanda di ripetizione di indebito.
La censura ha ad oggetto il rigetto dell’eccezione di difetto di legittimazione ad causam dell’RAGIONE_SOCIALE rispetto alla domanda di ripetizione di indebito, per effetto dell’art. 2, comma 7, del d.l. n. 341 del 1999 convertito nella l. n. 453 del 1999.
La COGNOME aveva dedotto che non ricorreva un caso di successione nel diritto controverso, ” ma di sostituzione processuale che dovrebbe determinare automaticamente la perdita della legittimazione del sostituto e quindi unico contraddittore nei pregressi rapporti giudiziali tra RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE dovrebbe essere l’RAGIONE_SOCIALE “.
La questione era già stata riproposta in sede di ricorso avverso la prima sentenza d’appello poi cassata con la sentenza di Cassazione n.9880 del 2016. La Corte di Cassazione non aveva statuito sul difetto di legittimazione processuale dell’RAGIONE_SOCIALE, quanto sull’esistenza o meno di un rapporto di successione tra la neocostituita RAGIONE_SOCIALE rispetto all’omonima RAGIONE_SOCIALE.
Con la comparsa conclusionale nel giudizio di appello, la RAGIONE_SOCIALE aveva quindi ulteriormente precisato come fosse evidente che la Corte di Cassazione non aveva affrontato il problema della
dichiarata sostituzione processuale ex art. 2 d.l. 341 del 1/10/1999 convertito nella legge 453/1999, che non prevede successione tra le due RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nei rapporti “già esauriti”, nonché in quelli concernenti gli appalti o le concessioni di opere pubbliche a prevalente o esclusiva destinazione sanitaria, in ordine ai quali “l’RAGIONE_SOCIALE assume la qualità di sostituto processuale dell’RAGIONE_SOCIALE nel contenzioso giudiziale ed extragiudiziale concernente appalti o concessioni per opere pubbliche a prevalente o esclusiva destinazione sanitaria “.
La Corte d’Appello, quindi, era in realtà il primo giudice ad occuparsi dell’eccezione di difetto di legittimazione processuale dell’RAGIONE_SOCIALE rispetto alla domanda di ripetizione di indebito, perché non affrontata e risolta nel corso del giudizio di merito (vedi sentenza 9880/16).
Il Tribunale Civile con la sentenza di primo grado aveva rigettato l’eccezione di difetto di legittimazione passiva formulata dall’RAGIONE_SOCIALE che si era costituita rispetto alla domanda di arricchimento indebito deducendo non essere il soggetto legittimato per esserlo l’RAGIONE_SOCIALE e aveva confermato la legittimazione passiva dell’RAGIONE_SOCIALE relativamente a tale azione, ma dal lato attivo della domanda riconvenzionale di ripetizione nulla aveva statuito, così che la questione arrivava a Codesta Corte che, con la sentenza 9880 l 2016, appunto affermava che l’eccezione era ammissibile in quanto non risultava essere stata espressamente affrontata e risolta nel corso del giudizio di merito.
La Corte d’Appello avrebbe travisato completamente il contenuto della sentenza di primo grado che chiaramente afferiva
all’eccezione di difetto della propria legittimazione passiva formulata dall’RAGIONE_SOCIALE e non certo dalla RAGIONE_SOCIALE, che era attrice, relativamente alla domanda di arricchimento indebito e non quella di ripetizione di indebito con conseguente inesistenza della motivazione.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: falsa applicazione dell’art. 2, comma 1, del d.l. 341 del 1/10/99 convertito con legge 431/1999 e sulla conseguente violazione dell’art. 2, comma 7, del medesimo decreto legge in combinato disposto con l’art. 81 c.p.c. e con gli artt. 167 c.p.c. e 115 c.p.c., 1362, 1363, 1366, 1367, 1370 c.c. in combinato disposto relativamente alla documentata natura del contratto d’appalto inter partes per l’automazione gestionale dei servizi ospedalieri del RAGIONE_SOCIALE NOME.
Secondo la ricorrente la Corte di Cassazione non avrebbe affrontato il problema della dichiarata sostituzione processuale ex art. 2 d.l. 341 del 1/10/1999 convertito nella legge 453/1999, che non prevede successione tra le due RAGIONE_SOCIALE nei rapporti “già esauriti”, nonché in quelli concernenti gli appalti o le concessioni di opere pubbliche a prevalente o esclusiva destinazione sanitaria, in ordine ai quali “l’RAGIONE_SOCIALE assume la qualità di sostituto processuale dell’RAGIONE_SOCIALE nel contenzioso giudiziale ed extragiudiziale concernente appalti o concessioni per opere pubbliche a prevalente o esclusiva destinazione sanitaria”.
Il riferimento alla sentenza n. 584/2008 citata nella sentenza 9880/2016 confermerebbe ulteriormente l’assunto, perché notoriamente afferisce prima di tutto ad una domanda introdotta
nel 1997 nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE quale rappresentante del RAGIONE_SOCIALE, quindi prima dell’entrata in vigore della legge 341/1999, così che la causa deve proseguire tra le parti originarie; in secondo luogo perché tratta della successione a titolo universale tra le due Aziende, che viene esclusa con la conseguenza che i rapporti afferenti all’RAGIONE_SOCIALE sono ritenuti ancora di competenza di quest’ultimo e quindi da riferire all’RAGIONE_SOCIALE di cui l’RAGIONE_SOCIALE stessa era parte integrante.
Secondo la ricorrente, pertanto, nella sentenza di cassazione non si sarebbe affrontata la questione, introdotta ex lege, della sostituzione processuale ex art. 81 c.p.c., che è ben altra cosa rispetto alla successione o meno a titolo universale dei rapporti in essere dell’RAGIONE_SOCIALE. La questione del difetto di legittimazione ad causam ex art. 81 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 2, comma 7, della l. n. 453 del 1999 non sarebbe mai stata oggetto di alcuna statuizione passata in giudicato.
Dunque, si trattava di verificare, a prescindere dalla successione o meno tra la neocostituita RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, se l’RAGIONE_SOCIALE avesse o meno mantenuto la legittimazione processuale, essendo pacifico che l’RAGIONE_SOCIALE non aveva mai gestito in proprio ma per conto della RAGIONE_SOCIALE.
La questione rientrerebbe espressamente nell’art. 2 comma 7 del d.l. 341/99 convertito con modifiche dalla legge 453 del1999: ” L’RAGIONE_SOCIALE assume la qualità di sostituto processuale dell’RAGIONE_SOCIALE nel contenzioso giudiziale ed extragiudiziale concernente appalti o concessioni per opere pubbliche a prevalente o esclusiva destinazione sanitaria “.
2.1 I primi due motivi di ricorso sono inammissibili.
Preliminarmente deve ribadirsi che: Nel giudizio di rinvio, il quale è un procedimento chiuso, preordinato a una nuova pronuncia in sostituzione di quella cassata, non solo è inibito alle parti di ampliare il thema decidendum , mediante la formulazione di domande ed eccezioni nuove, ma operano anche le preclusioni derivanti dal giudicato implicito formatosi con la sentenza rescindente, onde neppure le questioni rilevabili d’ufficio che non siano state considerate dalla Corte Suprema possono essere dedotte o comunque esaminate, giacché, diversamente, si finirebbe per porre nel nulla o limitare gli effetti della stessa sentenza di cassazione, in contrasto con il principio della sua intangibilità (Sez. 2, Ordinanza n. 24357 del 10/08/2023, Rv. 668914 – 01).
Infatti, il giudizio di rinvio deve svolgersi entro i limiti segnati dalla sentenza di annullamento e non si può estendere a questioni che, pur non esaminate specificamente, in quanto non poste dalle parti o non rilevate d’ufficio, costituiscono il presupposto logico giuridico della sentenza stessa, formando oggetto di giudicato implicito ed interno, poiché il loro riesame verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione, in contrasto col principio della loro intangibilità, con la conseguenza che deve escludersi la possibilità per il giudice del rinvio di sindacare la improponibilità della domanda, dipendente da qualunque causa, anche da inosservanza di modalità o di termini, pur essendo la stessa rilevabile d’ufficio in qualunque stato e grado del processo (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 7656 del 04/04/2011).
Peraltro, questa Corte ha già avuto modo di affermare che: in materia di giudizio di rinvio, per effetto del principio di preclusione delle questioni che avrebbero dovuto essere prospettate o rilevate di ufficio dalla Cassazione, deve ritenersi inibito alle parti, al giudice di rinvio ed allo stesso giudice di legittimità, eventualmente investito dopo il rinvio, di porre per la prima volta in discussione l’esistenza della legittimazione processuale nel giudizio di primo grado e la nullità della costituzione del rapporto processuale per difetto di rappresentanza organica, in quella fase, dell’organo costituito per l’ente (Sez. 3, Sentenza n. 403 del 11/01/2017, Rv. 642356 – 01).
2.2 Il collegio, richiamati i suddetti limiti propri del giudizio di rinvio, evidenzia, inoltre, che il tema prospettato dalla ricorrente è stato oggetto di una specifica eccezione nel ricorso incidentale proposto da COGNOME avverso la prima sentenza della Corte d’Appello poi cassata. Al punto 3.2 della sentenza n.9880 del 2016 di cassazione, infatti, si legge che la RAGIONE_SOCIALE ha eccepito la carenza di legittimazione dell’RAGIONE_SOCIALE rispetto alla domanda di ripetizione di indebito (dunque legittimazione attiva essendo la domanda di ripetizione formulata dalla medesima RAGIONE_SOCIALE) . L’eccezione si fondava sull’emanazione del d.l. n. 341 del 1999, convertito, con modificazioni, nella legge n. 543 del 1599, con il quale è stata soppressa l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ed è stata costituita l’RAGIONE_SOCIALE, con previsione dell’istituzione di un’apposita gestione separata.
La ricorrente, con i motivi in esame, riporta solo la parte della sentenza che ha ritenuto tale eccezione ammissibile in quanto la questione della legittimazione dell’RAGIONE_SOCIALE, in relazione alla
domanda di ripetizione di indebito, non risultava espressamente affrontata e risolta nel corso del giudizio di merito, ma omette di riportare il fatto che la stessa è stata rigettata dalla Corte in quanto ritenuta non condivisibile.
La Corte, infatti, ha richiamato il principio affermato al riguardo dalle Sezioni unite di questa Corte, secondo cui, poiché la costituzione in ente avente personalità giuridica di diritto pubblico dell’RAGIONE_SOCIALE è stata effettuata per la prima volta col d.l. 1 0 ottobre 1999, n. 341, convertito con modifiche nella legge n. 453 del 1999, che non ha disposto una successione a carattere universale della neoistituita RAGIONE_SOCIALE rispetto all’omonima RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, i rapporti derivanti, in precedenza, dall’utilizzazione di tale struttura sanitaria potevano legittimamente essere riferiti all’RAGIONE_SOCIALE della quale il RAGIONE_SOCIALE costituiva parte integrante, sebbene dotato di autonomia organizzativa, gestionale e contabile (Cass., 11 gennaio 2008, n. 584).
In conclusione, oltre all’inammissibile riproposizione in questa sede di questioni che la Corte di Cassazione avrebbe potuto e dovuto rilevare di ufficio nella precedente pronuncia e che, dunque, sono precluse perché implicitamente rigettate, deve ulteriormente affermarsi l’inammissibilità dei motivi in esame con i quali, in sostanza, si tende a porre in discussione quanto affermato da questa Corte esplicitamente, con il rigetto della suddetta eccezione.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: sulla nullità della sentenza ex art. 132, n. 4, c.p.c. relativamente alla domanda ex art. 1193 c.c. per contraddittorietà manifesta.
La COGNOME aveva documentato l’esistenza di ulteriori crediti vigenti all’epoca del pagamento asseritamente indebito ed aveva anzi documentato come addirittura fosse stato riconosciuto a suo tempo il debito. La sola transazione con l’RAGIONE_SOCIALE con la quale veniva riconosciuto il credito di lire 23.212.183.779 con inserimento nella massa passiva di euro 11.988.092,45 a favore di COGNOME, pacificamente per i servizi d’appalto di cui al contratto di che trattasi rappresenterebbe la prova dell’esistenza del credito. Infatti, la Corte d’Appello afferma che tali circostanze attengono ” all’assetto complessivo della situazione dare avere intercorrente tra le parti “. La Corte, dunque, una volta affermato che erano state provate circostante attinenti all’assetto complessivo della situazione dare avere tra le parti (che indica in ingenti crediti portati da fatture versate in atti e l’inserimento di RAGIONE_SOCIALE nella massa passiva dell’RAGIONE_SOCIALE), evidentemente non avrebbe potuto negare che i crediti di COGNOME all’epoca del preteso indebito effettivamente esistevano, tanto è vero che era avvenuto l’inserimento nella massa passiva per quei crediti. Sarebbe, quindi, dimostrata l’evidente contraddizione tra l’accertamento dell’effettiva esistenza dei crediti (che attenevano appunto all’assetto complessivo della situazione dare avere intercorrente tra le parti) e la contemporanea negazione della loro esistenza al punto da confermare la sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda di ripetizione d’indebito perché non provati altri crediti di RAGIONE_SOCIALE.
La sentenza sarebbe nulla contenendo una contraddizione tale da impedire proprio di cogliere la ratio della motivazione perché le due affermazioni di senso contrario si eliderebbero a vicenda.
Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 1193 c.c.
La Corte d’Appello da atto della riconosciuta esistenza di crediti a favore di RAGIONE_SOCIALE che attengono all’assetto complessivo dare avere intercorrente tra le parti e non allo specifico rapporto di cui si discute nel presente giudizio. Ora è pacifico che il creditore, in mancanza di espressa imputazione di pagamento da parte del debitore, può imputare il pagamento ad uno o più altri debiti determinati, come si evince dall’art. 1195 c.c. E’ altrettanto pacifico che l’art. 1193 c.c. e la relativa imputazione da parte del creditore, non si applica in caso vi sia un unico debito, ma, come indicato nel primo comma dell’art. 1193 c.c., in presenza di più debiti della stessa specie verso la stessa persona.
Si tratterebbe, quindi, proprio della situazione complessiva dare avere intercorrente tra COGNOME e RAGIONE_SOCIALE per conto dell’RAGIONE_SOCIALE. Una volta accertato un complessivo debito dell’RAGIONE_SOCIALE nei confronti di COGNOME, come la Corte ammette, facendo espresso riferimento a circostanze documentate afferenti i rapporti dare avere complessivi tra le parti, dovrebbe applicarsi l’art. 1193 c.c. come chiesto dalla creditrice perché esistente il credito per il quale COGNOME aveva effettuato l’imputazione, non potendo certo questo riferirsi a quello specifico rapporto di cui si discute nel presente giudizio, ma ad altri crediti della medesima specie verso la stessa persona.
In altre parole, proprio l’accertata esistenza di crediti di COGNOME scaturenti dai rapporti dare avere tra le parti, rappresentava la prova del diritto di COGNOME ad imputare a suo giudizio la somma ricevuta, così che la domanda di ripetizione d’indebito andava certamente rigettata.
4.1 Il terzo e quarto motivo di ricorso sono infondati.
Preliminarmente deve richiamarsi il seguente principio di diritto corrispondente ad un orientamento del tutto consolidato: «In presenza di una pluralità di rapporti obbligatori, se il debitore non si avvale della facoltà di dichiarare quale debito intenda soddisfare, la scelta spetta, ex art. 1195 c.c., al creditore, il quale può dichiarare di imputare il pagamento ad uno o più debiti determinati, mentre i criteri legali ex art. 1193, comma 2, c.c., che hanno carattere suppletivo e sussidiario, subentrano soltanto quando l’imputazione non è effettuata né dal debitore, né dal creditore, fermo restando che l’onere di provare le condizioni che giustificano una diversa imputazione grava sul creditore» (Sez. 3, Sentenza n. 31837 del 27/10/2022, Rv. 666054 – 01).
Nel caso di specie la domanda di ripetizione di indebito aveva ad oggetto la duplicazione del pagamento effettuato a seguito del pignoramento COGNOME, quindi con una causale ben precisa e determinata. Del tutto infondata si presenta pertanto la tesi della ricorrente sotto il profilo della mancanza di imputazione del pagamento indebito da parte del debitore.
Peraltro, i ricorrenti, anche con i motivi in esame, si limitano a fare riferimento del tutto genericamente ad una transazione intercorsa tra le parti moltissimi anni dopo il suddetto pagamento (peraltro nel ricorso non è riportato in modo dettagliato il contenuto
della suddetta transazione) e, dunque, non forniscono alcun elemento per consentire di riscontrare anche solo un minimo indizio o principio di prova in ordine ad una diversa imputazione del pagamento. Al contrario, come dedotto dai controricorrenti, nella transazione si fa espresso riferimento al l’esclusione dai reciproci riconoscimenti del credito vantato dall’RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE di cui alla sentenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE n.17089 del 2005 con la quale Spin era stata condannata a restituire la somma di € 2.850 .860,80.
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Alla condanna alla rifusione delle spese va aggiunta la condanna, che si pronuncia d’ufficio, al pagamento della sanzione privata prevista dall’art. 96, comma terzo, c.p.c..
L’odierna ricorrente, infatti, ha in sostanza sostenuto tesi manifestamente smentite da atti precedenti: con i primi due motivi ha volutamente o colposamente ignorato il contenuto della sentenza di cassazione con rinvio n. 9880 del 2016 e con il terzo e il quarto ha altrettanto volutamente o colposamente ignorato il contenuto della transazione intercorsa tra le parti che escludeva dall’accordo il pagamento indebito già riconosciuto dal Tribunale di RAGIONE_SOCIALE.
Ci si trova dunque in presenza di un ricorso per cassazione nel quale sono sostenute tesi giuridiche contrastanti frontalmente con dati di fatti dei quali la ricorrente aveva contezza e che quantomeno avrebbe dovuto certamente conoscere.
Agire o resistere in giudizio con mala fede o colpa grave significa infatti azionare la propria pretesa, o resistere a quella avversa, con la coscienza dell’infondatezza della domanda o dell’eccezione. Da ciò deriva che delle due l’una: o il ricorrente – e per lui il suo legale, del cui operato ovviamente il ricorrente risponde, nei confronti della controparte processuale, ex art. 2049 c.c. – ben conosceva l’insostenibilità della propria impugnazione, ed allora ha agito sapendo di sostenere una tesi infondata; ovvero non ne era al corrente, ed allora ha tenuto una condotta gravemente colposa, consistita nel non essersi adoperato con la exacta diligentia esigibile (in virtù del generale principio desumibile dall’art. 1176, comma 2, c.c.) da chi è chiamato ad adempiere una prestazione professionale altamente qualificata quale è quella dell’AVV_NOTAIO in generale, e dell’AVV_NOTAIO cassazionista in particolare (Sez. 5, Sentenza n. 15030 del 17/07/2015, Rv. 636051; Sez. 3, Sentenza n. 4930 del 12/03/2015, Rv. 634773; Sez. 3, Sentenza n. 817 del 20/01/2015, Rv. 634642). Deve, dunque, concludersi che, il ricorso oggetto del presente giudizio è stato proposto quanto meno con colpa grave, sicché il ricorrente deve essere condannato d’ufficio al pagamento in favore della controparte, in aggiunta alle spese di lite, d’una somma equitativamente determinata in base al valore della controversia. Tale somma va determinata assumendo a parametro di riferimento l’importo delle spese dovute alla parte vittoriosa per questo grado di giudizio, e nella specie può essere fissata in via equitativa ex art. 1226 c.c. nell’importo di euro 7.500, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza.
7. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 15.000, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge e in euro 7.500 ex art. 96, terzo comma, c.p.c.;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in RAGIONE_SOCIALE, nella camera di consiglio della 2^ Sezione