Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 21771 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 21771 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 38720/2019 r.g. proposto da:
NOME COGNOME tanto nel nome proprio che quale erede beneficiata della signora NOME COGNOME rappresentata e difesa, unitamente e disgiuntamente, giusta procura speciale in calce al ricorso dall’Avv. NOME COGNOME, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME i quali dichiarano di voler ricevere le notifiche e le comunicazioni relative al presente procedimento agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO 37 , presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME e dell’Avv. NOME COGNOME .
-ricorrente principale-
CONTRO
COGNOME NOME, quale erede della signora COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’Avv. COGNOME NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato.
-Ricorrente incidentale –
E
Consorzio per le Autostrade SicilianeRAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni delle notificazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di appello di Messina n. 1010/2018, depositata il 13/11/2018
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/5 /2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Con decreto del prefetto del 15/10/1966 veniva disposta l’occupazione di urgenza per il periodo di due anni di un terreno di proprietà di NOME COGNOME per la costruzione di un tronco dell’autostrada A 18.
Veniva poi stabilita una proroga di ulteriori due anni, con la scadenza al 30/9/1970.
Il decreto di esproprio veniva emesso il 28/12/1973, per un indennizzo di lire 44.310.000.
Il Consiglio di Stato, con sentenza del 15/4/1986, annullava il decreto di esproprio, dichiarando illegittime anche le proroghe dei termini.
La RAGIONE_SOCIALE cedeva un quarto del credito, in corso di causa, in favore della figlia NOME COGNOME.
NOME COGNOME citava in giudizio il Consorzio per le Autostrade Siciliane ed il prefetto di Messina.
In particolare, l’attrice chiedeva la condanna al pagamento del valore venale del bene, oltre al risarcimento danni per altri pregiudizi, costituiti, tra l’altro, dalla perdita di valore dei residui terreni, oltre che dall’indennizzo per occupazione legittima.
Il tribunale di Messina, con sentenza non definitiva del 15/6/1977, dichiarava inammissibile la domanda presentata nei confronti del prefetto, come pure l’opposizione alla stima perché tardiva. Rigettava la domanda di risarcimento dei danni.
Riconosceva l’indennizzo per occupazione legittima fino al termine della proroga ed il risarcimento dei danni per il periodo di occupazione illegittima.
Il tribunale di Messina, con sentenza definitiva del 30/8/1984, liquidava i danni per occupazione dei fondi non compresi nel decreto di autorizzazione.
La Corte d’appello di Messina, pronunziando sull’appello proposto dall’attrice, con sentenza non definitiva, n. 369 dell’11/12/1989, accoglieva la domanda per il risarcimento dei danni pari al valore del bene perduto.
Accoglieva la domanda di indennizzo per occupazione legittima, pari all’interesse legale su ogni annualità.
Accoglieva la domanda di risarcimento danni subiti dal fondo residuo.
Accoglieva anche la domanda di risarcimento danni per occupazione illegittima.
La Corte d’appello di Messina, con la sentenza definitiva del 4/6/1994, condannava il Consorzio a pagare ad NOME
COGNOME e a NOME COGNOME cessionaria di un quarto dei diritti litigiosi, lire 4.837.111.000 per la perdita dell’immobile; lire 763.102.630 per risarcimento danni subiti dai fondi residui; lire 103.294.800 per perdita di strada privata; lire 241.855.000 per ogni anno di occupazione temporanea.
Avverso tali sentenze, non definitiva e definitiva, venivano proposti 6 ricorsi per cassazione.
Tre ricorsi riguardavano la sentenza non definitiva.
Il ricorso principale veniva proposto dal prefetto, avverso la sentenza della Corte d’appello non definitiva, per un unico motivo.
Veniva dunque proposto ricorso incidentale da parte del Consorzio.
Veniva proposto altro ricorso incidentale da parte della Grigorcea (n. 2284/1991).
Ulteriori tre ricorsi riguardavano la sentenza definitiva.
Avverso la sentenza definitiva proponeva ricorso principale il Consorzio, sulla base di cinque motivi.
Veniva proposto ricorso incidentale da parte di NOME COGNOME sulla base di tre motivi.
Ulteriore ricorso incidentale veniva proposto da NOME COGNOME e da NOME COGNOME sulla base di 4 motivi.
La questione veniva rimessa alle sezioni unite, in relazione alla giurisdizione.
Questa Corte, a sezioni unite, con la sentenza del 16/4/1997, n. 3290, cassava la sentenza senza rinvio per difetto di giurisdizione, limitatamente alla rapporto processuale tra i privati e la prefettura; rigettava il ricorso principale della prefettura.
Rimetteva gli atti alla prima sezione per ogni altra statuizione.
Questa Corte, con sentenza del 3/6/1998, n. 5449, accoglieva i 3 ricorsi proposti contro la sentenza non definitiva della Corte
d’appello, reputando spettanti gli interessi sulla somma via via rivalutata.
La Corte di cassazione, poi, accoglieva, per quel che ancora qui rileva, il 2º motivo del ricorso proposto dal Consorzio avverso la sentenza definitiva della Corte d’appello.
Il valore del bene doveva essere determinato, non nell’aprile del 1968, data di costruzione delle opere, e quindi di irreversibile trasformazione, ma alla data del 30/9/1970, ossia alla data di scadenza dell’occupazione legittima. Trovava dunque applicazione lo ius superveniens di cui all’art. 3, comma 65, della legge n. 662 del 1996, con valutazione riduttiva del valore del bene.
In accoglimento del quarto motivo di ricorso doveva tenersi conto anche della fascia di rispetto stradale.
Questa Corte, con la sentenza n. 5449 del 1998, accoglieva anche il secondo motivo di ricorso per cassazione articolato da NOME COGNOME in ordine alla spettanza degli interessi.
Veniva accolto anche il terzo motivo di ricorso per cassazione proposto da NOME COGNOME e da NOME COGNOME sempre in ordine agli interessi, riconosciuti come dovuti.
Pertanto, i principi da applicare in base alla sentenza di questa Corte n. 5449 del 1998 erano i seguenti: 1. L’indennizzo di natura risarcitoria, in ordine al valore del terreno, doveva essere determinato con il criterio riduttivo di cui alla legge n. 662 del 1996, art. 3, comma 65; 2. L’irreversibile trasformazione del bene era avvenuta durante il periodo di occupazione temporanea, e segnatamente nel 1968, mentre l’effetto estintivo acquisitivo della proprietà doveva essere individuato alla scadenza del periodo di occupazione legittima, quindi alla data del 30/9/1970; 3. La ricognizione dello stato di fatto e di diritto del terreno doveva essere effettuata al 30/9/1970, dovendosi tenere conto dei vincoli
conformativi nel frattempo intervenuti; 4. Le somme per l’occupazione appropriativa costituivano debito di valore, da rivalutare, con il computo degli interessi legali.
La Corte d’appello di Catania, con la sentenza del 22/10/2004, nell’ambito del primo giudizio di rinvio, liquidava in euro 1.813.050,00 il risarcimento per il fondo perduto; liquidava euro 947.433,00 per il pregiudizio ai fondi residui.
Confermava l’indennità per l’occupazione nella misura stabilita dalla Corte d’appello di Messina.
Condannava la Grigorcea a «restituire le somme eventualmente ricevute in eccesso».
Avverso tale sentenza proponeva ricorso principale per cassazione il Consorzio, chiedendo di tenersi conto di tutte le somme pagate.
Proponevano ricorso incidentale NOME COGNOME e NOME COGNOME succeduti alla Grigorcea, sulla base di sei motivi.
15.1. In particolare, con il primo motivo di ricorso incidentale si chiedeva l’applicazione degli articoli 37 e 42 del d.P.R. n. 327 del 2001, in relazione alla determinazione del valore pieno del fondo.
15.2. Con il secondo motivo si chiedeva, in subordine, l’applicazione dei principi dell’occupazione usurpativa, in quanto il Consiglio di Stato aveva annullato il decreto di esproprio.
15.3. Con il terzo motivo ci si doleva della mancata liquidazione dei danni relativi al soprassuolo, all’infrastruttura e alla strada. I danni erano costituiti da due voci: la diminuzione di valore dei fondi residui; i danni alle strutture ed ai soprassuoli che erano sui fondi.
15.4. Con il quarto motivo si lamentava il mancato riconoscimento dell’ulteriore indennità per occupazione temporanea dei terreni fino alla data del 30/9/1970.
15.5. Con il quinto motivo si deduceva la mancata liquidazione dell’ulteriore indennizzo per occupazione illegittima dopo il 30/9/1970, fino al decreto di esproprio del 28/12/1973.
15.6. Con il sesto motivo ci si doleva della violazione dell’art. 345 c.p.c., in quanto erano stati liquidati gli interessi al tasso legale, mentre era stata dichiarata nuova la domanda al tasso bancario.
Tutti i motivi venivano rigettati da questa Corte, con la sentenza n. 21867 del 21/10/2011.
In particolare, si evidenziava che il giudizio di rinvio era un giudizio chiuso.
Vi era stata l’irreversibile trasformazione del terreno all’interno del termine di occupazione legittima.
Alla scadenza del termine dell’occupazione legittima, e quindi alla data del 30/9/1970, si era realizzata l’occupazione acquisitiva.
La ricognizione legale del terreno doveva essere effettuata proprio alla data del 30/9/1970, dovendosi tenere conto del criterio riduttivo del valore, di cui all’art. 5bis , comma 7bis , della legge n. 359 del 1992, come modificato dall’art. 3, comma 65 della legge 662 del 1996, applicabile alle occupazioni verificatesi prima del 30/9/1996.
Trattavasi di statuizione non più modificabile. Non rilevava, a tale fine, né la pronuncia del Consiglio di Stato del 15/4/1986, e neppure il nuovo art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001, in ragione della occupazione sanante, non essendo mai intervenuto tale provvedimento.
Non spettava l’indennizzo tra il 30/9/1970 ed il 28/12/1973 (data di emissione del decreto di espropriazione), in quanto la proprietà era già trasferita alla p.a. al termine del periodo di occupazione legittima, quindi alla data del 30/9/1970.
Erano inammissibili ed infondate le censure sui fondi residui.
Tuttavia, questa Corte, con la sentenza n. 21867 del 2011, teneva conto dell’intervenuto pronuncia della Corte costituzionale n. 349 del 2007, che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5bis , comma 7bis , della legge n. 359 del 1992.
Peraltro, doveva comunque operare per il giudice di rinvio «il limite di lire 393.357.000, già determinato dalla Corte di appello di Messina e non impugnato dagli espropriati».
Inoltre, veniva accolto il ricorso principale del Consorzio, in relazione alla richiesta di restituzione delle maggiori somme corrisposte alle controparti in esecuzione della decisione della Corte d’appello di Messina (anno 1995), poi risultate eccessive dopo la riduzione operata dalle sentenze della suprema Corte e da quelle di rinvio.
18. La Corte d’appello di Messina, con la sentenza non definitiva, n. 43 del 2014, a seguito della riassunzione richiesta da NOME COGNOME e da NOME COGNOME, rideterminava il valore del terreno nella misura di euro 393.357.000.
In particolare, in motivazione, si evidenziava che la Corte di cassazione aveva chiesto proprio di «ricalcolare» il valore venale del bene, «per designare l’operazione che questa Corte territoriale dovrà svolgere, evocando così l’idea della semplice operazione matematica che non può mettere in discussione la destinazione accertata del fondo espropriato e la stima unitaria operata dal CTU».
Si evidenziava anche che «in assenza di una specifica impugnazione della sentenza della Corte di appello di Catania sui punti ora indicati (destinazione e stima) da parte del Consorzio autostrade, il rilievo dei Messeri, secondo cui sul valore venale del fondo si sarebbe formato il giudicato (fermo restando il limite della somma di lire 393.357.000), appare fondato».
Si chiariva che «il valore complessivo del terreno ammonta, quindi, lire 436.171.700 cioè ad una somma superiore a quella di lire 393.357.000 e costituisce il limite del valore venale del terreno che può essere riconosciuto, secondo il principio di diritto sancito dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 21867/2011».
Doveva però essere disposta CTU per stabilire se e in che misura, a seguito dei pagamenti eseguiti dal Consorzio alla Grigorcea per la vicenda processuale, residua un credito o sussista un obbligo restitutoria in capo a COGNOME NOME e COGNOME NOME, in proprio e nella qualità di eredi di COGNOME NOME, dovendosi tenere conto della rideterminazione del risarcimento del danno per la perdita del fondo oggetto di occupazione acquisitiva.
La Corte d’appello di Messina, con ordinanza del 1/7/2016, assegnava al CTU nuovi quesiti, anche in relazione alla determinazione dell’occupazione legittima, al risarcimento per i fondi residui, per la strada privata, e per l’occupazione legittima annuale.
La Corte d’appello di Messina, con sentenza definitiva n. 1010/2018, del 13/11/2018, rilevava l’esistenza di un ulteriore credito a favore degli espropriati.
Per tale ragione era assorbita l’eccezione di COGNOME NOME COGNOME la quale riteneva che non sussistesse nei propri confronti un ordine di restituzione dei pagamenti pregressi effettuati dal Consorzio, in quanto il Consorzio aveva chiesto la condanna solo della Grigorcea alla restituzione delle somme versate in eccesso.
Tuttavia, precisava la Corte territoriale, che la conclusione della difesa della COGNOME, per la quale, «mancando una condanna restituzione nei suoi confronti, i pagamenti effettuati dal Consorzio a seguito della procedura esecutiva non possono essere sottratti dal computo del credito attualizzato», era priva di pregio.
Per la Corte d’appello, dunque, in realtà nel giudizio di rinvio doveva essere accertato l’effettivo credito degli espropriati, previa detrazione di quanto già corrisposto dal Consorzio.
Il giudizio era stato iniziato da NOME COGNOME mentre NOME COGNOME era intervenuta quale cessionaria di parte del credito della COGNOME, per la quota di un quarto.
Il giudizio era dunque proseguito tra le parti originarie, per cui la decisione della Corte di Catania, che prevedeva la condanna alla restituzione al Consorzio delle maggiori somme corrisposte in forza dell’esecutività delle sentenze cassate, doveva ritenersi «estesa ai pagamenti effettuati per il pagamento dell’intero danno arrecato, seppure effettuati dal Consorzio nei confronti delle parti, a seguito di cessione, pro-quota».
Per tale ragione – aggiungeva la Corte d’appello – «i pagamenti corrisposti dal Consorzio in forza dell’esecuzione della sentenza della Corte di appello di Messina devono essere detratti per entrambe le posizioni non trovando giustificazione logica detrarre pagamenti solo per gli eredi di COGNOME».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME in proprio e quale erede di NOME COGNOME con atto notificato il 13/12/2019, alle ore 18,27, depositando anche memoria scritta.
La causa è stata iscritta a ruolo il 27/12/2019.
Ha proposto ricorso per cassazione anche NOME COGNOME con la notificazione in data 13/12/2019, ed iscrizione della causa a ruolo il 31/12/2019, depositando anche memoria scritta.
Il Consorzio per le autostrade siciliane ha resistito con due distinti controricorsi, depositando anche memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Va, innanzitutto, rilevato che il ricorso per cassazione proposto da NOME COGNOME in proprio e quale erede di NOME COGNOME deve essere qualificato come ricorso principale, in quanto notificato il 13/12/2019, ma iscritto a ruolo il 27/12/2019.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è stato, invece, notificato sempre il 13/12/2019 ma è stato iscritto a ruolo il 31/12/2019.
Trova, dunque, applicazione la giurisprudenza di questa Corte secondo cui nell’ipotesi in cui i due ricorsi risultano essere stati notificati nella stessa data, l’individuazione del ricorso principale e di quello incidentale va effettuata con riferimento alle date di deposito dei ricorsi, sicché è principale il ricorso depositato per primo, mentre è incidentale quello depositato per secondo (Cass., sez. 1, 4/12/2014, n. 25662). Sicché, nel nostro caso, è principale il ricorso di NOME COGNOME ed incidentale il ricorso di NOME COGNOME.
1.1. Con il primo motivo di ricorso principale di NOME COGNOME si deduce la «violazione degli articoli 2909 c.c., 112,345 e 384 c.p.c., con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
In particolare – ad avviso della ricorrente principale – potevano essere detratti, dal conteggio complessivo, esclusivamente i pagamenti effettuati in favore della Grigorcea, ma non tutti i pagamenti effettuati, anche in favore degli altri soggetti, quali cessionari dei crediti, e non eredi.
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 21867/2011, ha disposto il ricalcolo dell’indennizzo dovuto agli espropriati per «l’occupazione appropriativa», dovendosi tenere conto soltanto dei «pagamenti che si è accertato essere stati già fatti alla Grigorcea nell’anno 1995».
Al contrario, per la ricorrente, la Corte d’appello di Messina avrebbe esteso i «ricalcoli» a tutte le voci di indennizzo e di risarcimento già oggetto del contenzioso tra le parti.
Inoltre, avrebbe tenuto conto non soltanto dei pagamenti che si era accertato «essere stati già fatti alla Grigorcea nell’anno 1995, ma anche di quelli fatti alla signora NOME COGNOME».
In tal modo, la Corte territoriale avrebbe ammesso ed accolto la domanda nuova spiegata dal Consorzio solo con la comparsa di costituzione nel giudizio di rinvio.
Nel giudizio svoltosi dinanzi alla Corte d’appello di Catania, invece, il Consorzio aveva chiesto l’immediata restituzione delle somme assegnate giudizialmente, nei processi esecutivi intentati contro il Consorzio in virtù della forza esecutiva della sentenza della Corte d’appello di Messina, e quindi lire 33.020.000 in favore di COGNOME NOME, lire 20.368.000, in favore dell’avvocato COGNOME Vincenzo, lire 8.946.461.980 in favore della società RAGIONE_SOCIALE
La richiesta di restituzione di somme era stata proposta, allora, soltanto contro la signora COGNOME e non contro la ricorrente NOME COGNOME
Sarebbe stato violato, allora, sia il giudicato interno che si era formato a seguito della pronuncia della Corte di cassazione, sia il principio di diritto affermato dalla stessa.
La ricorrente non poteva essere coinvolta nella richiesta di restituzione, in nome proprio, oltre che quale erede di NOME COGNOME
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta «l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti».
La Corte territoriale ha ritenuto possibile la restituzione di tutti i pagamenti effettuati dal Consorzio, in quanto il giudizio era stato originariamente proposto dalla Grigorcea, mentre la ricorrente principale NOME COGNOME era intervenuta solo
successivamente, sicché il giudizio era proseguito tra le parti originarie.
Per la ricorrente la Corte d’appello avrebbe tralasciato 2 fatti decisivi: 1) il giudizio non era affatto proseguito tra le parti originarie, essendo stata differenziata la posizione della ricorrente rispetto a quella della signora COGNOME; 2) la statuizione della Corte d’appello di Catania era limitata ai pagamenti in favore della COGNOME perché la domanda del Consorzio era proprio in tal senso.
Con il terzo motivo di impugnazione principale la ricorrente deduce una «nuova violazione degli articoli 2909 c.c., 345 e 384 c.p.c., con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
Per la ricorrente principale, si sarebbe formato il giudicato interno sulla mancata prova dei pagamenti effettuati, come risulterebbe dalla sentenza della Corte d’appello di Catania del 22/10/2004.
Quest’ultima avrebbe affermato che, in ragione degli insufficienti dati di valutazione, il Consorzio non aveva fornito la prova dei pagamenti eseguiti.
Non sarebbe stato in alcun modo consentito di individuare l’esatta entità dei pagamenti effettuati.
Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente principale deduce una «nuova violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. Nullità della CTU (nella parte in cui il perito ha acquisito documenti non prodotti dal Consorzio) e, conseguentemente, della sentenza definitiva della Corte di Messina, n. 1010/2018, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
La ricorrente si sarebbe opposta alle inammissibili acquisizioni documentali eseguiti dal CTU, senza il contraddittorio dei difensori, come denunciato «nella comparsa conclusionale del 2/2/2016».
Il CTU avrebbe utilizzato, non soltanto documenti acquisiti al processo prima della sentenza della cassazione, ma anche quelli nuovi, irritualmente prodotti nel giudizio di rinvio.
Con il quinto motivo di impugnazione si deduce «l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.».
La Corte d’appello, una volta inquadrata la fattispecie nella tipologia dell’occupazione appropriativa, ed una volta fatta coincidere la data del trasferimento della proprietà con quella di cessazione del periodo di occupazione legittima, ha rilevato che non era più dovuta «alcuna indennità da occupazione illegittima».
Il Consorzio avrebbe potuto chiedere la restituzione di quanto eventualmente pagato con quella causale.
Da allora, però, erano decorsi più di 10 anni, e dunque era maturato il termine di prescrizione. Ciò costituiva ostacolo alla inclusione di tale voce tra quelle da considerare nei conteggi del CTU.
Al contrario, sia il CTU che la Corte di Messina ne hanno erroneamente tenuto conto, in detrazione delle somme dovute la ricorrente nella duplice qualità, sia in proprio che quale erede della signora COGNOME
Aggiunge la ricorrente principale che la questione dovrebbe essere affrontata anche «sotto il profilo dell’omessa valutazione del fatto (costituito dalla precedente decisione)».
Con il sesto motivo di impugnazione la ricorrente lamenta «l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.».
Non sarebbero state valutate le «osservazioni della CTU», ove gli eredi della Grigorcea avevano rilevato che il CTU aveva detratto dai
crediti da quest’ultima vantati «le somme che si assumevano pagate dal RAGIONE_SOCIALE, società cessionaria dei crediti stessi.
Tuttavia, se la Corte di merito ha ritenuto corretto tale modo di procedere, avrebbe dovuto, in coerenza, tenere conto, all’interno del computo delle spese di lite dovute dal Consorzio, anche di quelle «occorse per la registrazione della sentenza e che dovevano essere rimborsati».
Con il settimo motivo di impugnazione si deduce la «nuova valutazione dell’art. 384 c.p.c.».
Per la ricorrente principale la Corte di cassazione, con la sentenza n. 21867 del 2011 aveva demandato alla Corte d’appello di Messina di provvedere alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Diversamente, la Corte di merito avrebbe disatteso il comando della Corte di cassazione, procedendo alla riliquidazione «di tutte le spese di tutte le fasi del giudizio».
Con il primo motivo di ricorso incidentale NOME COGNOME deduce la «nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 384, 2º comma, c.p.c., e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
Vi sarebbe stata la violazione del principio di diritto sancito dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 218 del 6/7/2011.
In sostanza, si era ormai formato il giudicato in ordine al valore dei terreni residui e della stradella, oltre che sulla determinazione del valore dell’indennizzo per occupazione temporanea.
L’unica questione aperta era rimasta quella in ordine alla rideterminazione del risarcimento del danno da irreversibile trasformazione del bene.
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 21867 del 2011 ha dichiarato inammissibili ed infondati tutti i motivi di ricorso articolati
da NOME COGNOME e NOME COGNOME, in relazione al risarcimento del danno per i terreni residui e per la stradella, oltre che in relazione all’indennità da occupazione temporanea.
Solo il risarcimento del danno per irreversibile trasformazione è stato oggetto del giudizio di cassazione, in quanto la suprema Corte ha riconosciuto l’intervenuta inoperatività del criterio riduttivo a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 349 del 2007.
Il giudizio di rinvio, conseguente alla sentenza della cassazione n. 21867 del 2011, atteneva esclusivamente alla rideterminazione del risarcimento conseguente alla perdita dei terreni, a causa dell’irreversibile trasformazione, non potendo in alcun modo riguardare né il risarcimento dei danni per i terreni residui e la stradella, né l’indennità di occupazione temporanea, determinata definitivamente dalla Corte d’appello di Messina già nel 1994.
Con il secondo motivo di ricorso incidentale si lamenta la «violazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La Corte d’appello, in sede di rinvio, in violazione del giudicato, ha reintrodotto l’esame e la valutazione, all’interno dei conteggi, di voci di danno diverse dal risarcimento conseguente all’irreversibile trasformazione.
La Corte territoriale avrebbe dovuto limitarsi a determinare il solo danno da irreversibile trasformazione dei terreni, conteggiando la rivalutazione e gli interessi legali fino alla data del parziale pagamento del 1995 da parte del Consorzio, sottraendo quindi gli importi da questo corrisposti nel 1995, senza ricomprendere altre voci di danno.
Il primo motivo di ricorso principale è in parte inammissibile ed in parte infondato.
10.1. In primo luogo, il motivo è inammissibile perché la ricorrente principale non trascrive in modo completo gli atti da cui ricavare che la Corte territoriale avrebbe dovuto detrarre dalla somma spettante alla COGNOME, esclusivamente i pagamenti effettuati in favore della Grigorcea, sua dante causa (madre), ma non tutti i pagamenti effettuati dal Consorzio anche in favore degli altri soggetti, quali cessionari dei crediti, e non eredi.
Ci si riferisce, in particolare, alla società RAGIONE_SOCIALE, anch’essa cessionaria dei crediti, per la somma di lire 8.946.461.980, oltre che all’avvocato NOME COGNOME, legale della società, per lire 20.368.000.
La dedotta violazione del giudicato imponeva alla ricorrente principale di indicare e trascrivere, almeno gli stralci, del contenuto di tale giudicato.
10.2. Inoltre, quanto ai profili di infondatezza, dalla sentenza della Corte di cassazione n. 21867 del 2011, emerge nitidamente il contenuto del ricorso principale proposto dal Consorzio, che ha chiesto espressamente di tener conto, nell’ambito complessivo dei conteggi, delle somme da esso pagate, in ragione dell’esecutività della sentenza di merit.
Il Consorzio, infatti, quale ricorrente principale, ha affermato che «la sentenza impugnata pur avendo accolto la sua richiesta di restituzione delle maggiori somme corrisposte alle controparti in esecuzione della decisione della Corte di appello di Messina (anno 1995), poi risultate eccessive dopo la riduzione operata dalle sentenze della suprema Corte e da quella di rinvio, le abbia liquidate con riguardo agli indennizzi dovuti per l’occupazione espropriativa».
Chiariva nel ricorso principale il Consorzio che gli interessi e le rivalutazioni su tali somme andavano aggiunti soltanto fino al
momento degli effettivi pagamenti verificatisi nel corso dell’anno 1995.
Sul punto la Corte di cassazione, in accoglimento della censura, ha fatto riferimento alle somme pagate nei confronti di tutte le controparti, e non soltanto, quindi, di NOME COGNOME ed i suoi eredi.
Si legge, infatti, in motivazione che «la sentenza impugnata ha dato atto che il Consorzio, in forza dell’esecutività ex lege della sentenza della Corte messinese poi cassata, aveva già pagato quanto dalla stessa posto a suo carico, con relativi accessori e spese successive ; ed il Consorzio ha specificato le somme versate per i titoli indicati da detta decisione corrisposte soprattutto nell’anno 1995, che non sono state contestate dalle controparti».
Non ci si può limitare, dunque, ad interpretare in modo assolutamente letterale quanto disposto dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 21867/2011, a pagina 25, ove si prevede che il giudice di rinvio deve «anzitutto ricalcolare l’indennizzo dovuto agli espropriati per l’occupazione appropriativa» (e ciò in ragione dell’intervenuto sentenza della Corte costituzionale n. 349 del 2007), salvi i limiti indicati («limite di lire 393.357.000, già determinato dalla Corte di appello di Messina e non impugnato agli espropriati»), ma con la previsione per cui «nel compiere tale operazione, non potrà prescindere dai pagamenti che sia accertato essere stati già fatti alla Grigorcea nell’anno 1995».
Il riferimento ai pagamenti effettuati in favore della RAGIONE_SOCIALE non è idoneo a limitare l’obbligo di restituzione dei pagamenti solo a quest’ultima ed ai suoi eredi, ma va esteso, per le ragioni sopra esposte, a tutti i pagamenti effettuati dal Consorzio in ragione dell’esecutività della sentenza di merito.
Sarebbe del tutto incomprensibile decurtare esclusivamente la somma corrisposta alla Grigorcea nell’anno 1995, e non quella corrisposta alla cessionaria della Grigorcea, NOME COGNOME, sempre nell’anno 1995.
La Corte d’appello di Messina, dunque, con la sentenza n. 1010 del 2018, nel giudizio di rinvio, ha correttamente precisato, sul punto, che non era condivisibile l’assunto di NOME COGNOME per cui «mancando una condanna restitutoria nei suoi confronti, i pagamenti effettuati dal Consorzio a seguito della procedura esecutiva non possono essere sottratti dal computo del credito attualizzato».
Ed infatti – ha aggiunto correttamente la Corte territoriale – non possono essere condivisi e sono in contrasto con il thema decidendum del presente giudizio indicato dalla suprema Corte, finalizzato ad accertare l’effettivo credito degli espropriati previa detrazione di quanto già corrisposto dal Consorzio».
Ha ulteriormente chiarito la Corte d’appello che il giudizio era stato promosso originariamente solo da NOME COGNOME mentre NOME COGNOME era intervenuta, quale cessionaria della quota di un quarto del credito, solo dinanzi alla Corte d’appello di Messina, «facendo proprie le domande e le eccezioni formulate dalla predetta ».
Pertanto, poiché il giudizio è proseguito tra le parti originarie, la statuizione della Corte d’appello di Catania che prevedeva la condanna alla restituzione in favore del Consorzio delle maggiori somme corrisposte in forza dell’esecutività delle sentenze cassate, doveva ritenersi «estesa ai pagamenti effettuati per il pagamento dell’intero danno arrecato, seppur effettuati dal Consorzio nei confronti delle parti, a seguito di cessione, pro-quota».
Di qui l’ulteriore conclusione per cui «i pagamenti corrisposti dal Consorzio in forza dell’esecuzione della sentenza della Corte di appello di Messina devono essere detratti per entrambe le posizioni non trovando giustificazione logica detrarre i pagamenti solo per gli eredi di COGNOME».
Insomma, una volta che erano risultate eccessive le somme sborsate dal Consorzio, in forza dell’esecutività della sentenza di merito, tali somme dovevano essere restituite al Consorzio, sia quelle pagate agli eredi della RAGIONE_SOCIALE, sia quelle pagate ai cessionari dei crediti della RAGIONE_SOCIALE.
10.3. Del resto, dal controricorso (pagina 17), emerge il contenuto della domanda presentata dal Consorzio dinanzi alla Corte di appello di Catania, nel primo giudizio di rinvio, con la richiesta di «rideterminare l’ammontare dell’indennizzo dovuto dal Consorzio alle controparti e per tutte le voci di danno consequenziale, in ciò applicando le indicazioni della sentenza della Corte suprema».
Si è chiesto, quindi, alla Corte di Catania di prendere in esame tutte le somme e tutti i pagamenti corrispostisi alla Grigorcea sia a NOME COGNOME in ossequio alla sentenza della Corte di cassazione n. 5449 del 1998.
La doglianza in parte qua è dunque priva di fondamento.
Il secondo motivo di ricorso principale è inammissibile.
Si è dedotto l’omesso esame di fatto decisivo, ma, in realtà, l’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., riguarda fatti storici e naturalistici, mentre la ricorrente principale si duole della circostanza che la Corte d’appello avrebbe erroneamente reputato che il processo era proseguito tra le parti originarie.
Ciò sarebbe stato sconfessato, sia dal fatto che il giudizio non verteva dalle parti originarie, essendo state differenziate le posizioni delle parti, sia dalla circostanza che dovevano essere considerati solo
i pagamenti effettuati in favore della Grigorcea, e non in favore dei cessionari del credito.
Si tratta, in sostanza, della riproposizione del primo motivo di ricorso principale, che non può trovare collocazione, però, all’interno del vizio della motivazione.
Del resto, è inevitabile che il giudizio sia proseguito, ex art. 111 c.p.c., nei confronti della cedente NOMECOGNOME nonostante l’intervento della cessionaria del credito NOME COGNOME non essendo stata mai pronunciata l’estromissione della prima dal giudizio.
12. Il terzo motivo di ricorso principale è inammissibile.
Anche in questo caso, infatti, la ricorrente principale, pur deducendo la sussistenza di un preteso giudicato interno, che dimostrerebbe la mancanza di prova dei pagamenti effettuati da parte del Consorzio, non trascrive in alcun modo il contenuto di tale giudicato.
Tra l’altro, la Corte d’appello ha condannato le controparti alla restituzione in favore del Consorzio di quanto ricevuto in eccesso; di qui la considerazione per cui il Consorzio non era soccombente e non doveva presentare impugnazione sul punto.
La Corte d’appello di Catania, con riferimento alla domanda di restituzione delle somme avanzata dal Consorzio, ha affermato (come si ricava a pagina 19 del controricorso) che «è circostanza incontroversa che detto ente, in forza dell’esecutività ex lege della sentenza della Corte messinese poi cassata aveva già (coattivamente) pagato quanto dalla stessa posto a suo carico, con relativi accessori e spese successive, per importi che con tutta evidenza eccedono quelli risultanti dalla rideterminazione dei crediti risarcitori».
Gli stralci della sentenza della Corte d’appello di Catania del 22/10/2004, contenuti nel ricorso principale, sono contraddetti da quanto riportato nel controricorso.
Non sussiste, allora, il giudicato paventato dalla ricorrente principale in ordine alla mancata prova, da parte del Consorzio, dell’esatta entità degli eseguiti pagamenti, per la considerazione per cui erano stati prodotti in giudizio i documenti attestanti i pagamenti effettuati dal Consorzio il 3/10/1995 il 7/9/1995 e l’11/12/1995 (pagina 20 del controricorso).
Il quarto motivo di ricorso principale è in parte inammissibile, oltre che in parte infondato.
13.1. Ed infatti, il ricorso principale si limita a dedurre la nullità della CTU, per avere il consulente tecnico d’ufficio acquisito nuovi documenti nel giudizio di rinvio.
Tuttavia, il motivo pecca di autosufficienza ex art. 366, n. 6, c.p.c., In assenza della indicazione dei documenti che sarebbero stati prodotti per la prima volta nel giudizio di rinvio.
Neppure si indica con precisione il momento in cui taluni documenti siano stati acquisiti nel giudizio di rinvio.
Al contrario, nel controricorso, a pagina 21, si chiarisce che «le prove dei pagamenti effettuati nel lontano anno 1995 erano già stat versat agli atti del giudizio anche nel fascicolo di parte del Consorzio, documenti allegati 5,6,7,8 e 9, al fascicolo di parte e questi sono stati presi in considerazione e posti a fondamento dalla CTU e dalla Corte messinese».
Nel controricorso si evidenzia anche (a pagina 21) che «agli atti del giudizio sono state versate l’ordinanza di assegnazione somme a seguito di pignoramento presso terzi effettuato presso la Sicilcassa e la rendicontazione di quest’ultima delle somme assegnate e pagate ai creditori da essa RAGIONE_SOCIALE».
13.2. Deve peraltro osservarsi che nel giudizio di rinvio, configurato dall’art. 394,comma 3, c.p.c. quale giudizio ad istruzione sostanzialmente chiusa, non sono ammesse nuove conclusioni e richieste di nuove prove, ad eccezione del giuramento decisorio, salvo il caso in cui la sentenza d’appello sia stata annullata per vizio di violazione o falsa applicazione di legge, che reimposti secondo un diverso angolo visuale i termini giuridici della controversia, così da richiedere l’accertamento dei fatti, intesi in senso storico o normativo, non trattati dalle parti e non esaminati dal giudice di merito perché ritenuti erroneamente privi di rilievo (Cass., sez. 6-5, 18/4/2017, n. 9768).
13.3. Inoltre, deve rilevarsi che si è in presenza di una CTU contabile ex art. 198 c.p.c., che presenta delle peculiarità.
Invero, per questa Corte, a sezioni unite, in materia di esame contabile, ai sensi dell’art. 198 c.p.c., il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza della disciplina del contraddittorio delle parti ivi prevista, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, anche se diretti provare i fatti principali posti dalle parti a fondamento della domanda e delle eccezioni (Cass., Sez.U., 1/2/2022, n. 3086).
Si è successivamente precisato che, in tema di consulenza tecnica contabile ex art. 198 c.p.c., l’acquisizione, da parte del consulente di ufficio, di documenti non precedentemente prodotti dalle parti, possibile anche se volta a provare fatti principali e non meramente accessori, necessita del consenso espresso, tacito o per facta concludentia , delle parti stesse, insufficiente rivelandosi quello eventualmente desumibile dalla condotta tenuta, nel corso delle operazioni peritali, dai loro consulenti, essendo questi ultimi privi del
potere di impegnare le prime su questioni diverse da quelle inerenti alle indagini tecniche svolte dal consulente di ufficio (Cass., sez. 3, 7/6/2024, n. 16012; Cass., sez. 1, 17/1/2024, n. 1763).
13.4. Ma con la precisazione che resta applicabile l’art. 157, secondo comma, c.p.c., trattandosi di nullità relativa.
Ed infatti, si è affermato che, in materia di esame contabile, il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza della disciplina vigente in tema di contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti, ma sul presupposto condizionante del “previo consenso” delle stesse previsto dall’art. 198, comma 2, c.p.c., tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, benché essi siano diretti a provare i fatti principali posti dalle parti a fondamento della domanda e delle eccezioni. Dalla rilevanza del consenso in ordine all’acquisizione del materiale probatorio discende che i vizi che infirmano l’operato del consulente sotto tale profilo sono fonte di nullità relativa ex art. 157, comma 2, c.p.c., correlandosi ad un interesse primario ma disponibile delle parti (Cass., sez. 1, 21/2/2023, n. 5370).
14. Il quinto motivo di ricorso principale è inammissibile.
Non si individua il fatto decisivo il cui esame sarebbe stato omesso.
Inoltre, laddove si prospetta la possibile prescrizione del diritto del Consorzio a richiedere la restituzione di quanto versato per indennizzo per occupazione illegittima, va precisato che l’eccezione di prescrizione non è stata mai sollevata nei gradi di merito.
15. Il sesto motivo è infondato.
Non vi è, infatti, alcuna prova del pagamento delle spese di registrazione della sentenza per lire 243.975.700 (Cass., 27/6/2011,
n. 14192; Cass., 21/2/2001, n. 2500; Cass., 1/4/2014, n. 7532; Cass. n. 8481 del 22/6/2000).
La disamina del settimo motivo può essere differita all’esito della disamina del ricorso incidentale di NOME COGNOME.
I due motivi di ricorso incidentale, che vanno affrontati unitamente per strette ragioni di connessione, sono entrambi fondati.
Non v’è dubbio che, a seguito della sentenza della Corte di cassazione n. 21867 del 2011, l’unica questione che residuava fosse quella relativa al ricalcolo del risarcimento del danno derivante da occupazione appropriativa del terreno, per irreversibile trasformazione, a seguito della intervenuta sentenza della Corte costituzionale n. 349 del 2007.
Tutte le altre questioni, e segnatamente quelle relative al risarcimento dei danni spettanti ai terreni residui, alla stradella e all’indennizzo da occupazione temporanea, erano ormai divenute definitive.
Ed infatti, tutti i motivi di ricorso incidentale per cassazione presentati da NOME COGNOME e NOME COGNOME sono stati ritenuti infondati o inammissibili da parte della Corte di cassazione con la sentenza n. 21867/2011.
I primi due motivi di ricorso incidentale attenevano all’applicazione degli articoli 37 e 43 del d.P.R. n. 327 del 2001, in ordine al valore pieno del fondo o, in subordine, all’applicazione dei principi della occupazione usurpativa, a seguito della sentenza del Consiglio di Stato che aveva annullato sia le proroghe sia la dichiarazione di pubblica utilità.
Il terzo motivo di ricorso incidentale verteva proprio sulla mancata liquidazione dei danni relativi al soprassuolo, alle infrastrutture e alla stradella, sulla base di due voci: la diminuzione
di valore dei fondi residui; i danni a strutture e soprassuolo che si trovavano sui fondi (pagina 15 della sentenza della Corte di cassazione n. 21867 del 2011 «il Collegio deve, invece, dichiarare in parte inammissibili e in parte infondate le censure degli espropriati contro la liquidazione del danno per la diminuzione di valore del fondo residuo ex art. 40 legge 2359 del 1865»).
Si è aggiunto nella motivazione della sentenza di questa Corte n. 21867 del 2011, che «questa statuizione poneva fine (anche nei confronti della COGNOME) a qualsiasi questione inerente alla quota dell’indennizzo relativa ai fondi residui, definitivamente determinata sia con riferimento alle singole voci componenti del pregiudizio, che alla loro valutazione: perciò precludendo in radice agli espropriati di riproporre nel giudizio di rinvio sia la questione della duplicità del pregiudizio al valore del fondo nonché alle strutture vi collocate, sia delle inclusione tra le poste da liquidare, del danno arrecato ai soprassuoli» (pagina 16 della motivazione).
Con il quarto motivo si deduceva il mancato riconoscimento dell’ulteriore indennità per occupazione temporanea fino alla data del 30/9/1970, ossia il termine della occupazione temporanea legittima.
Il quinto motivo atteneva all’indennizzo per occupazione illegittima dopo il 30/9/1970, fino al decreto di esproprio del 28/12/1973.
Il sesto motivo era relativo alla riconosciuta nullità della richiesta di interessi al tasso bancario.
Tutti i motivi sono stati reputati infondati dalla Corte di cassazione.
Con riferimento alla irreversibile trasformazione, si è evidenziato che la stessa era avvenuta all’interno del periodo di occupazione legittima.
La ricognizione legale del terreno doveva essere effettuata al 30/9/1970, con il criterio riduttivo di cui all’art. 5-bis, comma 7-bis, della legge n. 359 del 1992.
La determinazione dell’indennizzo da occupazione temporanea legittima era ormai passata in giudicato (cfr. pagine 18 e 19 della sentenza della Cassazione n. 21867 del 2011 «le doglianze ivi formulate dal Consorzio risultano inidonee ad impedire il passaggio in giudicato di quelle riguardanti la diversa vicenda dell’occupazione temporanea, peraltro espressamente definita dalla sentenza di rinvio»). L’indennità di occupazione temporanea era stata determinata dalla Corte d’appello di Messina «nella misura di lire 241.855.000 per ogni anno di occupazione» (cfr. pagina 17 della sentenza della Corte di cassazione n. 21867 del 2011).
Non spettava l’indennizzo per il periodo dal 30/9/1970 sino al 28/12/1973, in quanto la proprietà era ormai passata in capo alla PA.
Erano poi inammissibili e infondate le censure sui fondi residui. Ed infatti, la Corte di cassazione, con la sentenza n. 21867 del 2011, in aggiunta a quanto sopra detto, ha ritenuto che «tale pregiudizio infatti, come si legge nella sentenza della Cassazione, era stato già riconosciuto dalla decisione definitiva del 4 giugno 1994 della Corte di appello di Messina, che l’aveva determinato unitamente alla svalutazione monetaria intervenuta fino alla suddetta pronuncia, nella complessiva misura di lire 763.102.530. Detta liquidazione è stata impugnata dalla sola NOME COGNOME ma la Corte con la sentenza di rinvio ne ha respinto il motivo di ricorso, osservando (pag. 20) che con la somma suddetta ‘era stato risarcito sia il danno subito per la perdita di valore della parte residua, sia per il mancato godimento nel periodo dovuto al ritardo con cui è stato risarcito’»
(pagine 1 5 e 16 della sentenza della Corte di cassazione n. 21867 del 2011).
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 21867 del 2011, dopo aver respinto tutti i motivi di ricorso incidentale, ha però ritenuto di applicare la sentenza della Corte costituzionale n. 349 del 2007, pur dovendosi tener conto, però, dell’acquiescenza dei ricorrenti incidentali, sussistendo il limite di lire 393.357.000, già determinato dalla Corte d’appello di Messina, e non impugnato.
Soltanto questo aspetto doveva dunque essere esaminato dalla Corte d’appello di Messina, in sede di rinvio.
Ed infatti, con riguardo alla determinazione del valore del terreno, a seguito dell’irreversibile trasformazione, era stata fatta applicazione da parte della Corte di cassazione n. 5449 del 1998, del criterio riduttivo di cui all’art. 5bis , comma 7bis della legge n. 359 del 1992, come modificato dall’art. 3 comma 65 della legge n. 662 del 1996, per l’occupazione appropriativa dei terreni edificatori verificatesi, come nella specie, prima del 30 settembre 1996.
Tale statuizione non era più modificabile, neppure prospettando la sussistenza della decisione 15/4/1986 del Consiglio di Stato che aveva annullato il decreto di espropriazione e neppure invocando l’art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001, che aveva introdotto l’istituto dell’acquisizione sanante.
Per la Corte di cassazione infatti «nella determinazione dell’intero controvalore dell’area espropriata estesa mq 26.759 dovrà comunque operare per il giudice di rinvio il limite di lire 393.357.000, già determinato dalla Corte di appello di Messina e non è impugnato dagli espropriati».
A conclusione del suo ragionamento, la Corte di cassazione, con la sentenza n. 21867/2011, ha affermato che «il giudice di rinvio dovrà anzitutto ricalcolare l’indennizzo dovuto agli espropriati per
l’occupazione appropriativa per le considerazioni svolte nel superiore 8 e salvi i limiti ivi indicati, per poi rivalutare la somma così liquidata, con applicazione degli interessi sino alla data della pronuncia».
Il riferimento specifico è dunque esclusivo al risarcimento danni per occupazione appropriativa, con esclusione di tutte le altre voci, per le quali era ormai maturato il giudicato.
La Corte d’appello di Messina, con la sentenza non definitiva n. 46 del 2014, aveva correttamente rideterminato il risarcimento del danno da occupazione appropriativa del fondo in lire 393.357.000.
Allo stesso modo correttamente ha disposto CTU per il computo dell’obbligazione restitutoria, in relazione ai pagamenti già eseguiti.
Successivamente, però, la Corte d’appello ha disposto nuovi quesiti, con riferimento ad aspetti della vicenda sostanziale ormai coperta da giudicato, e segnatamente quelli relativi al risarcimento danni subiti dai fondi residui, dalla stradella, oltre che in ordine al computo dell’occupazione legittima.
Infatti, con riferimento al risarcimento per i terreni residui, lo stesso era stato computato in euro 947.433,00 oltre interessi con sentenza della Corte d’appello di Catania del 22/10/2004.
Allo stesso modo l’indennità per occupazione era stata confermata in lire 241.855.000, ossia la stessa somma già determinata dalla Corte d’appello di Messina con la sentenza del 4/6/1994.
Tutti profili, questi, che non potevano essere rimeditati nella sentenza qui impugnata.
19. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, in ordine ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
La fondatezza del ricorso incidentale, determinando la rinnovazione del giudizio di rinvio, assorbe la cognizione del settimo motivo del ricorso principale.
P.Q.M.
rigetta i motivi primo, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto di ricorso principale; dichiara assorbito il settimo; accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della I Sezione