Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7887 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7887 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 157-2020 proposto da:
PAVIA PIERA, domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO COGNOME;
– ricorrente –
contro
MONACO AURORA, domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e NOME COGNOME;
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 2011/2019 d ella Corte d’appello di Catania, depositata il 30/09/2019;
Oggetto
LOCAZIONE ABITATIVA
Sentenza resa di rinvio – all’esito di giudizio V iolazione dell’art. 384 c.p.c. -Esclusione
R.G.N. 157/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 04/10/2023
Adunanza camerale
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale del 04/10/2023 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ricorre, sulla base di cinque motivi, per la cassazione della sentenza n. 2011/19, del 30 settembre 2019, della Corte d’appello di Catania, che pronunciandosi quale giudice del rinvio, a seguito dell’ordinanza n. 17733/18 con cui questa Corte ha cassato la sentenza n. 986/15, del 10 giugno 2015, della stessa Corte etnea -ne ha respinto il gravame avverso la sentenza n. 40/13, del 6 giugno 2013, del Tribunale di Catania, sezione di Mascalucia, così confermando la declaratoria di risoluzione, per grave inadempimento della COGNOME, del contratto di locazione immobiliare ad uso abitativo corrente tra la stessa e NOME COGNOME.
Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente di essere stata convenuta in giudizio dalla COGNOME, avendole essa intimato (con successivi atti del 20 novembre 2009, del 15 marzo 2010 e, infine, del 5 agosto 2010, aventi ad oggetto distinte e successive morosità) sfratto per morosità, in relazione al suddetto contratto di locazione ad uso abitativo sottoscritto il 29 settembre 2009, relativo ad un monolocale sito in Gravina di Catania.
In tutti e tre i procedimenti l’intimata proponeva opposizione, negando la morosità, e ciò sul duplice presupposto di aver corrisposto -per i primi sei mesi di durata del rapporto, e dunque fino al marzo 2009 -l’importo di € 290,00 mensili (in luogo del canone di € 120,00 contrattualmente stabilito), nonché di vantare un credito di € 2.915,70 per aver anticipato spese di manutenzione della ‘res locata ‘ spettanti, invece, alla locatrice, giacché l’immobile si era rivelato non solo un locale di sgombero,
privo di agibilità e abitabilità, ma pure abusivo e insanabile, con numerosi vizi occulti successivamente palesatisi.
Respinta in tutti i procedimenti ex art. 658 cod. proc. civ. la richiesta di concessione di ordinanza provvisoria di rilascio, all’esito della conversione del rito e della loro riunione, l’adito Tribunale -pur prendendo atto che fino al marzo 2009 la conduttrice aveva corrisposto il canone nella misura maggiorata di € 290,00, ciò che escludeva che la stessa potesse considerarsi morosa fino al dicembre di quello stesso anno -dichiarava, comunque, risolto il contratto per grave inadempimento della conduttrice, atteso il persistere della morosità della stessa lungo tutto il corso del giudizio di primo grado, respingendo ogni altra domanda ed eccezione della COGNOME.
Esperito gravame dalla stessa, il giudice di appello lo accoglieva limitatamente alla domanda di rimborso delle spese anticipate per la manutenzione dell’immobile, che riconosceva dovute solo per l’importo di € 960,00, a fronte di quello richiesto € 2.915,70.
Proposti due distinti ricorsi per cassazione dalla già appellante, per far valere nove motivi complessivi, questa Corte accoglieva solo il quinto, con il quale era stato denunciato ‘l’omesso esame di prove decisive sull’errato giudizio relativo alla gravit à dell’asserito inadempimento della conduttrice’ e ciò in merio al ‘numero di canoni pagati’. La pronuncia cassatoria, in particolare, rilevava che i giudici d’appello avevano ‘dato atto di aver tenuto conto dei canoni pagati dalla COGNOME fino al mese di ap rile 2009′, tuttavia ‘omettendo di esaminare le ricevute di pagamento prodotte e, soprattutto, di considerare che nella sentenza del Tribunale era stato statuito che la morosità della conduttrice era riscontrabile dal dicembre 2009 in poi e, quindi, per un periodo più breve’, statuizione, questa, passata in giudicato. In forza di tali rilievi, dunque, veniva disposto che ‘il
conteggio della morosità’ (e quindi ‘del rapporto dare/avere fra le parti’) dovesse ‘essere ricalcolato sulla base degli elementi definitivamente acquisiti nella controversia’, devolvendo al giudice del rinvio ‘un nuovo conteggio della somma spettante alla ricorrente’.
All’esito del giudizio ex art. 394 cod. proc. civ., tuttavia, il giudice del rinvio -non senza previamente stigmatizzare la tecnica di redazione della citazione in riassunzione, avendo la COGNOME chiesto la riforma della sentenza già cassata da questa Corte -rilevava come la domanda formulata con l’atto di riassunzione, ‘volta ad ottenere la condanna di NOME al pagamento di € 2.915,70′, risultasse già ‘incontrovertibilmente decisa’. Tale domanda, infatti, ‘lungi dal mirare ad un nuovo conteggio dei canoni’ (secondo l’ordine impartito da questa Corte di legittimità), consisteva nella riproposizione della richiesta di ‘ rimborso delle spese urgenti eseguite dalla conduttrice’ che era stata ‘accolta solo in parte’ all’esito del giudizio di appello, ‘con decisione confermata dalla Corte di Cassazione’, avendo essa dichiarato inammissibile il motivo di ricorso -per l’esatte zza, il secondo -con cui si era contestato il riconoscimento di tale credito limitatamente all’importo di € 960,00.
Avverso la sentenza della Corte etnea ha proposto ricorso per cassazione la COGNOME, sulla base -come detto -di cinque motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 384, comma 2, cod. proc. civ., ‘disapplicazione dell’ordinanza di rinvio della Corte di Cassazione’, nonché ‘motivazione errata e insufficiente’.
Assume, infatti, la ricorrente che l’accoglimento del quinto motivo del precedente ricorso (che era ‘significativamente intitolato: «Omesso esame di prove decisive nell’errato giudizio
sulla gravità dell’asserito inadempimento della conduttrice»’) non avrebbe riguardato ‘solo la contabilità dei canoni, ma anche quella delle spese anticipate dalla conduttrice e non rimborsate’, da includersi anch’esse in quel rapporto di ‘dare/avere’ che questa Corte ha ordinato di ricalcolare, al fine di compiere un rinnovato esame in merito ‘alla prevalenza della gravità dell’inadempimento, erratamente posto a carico’ sottolinea la ricorrente -‘della conduttrice’.
D’altra parte, che il ‘nuovo conteggio della somma spettante alla ricorrente’, disposto da questa Corte, dovesse investire , sempre secondo la ricorrente, anche le spese anticipate dalla conduttrice è conclusione non preclusa -a differenza di quanto assume il giudice del rinvio -dall’esistenza di un giudicato, conseguente alla declaratoria di inammissibilità del secondo motivo del ricorso originario, che concerneva tale tema. Difatti, assume la ricorrente, avendo questa Corte dichiarato inammissibile il mo tivo, essa ‘non ha inteso entrare nel merito’, sicché nessun giudicato ‘si è formato sulla domanda di rimborso’.
Infine, poiché questa Corte ha comandato che il rinnovato conteggio del rapporto di dare/avere tra le parti dovesse compiersi sulla base ‘degli elementi definitivamente acquisiti nella controversia’, non potrebbe ignorarsi come, invece, avrebbe fatto il giudice del rinvio -che essi includono ‘le ricevute di pagamento dei canoni locativi e delle spese anticipate’, oltre alle deposizioni rese dai testi escussi, elementi dai quali si desume che l’importo delle spese da rimborsare ammonta a € 2.915,70 (e non € 960,00).
3.2. Il secondo motivo denuncia falsa applicazione dell’art. 426 cod. proc. civ. e dell’art. 4 del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150, in ragione dell’illegittimo mutamento del rito, nonché della
sua ‘omessa motivazione in sentenza’, donde la conseguente nullità della stessa.
La ricorrente lamenta che, all’udienza del 5 marzo 2019, venne disposto il mutamento del rito, quantunque lo stesso non fosse più possibile, trattandosi di giudizio di rinvio, senza, però, che dell’avvenut a trasformazione -che si reputa, peraltro, non coerente con la previsione di cui al comma 5 dell’art. 4 del d.lgs. n. 150 del 2011 -si sia poi fatto cenno nella motivazione (o nel dispositivo) della sentenza.
3.3. Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, oltre a falsa applicazione dell’art. 384, comma 2, cod. proc. civ. e a nullità della sentenza.
Assume la ricorrente che, essendo ‘sia l’entità che la causale delle singole spese’ da essa anticipate ‘ormai coperte da giudicato, e per altro incontestate’, come, del resto, ormai chiaro risulterebbe ‘anche il quadro per l’importo dei canoni maggiorati’ corrisposti (che rendevano essa COGNOME in regola coi pagamenti al momento delle tre intimazioni di sfratto), era sulla base di tali fatti storici -invece ignorati dal giudice del rinvio -che andava effettuato il ricalcolo dei rapporti di dare/avere tra le parti, ordinato da questa Corte, destinato a culminare nella conclusione che il diritto al rimborso andava riconosciuto non per € 960,00, ma per € 2.915,70.
3.4. Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, con conseguente nullità della sentenza.
Evidenzia la ricorrente che il solo ‘ petitum ‘ della COGNOME innanzi al giudice del rinvio consisteva nella conferma della
risoluzione del contratto, senza che si facesse questione sui conteggi ordinati da questa Corte, sicché la Corte etnea, ‘nel riconfermare la sua sentenza ‘, sarebbe ‘ andata ultra petita partium ‘, non solo nei confronti di essa COGNOME (per non aver ottemperato all’ordine di ricalcolare i rapporti di dare/avere tra le parti), ma della stessa COGNOME.
3.5. Il quinto motivo denuncia violazione dell’art. 384, comma 2, cod. proc. civ. per omessa ottemperanza all’ordinanza di rinvio (in relazione ai motivi sesto e nono del ricorso originario, ritenuti assorbiti dall’accoglimento del quinto), oltre a ‘violazione e falsa applicazione del diritto’.
La ricorrente evidenzia che questa Corte -nell’accogliere il quinto motivo del precedente ricorso -aveva dichiarato assorbiti quelli relativi alle spese di lite, demandando al giudice del rinvio una nuova statuizione su di esse. Anche tale disposizione sarebbe stata disapplicata dalla Corte etnea, avendo essa compensato le spese processuali per intero (con danno anche per l’Erario, impossibilitato a recuperarle dalla COGNOME, giacché essa COGNOME gode del patrocinio a spese dello Stato) e ciò quale ulteriore conseguenza dell’omesso esame di fatti decisivi e dell’omesso ricalcolo del rapporto dare/avere tra le parti.
Ha resistito all’avversaria impugnazione , con controricorso, la COGNOME, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata, eccependo preliminarmente l’improcedibilità del ricorso della COGNOME sotto due distinti profili. In primo luogo, si evidenzia che la ricorrente ha dichiarato di depositare ‘originale notificato’ del ricorso per cassazione, tratta ndosi invece di un file informatico, mentre la COGNOME ‘aveva l’onere di depositare la copia cartacea del ricorso notificato con l’attestazione di conformità ai sensi dell’art. 9 della legge 21 gennaio 1994, n. 53’, sicché dalla
presenza, in atti, di ‘una semplice stampa del ricorso’, del quale è contestata dalla COGNOME la conformità all’originale , deriverebbe l’improcedibilità dell’impugnazione. In secondo luogo, si evidenzia che la ricorrente ha dichiarato di depositare copia autentica della sentenza impugnata e non la copia notificata (notificazione che si assume avvenuta il 2 ottobre 2019), deposto richiesto a pena di improcedibilità. La presenza della copia notificata, infatti, si rivela necessaria ai fini della verifica della tempestività dell ‘impugnazione ex art. 325 cod. proc. civ., prova che nella specie si assume carente, posto che tra la data di pubblicazione della sentenza, avvenuta il 30 settembre 2019, e quella della notificazione del ricorso, risalente al 2 dicembre 2019, risultano decorsi più di sessanta giorni.
Nel merito, infine, si rileva la correttezza della decisione impugnata, e ciò anche in ragione del fatto che la sentenza di questa Corte, che ha dato origine al giudizio di rinvio, sarebbe ‘frutto di un evidente equivoco, confondendo il mese in cui la conduttrice cessò di pagare i canoni (pacificamente l’aprile del 2009), con il mese in cui la stessa doveva considerarsi morosa, tenendo conto dei canoni in precedenza pagati in misura superiore al dovuto per complessivi € 1.020,00 (dicembre del 2009)’.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
Il legale della ricorrente ha depositato memoria, per chiedere l’interruzione del presente giudizio, in ragione del decesso della sua assistita.
Non consta, invece, la presentazione di memoria da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare, va disattesa la richiesta di dichiarare l’interruzione del presente giudizio di legittimità in ragione del decesso della ricorrente.
8.1. Va , infatti, ribadito che ‘in considerazione della particolare struttura e della disciplina del procedimento di legittimità ‘ , nello stesso ‘ non è applicabile l ‘ istituto dell ‘ interruzione del processo, con la conseguenza che la morte di una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del giudizio, non assume alcun rilievo, né consente agli eredi di tale parte l ‘ingresso nel processo’ ( tra le altre, Cass. Sez. Lav., sent. 29 gennaio 2016, n. 1757, Rv. 638717-01).
Sempre ‘ in limine ‘, va disattesa la duplice eccezione di improcedibilità del ricorso, sollevata dalla controricorrente COGNOME.
9.1. Quanto, infatti, alla dedotta assenza -in atti -della copia cartacea del ricorso notificato, munito di debita attestazione di conformità all’originale digitale, ai sensi dell’art. 9 della legge 21 gennaio 1994, n. 53 , deve rilevarsi l’infondatezza dell’eccezione. Invero, sebbene apposta in calce alla copia cartacea della sentenza impugnata, vi è una ‘cumulativa’ attestazione, effettuata dal difensore della COGNOME, di conformità -agli originali digitali dai quali esse sono tratte -delle copie analogiche di una serie di atti/documenti (oltre alla sentenza stessa), e tra di essi, appunto, anche il ricorso per cassazione. Né, d’altra parte, all’esito dell’improcedibilità potrebbe pervenirsi in ragione della ‘contestazione’ (o per meglio dire, del disconoscimento), proveniente dalla controricorrente, della conformità della copia
analogica del ricorso all’originale digitale, giacché tale disconoscimento assume rilievo, nuovamente, solo in assenza di asseverazione (Cass. Sez. Un., sent. 24 settembre 2018, n. 22438, Rv. 650462-01).
9.2. Analogamente, la presenza in atti, come detto, dell’asseverazione della conformità della copia analogica della sentenza impugnata -oggetto di deposito ex art. 369, comma 2, n. 2), cod. proc. civ. -al suo originale digitale notificato, impone di ritenere il ricorso, anche sotto questo profilo, procedibile. Sicché questa Corte rileva solo ‘ ad abundantiam ‘ come, in questo caso, la controricorrente neppure abbia proceduto ad alcun disconoscimento della conformità della copia all’originale, evenienza che -ma sempre e solo in assenza di rituale asseverazione da parte del difensore della parte ricorrente -avrebbe comportato l’improcedibilità del ricorso ( Cass. Sez. Un., sent. 25 marzo 2019, n. 8312, Rv. 653597-03).
Tanto premesso, il ricorso -che neppure può ritenersi inammissibile a norma dell’art. 366, comma 1, n. 3) , cod. proc. civ., come pure eccepito dalla controricorrente, giacché reca una ‘ esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata ‘ dei fatti causa, come tale però sufficiente a ritenere osservata la prescrizione normativa suddetta (Cass. Sez. 6-3, ord. 3 febbraio 2015, n. 1926, Rv. 634266-01; in senso analogo pure Cass. Sez. 3, ord. 9 marzo 2018, n. 5640, Rv. 648290-01 e Cass. Sez. 1, ord. 3 novembre 2020, n. 24432, Rv. 659427-01) -va rigettato.
10.1. Il primo motivo di ricorso non è fondato.
10.1.1. La ricorrente lamenta che il giudice del rinvio sarebbe venuto meno a quanto richiestogli da questa Corte, giacché l’accertamento demandatogli investiva ‘non solo la contabilità dei canoni, ma anche quella delle spese anticipate dalla conduttrice e non rimborsate’, da includersi anch’esse in quel rapporto di ‘dare/avere’ tra le parti che doveva formare oggetto di riconteggio.
Senonché, come esattamente evidenzia la sentenza impugnata, sulla questione relativa all’entità del credito da rimborso (riconosciuto nella sola misura di € 960,00), si era formato un giudicato a seguito della prima pronuncia di questa Corte, avendo essa dichiarato inammissibile il relativo motivo di ricorso (già) allora proposto dalla COGNOME.
Del tutto erroneo è , infatti, l’assunto della ricorrente secondo cui, per effetto di tale declaratoria di inammissibilità, questa Corte non sarebbe entrata nel merito della questione, donde l’inesistenza del giudicato, giacché l’effetto di cui all’art. 2909 cod. civ. è da ricollegare all’esaurirsi del potere di impugnazione non solo per ‘consunzione’ dello stesso (ovvero, per essere stato esercitato infruttuosamente), ma anche per ‘preclusione’, vale a dire in caso di esercizio non conforme alle sue condizioni di ammissibilità.
Ne consegue, pertanto, che in presenza di un giudicato circa l’entità del rimborso, nessun ‘riconteggio’, sul punto, doveva compiersi da parte del giudice del rinvio. Al medesimo, infatti, era stato solo demandato -sul riscontro dell’esistenza, nella sentenza allora cassata da questa Corte, dell’omesso esame di un fatto decisivo, ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. -di esaminare le ricevute dei canoni di locazione, per verificare quali mensilità fossero state pagate.
Ciò detto, sebbene dalla lettura della sentenza oggi impugnata non risulti che il giudice di rinvio abbia provveduto in tal senso
(rendendosi, pertanto, inottemperante al vincolo nascente dalla pronuncia adottata da questa Corte ex art. 383 cod. proc. civ.), non è, tuttavia, di questa omissione che si duole l’odierna ricorrente, visto che essa lamenta, unicamente, il fatto che non sia stata riconosciuta la sua pretesa di conteggiare la somma sborsata per le riparazioni, ciò che, però, esulava dall’ oggetto del giudizio di rinvio.
10.2. Il secondo motivo è, invece, inammissibile.
10.2.1. La ricorrente non specifica, infatti, quale pregiudizio le sia derivato dall’avvenuto mutamento del rito. Di qui, pertanto, la necessità di dare seguito al principio secondo cui la ‘censura concernente la violazione dei «principi regolatori del giusto processo» e cioè delle regole processuali ex art. 360, n. 4), cod. proc. civ., deve avere carattere decisivo, cioè incidente sul contenuto della decisione e, dunque, arrecante un effettivo pregiudizio a chi la denuncia’ (Cass. Sez. 3, sent. 26 settembr e 2017, n. 22341, Rv. 646020-03; in senso conforme Cass. Sez. 6Lav., ord. 15 ottobre 2019, n. 26087, Rv. 655459-01).
10.3. Le stesse considerazioni, già illustrate, che depongono per la declaratoria di non fondatezza del primo motivo di ricorso, impongono identica conclusione pure per il terzo e quarto motivo.
10.3.1. Esulando, infatti, dal compito del giudice del rinvio il riconteggio delle spese sostenute dalla COGNOME, per aver ella anticipato i costi della esecuzione di interventi di manutenzione a carico della locatrice, nessun omesso esame di fatti decisivi (terzo motivo), né alcuna violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato (quarto motivo), è addebitabile alla Corte etnea. Essa, infatti, si è limitata a prendere atto della
circostanza che la sola ‘posta’, in relazione alla quale la COGNOME ha preteso -nel giudizio celebrato a norma dell’art. 392 cod. proc. civ. -il riconteggio dei suoi rapporti di dare-avere con la COGNOME, era proprio quella che concerneva l’entità del rimbo rso già definitivamente fissato, però, con statuizione coperta da giudicato e, dunque, ‘ ab initio ‘ tenuta in considerazione nel definire l’entità dei rispettivi debiti/crediti tra le parti. Né d’altra parte occorreva, perché il giudice del rinvio pervenisse ad una simile conclusione, alcuna richiesta in tal senso della COGNOME, avendo il medesimo preso atto che il ‘ petitum ‘ della pretesa della COGNOME era estraneo al contenuto della pronuncia rescindente di questa Corte, sicché, anche sotto questo profilo (avere la pronuncia impugnata riconosciuto alla COGNOME un ‘ quid pluris ‘ rispetto a quanto dalla stessa richiesto) la doglianza della ricorrente deve ritenersi non fondata.
10.4. Infine, inammissibile è il quinto motivo di ricorso.
10.4.1. Esso censura la decisione della Corte etnea di disporre (nuovamente) l’integrale compensazione di tutte le spese di giudizio, ma ciò fa senza dedurre alcun specifico vizio di tale statuizione, se non il fatto che essa avrebbe dovuto essere diversa all’esito del riconteggio dei rapporti di dare/avere, devoluto al giudice del rinvio.
Il motivo considera l’assorbimento dei motivi sulle spese come se esso avesse comportato il dovere del giudice di rinvio di provvedere sulle ragioni che dei due motivi erano oggetto. Invece, l’assorbimento era meramente consequenziale all’applicazione dell ‘art. 336, primo comma, c.p.c., cioè si trattava di assorbimento per caducazione della parte relativa alle spese in quanto dipendente da quella cassata. Correttamente, dunque, la
corte di rinvio ha statuito nuovamente sulle spese all’esito della definizione del giudizio e lo ha fatto per l’intero giudizio.
Si tratta, pertanto, di un motivo privo di fondamento perché non correlato all’effettiva ratio decidendi .
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico della ricorrente e liquidate come da dispositivo.
A carico della ricorrente, stante il rigetto del ricorso, sussite l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
PQM
La Corte rigetta il ricorso, condannando NOME COGNOME a rifondere, ad NOME COGNOME, le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 1.5 00,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della