Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 16018 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 16018 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 193/2021 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 2109/2020 depositata il 19/08/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 15 /12/2020 NOME COGNOME propone ricorso per cassazione, illustrato da successiva memoria, avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 2109/2020, pubblicata il 19/08/2020, che, in sede di giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p. lo ha condannato al risarcimento dei danni in favore della RAGIONE_SOCIALE per un fatto di appropriazione indebita di carburante, estintosi per prescrizione in sede di giudizio penale.
Per quanto ancora di interesse, la Corte di cassazione, con la sentenza n. 1801/2018 ha annullato la sentenza penale della Corte di appello di Milano che, dopo avere dichiarato estinto il reato ascritto al ricorrente COGNOME, aveva ritenuto inammissibile la domanda risarcitoria della parte civile, qui intimata, in quanto coperta da un precedente giudicato civile, assumendo non essersi formato, invece, alcun giudicato sul punto ; nell’annullare la sentenza penale nei confronti della parte civile ha tuttavia indicato come, ai fini liquidatori, non potesse trovare conferma la liquidazione del danno operata dal tribunale penale nel primo grado, per non avere tenuto conto dell’assenza del COGNOME dal luogo di lavoro in un arco temporale riferito ad alcuni dei fatti di appropriazione addebitati, continuati nel tempo.
La Corte d’appello adita in sede di giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p. , in accoglimento parziale della domanda della società, ha ridotto il credito risarcitorio accertato nella sentenza penale di
primo grado, quantificandolo nella misura di € 494.405,86, oltre rivalutazione e interessi, e ha condannato il COGNOME al pagamento del relativo importo ascrivibile alla sua condotta, costituente illecito civile, oltre alle spese di lite dei gradi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è affidato a due motivi.
Con il primo motivo di impugnazione si deduce: ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti ai sensi dell’art. 360, n. 5), in ordine all’illegittimità della domanda risarcitoria avanzata con la costituzione di parte civile. Sul giudicato civile della domanda risarcitoria con la sentenza n. 123/14 del Tribunale di Busto Arsizio. Sull’identità e duplicità delle domande risarcitorie. Sull’annullamento dell’impugnata sentenza’.
Con il secondo motivo di impugnazione si deduce: ‘Violazione di Legge ex art. 360 c. 1 n. 3 ed in particolare dell’art. 310, c. 4 c.p.c., degli artt. 91 e 92 c.p.c. e del DM 556/2014 in relazione alla omessa valutazione delle istanze istruttorie in relazione all’uso promiscuo delle tessere card support e alla documentazione relativa alle presenze del sig. NOME COGNOME. Sull’erronea quantificazione dei danni operata dalla Corte d’Appello’.
I motivi sono inammissibili e, vertendo sulla medesima questione vista sotto diversi profili di nullità della sentenza, vengono trattati congiuntamente.
La Corte d’appello, quale giudice del rinvio, ritenendo l’ an della domanda di risarcimento oramai accertato in maniera definitiva, innanzitutto, si è attenuta al dictum della Corte di cassazione, e per tale ragione ha ritenuto inammissibile la riproposizione della questione inerente alla sussistenza di un giudicato civile tra le parti in ordine alla domanda risarcitoria formulata dalla società in sede penale. Nell’ambito dei suoi poteri di giudice del rinvio,
ha rigettato le istanze istruttorie formulate dalla società attrice, ritenendo sufficiente l’esito dell’attività istruttoria svolta nelle precedenti fasi del giudizio penale (attraverso la deposizione della teste COGNOME) in merito alle effettive presenze sul luogo di lavoro del COGNOME, detraendo così alcuni ammanchi, registrati nei giorni di assenza del COGNOME, dalla misura di risarcimento riconosciuta dal Tribunale penale nel primo grado.
Va in via pregiudiziale osservato che il giudizio di rinvio ai sensi dell’art. 622 c.p.p., differentemente da quanto sostenuto dalla Corte d’appello (p.20 dell’impugnata sentenza), determina una piena ” translatio” del giudizio sulla domanda civile e presenta una sua sostanziale autonomia rispetto alla vicenda penale sia quanto ai presupposti dell’azione civile portata all’esame del giudice civile, regolata secondo i principi del processo civile, sia quanto al profilo della valutazione delle prove (Cass. Sez. 3 – , Sentenza n. 16916 del 25/06/2019). Sicché la parte civile, ai fini della prospettazione degli elementi costitutivi dell’illecito civile, nel giudizio instaurato innanzi al giudice civile in seguito all’annullamento della sentenza penale può indicare i mezzi di prova e le produzioni documentali ammessi nel processo civile, senza incorrere in alcuna preclusione derivante dalla partecipazione alla pregressa fase penale, sviluppatasi sulla base di diversi presupposti e oneri di prova ( Cass.Sez. 3 , Ordinanza n. 24954 del 21/08/2023).
In ogni caso, l’oggetto e i limiti del giudizio di rinvio impongono di escludere che il giudice di merito, al quale la causa sia rimessa dal giudice di legittimità dopo la pronuncia di annullamento della sentenza penale pronunciata nei confronti della parte civile, possa sindacare la correttezza in iure del principio stabilito dalla sentenza pronunciata in sede di legittimità (cfr., ex multis , Cass. Sez. 3 , Ordinanza n. 5253 del 28/02/2024). Sicché, nel giudizio di
rinvio non possono essere proposti dalle parti, né presi in esame dal giudice, motivi di impugnazione differenti da quelli che erano stati formulati nel giudizio di appello conclusosi con la sentenza cassata e che continuano a delimitare, da un lato, l’effetto devolutivo dello stesso gravame e, dall’altro, la formazione del giudicato interno (Cass. n. 5137 del 21/02/2019; Cass. n. 4096/2007; Cass. n. 16888/2006, che ritiene preclusa alle parti, in relazione alla struttura chiusa del giudizio di rinvio, la proposizione di questioni che introducano un ” thema decidendum ” , diverso da quello discusso nelle precedenti fasi processuali in relazione al quale la Corte di Cassazione ha enunciato il principio di diritto; Cass. n. 13719/2006).
Va dunque rilevato che i motivi, da una parte, ripropongono questioni già decise dalla Corte di cassazione in sede penale (quali quella sulla statuita non incidenza del giudicato civile nel giudizio in esame e sulla commissione del fatto illecito da parte del COGNOME), non più delibabili né dal giudice del rinvio investito della domanda civile ex art. 622 c.p.p., né tantomeno in questa sede di giudizio di legittimità.
Dall’altra, quanto alle valutazioni probatorie sulla misura del risarcimento del danno, i motivi ripropongono una inammissibile diversa ricostruzione della vicenda, senza indicare quali norme sulla valutazione delle prove in sede civile ( artt. 115-116 c.p.c., art. 2697 c.c.) siano state violate dal giudice del rinvio. Viene pertanto in nuce che il ricorrente si duole, in via del tutto inammissibile, della erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge sulla valutazione probatoria, bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Cass. Sez. III, n. 36560 del
30/12/2023 2023; Cass. Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171).
A tutto quanto sopra va aggiunto che l’ omissione di un fatto o di una circostanza allegata e discussa, oltre a dovere essere specificamente dedotta in sede di giudizio di legittimità, in ottemperanza del principio di autosufficienza ai sensi dell’art. 366 n. 6 c.p.c. ( Cass. SU n. 34469/2019), per essere rilevante ai sensi dell’ art. 360 n. 5 c.p.c., deve anche rivelarsi in grado di compromettere la tenuta logico-giuridica della motivazione, e di porsi in violazione del cd ‘minimo costituzionale’ richiesto ex art. 111 Corte Cost, sì da renderla palesemente apparente o internamente contradittoria (Cass.SU n. 8053/2014). Dalla pronuncia in esame si desume invece che la testimonianza della dipendente COGNOME, lungi dal non essere stata considerata, è stata tenuta in debito conto, unitamente ai tabulati prodotti dalla società, ai fini del calcolo della misura del risarcimento in rapporto ai giorni di presenza effettiva del COGNOME sul luogo di lavoro; mentre, a fronte della completezza della motivazione, non si coglie quale rilievo possa avere, nella commisurazione del danno da risarcire, l’ eventuale coinvolgimento della teste COGNOME o di altri dipendenti coimputati nella vicenda penale
Conclusivamente il ricorso è inammissibile, con ogni conseguenza in ordine alle spese , che si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 a favore della parte resistente.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese , liquidate in € 7.200,00, oltre € 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, all’ufficio competente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale/ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13 .
Così deciso in Roma, il 31/05/2024.