Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 17669 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 17669 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16397-2024 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME tutti rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE SIENA, in persona del Rettore pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
Collaboratori esperti linguistici Trattamento retributivo Contrattazione integrativa di Ateneo
R.G.N.16397/2024
Ud. 08/05/2025 CC
avverso la sentenza n. 709/2023 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 29/01/2024 R.G.N. 515/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
08/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Fatti di causa :
1. Con contratto integrativo di ateneo (di seguito CCI) dell’anno 2006, l’Università di Siena ha riconosciuto ai collaboratori esperti linguistici (di seguito, CEL) e tra di essi anche agli odierni ricorrenti il diritto al medesimo trattamento economico proprio dei ricercatori a tempo pieno; nel maggio 2010, l’Università, accertando la carenza di copertura finanziaria, ha disposto la riduzione delle retribuzioni mensili dei CEL; gli odierni ricorrenti hanno, allora, agito rivendicando le differenze non corrisposte rispetto al menzionato trattamento integrativo di ateneo, ottenendo successivi decreti ingiuntivi per le mensilità a partire da quello stesso mese di maggio 2010. I primi decreti ingiuntivi, riguardanti la mensilità di maggio 2010, sono stati opposti dall’Università, ma l’opposizione è stata rigettata nei gradi di merito, con sentenza poi passata in giudicato stante la declaratoria di inammissibilità del pur interposto ricorso per cassazione; analoga sorte hanno avuto i decreti ingiuntivi ottenuti dai lavoratori per le mensilità da giugno a dicembre 2010, rispetto ai quali l’oppo sizione è stata parimenti rigettata con sentenza di appello, divenuta anch’essa definitiva per essere stato dichiarato improcedibile il ricorso per cassazione proposto nei suoi riguardi; un terzo decreto ingiuntivo, riguardante i mesi da gennaio a maggio 2011, anch’esso opposto, è stato dapprima revocato dalla Corte d’Appello di Firenze, ma tale pronuncia è stata cassata da questa Corte che, decidendo nel merito, ha dichiarato
inammissibile l’originaria opposizione, così determinando la definitività anche di quel provvedimento monitorio.
Sono stati quindi emessi ulteriori decreti ingiuntivi, che, complessivamente, coprono il periodo dal giugno 2011 al dicembre 2012 e tredicesime mensilità, oltre che il periodo dal gennaio al giugno 2013 e che sono oggetto, in cause riunite, del presente giudizio; decidendo sulle opposizioni a questi ultimi decreti ingiuntivi, il Tribunale di Siena le ha rigettate, sul presupposto, riferito nella sentenza di appello, del contrasto della scelta dell’Università di interrompere la corresponsione di quanto gi à attribuito con l’art. 36 Cost. e con il principio di irriducibilità della retribuzione.
L a Corte d’Appello di Firenze, riformando la sentenza di primo grado, riteneva la nullità del CCI di Ateneo per carenza di copertura finanziaria, non sanata entro il termine del 31.12.2010, concesso in occasione delle modifiche apportate nel 2009 al d. lgs. 165/2001; la Corte territoriale escludeva altresì che potesse avere effetto l’eccezione di giudicato, perché la riduzione della retribuzione, di cui si dolevano i ricorrenti, non era stata disposta unilateralmente dal datore di lavoro, ma era derivata da un intervento normativo, quello di cui alla citata novella del 2009, che aveva reso nullo quel trattamento, da una certa data in poi, se i CCI non avessero trovato tempestivo adeguamento.
Gli odierni ricorrenti NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME proponevano un primo ricorso per cassazione con undici motivi, resistiti dall’Università con controricorso. Con ordinanza 13/06/2022, n. 19023 la Corte di cassazione accoglieva il quinto ed il sesto motivo di ricorso, rigettava i primi quattro, assorbiti gli altri, cassava la sentenza
impugnata in relazione ai motivi accolti e rinviava alla Corte d’Appello di Firenze.
I lavoratori riassumevano il giudizio chiedendo respingersi l’appello proposto dall’Università di Siena e confermarsi la sentenza del Tribunale di Siena che aveva respinto le opposizioni avverso i decreti ingiuntivi ottenuti dai medesimi ricorrenti in virtù dell’appli cazione del CCI di Ateneo del 2006. L’Università di Siena si costituiva chiedendo accogliersi l’appello già formulato avverso la sentenza del Tribunale di Siena e revocarsi i decreti ingiuntivi opposti. La Corte di Appello di Firenze, sezione lavoro, con la sentenza n. 709/2023 depositata il 29/01/2024, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto l’appello e revocato i decreti ingiuntivi opposti.
Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOMECOGNOME L’Università degli studi di Siena si è costituita con controricorso chiedendo il rigetto dell’impugnazione.
La parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 380bis.1 cod. proc. civ..
Il ricorso è stato trattato dal Collegio nella camera di consiglio dell’8 maggio 2025.
Ragioni della decisione:
In via preliminare va dichiarata l’inammissibilità del controricorso per tardività. Il controricorso è stato depositato in data 24/09/2024 oltre il termine di legge decorrente dalla notifica del ricorso intervenuta in data 22/07/2024. Rimane, pertanto, assorbita l’eccezione di inammissibilità del controricorso per difetto di jus postulandi sollevata dai
ricorrenti, secondo i quali difetterebbe una delibera di incarico ai difensori nominati dall’Università controricorrente, una valida motivazione per la nomina, con conseguente nullità del mandato conferito.
Con il primo motivo di ricorso si deduce , ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 436 e 115 c.p.c., nonché dell’art. 24 Cost., per avere la Corte d’Appello di Firenze escluso che la «duplice costituzione» dell’Università di Siena abbia costituito un abuso dello strumento processuale e che abbia pregiudicato i ricorrenti in quanto erano state sviluppate ulteriori difese.
2.1. Il motivo è inammissibile perché non censura la sentenza impugnata nella parte in cui evidenzia che la doppia costituzione era stata provocata dagli stessi ricorrenti che avevano notificato l’atto all’Avvocatura distrettuale dello Stato ed all’Università. Inoltre , nel sostenere che le due costituzioni erano diverse tra loro, il motivo di ricorso rinvia ad atti processuali rispetto ai quali non è assolto l’onere di specifica indicazione imposto dall’art. 366 , primo comma, n. 6 c.p.c..
Con il secondo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. violazione dell’art. 384, comma 2, c.p.c. e dell’art. 2909 c.c. avendo la Corte d’Appello di Firenze disatteso il principio di diritto enunciato da questa Corte nell’ordinanza n. 19023/2022 ( art. 360 n. 4 c.p.c.) e, per l’effetto, violato il giudicato tra le parti (art. 360 n. 3 c.p.c.).
3.1. Il motivo è infondato. All’esito del primo giudizio di cassazione la Corte ha affermato: « i motivi, da analizzare congiuntamente, sono fondati nei termini assorbenti in cui si va a dire; è noto che il giudicato formatosi sul decreto ingiuntivo si estende, quanto a contenuto, a tutti gli antecedenti logici
necessari rispetto al riconoscimento del diritto attribuito (Cass. 27 febbraio 2020, n. 5409; Cass. 24 settembre 2018, n. 22465; Cass. 28 novembre 2017, n. 28318) e quindi, per quanto qui interessa, alla stabilizzazione inter partes della validità delle clausole del CCI 2006 da cui derivava il diritto alla corresponsione delle somme poi ingiunte; così come è noto che l’effetto del giudicato rispetto ad un rapporto di durata è destinato ad espandersi anche ai periodi successivi in cui il rapporto prosegua, almeno fino al sopravvenire di variazione di fatto e di diritto che alterino l’assetto rispetto a quello avuto presente al momento del formarsi del giudicato stesso; nel caso di specie, dalla narrativa dei ricorrenti e dal riscontro officioso sulle sentenze della S.C. che hanno definito i corrispondenti giudizi risulta in effetti, come anticipato nello storico di lite, che sono passati in giudicato plurimi decreti ingiuntivi che coprono il periodo dal maggio 2010 al maggio 2011; d’altra parte, il giudicato h a effetto obiettivo ed è rilevabile d’ufficio nella sua intera portata (Cass., S.U., 28 novembre 2007, n. 24664), sicché non rileva il fatto che, come sostiene la Corte territoriale, esso fosse stato valorizzato in sede d’appello solo come ragione di intangibilità del trattamento riconosciuto per effetto del divieto di riduzione della retribuzione; per quanto non sia fondato l’assunto dei ricorrenti secondo cui la contrattazione collettiva integrativa dei CEL si sottrarrebbe al regime di cui al d. lgs. 165/2001 ed alle nullità che ne possono derivare e ciò per le ragioni già sopra esposte in relazione ad altri aspetti di quel regime, da aversi per integralmente esteso ai predetti rapporti, nel caso di specie la validità della contrattazione del 2006 è coperta dal menzionato giudicato, implicitamente formatosi tra le parti e ciò dovrà essere assunto come dato acquisito nel giudizio di rinvio conseguente alla cassazione, in
forza dei motivi qui accolti, della sentenza di appello; in sostanza, la Corte d’Appello ha errato nel non apprezzare l’esistenza di quel giudicato (implicito) sulla validità del CCI 2006 e ciò comporta la cassazione della pronuncia impugnata; ciò non fa venire meno la necessità di valutare, in sede di rinvio, i rapporti esistenti, sul piano processuale e sostanziale e con riferimento alle mensilità oggetto del presente giudizio, tra quel giudicato implicito, la sua complessiva portata ed il CCI 2014, munito di effetto retroattivo al gennaio 2011 e quindi potenzialmente tale da coinvolgere le mensilità coinvolte dalla presente causa (giugno 2011-giugno 2013 e tredicesime), questioni che, potendo eventualmente comportare apprezzamenti non semplici, non è opportuno affrontare in questa sede nel merito »
3.2. Orbene, al contrario di quanto sostiene il ricorso, l’ordinanza rescindente di questa Corte affermava che era valido tra le parti il CCI 2006 e che su di esso si era formato il giudicato ma non affermava che lo stesso giudicato valesse a fondare la pretesa anche per le mensilità oggetto dei decreti ingiuntivi in questione e del giudizio, perché per esse doveva valutarsi, appunto nel giudizio di rinvio, la diversa questione se il giudicato stesso potesse pregiudicare anche la debenza di quelle mensilità secondo gli importi pretesi oppure fossero intervenute modificazioni di fatto e di diritto idonee a giustificare la mancata ultrattività del giudicato. La sentenza della Corte di Appello valutando i rapporti tra il giudicato e la situazione normativa e contrattuale relativa al periodo e alle pretese oggetto del giudizio non ha violato il principio di diritto dell’ordinanza rescindente ma sulla base delle affermazioni di essa ha proseguito negli accertamenti propri del giudizio di rinvio, come demandati dalla Corte di cassazione.
3.3. Di seguito la Corte di Appello ha escluso l’efficacia vincolante del giudicato affermando c he l’entrata in vigore del CCI del 2014, munito di efficacia retroattiva a decorrere dal 01/01/2011, vale a costituire un mutamento di fatto e di diritto idoneo a superare l’efficacia del giudicato esterno formatosi su precedenti periodi.
3.4. Anche sotto questo profilo, ad avviso del Collegio, la decisione va esente da censure avuto riguardo al fatto che il venir meno dell’efficacia del CCI del 2006, l’entrata in vigore del CCI del 2014 e le modifiche normative innanzi richiamate e riferibili al d.lgs. 150/2009 valgono in effetti a costituire elementi di fatto e di diritto idonei a mutare il rapporto tra le parti, a innovarne sostanzialmente il regolamento e a precludere l’ultrattività del giudicato.
3.5. In tal senso si consideri che «nei rapporti di durata, anche di lavoro, il vincolo del giudicato, sia pur formato in relazione a periodi temporali diversi, opera solo a condizione che il fatto costitutivo sia lo stesso ed in relazione ai soli aspetti permanenti del rapporto, con esclusione di quelli variabili» (Cass. 18/08/2020 n. 17223). Ed ancora: «in ordine ai rapporti giuridici di durata e alle obbligazioni periodiche che eventualmente ne costituiscano il contenuto, sui quali il giudice pronuncia con accertamento su una fattispecie attuale ma con conseguenze destinate ad esplicarsi anche in futuro, l’autorità del giudicato impedisce il riesame e la deduzione di questioni tendenti ad una nuova decisione di quelle già risolte con provvedimento definitivo, il quale pertanto esplica la propria efficacia anche nel tempo successivo alla sua emanazione, con l’unico limite di una sopravvenienza, di fatto o di diritto, che muti il contenuto materiale del rapporto o ne modifichi il regolamento» (Cass. 23/07/2015 n. 15493).
3.6. Il secondo motivo di ricorso va, in definitiva, respinto perché si fonda su una inesatta lettura del significato e del principio di diritto desumibili dalla ordinanza Cass. n. 19023/2022.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. nullità della sentenza per violazione dell’art. 51, comma 6 , del ccnl 21.05.1996 e dell’art. 2103 c .c. , anche in relazione all’art. 36 cost.. Secondo la parte ricorrente la Corte di Appello avrebbe errato nell’affermare la portata retroattiva al 01/01/2011 del CCI del 2014 anche per i ricorrenti che avevano espressamente rifiutato di aderire al contratto in questione. Essendo coperta da giudicato l’affe rmazione secondo la quale il CCI del 2006 conservava efficacia tra le parti, il CCI del 2014 non poteva mai acquisire efficacia prima della data di stipula e cioè prima del 22/09/2014, anche per il divieto di reformatio in peius affermato dall’art. 2103 cod. civ.. La Corte di Appello avrebbe, poi, errato nel ritenere che il CCI 2014 non fosse peggiorativo del CCI del 2006.
4.1. Il motivo è infondato. In via generale va ricordato che non è precluso alla contrattazione integrativa provvedere anche in via retroattiva: «il lavoratore iscritto ad un’associazione sindacale che abbia dato mandato alla stessa per la stipula di un nuovo contratto collettivo ha diritto all’applicazione delle disposizioni contenute in tale contratto, anche se lo stesso sia stato concluso successivamente alla data in cui il suo rapporto di lavoro è terminato, se le parti contraenti, nell’attribuire efficacia retroattiva al nuovo contratto, non abbiano operato alcuna distinzione fra i dipendenti in servizio e quelli non più in servizio alla data della stipulazione» (Cass. 25/10/2021, n. 29906).
4.2. Nella parte in cui il motivo di ricorso lamenta che il nuovo contratto non si sarebbe dovuto applicare ai ricorrenti perché questi vi si erano opposti, la doglianza è, parimenti, infondata. Con orientamento al quale il Collegio intende dare continuità questa Corte ha affermato nella pronuncia Cass. 13/06/2022, n. 19023 che «il legislatore, pur definendo di diritto privato il rapporto di lavoro intercorrente fra l’Università ed il collaboratore linguistico ne ha affidato la disciplina alla contrattazione collettiva, con un meccanismo di rinvio non dissimile da quello previsto per l’impiego pubblico contrattualizzato dall’art. 2 del d.lgs. n. 29/1993, vigente all’epoca della decretazione di urgenza. La contrattazione intervenuta a disciplinare il rapporto è infatti quella per il personale del Comparto Università stipulata ai sensi del richiamato d.lgs. n. 29/1993 e poi del d.lgs. n. 165/2001, sicché trovano applicazione i medesimi principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. nn. 21558 e 23329 del 2009) in relazione alla particolare natura del contratto collettivo di diritto pubblico, derivante dal peculiare procedimento formativo, dal regime di pubblicità, dalla sottoposizione a controllo contabile della compatibilità dei costi previsti» (Cass. 17 agosto 2018, n. 20765); su tali premesse è evidente che la struttura della contrattazione per i C.E.L., essendo del tutto identica alla contrattazione propria del lavoro c.d. privatizzato non può che comportare un’efficacia di essa a prescinde re dall’adesione sindacale dei singoli alle compagini stipulanti e, quindi, erga omnes e ciò rispetto a tutte le articolazioni di essa, ivi compresi i contratti integrativi».
4.3. Quanto, infine, al profilo della doglianza secondo il quale il nuovo contratto sarebbe peggiorativo del precedente, il motivo di ricorso è inammissibile: la Corte di appello ha
condotto un accertamento di fatto, previo confronto tra le discipline diverse, previste per inquadramento diverso e con conseguente diversa retribuzione, accertamento logico coerente e non censurabile nel giudizio di legittimità (Cass. n. 8954 del 20/08/1991).
Con il quarto motivo di ricorso si deduce ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. violazione dell’art. 45 TFUE da interpretare alla stregua del contenuto vincolante delle sentenze della C orte di giustizia dell’ Unione europea 26.6.2001 c-212/99; 18.7.2006 c119/04, nonché dell’art. 7 del regolamento UE 492/2011 (art. 360 n. 3 c.p.c.).
5.1. In via preliminare va disattesa l’istanza di rinvio a nuovo ruolo e di fissazione dell’udienza pubblica ex art. 375 cod. proc. civ. formulata dalla difesa di parte ricorrente. Hanno affermato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 4331/2024) che a ll’esito della riformulazione dell’art. 375 cod. proc. civ., operata dal d.lgs. n. 149/2022, la Corte di Cassazione, anche a Sezioni Unite, pronuncia in pubblica udienza unicamente nei casi di ricorso per revocazione ex art. 391 quater cod. proc. civ. e di particolare rilevanza della questione di diritto, mentre delibera con ordinanza resa all’esito della camera di consiglio ex art. 380 bis 1 cod. proc. civ., «in ogni altro caso in cui non pronuncia in pubblica udienza» (art. 375, comma 2, n. 4 quater). La disposizione delinea un rapporto regola/eccezione secondo cui i ricorsi sono «normalmente» destinati ad essere definiti nel rispetto delle forme previste dall’art. 380 bis 1 cod proc. civ., ossia all’esito di adunanza camerale, salvo che non ricorrano le condizioni indicate nel primo comma dello stesso art. 375 cod. proc. civ., la cui applicabilità, quanto all’ipotesi riferibile all’esercizio del potere nomofilattico, richiede che la questione di diritto sulla
quale la Corte è chiamata a pronunciare si presenti di particolare rilevanza, che va esclusa, non solo nell’ipotesi in cui la questione medesima non sia nuova, perché già risolta dalla Corte, ma anche qualora il principio di diritto che la Corte è chiamata ad enunciare sia solo apparentemente connotato da novità, perché conseguenza della mera estensione di principi già affermati, sia pure in relazione a fattispecie concrete connotate da diversità rispetto a quelle già vagliate. Quest’ultima evenienza ricorr e nella fattispecie, giacché le questioni prospettate si risolvono sulla base di principi che questa Corte ha già enunciato in plurime pronunce, in coerenza con quanto affermato dalle Sezioni Unite.
5.2. Il terzo motivo è infondato: la parte ricorrente invoca del tutto genericamente gli indici comunitari e non si confronta con la motivazione della sentenza secondo la quale è proprio il CCI di Ateneo ad avere dato esecuzione alle sentenze europee e ad avere ricostruito la carriera dei ricorrenti e assicurato il trattamento dovuto per gli anni precedenti e per il contratto unico. Il motivo rimane, poi, del tutto generico perché non spiega in qual modo la soluzione adottata in ragione del nuovo CCI sarebbe lesiva del principio di non discriminazione. I principi richiamati non sono pertinenti perché riguardano la ricostruzione della carriera degli ex lettori divenuti collaboratori esperti linguistici ed il ricorso in nessuna parte deduce che l’università non avrebbe assicurato agli ex lettori la ricostruzione della carriera e un trattamento retributivo pari a quello ottenuto nella prima fase del rapporto.
5.3. La pretesa discriminazione non potrebbe trovare fondamento nella dedotta parificazione al personale docente e ai ricercatori. Sul punto, può richiamarsi altra pronuncia di legittimità (Cass n. 18897/2019) in cui è stata ribadita « … la
specificità propria del collaboratore linguistico, non equiparabile al docente, specificità che giustifica la differenziazione retributiva rispetto a quest’ultimo ed il conferimento del potere alle parti collettive di individuare la retribuzione proporzionata alla qualità e quantità della prestazione, a prescindere dal raffronto con il trattamento economico riservato al personale docente… » avendo quindi la Corte inteso evidenziare e mantenere ferma una differenziazione tra le due figure. Anche recentemente, la Corte di Cassazione (ord. Cass. 16449 del 2022) ha precisato che «la Corte di Giustizia nelle decisioni richiamate in premessa ha sempre precisato che in virtù del principio di non discriminazione ai lettori di lingua straniera, divenuti collaboratori linguistici, deve essere assicurato il medesimo trattamento riservato, in situazioni analoghe, ai lavoratori di cittadinanza italiana» ed ha anche aggiunto che la Repubblica italiana non era stata obbligata «a identificare una categoria di lavoratori analoga agli ex lettori e ad equiparare completamente il trattamento riservato a questi ultimi a quello di cui beneficia la detta categoria per le medesime ragioni indicate nei punti che precedono va ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale nei termini prospettati, perché non risultano violati gli obblighi comunitari né il principio della parità di trattamento ed inoltre il trattamento retributivo non si può dire non adeguato alla qualità e quantità del lavoro prestato, in ragione della non equiparabilità del lettore al docente». Circa la ricostruzione della vicenda dei lettori di lingua straniera rileva anche Cass. 16464/2022 che afferma: «resta escluso che la retribuzione stessa possa rimanere agganciata, anche per il periodo successivo alla stipula del contratto di collaborazione (o, in assenza, della sentenza che abbia disposto la conversione del rapporto) alle dinamiche
contrattuali previste per i ricercatori confermati a tempo definito (cfr. Cass. n. 20483/2023; Cass. n. 13886/2023; Cass. n. 16462/2022; Cass. n. 20765/2018)». Ed infine, secondo Cass. n. 13488/2024 « l’azione attribuita all’ex lettore dal d.l. n. 2/2004, come interpretato autenticamente dalla legge n. 240/2010, ossia da disposizione normativa che il legislatore ha emanato con la specifica finalità di ottemperare alla pronuncia della Corte di Giustizia (chiaro in tal senso è l’incipit dell’art. 1: In esecuzione della sentenza pronunciata dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee in data 26 giugno 2001 nella causa C212/99…), è autonoma e distinta da quella di adeguamento retributivo ex art. 36 Cost. che l’ex lettore poteva far valere nella vigenza dell’ art. 28 del d.P.R. n. 382/1980, e, pertanto, la prescrizione del relativo diritto inizia a decorrere dall’entrata in vigore della nuova normativa (cfr. Cass. nn. 13175, 14203, 15018 del 2018) ed inoltre l’azione non è impedita da un precedente giudicato su ll’adeguatezza della retribuzione corrisposta all’ex lettore, se formatosi antecedentemente all’entrata in vigore della nuova normativa ».
Il ricorso deve, allora, essere integralmente respinto.
Nulla in ordine alle spese del giudizio di legittimità in ragione della inammissibilità per tardività del controricorso.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
a i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione