Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2751 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 2751 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 13787-2018 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE PROFESSIONISTI, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME e NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
Oggetto
Revoca incarico revisore RAGIONE_SOCIALE
R.G.N. 13787/2018
COGNOME.
Rep.
Ud. 11/01/2024
CC
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’RAGIONE_SOCIALE presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4880/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/11/2017 R.G.N. 959/2015; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/01/2024 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE:
1. con sentenza del 2 novembre 2017 la Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza del locale Tribunale che aveva rigettato nel merito l’originario ricorso, dichiarava il difetto di giurisdizione sulla domanda proposta da NOME COGNOME, volta all’accertamento dell’illegittimità della revoca (i.e., in data 9.11.2006) dell’incarico di durata quinquennale di componente del collegio dei revisori contabili della RAGIONE_SOCIALE, conferitogli in data 22.6.2006, con conseguente ripristino dello stesso incarico e ristoro del danno anche da mancato guadagno;
la Corte capitolina, richiamando la pronuncia resa inter partes dal Consiglio di Stato (sent. 14.2.2017, n. 639) che, in riforma di quella del TAR, aveva affermato la giurisdizione di legittimità del G.A. sull’impugnazione degli atti ministeriali con i quali era stato nominato altro revisore, rilevava che il revisore dei conti, designato in rappresentanza del ministero ai sensi dell’art. 17 dello Statuto RAGIONE_SOCIALE, esercita un incarico di natura strettamente fiduciaria e compiti di vigilanza sulla corretta gestione
della stessa RAGIONE_SOCIALE, sicché l’atto autoritativo di designazione o revoca era espressione di un potere pubblicistico a fronte del quale la posizione soggettiva del privato si qualificava in termini di interesse legittimo;
non rilevava, dunque, la natura pubblica o privata di RAGIONE_SOCIALE né la riconducibilità dei provvedimenti ministeriali in contestazione nella categoria degli atti di esercizio di funzione di indirizzo politicoamministrativo (art. 4 comma 1 lett. e) d.lgs. n. 165/2001 o nella fattispecie dello spoil system di cui all’art. 6 legge n. 145/2002 né ancora la natura di rapporto di servizio, onorario o non, sotteso all’incarico di revisore, contando invece solo la posizione soggettiva per la quale era domandata tutela;
avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME sulla base di tre motivi, cui si sono opposti RAGIONE_SOCIALE con controricorso, assistito da memoria, e il RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 6 della legge n. 145 del 2002 e dell’art. 63 d.lgs. n. 165/2001, in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale ritenuto erroneamente che la delibera di revoca avesse natura pubblicistica e autoritativa, e non di recesso contrattuale da un rapporto privatistico; recesso, senza ‘giusta causa’ ex art. 2400 comma 2 cod. civ., la cui nullità/illegittimità era tutelabile dinanzi al G.O. trattandosi di posizione di diritto soggettivo e non di interesse legittimo;
con il secondo mezzo si denuncia (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) violazione e falsa applicazione dell’art. 6 legge n. 145/2002, per avere la Corte distrettuale confermato quanto affermato dal Tribunale, non avvedendosi che lo strumento dello spoil system qui incongruamente richiamato, visto che la nomina a revisore gli era stata comunicata il
22.6.2006 e, quindi, qualche mese prima di essa, il 28.4.2006, si era già tenuta la riunione delle camere del Governo entrante – è previsto solo per gli organi di vertice di carattere amministrativo e di indirizzo politico, mentre la disposizione richiamata non può trovare applicazione rispetto a organi che svolgono una funzione indipendente da quella politica, come nel caso del revisore contabile che esercita, ex art. 2 comma 3 d.lgs. n. 509/1994, un ruolo di controllo indipendente e super partes ;
con il terzo mezzo lamenta la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale omesso di giudicare sulla richiesta di risarcimento del danno patito in conseguenza dell’inadempimento, da parte di RAGIONE_SOCIALE, delle obbligazioni assunte con il conferimento dell’incarico di revisore, danno sia di immagine che patrimoniale, quest’ultimo commisurato alle somme che il ricorrente avrebbe percepito dal dì della revoca dell’incarico fino al dì del la naturale scadenza pattuita;
il primo motivo è fondato, sebbene in base a ragione di diritto diversa da quella prospettata dal ricorrente; è noto, infatti, che la Corte di cassazione, in ragione della funzione del giudizio di legittimità di garantire l’osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, può ritenere fondata o infondata la questione sollevata dal ricorso anche sulla base di argomenti diversi da quelli prospettati dalle parti, perché l’esercizio del potere di qualificazione giuridica dei fatti accertati nel giudizio di merito, come esposti nel ricorso e nella sentenza gravata, incontra come unico limite quello imposto dall’art. 112 cod. proc. civ. (cfr. fra le tante Cass. n. 25223/2020; Cass. n. 27542/2019; Cass. n. 18775/2017; Cass. 11868/2016 e la giurisprudenza ivi richiamata). Nella fattispecie, alla soluzione della controversia si perviene attraverso
l ‘applicazione delle regole processuali mediante un iter argomentativo difforme rispetto a quello preso in esame dalle parti;
il primo motivo, infatti, è fondato per l ‘ assorbente ragione, che ben può essere rilevata d’ufficio dalla Corte di cassazione investita del ricorso sulla giurisdizione, dell’intervenuta formazione del giudicato interno sulla giurisdizione del giudice ordinario, la quale non poteva essere più posta in dubbio nella fase di gravame mancando, sullo specifico punto, l’ appello incidentale (condizionato) della parte convenuta volto a denunciare l ‘ erroneità della sentenza del Tribunale che, anziché declinare la giurisdizione, aveva pronunciato sul merito dell ‘originaria domanda, integralmente rigettandola.
Come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24150 del 25/10/2013), la mera prospettazione della questione di giurisdizione, contenuta nel ricorso avverso la decisione che, in grado di appello, abbia inammissibilmente rilevato di ufficio il difetto della giurisdizione implicitamente affermata dalla sentenza di primo grado, consente alle Sezioni Unite della Corte di cassazione di determinare il giudice munito di potestas iudicandi anche accertando il solo consolidamento in capo a quel giudice di un tale potere per effetto della formazione a suo beneficio di un giudicato implicito sulla relativa attribuzione, e quindi senza che venga statuita la cogenza di quest’ultima alla stregua del quadro normativo, trovando, così, la conseguente pronuncia rescindente di quella indebita declinatoria fondamento nella violazione non già delle regole del riparto dei poteri giurisdizionali, ma di quelle processuali dirette a disciplinare l’adozione delle statuizioni sulla spettanza dei poteri stessi.
Ancor più di recente, Cass., Sez. 5, Sentenza n. 25493 del 10/10/2019, richiamando il precedente indirizzo (cui ha dato continuità da ultimo Cass. Sez. Un. n. 22091 del 24/07/2023), ha sottolineato come costituirebbe ostacolo, in sede di legittimità, all’accertamento del
giudicato interno sulla giurisdizione e del consolidamento di essa in capo al giudice ordinario, soltanto la pronuncia di secondo grado che decida sull’esistenza o meno di quel giudicato interno, rimovibile solo per effetto di espressa impugnazione (Cass., Ord. n. 5133 del 21/02/2019), profilo (questo) che, con ogni evidenza, non viene tuttavia in considerazione nella fattispecie, nella quale è fuori di dubbio che gli attuali controricorrenti, totalmente vittoriosi nel merito in primo grado, avrebbero dovuto necessariamente proporre appello incidentale ove avessero inteso riproporre l’eccezione di difetto di giurisdizione disattesa dal Tribunale (Cass. S.U. n. 20854 del 30/06/2022 che richiama a riguardo l’orientamento formatosi a partire da Cass. S.U. 25246/2008).
8. È stato chiarito, infatti, che la parte vittoriosa in primo grado nel merito la quale sia risultata però soccombente sull’eccezione di giurisdizione, che sia stata oggetto di espressa decisione, per evitare la formazione del giudicato su tale questione non può limitarsi a riproporla, ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ., in sede di costituzione in appello, non applicandosi il principio di rilevabilità d’ufficio ed essendo l’art. 346 cod. proc. civ. riferibile a domande o eccezioni autonome sulle quali non vi sia stata decisione o non autonome e interne al capo di domande deciso (cfr. Cass. S.U. 16/10/2008 n. 25246). Sotto altro profilo, poi, è stato osservato che l’omessa pronuncia su una eccezione di rito proposta dal convenuto costituisca una violazione dell’art. 276 cod. proc. civ. che stabilisce l’ordine secondo il quale devono essere esaminate le questioni (“decide gradatamente le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d’ufficio e quindi il merito della causa”) ed il disinteresse, a differenza di quello su un’eccezione di merito, non si presta solo ad una valutazione astratta di infondatezza dell’eccezione potendo il giudice solo avere scelto la soluzione più
liquida. Poiché l’eccezione di rito deve essere esaminata prima del merito, condizionandone l’esame, il silenzio del giudice si risolve ancorché la sua opinione sull’eccezione di rito non sia stata manifestata e possa in ipotesi essere espressione di scelta della soluzione più liquida – in un error in procedendo, cioè nell’inosservanza della regola per cui il merito si sarebbe potuto esaminare solo per il caso di infondatezza dell’eccezione di rito e la violazione di tale regola, in quanto ha inciso sulla decisione, esige una reazione con l’appello incidentale e non la riproposizione dell’eccezione di rito. In sostanza è necessario che essa venga espressa con un’attività di critica del modus procedendi del giudice di primo grado, che necessariamente avrebbe dovuto esaminare l’eccezione di rito. Pertanto, il vizio da denunciare è di nuovo il vizio di difetto di giurisdizione ex art. 360 n. 1 cod. proc. civ. (in questo senso ancora Cass. sez. U. 11799 del 2017 cit. ed ivi ampi richiami di giurisprudenza).
Conclusivamente, il primo motivo di ricorso (per tutte le ragioni suesposte) va accolto, con assorbimento dei rimanenti, non avendo la Corte distrettuale fatto corretta applicazione alla fattispecie del richiamato principio secondo cui al giudice è consentito rilevare, anche d’ufficio, il difetto di giurisdizione solo fino a quando sul punto non si sia formato sul punto il giudicato esplicito o anche solo implicito (cfr. Cass. S.U. 29/11/2017 n. 28503, Cass. 28/01/2011 n. 2067).
L’impugnata sentenza va conseguentemente cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Roma cui si demanda anche di provvedere alla regolamentazione delle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, dichiara la giurisdizione dell’RAGIONE_SOCIALE, cassa la sentenza impugnata e
rinvia anche per il regolamento delle spese di legittimità alla Corte d’appello di Roma.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 11/01/2024.