Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27284 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2   Num. 27284  Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/10/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 13509/2024 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE  e  RAGIONE_SOCIALE,  già  RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliate in INDIRIZZO INDIRIZZO,  presso  lo  studio  dell’avvocato NOME  COGNOME, rappresentate e difese dall’avvocato NOME COGNOME,
-ricorrenti- contro
COGNOME  NOME,  rappresentato  e  difeso  da ll’avvocato NOME COGNOME,
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE d’APPELLO di NAPOLI n.1840/2023 depositata il 27.4.2023. Udita  la  relazione  della  causa  svolta  nella  pubblica  udienza  del
2.10.2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto notificato il 14.12.2007, per quanto ancora rileva, le società RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, e RAGIONE_SOCIALE convenivano innanzi al Tribunale di Torre Annunziata, sezione distaccata di Sorrento, i coniugi COGNOME NOME e COGNOME NOME ed il di loro figlio COGNOME NOME, per sentir dichiarare opponibile nei confronti di quest’ultimo, ex art. 111 comma 4° c.p.c., la sentenza n. 852/2006 del Tribunale di Torre Annunziata, sezione stralcio, (pronunciata a conclusione del giudizio promosso nel 1987 dalla RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, nei confronti dei suoi danti causa, COGNOME NOME e COGNOME NOME). In subordine domandarono la simulazione assoluta della vendita compiuta da COGNOME NOME e COGNOME NOME a favore del figlio NOME con l’atto del AVV_NOTAIO del 18.12.1997. In ulteriore subordine chiesero la condanna di COGNOME NOME alla restituzione di un vano seminterrato in suo possesso sito nel fabbricato di Massa Lubrense, frazione di Nerano, Marina del Cantone, INDIRIZZO, ubicato a livello spiaggia e posto sul lato sinistro venendo da quella piazza, occupato senza titolo da COGNOME NOME e prima dai suoi genitori, ed asseritamente donato a COGNOME NOME dal padre COGNOME NOME nel 1973, ed all’eliminazione delle opere abusive ivi realizzate (la parziale chiusura di una finestra lucifera esistente tra il vano ristorante della RAGIONE_SOCIALE e la limitrofa enoteca; l’apertura di tre finestroni di areazione sul muro comune del corridoio senza l’autorizzazione dei comproprietari; la chiusura
dell’accesso tramite una botola alla rete fognaria dell’attrice per le ispezioni;  la  realizzazione  di  un  pergolato  in  legno  antistante  il piano seminterrato in violazione della distanza legale dell’art. 907 cod. civ.).
Le attrici esponevano che con la sentenza n. 852/2006 il Tribunale di Torre Annunziata, sezione stralcio, aveva accolto le domande di restituzione del vano del piano interrato e di rimozione degli abusi suindicati, e deducevano altresì che, benché entrambe le parti di quel giudizio nel corso di esso avessero alienato il diritto controverso -rispettivamente, la RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE ed i coniugi COGNOMENOME al figlio NOME -, il giudizio era proseguito tra le parti originarie.
COGNOME  NOME  si  costituiva  in  giudizio  chiedendo  il  rigetto  delle domande avversarie, ed in via riconvenzionale domandò l’accertamento dell’avvenuto acquisto per usucapione della proprietà del vano del piano interrato e dei diritti di servitù.
I coniugi COGNOME rimanevano contumaci.
Nelle conclusioni la parte attrice rinunciava alla domanda principale ed a quella subordinata, in quanto nelle more la sentenza n.3841/2012 della Corte d’Appello di Napoli aveva parzialmente riformato la sentenza n. 852/2006 del Tribunale di Torre Annunziata, sezione stralcio, respingendo la domanda di restituzione del vano al piano interrato riconoscendone la proprietà in capo a COGNOME NOME, dante causa di COGNOME NOME, ed insisteva solo nelle domande proposte in via ulteriormente subordinata.
Con  la  sentenza  n.  533/2016  il  Tribunale  di  Torre  Annunziata dichiarava  la  litispendenza  con  il  giudizio  deciso  con  la  sentenza n.852/2006 del medesimo Tribunale, condannava COGNOME NOME al ripristino  a  propria  cura  e  spese  della  finestra  lucifera  posta  sul muro comune tra il vano ristorante della RAGIONE_SOCIALE ed il vano enoteca ed alla realizzazione a propria cura e spese dei
chiusini di accesso alla rete fognaria, respingeva invece la domanda di  chiusura  dei  tre  finestroni  di  areazione  sul  muro  comune  del corridoio  e  di  rimozione  del  pergolato  per  violazione  dell’art.  907 cod. civ..
Contro la sentenza n. 533/2016 del Tribunale di Torre Annunziata proponevano appello le società RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE,  e  RAGIONE_SOCIALE,  reiterando  le  domande rigettate in prime cure, e COGNOME NOME resisteva al gravame.
In  sede  di  precisazione  delle  conclusioni,  l’appellato  proponeva eccezione di giudicato esterno, poiché nelle more del giudizio era intervenuta la sentenza n. 19265/2018 della Corte di Cassazione, che  aveva  definitivamente  confermato  la  sentenza  n.  3841/2012 della Corte d’Appello di Napoli, ponendo fine al giudizio iniziato nel 1987.
Con la sentenza n. 1840/2023 del 7/27.4.2023 la Corte d’Appello di Napoli respingeva l’appello, ritenendo intervenuto ed opponibile agli aventi causa il giudicato esterno sulle domande fatte oggetto di gravame dalle appellanti, che condannava in solido al pagamento delle spese di secondo grado. Invero, secondo la Corte partenopea, il giudicato determinato dalla sentenza n. 19265/2018 della Corte di Cassazione doveva ritenersi vincolante anche nei confronti della RAGIONE_SOCIALE -quale cessionaria del ramo di azienda comprensivo del fabbricato ove le appellanti hanno sostenuto fosse ubicato il vano in contestazione -e di COGNOME NOME -quale donatario dell’unità immobiliare della madre COGNOME NOME, della quale quest’ultima aveva dedotto facesse parte il predetto vano.
Avverso tale sentenza le società RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE,  e  RAGIONE_SOCIALE  hanno  proposto  ricorso  a
questa Corte, affidandosi a tre censure, e COGNOME NOME ha resistito con controricorso.
La Procura Generale ha concluso per il rigetto del primo motivo di ricorso, l’accoglimento del secondo e l’assorbimento del terzo.
In  prossimità  della  pubblica  udienza  entrambe  le  parti  hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo le ricorrenti lamentano la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. in relazione all’art. 360, comma 1°, nn. 3) e 5) c.p.c. Osservano che il Giudice di secondo grado avrebbe erroneamente ritenuto estensibile alla RAGIONE_SOCIALE, quale avente causa della RAGIONE_SOCIALE, il giudicato formatosi in relazione al rigetto della domanda di restituzione del vano al piano seminterrato, laddove la sentenza n. 3841/2012 della medesima Corte territoriale, confermata dalla sentenza n.19265/2018 della Corte di Cassazione, aveva espressamente qualificato tale domanda, spiegata nel 1987 dalla dante causa della RAGIONE_SOCIALE contro COGNOME NOME e COGNOME NOME, danti causa di COGNOME NOME, come azione personale di restituzione del bene in controversia, con conseguente inapplicabilità del giudicato nei confronti degli aventi causa COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 111, comma 4° c.p.c.. Sono stati poi richiamati, a corredo della tesi sostenuta, precedenti di questa Corte (Cass. n. 1233/2012 e Cass. n.7381/2001) relativi all’inefficacia riflessa del giudicato su azioni personali nei confronti di soggetti terzi.
Attraverso  la  seconda  doglianza  si  denuncia  la  violazione  e/o falsa  applicazione  dell’art.  2909  cod.  civ.  in  relazione  all’art.  360, comma  1°,  nn.  3)  e  5)  c.p.c.,  nonché  la  violazione  e/o  falsa applicazione dell’art. 111 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1°, nn. 3), 4) e 5) c.p.c.. Pur correttamente rilevando la natura reale delle  domande  di  rimozione  degli  abusi  formulate  nel  giudizio
intrapreso nel 1987 dalla dante causa della RAGIONE_SOCIALE contro NOME COGNOMENOMECOGNOME, danti causa di COGNOME NOME, che erano state riproposte perché respinte nella sentenza di primo grado del giudizio iniziato nel 2007 (domanda di chiusura dei tre finestroni di areazione sul muro comune del corridoio e di rimozione del pergolato per violazione dell’art. 907 cod. civ.), in quanto rientranti nella categoria dell’ actio negatoria servitutis , la Corte partenopea, nell’impugnata sentenza, avrebbe erroneamente ritenuto opponibile alla RAGIONE_SOCIALE il giudicato formatosi sulle stesse, omettendo di considerare che COGNOME NOME, che aveva invocato il giudicato, non aveva provato l’avvenuta trascrizione delle predette domande giudiziali, indispensabile per poter estendere gli effetti del giudicato nei suoi confronti.
3) Col terzo motivo, subordinato al mancato accoglimento del secondo, le ricorrenti si dolgono della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. in relazione all’art. 360, comma 1°, nn. 3) e 5) c.p.c.. Il Giudice di secondo grado avrebbe omesso di rilevare che con il giudicato costituito dalla sentenza n.12965/2018 della Corte di Cassazione era stato definitivamente cristallizzato l’accoglimento della domanda di rimozione del pergolato antistante il piano seminterrato, atteso che la sentenza n. 3841/2012 della Corte d’Appello di Napoli, confermata in sede di legittimità, aveva rigettato le domande di restituzione del vano e di rimozione di alcuni abusi, senza tuttavia riformare la decisione di prime cure in punto di accoglimento della domanda di eliminazione del predetto pergolato, per cui sarebbe stato necessario accogliere il terzo motivo di appello, in quanto nella sentenza di primo grado impugnata, conclusiva del giudizio del 2007, tale domanda era stata invece respinta, perché non sarebbero stati individuati compiutamente i manufatti illegittimi ed il pergolato smontabile non era stato considerato costruzione.
Preliminarmente, pur dovendosi condividere le critiche del controricorrente alla prolissità del ricorso, solo in parte giustificata dalla necessità di riprodurre testualmente il giudicato esterno formatosi, va respinta l’eccezione di inammissibilità dei motivi di ricorso per eterogeneità delle censure, perché al di là dell’infondato richiamo alla violazione dell’art. 2909 cod. civ. e della confusione tra efficacia diretta ed efficacia riflessa del giudicato e tra avente causa e terzo, risulta pienamente comprensibile il contenuto delle censure mosse alla sentenza impugnata.
Anzitutto, nel caso di specie, é pacifico che sia la cessione di ramo di azienda, asseritamente comprendente la porzione del piano seminterrato sito nel fabbricato di Massa Lubrense, frazione di Nerano, Marina del Cantone, nella quale si trovava il vano del quale é stata chiesta la restituzione, ed in relazione alla quale é stato invocato il rispetto delle distanze legali, (cessione operata dalla RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, a favore RAGIONE_SOCIALE), sia il trasferimento dei diritti sul piano seminterrato del medesimo fabbricato compiuta da COGNOME NOME e COGNOME NOME in favore del figlio NOME, sono avvenute nel corso del giudizio promosso nel 1987 dai danti causa delle parti attuali, ossia dalla RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Da  ciò  consegue  che  la  disposizione  che  regola  gli  effetti  del giudicato  va  individuata  non  nell’art.  2909  cod.  civ.,  secondo  il quale l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa sempre stato ad ogni effetto nei confronti delle parti, gli eredi e gli aventi  causa  che  abbiano  acquistato  i  loro  diritti dopo  il passaggio  in  giudicato  della  sentenza,  senza  alcuna  eccezione legata  all’applicazione  delle  norme  sulla  buona  fede  per  i  beni
mobili  e  sulla  trascrizione  per  i  beni  immobili,  ma  nell’art.  111 c.p.c. (vedi in tal senso Cass. 14.2.2013 n. 3643).
Tale ultima disposizione prevede, al quarto comma, che la sentenza pronunciata nei confronti dell’alienante, o del suo successore a titolo universale, spiega sempre i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare, salve le norme sull’acquisto in buona fede dei mobili (che nella specie non vengono in rilievo perché le domande riproposte nel giudizio di secondo grado, sfociate nella sentenza impugnata che le ha ritenute coperte dal giudicato esterno, si riferiscono alla proprietà immobiliare ed alla negazione di servitù su proprietà immobiliare) e sulla trascrizione.
In difformità dal disposto generale dell’art. 111 c.p.c., comma 4, prima ipotesi, per il quale la successione a titolo particolare nel diritto controverso determina l’efficacia nei confronti dell’avente causa della sentenza emessa in favore o contro il suo dante causa, ed in attuazione della deroga espressamente prevista dallo stesso art. 111 c.p.c., comma 4, seconda ipotesi, la sentenza sulla domanda trascritta è efficace nei confronti del successore a titolo particolare subentrato nel diritto sull’immobile nel corso del giudizio poi sfociato nel giudicato, solo ove questi abbia trascritto il proprio acquisto successivamente alla trascrizione della domanda e viceversa.
Ne deriva che ove si tratti di domande soggette a trascrizione nei registri immobiliari ai sensi degli articoli 2652 e 2653 cod. civ., tra le quali va ricompresa anche l’actio negatoria servitutis (vedi in tal senso Cass. sez. un. 12.6.2006 n. 13523), l’opponibilità della sentenza pronunciata tra i danti causa e passata in giudicato che accolga la domanda anche nei confronti dell’avente causa dal convenuto, il quale abbia trascritto il proprio titolo d’acquisto, si verifica solo ove la trascrizione della domanda medesima sia avvenuta e la trascrizione di essa sia avvenuta antecedentemente
alla trascrizione del contrapposto titolo del terzo acquirente (vedi in tal senso in motivazione Cass. sez. un. 12.6.2006 n.13523).
La ratio dell’art. 111 c.p.c. va ravvisata, infatti, nell’interesse del terzo avente causa a titolo particolare che abbia acquistato il suo diritto nel corso del giudizio del dante causa poi sfociato nel giudicato, ad esser posto in grado, prima dell’acquisto del diritto di proprietà o d’un diritto reale di godimento su di un immobile, d’aver cognizione della contestazione sub iudice del diritto del proprio dante causa, ciò non meno che nell’interesse dell’attore, che quel diritto abbia contestato in sede giudiziaria, ad esser posto in grado d’opporre anche al terzo avente causa, resosi acquirente nelle more del giudizio, l’esito a lui favorevole della controversia promossa nei confronti del dante causa, e lo strumento individuato allo scopo é appunto quello della trascrizione della domanda giudiziale nei registri immobiliari per quelle domande, tassativamente elencate agli articoli 2652 e 2653 cod. civ., per le quali é prescritta tale formalità (vedi in tal senso in motivazione Cass. sez. un. 12.6.2006 n. 13523).
Sulla base di questo quadro giuridico, passiamo ora all’esame dei motivi di ricorso proposti.
Il primo é infondato.
La  Corte  d’Appello  di  Napoli ha  osservato  che  la  sua  precedente sentenza n. 3841/2012 aveva qualificato l’azione volta ad ottenere solo  la  consegna  del  vano  da  parte  dei  possessori  senza  titolo, COGNOME  NOME  e  COGNOME  NOME,  come  azione  personale  e  non come azione di rivendica, peraltro in conformità alla tesi degli allora appellanti, danti causa della RAGIONE_SOCIALE
Ha altresì  evidenziato  che  la  precedente  sentenza  aveva  respinto quella domanda compiendo l’interpretazione della donazione compiuta  da  NOME  nel  1973  in  favore  sia  del  figlio NOME, che della figlia NOME, anche alla luce del pregresso progetto di divisione condiviso coi figli, delle
testimonianze  sullo  stato  del  piano  seminterrato  all’epoca  e  dei rilievi dei CTU, ed addivenendo così all’accertamento della proprietà immobiliare  dei  danti  causa  delle  parti  del  successivo  giudizio iniziato  nel  2007  in  base  ai  rispettivi  titoli,  ed  al  conseguente rigetto della domanda di restituzione del vano in questione.
La sentenza impugnata ha poi affermato, al punto 7 della motivazione, che essendo passata in giudicato anche la qualificazione dell’azione di restituzione come azione personale, peraltro così qualificata dagli stessi attori nella citazione del 1987, e non rientrando tale tipo di azione fra quelle trascrivibili ai sensi degli articoli 2652 e 2653 cod. civ., il giudicato formatosi su quella domanda era destinato a fare stato anche nei confronti del successore a titolo particolare ( rectius dei successori a titolo particolare delle parti del giudizio del 1987, la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE) a prescindere dall’esistenza e dal momento della trascrizione del titolo di acquisto dell’avente causa.
La conclusione è giuridicamente corretta.
Premesso infatti che il giudicato si forma anche sulla qualificazione giuridica data all’azione dal giudice, quando tale qualificazione abbia condizionato l’impostazione e la definizione dell’indagine di merito e la parte interessata abbia omesso di impugnarla in appello (Cass. 12.6.2023 n. 16603; Cass. 7.8.1996 n. 7260; Cass. 17.12.1993 n. 12499), come avvenuto nel caso in esame, la sentenza impugnata si é uniformata all’orientamento ripetutamente espresso da questa Corte, secondo il quale, per le azioni personali, per le quali non é prevista la trascrizione della domanda giudiziale nei registri immobiliari dagli articoli 2652 e 2653 cod. civ., la clausola di salvezza degli effetti della trascrizione contemplata dall’art. 111 comma 4° seconda ipotesi c.p.c. non può trovare applicazione, ed il rapporto sostanziale di cui sia parte l’avente causa è regolato dalla prima parte dell’art. 111 comma 4° c.p.c., alla cui stregua la decisione, emanata nei confronti della parte
originaria  –  quale  vero  e  proprio  sostituto  processuale  dell’avente causa – fa stato ed è eseguibile nei riguardi del successore a titolo particolare, restando del tutto irrilevante il momento in cui avvenne la  trascrizione  del  titolo  d’acquisto  ad  opera  di  quest’ultimo  (vedi Cass. 18.4.2018 n. 9543; Cass. 13.4.2015 n. 7365).
Per superare questo consolidato orientamento la parte ricorrente ha richiamato due sentenze di questa Corte (Cass. n. 1233/2012 e Cass. n. 7381/2001), che hanno affermato il difetto di efficacia riflessa delle sentenze passate in giudicato relative ad azioni personali (l’azione ex art. 2932 cod. civ. nel primo caso, e l’azione di risarcimento danni connessa ad un diritto di proprietà nel secondo caso) nei confronti dei soggetti terzi che abbiano acquistato in corso di giudizio la proprietà dell’immobile promesso in vendita, o dell’immobile al quale si riferisca la pretesa risarcitoria già fatta valere dal venditore.
Il richiamo è inconferente, perché quei precedenti sono relativi a soggetti terzi ed all’efficacia riflessa del giudicato, e non agli aventi causa ed all’efficacia diretta nei loro confronti del giudicato ex art. 111 comma 4° c.p.c., che vengono in rilievo nel caso in esame. In questo, infatti, il trasferimento a titolo particolare sia in favore della RAGIONE_SOCIALE da parte della RAGIONE_SOCIALE, sia in favore di COGNOME NOME da parte di COGNOME NOME e NOME, riguardava l’asserita proprietà del vano oggetto di accertamento, per cui le parti attuali erano aventi causa delle parti del giudizio sfociato nel giudicato, che avevano acquistato proprio i diritti oggetto di controversia in pendenza di quel giudizio, qualificandosi quindi come aventi causa soggetti all’efficacia diretta del giudicato formatosi tra i loro danti causa, salvo il limite dell’art. 111 comma 4° c.p.c.. Nei casi esaminati dalle sentenze n. 1233/2012 e n. 7381/2001 di questa Corte, invece, come si è detto, non vi era stata una successione a titolo particolare nei diritti controversi, essendovi stato solo
l’acquisto della proprietà del bene immobile promesso in vendita da parte di un soggetto diverso dal promittente venditore obbligatosi solo personalmente al trasferimento, e l’acquisto da parte di un terzo della proprietà del bene immobile al quale si riferiva la pretesa risarcitoria avanzata dal venditore, per cui i soggetti che nelle more del giudizio avevano acquistato la proprietà degli immobili erano da qualificarsi come terzi, e non come aventi causa delle parti originarie, in quanto tali non soggetti all’efficacia diretta del giudicato formatosi nei giudizi che avevano riguardato i venditori, ma eventualmente solo all’efficacia riflessa del giudicato.
Fondato è invece, il secondo motivo del ricorso.
Esso attiene all’erronea applicazione del medesimo giudicato esterno  anche  alle  domande  di  chiusura  dei  tre  finestroni  di areazione  sul  muro  comune  del  corridoio  e  di  rimozione  del pergolato per violazione dell’art. 907 cod. civ., che essendo state respinte  in  primo  grado,  erano  state  riproposte  in  secondo  grado dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE contro COGNOME NOME.
La sentenza impugnata, al punto 6 della motivazione, dopo avere correttamente qualificato le suindicate domande come azioni di carattere reale perché volte a fare rispettare distanze legali dalla proprietà (vedi in tal senso Cass. 7.2.2017 n. 3236; Cass. sez. un. 12.6.2006 n. 13523) e quindi soggette a trascrizione nei registri immobiliari, si é limitata ad osservare che la parte appellante non aveva specificamente contestato l’applicabilità del giudicato esterno, se non relativamente all’azione personale di restituzione del vano, e che non erano state provate la trascrizione del titolo di acquisto delle appellanti, né la trascrizione delle domande giudiziali.
Questa argomentazione non può essere condivisa.
Va anzitutto osservato, che l’assenza di una specifica contestazione delle  appellanti  circa  l’operatività  del  giudicato  esterno  per  le
domande giudiziali di chiusura dei tre finestroni di areazione sul muro comune del corridoio e di rimozione del pergolato per violazione dell’art. 907 cod. civ., non esonerava certo la Corte d’Appello dall’obbligo di determinare i confini di operatività del giudicato formatosi, posto che il giudicato é connesso al divieto del bis in idem e quindi ad un’esigenza di ordine pubblico, che travalica l’interesse delle parti in causa e non è quindi nella loro disponibilità. Orbene, il secondo motivo di ricorso fa opportunamente riferimento al vizio dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., in quanto l’impugnata sentenza, pur indicando che non era stata provata la trascrizione del titolo di acquisto delle appellanti, né delle domande giudiziali nei registri immobiliari, ha omesso di considerare un fatto storico decisivo ai fini del riconoscimento dell’efficacia diretta del giudicato sulle domande di chiusura dei tre finestroni di areazione sul muro comune del corridoio e di rimozione del pergolato per violazione dell’art. 907 cod. civ. nei confronti di COGNOME NOME, che a conclusione del giudizio di secondo grado aveva invocato in suo favore il giudicato esterno già formatosi a conclusione della controversia che aveva visto contrapposti i suoi danti causa, COGNOME NOME e COGNOME NOME, alla dante causa della RAGIONE_SOCIALE, ossia la RAGIONE_SOCIALE: fatto storico rappresentato dalla mancata trascrizione delle suddette domande giudiziali.
Non é applicabile il principio dell’inammissibilità del ricorso ex art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. per ‘doppia conforme’ sancito dall’art. 348 ter ultimo comma c.p.c., in quanto la sentenza di primo grado, n. 533/2016 del Tribunale di Torre Annunziata ha dichiarato la litispendenza con il giudizio deciso con la sentenza n.852/2006 del medesimo Tribunale, condannato COGNOME NOME al ripristino a propria cura e spese della finestra lucifera posta sul muro comune tra il vano ristorante della RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE ed il vano enoteca ed alla realizzazione a propria cura e spese dei
chiusini di accesso alla rete fognaria, ed ha respinto invece la domanda di chiusura dei tre finestroni di areazione sul muro comune del corridoio e di rimozione del pergolato per violazione dell’art. 907 cod. civ., mentre la sentenza di secondo grado, la n.1840/2023 del 7/27.4.2023 della Corte d’Appello di Napoli, ha disatteso in toto l’appello della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, ma non perché abbia ricostruito il fatto allo stesso modo del giudice di primo grado, ma perché ha dichiarato che sulle domande riproposte dalle appellanti era maturato nelle more il giudicato esterno.
Richiamato quindi quanto già esposto circa l’applicabilità dell’art. 111 comma 4° c.p.c. e non dell’art. 2909 cod. civ. agli aventi causa subentrati nei diritti controversi nel corso del giudizio sfociato poi nel giudicato, e circa le diverse regole che governano l’estensione del giudicato a tali aventi causa a seconda che si tratti di azioni reali soggette a trascrizione ex artt. 2652 o 2653 cod. civ., o invece di azioni personali, l’impugnata sentenza – relativamente alle domande delle appellanti avanzate contro COGNOME NOME di chiusura dei tre finestroni di areazione sul muro comune del corridoio e di rimozione del pergolato per violazione dell’art. 907 cod. civ., esattamente qualificate come azioni reali soggette a trascrizione – avrebbe dovuto considerare ai fini della decisione sull’efficacia diretta, o sull’inefficacia della sentenza n. 3841/2012 della Corte d’Appello di Napoli, nei confronti di NOME COGNOME, avente causa di COGNOME NOME e COGNOME NOME, originari convenuti nel giudizio iniziato davanti al Tribunale di Torre Annunziata, sezione distaccata di Sorrento, che tali domande giudiziali, come indicato nel primo periodo della pagina 14 dell’impugnata sentenza, non erano state trascritte nei registri immobiliari, e che da ciò derivava l’inopponibilità del giudicato nei confronti di COGNOME NOME, con conseguente necessità di
pronunciarsi nel merito sull’appello relativo alle domande  in questione.
A tale errore di diritto -che comporta la cassazione della sentenza -si porrà rimedio nel giudizio di rinvio.
L’accoglimento del secondo motivo di ricorso fa ritenere assorbito il terzo  motivo,  proposto  solo  per  l’ipotesi  in  cui  non  fosse  stato accolto il motivo precedente.
Il giudice di rinvio -che si individua nella stessa Corte d’Appello, in diversa composizione -provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità in base all’esito finale della lite.
P.Q.M.
La  Corte  accoglie  il  secondo  motivo  di  ricorso,  rigetta  il  primo  e dichiara assorbito il terzo; cassa l’impugnata sentenza in relazione al  motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione,  che  provvederà  anche  per  le  spese  del  giudizio  di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 2.10.2025
Il Giudice estensore                    Il Presidente NOME COGNOME                     NOME COGNOME