Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7687 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7687 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3382/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), pec: EMAIL;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del suo procuratore, NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 2638/2019 depositata il 13/06/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La società RAGIONE_SOCIALE lamentava l’inadempimento del contratto di franchising intercorso con RAGIONE_SOCIALE avente ad oggetto la commercializzazione dei prodotti e dei servizi RAGIONE_SOCIALE presso un punto vendita di Giarre, perché dapprima consentiva l’apertura di un altro negozio RAGIONE_SOCIALE ad appena 400 m di distanza e poi nel luglio 2014 recedeva arbitrariamente dal contratto e faceva trasferire il nuovo affiliato nella stessa INDIRIZZO in Giarre, di fronte al proprio punto vendita, e non provvedeva al ritiro e al rimborso delle giacenze di magazzino a marchio RAGIONE_SOCIALE.
Il Tribunale di Milano, prima, con l’ordinanza del 27 luglio 2018, la Corte d’appello, poi, con la sentenza n. 2638/2019, resa pubblica in data 13 giugno 2019, hanno dichiarato improponibile la domanda della RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, volta ad ottenerne la condanna al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale e al ritiro e al rimborso delle giacenze di magazzino a marchio RAGIONE_SOCIALE, stante il giudicato sostanziale formatosi a seguito della mancata impugnazione ex art. 702 quater cod.proc.civ. dell’ordinanza del 7 aprile 2017 che aveva rigettato, per mancanza di prove, le domande già proposte dalla società NOME RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE.
La società RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando quattro motivi.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
La società ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è dedotta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, 2° comma, n. 4, cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ.
La tesi è che la Corte territoriale abbia erroneamente ritenuto che con l’appello avesse dedotto l’impossibilità che il giudicato sostanziale si formasse, atteso il rigetto della domanda risarcitoria per difetto di prova; la sentenza andrebbe cassata per averle attribuito un’affermazione ‘esattamente contraria al motivo a supporto del promosso appello’ (p. 12).
Con il secondo motivo sono denunciate la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod.proc.civ. e dell’art. 2909 cod.civ., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., per esserle stata attribuita un’eccezione che invece era stata formulata da RAGIONE_SOCIALE.
I primi due motivi, che attengono alla stessa questione e possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.
Oltre a non avere soddisfatto le prescrizioni di cui all’art. 366, 1° comma, n. 6, cod.proc.civ., e quindi avendo basato i due motivi di ricorso su affermazioni meramente assertive (la ricorrente nemmeno indica il reale contenuto del motivo di appello, allo scopo di far emergere il vizio lamentato, ma riporta la propria conclusionale d’appello nella parte in cui imputava a RAGIONE_SOCIALE di avere erroneamente individuato le ragioni che l’avevano spinta a promuovere il gravame e pretende di dimostrare l’illogicità e la incoerenza della sentenza), nemmeno si confronta con la pronuncia impugnata nella parte in cui ha ricostruito il contenuto del motivo di appello – lo ha scrutinato e poi disatteso – individuandolo nella esclusione del giudicato sostanziale per l’assenza di una pronuncia di merito sulle questioni sollevate, senza alcun esame delle condotte oggetto di censura, e dunque dell’esistenza del diritto vantato , e per l’avvenuta proposizione di domande diverse ed
ulteriori con la conseguenza di una non perfetta coincidenza fra petitum e causa petendi dei due procedimenti.
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod.proc.civ. e dell’art. 2909 cod.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.
La Corte d’appello, come già il giudice di prime cure, avrebbero erroneamente ritenuto, confrontando gli elementi costitutivi della domanda promossa con il primo ricorso con quelli della pretesa avanzata nel 2017, che erano state allegate le medesime circostanze di fatto, che erano state formulate le medesime deduzioni circa l’abuso di dipendenza economica, l’abuso del diritto, la violazione della buona fede e l’inadempimento contrattuale e le stesse richieste risarcitorie; secondo la ricorrente, il Tribunale di Milano non si sarebbe pronunziato sull’abuso del diritto né su tutte le condotte imputate a RAGIONE_SOCIALE, non avrebbe accertato se dette condotte avessero arrecato danno, non avrebbe accertato il mancato guadagno; conclude, quindi, che il rigetto della domanda senza alcun esame della pretesa non equivale a rigetto nel merito e che, perciò, nulla ne impediva la riproposizione in un altro giudizio.
Anche questo motivo è condannato all’inammissibilità.
La Corte d’appello, infatti, ha disatteso l’impugnazione proprio perché ha ritenuto che la sentenza che rigetta la domanda per mancanza o insufficienza di prova contiene un accertamento di merito positivo o negativo che, una volta passato in giudicato, preclude la riproposizione della stessa domanda in altro giudizio ed ha altresì escluso che la proposizione di una domanda che, facendo leva sulla medesima causa petendi , sia volta ad ottenere voci risarcitorie ulteriori e diverse, precluda il passaggio in giudicato della prima pronuncia, atteso il carattere normalmente unitario della domanda risarcitoria , comprensiva di tutte le possibili voci di danno, tranne il caso in cui nel primo giudizio vi sia stata una manifestazione esplicita di riserva di rinviare ad altro procedimento
il soddisfacimento delle ulteriori ragioni di credito temporaneamente accantonate.
Le censure della ricorrente neppure lambiscono detta statuizione, la cui ratio decidendi non è stata affatto colta, che dunque resiste alle sue censure. Poiché il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, ne consegue che, in quanto, per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere. Ne consegue che il motivo che non rispetti tale requisito si deve considerare nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ. e nell’art. 375 c.p.c. con il riferimento alla ‘mancanza dei motivi’ (Cass. 16/04/2021, n. 10128; Cass. 10/08/2017, n. 19989).
5) Con il quarto motivo è denunciata l’omessa valutazione di un fatto storico risultante dagli atti di causa, ex art. 360, 1° comma, n. 5, cod.proc.civ.: non sarebbe stata esaminata l’ordinanza del 7 aprile 2017 e quindi sarebbe stato erroneamente affermato che con detta ordinanza il Tribunale avesse respinto le domande per mancanza di prove sufficienti a dimostrare l’esistenza delle condotte abusive oggetto di censura e del pregiudizio da esse eventualmente derivato.
Il motivo è inammissibile.
È sufficiente rilevare che l’ordinanza asseritamente non esaminata non costituisce un fatto rilevante ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 5, cod.proc.civ.
Deve richiamarsi, al fine di ribadirne gli enunciati, la pronuncia n. 25/09/2018, n. 22786, seguita da giurisprudenza conforme, che ha precisato cosa si intende per ‘fatto’ ai sensi dell’art. 360 n. 5.
‘Costituisce, allora, un ‘fatto’, agli effetti della citata norma, non una ‘questione’ o un ‘punto’, ma:
un vero e proprio ‘fatto’, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ., cioè un ‘fatto ‘costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr. Cass. n. 16655 del 2011; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017);
ii) un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico -naturalistico (cfr. Cass. n. 21152 del 2014; Cass., SU, n. 5745 del 2015);
iii) un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto (cfr. Cass. n. 5133 del 2014);
iv) una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014).
Il ‘fatto’ controverso il cui esame sia stato omesso deve, inoltre, avere carattere ‘decisivo’, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia.
Non costituiscono, viceversa, ‘fatti’, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.:
le argomentazioni o deduzioni difensive (cfr. Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015);
ii) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014);
iii) una moltitudine di fatti e circostanze, o il ‘vario insieme dei materiali di causa’ (cfr. Cass. n. 21439 del 2015);
iv) le domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, ovvero i motivi di appello, i quali costituiscono i fatti costitutivi della ‘domanda’ in sede di gravame.
Per quanto esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore di quella controricorrente, liquidandole in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione in data 04/03/2024
Così deciso in Roma, il 04/03/2024.
Il Presidente NOME COGNOME