Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 35098 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 35098 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 30/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 4517-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del liquidatore, rappresentata e difesa dall ‘ Avvocata NOME COGNOME per procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE in persona del curatore p.t. , rappresentato e difeso dall ‘ Avvocata NOME COGNOME per procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
nonché
PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI PESARO;
– intimata – avverso la SENTENZA N. 160/2023 DELLA CORTE D ‘ APPELLO DI ANCONA, depositata il 18/1/2023;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere NOME COGNOME nell ‘ adunanza in camera di consiglio del 29/5/2024;
FATTI DI CAUSA
1.1. La Corte d ‘ appello di Ancona, con sentenza del 18/1/2023, ha rigettato il reclamo proposto da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione avverso la sentenza del 16/8/2022 del Tribunale di Pesaro, dichiarativa del suo fallimento su richiesta del pubblico ministero.
1.2. La corte, per quanto ancora rileva, ha respinto il motivo di reclamo con il quale la società fallita aveva invocato la pregiudizialità del processo penale intentato a carico del suo legale rappresentante, nel corso del quale erano emersi i fatti, indicativi dell’insolvenza, posti dal pubblico ministero a fondamento dell ‘ istanza di fallimento, rilevando che: i) la sospensione necessaria del processo civile ai sensi degli articoli 295 c.p.c. 654 del c.p.p. e 211 disp.att. c.p.p., in attesa del giudicato penale, può essere disposta solo se una norma di diritto sostanziale ricolleghi alla commissione del reato un effetto sul diritto che costituisce l’ oggetto del giudizio civile ed a condizione che la sentenza penale possa avere, nel caso concreto, valore di giudicato nel processo civile; ii) perché si verifichi tale condizione di dipendenza tecnica della decisione civile dalla definizione del giudizio penale, non basta, però, che nei due processi rilevino gli stessi fatti ma occorre che l ‘ effetto giuridico dedotto in ambito civile sia collegato normativamente alla commissione del reato che è oggetto dell ‘ imputazione penale, nel senso che la norma sostanziale da applicare in sede civile abbia come proprio specifico presupposto un fatto di reato e quindi realizzi quella pregiudizialità rafforzata al quale soltanto è idonea a superare il principio di autonomia del processo civile rispetto al processo penale.
1.3. La RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, con ricorso notificato il 16/2/2023, ha chiesto, per un motivo, la cassazione della sentenza.
1.4. Il Fallimento ha resistito con controricorso e depositato memoria.
1.5. La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pesaro è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Con l ‘ unico motivo articolato, la ricorrente, denunciando la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 295 c.p.c., 654 c.p.p. e 211 disp. att. c.p.p., in relazione all ‘ art. 360 n. 3 c.p.c., e l ‘ omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all ‘ art. 360 n. 5 c.p.c., lamenta che la corte d ‘ appello non abbia considerato che la sostanziale identità tra i fatti contestati dal pubblico ministero nell ‘ istanza di fallimento presentata il 18/3/2022 e quelli contestati al suo legale rappresentante, NOME COGNOME nel giudizio penale comportava la pregiudizialità di quest’ultimo rispetto alla definizione del primo.
2.2. Deduce, nello specifico, che l ‘ istanza di fallimento avanzata dal pubblico ministero risultava fondata solo ed esclusivamente sulla sussistenza dei debiti tributari che l ‘ Agenzia delle entrate ha attribuito alla RAGIONE_SOCIALE in ragione della ‘ dissimulazione di contratto di cessione di azienda ‘ che la stessa avrebbe stipulato, in qualità di cessionaria, con la cedente RAGIONE_SOCIALE, laddove la sentenza penale di assoluzione ha escluso la fondatezza della ‘ ricostruzione debitoria ‘ così operata, avendo, in particolare, affermato che ‘ nel caso di specie non si evidenziano particolari stratagemmi adottati dalle parti (la società venditrice e l ‘ acquirente) al fine di simulare una situazione diversa da quella reale, ovvero di depauperare il patrimonio a discapito dei creditori, posto che …
le operazioni di compravendita di determinati beni corrispondono al concreto atteggiarsi dei rapporti tra le parti (trasferimento di proprietà dei beni in oggetto), corrispondono a prezzi di mercato e sono state eseguite mediante pagamenti con mezzi tracciabili e con importi incassati ed utilizzati per il pagamento di creditori della società venditrice ‘ e che ‘ molto dubbia, per le ragioni già esposte, resta l ‘ ipotesi che in realtà tali operazioni abbiano dissimulato una cessione di azienda ‘ .
2.3. Afferma, in conclusione, che detta sentenza, che ha assolto Lunghi per insussistenza del fatto, emessa dal Tribunale di Pesaro in data 27/10/2022 e nel frattempo passata in giudicato, comportava, a norma dell’art. 654 c.p.p., che l’accertamento dei fatti materiali ivi contenuto avesse effetto anche nel contesto del giudizio civile di reclamo, ancorché di tipo non restitutorio.
2.4. Il motivo, in parte inammissibile e in parte infondato, deve essere respinto.
2.5. Va in primo luogo rilevato che il mezzo difetta del requisito richiesto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366, 1° comma, n. 6 c.p.c., in quanto dà per scontato che la richiesta di fallimento avanzata dal P.M. fosse fondata esclusivamente sull’esistenza di debiti tributari nascenti dalla contestata simulazione della cessione d’azienda, ma non riproduce nel corpo del ricorso (quantomeno per le parti rilevanti) il contenuto dell’istanza ex art. 7 l. fall. , che non risulta neppure allegata specificamente all’atto.
2.6. Ciò premesso, il motivo sembra invocare, in sostanza, l ‘ autorità del giudicato in relazione all ‘ accertamento, contenuto nella sentenza pronunciata in sede penale, dell ‘ inesistenza di un fatto materiale, e cioè la contestata stipulazione (che il giudice penale, appunto, ha escluso) tra la
RAGIONE_SOCIALE e la società reclamante di una ‘ cessione fittizia di azienda’.
2.7. Ora è vero che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio di cassazione l ‘ esistenza del giudicato esterno è , al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d ‘ ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell ‘ ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, con correlativa inopponibilit à del divieto di cui all ‘ art. 372 c.p.c. (Cass. SU n. 13916 del 2006; Cass. n. 1534 del 2018; Cass. n. 12754 del 2022); tale principio, tuttavia, non pu ò trovare applicazione laddove la sentenza passata in giudicato venga invocata, ai sensi dell ‘ art. 654 c.p.p., unicamente al fine di dimostrare, come pretende la ricorrente, l ‘ effettiva sussistenza (o insussistenza) di fatti materiali.
2.8. In siffatte ipotesi, invero, il giudicato non assume alcuna valenza enunciativa della regula iuris alla quale il giudice civile ha il dovere di conformarsi nel caso concreto, mentre la sua astratta rilevanza potrebbe, piuttosto, ravvisarsi in relazione all ‘ affermazione (o negazione) di meri fatti materiali, ossia a valutazioni di stretto merito non deducibili nel giudizio di legittimit à .
2.9. Ne consegue che, in questi casi, dev ‘ essere ritenuta l ‘ inammissibilit à della produzione della sentenza penale e della certificazione del suo passaggio in giudicato, siccome estranea all ‘ ambito previsionale dell ‘ art. 372 c.p.c. (Cass. 22376 del 2017; Cass. n. 23483 del 2010; Cass. n. 6229 del 2018, in motiv.).
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
4. La Corte dà atto, ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall ‘ art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare al Fallimento controricorrente le spese del giudizio, che liquida nella somma di €. 7.200,00, di cui €. 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall ‘ art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, nella Camera di consiglio della Prima