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Giudicato: no a nuove richieste di stipendio

La Cassazione ha annullato la condanna di una società IT al pagamento di retribuzioni a seguito di una cessione di ramo d’azienda illegittima. La Corte ha stabilito che la richiesta dei lavoratori era preclusa dal principio del giudicato, essendo già stata respinta in un precedente procedimento con le stesse parti e lo stesso oggetto.

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Giudicato: la Cassazione blocca una nuova richiesta di stipendi

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato la forza del giudicato, un principio cardine del nostro ordinamento che garantisce la stabilità delle decisioni giudiziarie. La vicenda riguarda un gruppo di lavoratori che, dopo aver ottenuto il riconoscimento dell’illegittimità di una cessione di ramo d’azienda, avevano nuovamente citato in giudizio l’azienda cedente per ottenere le retribuzioni maturate nel periodo di lavoro presso la società cessionaria. La Suprema Corte ha però bloccato la loro richiesta, ritenendola preclusa da una precedente sentenza definitiva.

I Fatti di Causa

La controversia trae origine da una complessa operazione di trasferimento di un ramo d’azienda da una grande società tecnologica a un’altra entità. I lavoratori coinvolti, ritenendo l’operazione illegittima, avevano avviato un primo giudizio per ottenere il ripristino del rapporto di lavoro con la società cedente. In quel contesto, avevano chiesto anche la condanna della società al pagamento delle retribuzioni per il periodo compreso tra l’estromissione e la reintegrazione. Il Tribunale, con una sentenza del 2018, aveva rigettato specificamente questa domanda economica.

Nonostante ciò, i lavoratori hanno successivamente avviato un nuovo procedimento, chiedendo ancora le medesime retribuzioni. La Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, aveva accolto la loro domanda, condannando la società tecnologica al pagamento delle somme richieste. Secondo i giudici di secondo grado, la nuova causa era diversa dalla precedente e le somme versate dalla società cessionaria non potevano estinguere il debito della cedente. Contro questa decisione, l’azienda ha proposto ricorso per Cassazione.

La centralità del principio del giudicato

L’argomento principale sollevato dalla società ricorrente, e accolto dalla Suprema Corte, si fondava sulla violazione del principio del giudicato, sancito dall’art. 2909 del Codice Civile. Tale principio stabilisce che una volta che una sentenza passa in giudicato (cioè diventa definitiva e non più impugnabile), essa fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa. In altre parole, la questione decisa non può essere riproposta in un nuovo processo.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il motivo di ricorso basato sul giudicato. I giudici hanno osservato che la domanda dei lavoratori nel nuovo processo era identica a quella già respinta nella precedente causa del 2018. Sia il petitum (l’oggetto della richiesta, cioè le retribuzioni) sia la causa petendi (il fondamento della richiesta, cioè la persistenza del rapporto di lavoro con la cedente a seguito della cessione illegittima) erano gli stessi.

La Corte ha specificato che la precedente sentenza aveva rigettato in modo espresso e motivato la richiesta di emolumenti retributivi, e i lavoratori non avevano impugnato quella parte della decisione. Di conseguenza, su quel punto si era formato un giudicato che impediva di riproporre la medesima domanda in un nuovo giudizio. La Cassazione ha sottolineato che eventuali nuove interpretazioni giurisprudenziali, anche se favorevoli ai lavoratori, non possono superare l’autorità di una sentenza definitiva formatasi tra le stesse parti.

Le Conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha cassato la sentenza della Corte d’Appello e, decidendo nel merito, ha rigettato la domanda dei lavoratori. La decisione ribadisce l’importanza fondamentale del giudicato come strumento di certezza e stabilità dei rapporti giuridici. Anche di fronte a un’operazione aziendale dichiarata illegittima, i lavoratori non possono riproporre in un nuovo giudizio richieste economiche che sono già state oggetto di una decisione definitiva e a loro sfavorevole. Questa pronuncia serve da monito sulla necessità di impugnare tempestivamente tutte le parti di una sentenza che si ritengono ingiuste, per evitare che diventino incontestabili.

È possibile chiedere di nuovo in giudizio una pretesa economica già respinta da una sentenza definitiva?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il principio del giudicato (art. 2909 c.c.) impedisce di riproporre una domanda giudiziale che ha lo stesso oggetto e si basa sulle stesse ragioni di una pretesa già esaminata e respinta con una sentenza divenuta definitiva tra le stesse parti.

Cosa si intende per “identità di domanda” ai fini del giudicato?
Si ha identità di domanda quando coincidono sia il petitum (ciò che si chiede, in questo caso le retribuzioni) sia la causa petendi (i fatti e le norme a fondamento della richiesta, in questo caso la persistenza del rapporto di lavoro con la società cedente). Se entrambi gli elementi sono identici a quelli di una causa già decisa, la nuova domanda è inammissibile.

Una nuova interpretazione della giurisprudenza può superare un giudicato precedente?
No. La Corte ha chiarito che il giudicato formatosi tra le parti è “insensibile” a eventuali sopravvenienze in punto di diritto, come un nuovo orientamento giurisprudenziale. Una volta che una decisione è definitiva, essa cristallizza il rapporto giuridico tra le parti, a prescindere da futuri cambiamenti nell’interpretazione delle norme.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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