Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1943 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 1943 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/01/2024
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Presidente –
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
AVV_NOTAIO rel. –
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
AVV_NOTAIO –
AVV_NOTAIO NOME
AVV_NOTAIO –
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
AVV_NOTAIO –
SENTENZA
sul ricorso 1630-2023 proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME con domicilio legale come da pec Registri di Giustizia;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio legale come da pec Registri di Giustizia;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1029/2022 della CORTE D’APPELLO di RAGIONE_SOCIALE, depositata il 29/11/2022 R.G.N. 330/2021;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/11/2023 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
udito il P.M. in persona del AVV_NOTAIO Procuratore AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO.
Oggetto: Pubblico impiego – dirigente – scorrimento graduatoria
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME , premesso di essere risultato idoneo nell’ambito di un concorso per qualifica dirigenziale unica del RAGIONE_SOCIALE la cui graduatoria era stata approvata nel 1999 e rimasta valida fino al 2011, aveva proposto ricorso innanzi al Tribunale di Lecce lamentando che la Provincia di Lecce nel periodo di vigenza della suddetta graduatoria avesse proceduto alla copertura di posti vacanti di qualifica dirigenziale senza attingere alla graduatoria del 1999 e attribuendo invece i posti a personale interno ed esterno (mediante contratti a termine) nonché deliberando altri due concorsi per dirigenti.
In particolare, aveva esposto che era stato indetto un concorso con determina n. 1737 del 24 marzo 2003 per l’assunzione di tre dirigenti amministrativi e uno indetto con determina n. 105 del 2009, mai espletato perché l’Ente aveva preferito affidare l’incarico ad un professionista esterno e infine uno indetto con determina n. 3410 del 29 dicembre 2011.
Aveva dedotto di aver proposto, a tutela del proprio diritto allo scorrimento della graduatoria, giudizi conclusi con sentenze di questa Corte di legittimità n. 5588 del 6 marzo 2009 e n. 979 del 20 gennaio 2016 che avevano respinto i ricorsi.
Aveva quindi precisato che, nell’odierno giudizio, il suo diritto soggettivo all’assunzione era sorto con la delibera n. 299 del 2004 con cui era stato disposto lo scorrimento della graduatoria di altro concorso indetto nel 2003, al fine di coprire il quarto posto resosi vacante, in luogo di utilizzare quella precedente, del 1999, includente l’interessato, alla quale doveva essere data prevalenza in base al criterio cronologico ( prior in tempore, potior in jure ).
Il Tribunale aveva respinto il ricorso ritenendo fondata l’eccezione di giudicato.
La pronuncia era tenuta ferma dalla Corte d’appello di Lecce che affermava l’insussistenza di ulteriori spazi di tutela per la posizione del ricorrente che non fossero già coperti dal giudicato derivante dai giudizi intercorsi tra le stesse parti (e così per effetto delle sopra citate sentenze di questa Corte ed anche delle pronunce rese dalla stessa Corte d’appello di Lecce e dalla Cassazione in sede di revocazione nonché della sentenza del Consiglio di Stato n. 4782/2013).
Evidenziava che il COGNOME aveva tentato di aggirare tali giudicati attraverso la contestazione della sola delibera n. 299 del 2004 (che non aveva formato oggetto di esame da parte della Cassazione nella sentenza del 2016, per non essere stata documentata la proposizione della relativa questione nei gradi di merito) e al riguardo rilevava che, una volta formatosi il giudicato sull’esistenza del potere autoritativo della PA di indire un nuovo concorso pur in presenza di una valida graduatoria di precedente concorso, questo si era esteso anche ai successivi atti consequenziali che erano
impugnabili già nel primo giudizio (peraltro la delibera n. 299 del 2004 era già menzionata nella sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 1240/2005 oggetto della pronuncia di questa Corte n. 5588 del 2009).
A riprova della sovrapponibilità dei contenziosi aggiungeva che il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 4736 del 6/9/2012, aveva evidenziato che il COGNOME aveva già posto dinanzi al giudice ordinario la questione anche dell’illegittimità della delibera n. 299 del 2004.
Pronunciando, poi, sul ricorso incidentale della Provincia di Lecce, la Corte territoriale condannava il COGNOME anche per responsabilità aggravata ex art. 96, comma 3, cod. proc. civ., oltre a regolare le spese del giudizio di appello secondo la soccombenza.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ricorre per cassazione con sette motivi.
La Provincia di Lecce resiste con controricorso.
Il ricorrente ha formulato in data 1/3/2023 istanza di assegnazione della causa alle Sezioni Unite di questa Corte per la soluzione della questione di giurisdizione nonché in relazione ad una prospettata ‘situazione di urgenza’.
La Prima Presidente con provvedimento 20 marzo 2023 ha rigettato l’istanza, rilevando l’insussistenza delle condizioni previste dall’art. 374 cod. proc. civ. per assegnare il ricorso alle Sezioni Unite e disposto la restituzione del fascicolo a questa Sezione Lavoro.
Il P.G. ha formulato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso, come confermato nella discussione in udienza pubblica.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 101, comma 2, cod. proc. civ, dell’art. 111, comma 2 Cost. ed eccepisce la nullità della sentenza impugnata perché, a suo dire, la Corte distrettuale ha percorso una ‘terza via’ rispetto alle rispettive prospettazioni delle parti, omettendo di sollecitare sulla stessa il contraddittorio.
Assume che la Corte di Appello di Lecce ha emesso una decisione a ‘sorpresa’ in quanto ha ‘sostituito’ d’ufficio la statuizione contenuta nella sentenza n. 192/2021, emessa dal G.U.L. del Tribunale di Lecce (la cui ratio decidendi era stata che ‘… L’eccezione di giudicato proposta dalla convenuta è infatti da ritenersi fondata. Si osserva infatti che la delibera n. 299/2004 di cui si contesta nel presente procedimento la legittimità sotto il profilo della graduatoria utilizzata è conseguente alla determina n. 1737 del 2003 con la quale è stato indetto il concorso per la copertura di posti dirigenziali …’) con la nuova statuizione, la cui ratio decidendi è stata, sostanzialmente,
che la delibera n. 299 dell’11 maggio 2004, quale ‘ atto consequenziale che era impugnabile già nel corso del primo giudizio (la delibera n. 299/2004 è menzionata già in Corte di Appello Lecce n. 1240/2005) ‘ e che, pertanto, ‘ una volta formatosi il giudicato sull’esistenza del potere autoritativo della PA di indire un nuovo concorso pur in presenza di valida graduatoria di precedente concorso (atto adottato non in carenza di potere, come ritenuto da TAR e C.d.S), questo si è esteso anche ai successivi atti consequenziali che erano impugnabili già nel corso del primo giudizio …’. Addebita al giudice d’appello di non avere assegnato alle parti in causa – che non avevano mai trattato nei propri scritti processuali la sopraindicata questione della menzione della delibera n. 299 del 2004 già nella motivazione della sentenza n. 1240/2005 – il termine per contraddire, espressamente previsto, a pena di nullità, dall’art. 101, comma 2, cod. proc. civ.
Il motivo è infondato.
2.1. Occorre innanzitutto premettere che dalla delibera n. 299 del 2004 (trascritta a pag. 5 del ricorso) si evince che la Provincia, per coprire il posto lasciato vacante dal pensionamento di un dirigente (NOME COGNOME), aveva stabilito di scorrere la graduatoria di un concorso indetto nel 2003. Tale scorrimento, andato a vantaggio del AVV_NOTAIO, per quanto si rileva dalla pronuncia del Consiglio di Stato sez. V, 6 settembre 2012, n. 4736 (allegata al ricorso per cassazione), era avvenuto in luogo della utilizzazione della precedente graduatoria del 1999, includente il ricorrente, che, a dire del medesimo, doveva prevalere in base al criterio cronologico ( prior in tempore, potior in jure ).
L’iniziativa del COGNOME di cui all’odierno giudizio (successiva all’esito del rigetto del ricorso per revocazione definito con sentenza di questa Corte del 2 maggio 2017, n. 10633), fa leva sul fatto che, a detta del ricorrente, non ci sarebbero state pronunce di merito sull’insussistenza del diritto allo scorrimento della graduatoria del 1999 in relazione alla delibera del 2004 che aveva disposto l’utilizzazione della graduatoria del 2003 (anziché di quella precedente ancora valida ed efficace).
La questione controversa è se tale delibera del 2004 fosse stata oggetto dei precedenti giudicati.
In tale senso si è espressa la Corte leccese, facendo proprio riferimento alla pronuncia del Consiglio di Stato del 2012.
La delibera in questione, peraltro, non è posta dal COGNOME a fondamento di un proprio diritto soggettivo direttamente a questa ricollegabile (cosa che sarebbe stata possibile se tale scorrimento avesse portato alla sua individuazione quale soggetto da assumere) ma sempre a fondamento del diritto allo scorrimento della graduatoria del
1999 (la delibera del 2004 aveva decretato lo scorrimento di altra graduatoria del 2003).
2.2. Tanto premesso, quanto al primo motivo, va osservato che tutto ciò che ruota intorno alla delibera n. 299 del 2004 integra, a ben guardare, un mero argomento difensivo che non consente di escludere il vincolo del giudicato di cui ai giudizi precedenti.
Del resto, la questione inerente all’illegittimità (nella parte relativa alla scelta della graduatoria da scorrere) ed agli effetti (quanto alla manifestata volontà di ricorrere allo scorrimento) di detta delibera n. 299 del 2004 era stata posta dallo stesso ricorrente che proprio in base ad essa aveva rimarcato la differenza tra questo contenzioso e gli altri che erano già intercorsi tra le stesse parti (il COGNOME fa leva sulle statuizioni di inammissibilità dei motivi che tale delibera avevano riguardato).
L’obbligo del giudice di stimolare il contraddittorio, ai sensi dell’art. 101, comma 2, ha lo scopo di evitare le decisioni c.d. a sorpresa o della terza via; tale obbligo, pertanto, vale solo per le questioni che il giudice rilevi effettivamente d’ufficio per non essere state dedotte dalle parti e non vale, invece, per le questioni che – pur rilevabili d’ufficio – siano state introdotte dalle parti, in quanto tali questioni fanno già parte del thema decidendum (Cass. 5 dicembre 2017, n. 29098).
Si aggiunga che, finanche nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata. Si tratta, infatti, di un elemento che non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, partecipando quindi della natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero fatto. (Cass. 21 aprile 2022, n. 12754 e già Cass., Sez. Un., 16 giugno 2006, n. 13916).
La questione del giudicato esterno era stata, peraltro, oggetto di specifica devoluzione ed era entrata a far parte del thema decidendum sicché ben poteva il giudice d’appello respingere il motivo di gravame valorizzando, sempre per ritenere formato il giudicato, un’argomentazione diversa da quella sviluppata nella sentenza impugnata (Cass. 13 agosto 2021, n.22880).
2.3. A dette considerazioni si deve aggiungere che la censura si fonda su una lettura parziale delle decisioni assunte, rispettivamente, dal Tribunale e dalla Corte d’Appello di Lecce perché, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, entrambe le decisioni hanno rimarcato il carattere consequenziale della deliberazione del 2004 rispetto alla determinazione del 2003 di indizione di una procedura concorsuale, e da
ciò hanno tratto la conseguenza che la questione fosse già ricompresa nel thema decidendum dei precedenti giudizi. La pronuncia della Corte d’Appello, pur aggiungendo ulteriori argomentazioni, non differisce, quanto all’effettiva ratio decidendi , da quella del Tribunale, sicché manifestamente infondata è la denuncia di violazione, in appello, del principio del contraddittorio.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 2909 cod. civ.
Deduce che indipendentemente dalla nullità processuale, esposta con il motivo che precede se il Collegio giudicante avesse concesso termini a difesa, certamente non avrebbe fondato la decisione sulla ragione sopra indicata ed argomenta sull’effettivo contenuto delle precedenti pronunce che, a suo dire, non avrebbero affrontato la questione dibattuta in questa sede.
Il motivo è infondato per le stesse ragioni illustrate con riguardo al motivo che precede.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 cod. proc. civ., 2938 e 2946 cod. civ. nonché la nullità della sentenza ai sensi degli artt. 112 e 113 cod. proc. civ.
Sostiene, in modo piuttosto confuso, che non era stata sollevata dalla Provincia alcuna eccezione di prescrizione e che, in ogni caso, la Corte territoriale aveva evidenziato che la prescrizione era stata interrotta dai vari tentativi di conciliazione per poi erroneamente rilevare che la questione della legittimità della delibera del 2004 poteva essere già posta nei precedenti giudizi.
Deduce la nullità della sentenza anche per la circostanza che il Giudice ‘… …non può pronunciare d’ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti …’, nonché per il fatto che allo stesso Giudice è vietato, in forza del principio di cui all’art. 112, cod. proc. civ., porre a base della decisione fatti che, ‘…ancorché rinvenibili all’esito di una ricerca condotta sui documenti prodotti, non siano stati oggetto di puntuale e allegazione o contestazione negli scritti difensivi delle parti …’ (cfr. Cass. 17 dicembre 2019, n. 33407).
Anche tale motivo non merita accoglimento.
Innanzitutto, il rilievo è carente di pertinenza al decisum nella parte in cui fa riferimento alla prescrizione del diritto, perché la Corte d’appello non ha ritenuto che il diritto fosse prescritto, ma ha condiviso la pronuncia di prime cure quanto alla ritenuta preclusione derivante dal precedente giudicato che, notoriamente, è rilevabile d’ufficio senza che rilevi la distinzione tra giudicato interno ed esterno (v. ex multis Cass. 27 luglio 2016, n. 15627; Cass. 3 aprile 2017, n. 8607; Cass., Sez. Un., 16 giugno 2006, n. 13916).
Inoltre, come già evidenziato, non vi è stata alcuna pronuncia d’ufficio al di fuori delle questioni poste dalle parti. Ai fini della decisione sull’eccezione di giudicato sollevata dalla Provincia di Lecce era centrale valutare se le precedenti pronunce definitive avessero o meno ricompreso anche l’esame della delibera n. 299 del 2004 che, secondo la prospettazione del ricorrente, giustificava la proposizione di un giudizio ex novo .
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione di legge e/o falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ.
Ribadisce che ciò su cui si è formato il giudicato sostanziale in Cass. 5588/2009, nonché in Cass. 979/2016, ma anche nella sentenza del Consiglio di Stato n. 4736/2012 è stato il fatto che nei precedenti giudizi la Provincia di Lecce aveva espressamente manifestato la volontà di non avvalersi dell’istituto dello scorrimento della graduatoria ad opera della ‘… indizione di un nuovo concorso ma anche dal conferimento di incarichi a termine e dalla utilizzazione di personale interno (decisione questa cui è stato attribuito l’effetto di rendere ‘inoperante’ l’istituto dello scorrimento -v. Cass. 6-3-2009 n. 5588 in motivazione) …’ (cfr. Cass., Sez. Un., 29 novembre 2013, n. 26774), a differenza, invece, di quanto chiesto in questo giudizio nel quale si fa leva su una diversa volontà manifestata dalla Provincia di Lecce, con la delibera n. 299 del 2004, con la quale era stato espressamente ‘reso operante’ l’istituto dello scorrimento della graduatoria.
Sostiene in sintesi che i precedenti giudizi definiti dalle pronunce di questa Corte e del Consiglio di Stato avevano riguardato la posizione di interesse legittimo a che l’amministrazione ricorresse allo scorrimento della graduatoria anziché all’indizione di una nuova procedura concorsuale o a forme diverse di reclutamento, mentre in questo caso era stato fatto valere il diritto soggettivo allo scorrimento della graduatoria più risalente nel tempo, sorto nel momento in cui l’amministrazione, appunto nel 2004, aveva deciso di ricorrere allo scorrimento ed aveva individuato il destinatario dell’assunzione nell’idoneo collocatosi in posizione utile nella graduatoria del 2003.
8. Il motivo è infondato.
Non è vero che la domanda di cui al presente giudizio, fondata sulla delibera n. 299 del 2004 che aveva disposto lo scorrimento della graduatoria, fosse diversa da quella di cui ai giudizi precedenti.
Anche in tali giudizi il COGNOME aveva prospettato il suo diritto ad essere assunto quale dirigente, in forza dello scorrimento della graduatoria del 1999, ancora valida ed efficace, essendosi nel frattempo rese disponibili altre posizioni dirigenziali.
Nello specifico, la Corte territoriale ha affermato che anche la delibera n. 299 del 2004 era entrata nella complessiva valutazione dei giudizi ormai coperti da giudicato e
detta affermazione va condivisa perché fondata su una corretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali.
In premessa va ribadito l’orientamento secondo cui, poiché il giudicato è assimilabile agli elementi normativi, la Corte di Cassazione è tenuta a procedere all’interpretazione diretta dello stesso ed all’esame degli atti, e l’esegesi, che «si risolve nella ricerca del significato oggettivo della regola o del comando, di cui il provvedimento è portatore, e non in quella dei contenuti di una statuizione di volontà, va condotta in applicazione dei canoni ermeneutici di cui all’art. 12 preleggi e non dei criteri esegetici dettati, per i negozi, dagli artt. 1362 e seguenti c.c.», fermo restando che l’interpretazione deve essere compiuta valorizzando il tenore dell’intero provvedimento e, ove necessario, anche gli atti infraprocessuali, «utilizzabili questi ultimi per l’enucleazione della ratio e della mens acti , in esso obiettivo (cfr. Cass., Sez. Un., nn. 13916/2006; 24664/2007) non diversamente dai lavori preparatori dai quali è consentito desumere la ratio legis » (v. Cass., Sez. Un., n. 11508/2008).
Emerge dagli atti che la delibera n. 299 del 2004 e lo scorrimento con la stessa disposto (che, si ribadisce, non aveva portato alla configurazione in capo al COGNOME di un diritto soggettivo ricollegabile a tale scorrimento) aveva formato oggetto dei motivi del ricorso per cassazione (primo e secondo) definito con sentenza di questa Corte n. 979/2016.
Il fatto che in sede di detta decisione il Giudice di legittimità abbia ritenuto nuova la questione, perché non risultava come e quando la stessa fosse stata proposta nei precedenti giudizi di merito, non esclude la legittimità della ricostruzione della Corte territoriale, che ha invece rimarcato come la delibera in questione fosse già entrata nel giudizio di merito (sentenza impugnata pag. 12).
La dichiarazione di inammissibilità pronunciata da questa Corte, infatti, è derivata dalle modalità di formulazione del motivo e non ha implicato alcuna statuizione sulla effettiva novità o meno della questione medesima, in quanto l’esame si è arrestato al riscontro della carenza del requisito di specificità imposto dall’art. 366 n. 6 cod. proc. civ.
Peraltro, dalla stessa sentenza di questa Corte n. 979/2016 si rileva che: ‘ in ogni caso per quanto già detto la questione del diritto del COGNOME di giovarsi della graduatoria del 1999 e quindi del consequenziale scorrimento di questa è stato escluso da questa Corte con la già citata decisione del 1999; accertamento che copre logicamente tutti i concorsi e le graduatorie utilizzate nel tempo dalla Provincia. In ordine alla delibera n. 299/2004 peraltro sussiste il giudicato amministrativo, anche in ordine al supposto danno, avendo (pag. 10 della sentenza impugnata) il RAGIONE_SOCIALE. osservato che ‘le contestazioni alla delibera erano tardive. Le doglianze circa le pretese
violazioni dei principi di correttezza e buona fede appaiono non solo generiche ma anche infondate e tardive posto che i Giudici ordinari ed amministrativi hanno stabilito che non vi era alcun diritto alla scorrimento della graduatoria del 1999’, il che conferma che sulla deliberazione del 2004 si erano pronunciati tanto questa Corte di legittimità quanto il Consiglio di Stato.
Si rileva, poi, dalla sentenza di questa Corte n. 10633/2017 cit. resa in sede di ricorso per revocazione avverso la sentenza della Cassazione n. 979/2016 cit. che ‘ il COGNOME propose, allora, il 13.8.2009 un nuovo ricorso, sempre per ottenere l’accertamento del diritto ad essere assunto quale dirigente nonché la condanna della Provincia di Lecce al risarcimento dei danni subiti, e in quella sede domandò la declaratoria di nullità della delibera dirigenziale n. 1737 del 2003 di indizione di un nuovo concorso, perché la stessa non era stata preceduta dalla necessaria procedura di mobilità ex art. 34 bis del d.lgs. n. 165 del 2001. Le nomine effettuate con la delibera n. 299 dell’11 maggio 2004 erano anch’esse nulle e conseguentemente andava dichiarato il suo diritto all’assunzione, attesa la perdurante validità della precedente graduatoria ‘.
Questo passaggio e gli stessi motivi di ricorso per cassazione del giudizio poi oggetto di revocazione sono ulteriormente significativi del fatto che la questione dello scorrimento disposto con la delibera n. 299 del 2004 era stata già posta (anche se i rilievi formulati in sede di legittimità riguardo ad essa – come evidenziato da Cass. n. 10633/2017 cit. – non erano stati formulati nel rispetto dei canoni di specificità ed autosufficienza richiesti per il giudizio di cassazione).
Del resto, il principio secondo il quale il giudicato copre il dedotto ed il deducibile ed impedisce alla parte di agire nuovamente in giudizio vale anche nell’ipotesi in cui una precedente decisione tra le stesse parti dia atto che su un determinato tema è caduto il giudicato.
Nella fattispecie, il Consiglio di Stato nella già citata sentenza n. 4736/2012, alle pagg. 12 e 13, si è proprio pronunciato in tal senso evidenziando che: ‘ Il Giudice civile era stato edotto anche della deliberazione della Giunta provinciale n. 299 del 2004 (che aveva disposto la copertura di un ulteriore posto dirigenziale sulla base della nuova graduatoria) quantomeno in sede di appello (pag. 6 della sentenza della Corte leccese) ‘ ed ancora che: ‘ Quanto precede conferma la sovrapponibilità dei due contenziosi a confronto ‘.
Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 63, commi 1 e 4, del d.lgs. n. 165/2001, dell’art. 91, comma 4, d.lgs. 267/2000 ed ancora degli artt. 1175 e 1375 cod. civ.
Critica la sentenza per non aver esaminato la censura con la quale era stato dedotto che la Provincia di Lecce, con la delibera dell’11 maggio 2004, aveva violato le norme denunciate in rubrica. Sostiene che se la Corte di Appello si fosse pronunciata in merito, certamente avrebbe accolto il gravame.
10. Il motivo è manifestamente infondato.
N on si è in presenza di un’omessa pronuncia, tra l’altro non dedotta nel rispetto dei requisiti formali richiesti da Cass., Sez. Un., n. 17931/2013, perché la Corte territoriale ha correttamente ritenuto assorbente la formazione del giudicato esterno, preclusiva di ogni altra indagine sulla fondatezza o meno della pretesa, per il principio, già ricordato, secondo cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile.
Con il sesto motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 132 cod. proc. civ.
Deduce che se il Collegio Giudicante si fosse pronunciato avrebbe certamente accolto il gravame, atteso che codesta Corte Suprema, con il suo consolidato ed uniforme insegnamento, afferma che una graduatoria cronologicamente antecedente, ancora valida e vigente, deve prevalere su quella più recente allorché la P.A. decida di ricorrere all’istituto dello scorrimento della graduatoria, come si è verificato nel caso di specie.
Il motivo è infondato per le stesse ragioni di cui ai motivi che precedono.
Va, in ogni caso, sottolineato, quanto alla questione dello scorrimento della graduatoria, che ove sia stato indetto un nuovo concorso per la copertura di una determinata posizione, la graduatoria non ha più alcuna efficacia, avendo la PA già esercitato la discrezionalità alla medesima riservata riguardo alle modalità di tale copertura.
Come evidenziato da questa Corte nella decisione n. 5588/2009 (che ha riguardato proprio il COGNOME) in tema di scorrimento e con riguardo alla perdurante efficacia di una graduatoria, l’operatività dell’istituto presuppone necessariamente una decisione dell’amministrazione di coprire il posto utilizzando una determinata graduatoria rimasta efficace. In tal modo la PA resta esentata dall’obbligo, ai sensi e per gli effetti dell’art. 97 Cost., comma 3, di bandire un nuovo concorso (si deve trattare di posti, sulla base delle disposizioni normative invocate dal ricorrente, non solo vacanti, ma anche disponibili, e tali diventano per effetto di apposita determinazione dell’amministrazione). La decisione, quindi, una volta assunta, risulta equiparabile all’espletamento di tutte le fasi di una procedura concorsuale, con l’identificazione degli ulteriori vincitori (Cass., Sez. Un., 29 settembre 2003, n. 14529; Cass. 5 marzo 2003, n. 3252). Quando, però, la PA abbia valutato di indire un nuovo concorso pur in presenza di una precedente graduatoria ancora efficace, e detta scelta
non sia stata censurata o sia stata ritenuta legittima, non può più discutersi di efficacia perdurante della graduatoria medesima, ormai superata.
L’orientamento sul quale il ricorrente fa leva, espresso da questa Corte e prima ancora dalla giurisprudenza amministrativa, è riferibile a fattispecie non assimilabili a quella che qui viene in rilievo, ossia alle ipotesi in cui la contemporanea vigenza di più graduatorie sia conseguenza o di vicende interessanti l’organizzazione dell’amministrazione pubblica, quali sono gli accorpamenti dei Ministeri o la fusione di più enti in un unico soggetto, ovvero dell’espletamento contestuale di più procedure, come può accadere qualora il nuovo concorso venga bandito in pendenza delle operazioni di altra procedura concorsuale non ancora conclusa.
Con il settimo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 96 cod. proc. civ. nonché omesso esame su un punto decisivo.
Deduce che la Corte territoriale, aderendo alla domanda di condanna della Provincia di Lecce, ha solo argomentato la sussistenza dei ‘danni’ subiti ma degli stessi non vi è ‘prova’ alcuna, per cui errata è stata la decisione impugnata nell’aver ritenuto sussistente la responsabilità aggravata ex art 96, comma 1, cod. proc. civ., senza che fosse allegato ovvero riscontrato l’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave. Assume che il giudice non può liquidare il danno, neppure equitativamente, se dagli atti non risultino elementi atti ad identificarne concretamente l’esistenza, desumibili anche da nozioni di comune esperienza e dal pregiudizio che la parte resistente abbia subito per essere stata costretta a contrastare un’iniziativa del tutto ingiustificata dell’avversario e richiama Cass., 4 novembre 2005, n. 21393; Cass. 30 luglio 2010, n. 17902 nonché Cass. 13 settembre 2019, n. 22951 ed ancora, quanto alla allegazione e prova, Cass. 30 novembre 2022, n. 35225.
Anche tale motivo non può trovare accoglimento perché la censura, tutta incentrata sull’insussistenza dei requisiti richiesti dal primo comma dell’art. 96 cod. proc. civ., si fonda su una lettura non corretta della decisione impugnata.
La Corte territoriale, infatti, pur indicando nell’ incipit del punto 3 l’art. 96, comma 1, cod. proc. civ., ha poi argomentato sulla sussistenza di un abuso del processo ed ha pronunciato la condanna ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ., richiamando giurisprudenza di questa Corte che a detta diversa ipotesi si riferisce.
Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che la condanna ex art. 96, comma 3, cod. proc. civ., applicabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96, commi 1 e 2, cod. proc. civ., e con queste cumulabile, volta alla repressione dell’abuso dello strumento processuale; la sua applicazione, pertanto, richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro
non dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di ‘abuso del processo’, quale l’avere agito o resistito pretestuosamente (Cass. 21 novembre 2017, n. 27623; Cass. 4 agosto 2021, n. 22208; Cass. 15 febbraio 2021, n. n. 3830; Cass. 24 settembre 2020, n. 2018; Cass. 18 novembre 2019, n. 29812).
Non ha, pertanto, pregio quanto argomentato dal ricorrente in merito all’insussistenza dell’elemento soggettivo della malafede o della colpa grave: questa Corte ha messo in evidenza l’obiettivo di deterrenza perseguito dal comma 3 dell’art. 96 cod. proc. civ.: il rafforzamento della repressione dell’abuso del processo si è manifestato nella scelta legislativa di sopprimere l’elemento soggettivo della fattispecie. Il giudice, nell’applicare l’art. 96, comma 3, cod. proc. civ., non è più tenuto a svolgere complessi – quanto delicati – apprezzamenti sulla colposità e negligenza della condotta della parte e del suo difensore. Egli, invece, deve limitarsi a valutare ‘oggettivamente’ la sussistenza di un ‘abuso del processo’, quale emerge dagli atti processuali e dal loro contenuto.
Nel caso di specie, innanzitutto la condotta oggettivamente valutabile rilevata come abusiva dalla Corte distrettuale riguarda fatti incontrovertibili relativi all’introduzione del presente giudizio dopo altri due introdotti dinanzi al giudice ordinario, entrambi caratterizzati da tre gradi di giudizio ed il secondo anche da due ricorsi per revocazione (della sentenza di appello e di quella di legittimità), oltre ad un giudizio dinanzi al TAR e al Consiglio di Stato. Tutti giudizi conclusi in termini analoghi.
In ogni caso, la norma affida al giudice del merito un’ampia discrezionalità nella determinazione delle suddette condizioni oggettive, nonché dell’importo della sanzione, non sindacabile in sede di legittimità se non nei limiti della violazione di legge, ai sensi del n. 3 e ai sensi del riformulato n. 5 dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ.
Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato.
La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.
Alla condanna del soccombente nelle spese processuali deve seguire quella al pagamento da parte sua, in favore della controparte vittoriosa, di una somma equitativamente determinata, ai sensi dell’art.96, terzo comma, cod. proc. civ. (norma applicabile al presente procedimento, che ha avuto inizio, in primo grado, nell’anno 2019), il cui importo può essere quantificato in euro 3.500,00. Ciò, in ragione della circostanza che le doglianze proposte, tutte come si è visto, manifestamente infondate, infrangendosi su orientamenti nomofilattici consolidati da molto tempo, si sono tradotte oggettivamente in un uso abusivo del mezzo di impugnazione, idoneo a determinare un ingiustificato sviamento del sistema processuale dai suoi fini istituzionali, ponendosi in posizione incompatibile con un quadro ordinamentale che, da una parte, deve
universalmente garantire l’accesso alla tutela giurisdizionale dei diritti (art.6 CEDU) e, dall’altra, deve tenere conto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo e della conseguente necessità di strumenti dissuasivi rispetto ad azioni meramente dilatorie, defatigatorie o pretestuose. Tale condotta, integrando gli estremi dell’ ‘abuso del processo’, si presta, dunque, ad essere sanzionata con la condanna del soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ.
18. Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., Sez. Un., 20 febbraio 2020, n. 4315, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della Provincia controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 3.500,00 per compensi, oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15% nonché al pagamento dell’ulteriore importo di euro 3.500,00 ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio dell’8 novembre 2023.