Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10510 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10510 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 28021 del 2021 proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv.to NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE REGGIO CALABRIA, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv.to NOME COGNOME
– controricorrente- avverso la sentenza n. 187/2021 della CORTE D’APPELLO di REGGIO DI CALABRIA, depositata il 28.4.2021, R.G.N. 282/2019;
OGGETTO :
Accertamento del diritto al
trasferimento ex art.
2112 c.c. nei ruoli della Provincia –
Reintegra e risarcimento danni.
R.G.N. 28021/2021 Cron. Rep. Ud. 3.4.2025
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3.4.2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che
La C orte d’ Appello di Reggio Calabria, confermando la sentenza del Tribunale di Locri, ha rigettato la domanda formulata nel ricorso ex art. 414 c.p.c. da NOME COGNOME nei confronti della Città metropolitana di Reggio Calabria (subentrata alla Provincia di Reggio Calabria, di seguito: Provincia ) volta ad ottenere l’accertamento del diritto al passaggio ex art. 2112 c.c. alle dipendenze della Provincia ex lege regionale n. 34/2002 e la condanna dell’ente alla reintegrazione, al pagamento delle re tribuzioni maturate medio tempore ed al risarcimento del danno.
Questi i fatti posti a fondamento della domanda:
l’odierno ricorrente in cassazione , dipendente della Regione Calabria (di seguito: Regione) dal 1981, dichiarato decaduto dall’impiego con delibera del 29.12.1995, richiedeva al TAR, l’annullamento della predetta delibera ;
con sentenza depositata il 15.2.2005 il TAR annullava la delibera di destituzione e disponeva la riammissione in servizio e la ricostruzione della carriera del lavoratore;
la parte datoriale non provvedeva all’esecuzione della sentenza del Tribunale amministrativo regionale, sicché il Naim promuoveva giudizio di ottemperanza, in esito al quale, con decreto del 24 luglio 2006 veniva destinato al Dipartimento 10, con sede in Catanzaro, anziché presso il Centro di Formazione Professionale di Roccella Jonica, ove
operava al momento del provvedimento di decadenza poi annullato dal giudice amministrativo;
il lavoratore promuoveva, quindi, un ulteriore giudizio in sede amministrativa volto ad accertare il diritto alla reintegra presso l’innanzi indicato Centro di Roccella , giudizio che si concludeva con la sentenza n. 1645/2010 del Consiglio di Stato che dichiarava la sopravvenuta carenza di interesse del Naim e ciò in quanto, nelle more del giudizio, il dipendente era stato nuovamente licenziato con decreto del 30 aprile 2008.
Premessi detti fatti, nel presente giudizio il NOME deduceva che, a seguito dell’annullamento del provvedimento di destituzione del 29.12.1995 in virtù della sentenza del Tar del 15.2.2005, egli aveva diritto al passaggio ex art. 2112 c.c. alle dipendenze della Provincia ex l.r. n. 34 del 2002, dovendo essere ricompreso nel personale che, curando il servizio della formazione professionale, era stato trasferito alle dipendenze della Provincia a seguito del passaggio di competenze, integrante un trasferime nto d’azienda ex art. 2112 c.c.
Per quanto qui ancora rileva, la Corte territoriale, nel confermare quanto già affermato nella sentenza di primo grado, rigettava la domanda del lavoratore di transito ex art. 2112 c.c. alle dipendenze della Provincia, in ragione dell’assorbente rilievo che il Tribunale di Catanzaro , con sentenza del 15.7.2013 passata in cosa giudicata, aveva respinto il ricorso del Naim volto all’accertamento della nullità/illegittimità del licenziamento irrogatogli dalla Regione con decreto del 30 aprile del 2008.
Conseguentemente, sottolineava la Corte di Appello nella sentenza qui impugnata, il rapporto di impiego del quale si pretendeva la continuazione era ormai definitivamente risolto, sicché alcuna domanda di transito ex art. 2112 c.c. poteva essere accolta, vieppiù in considerazione del rilievo che la sentenza del Tribunale di Catanzaro del 15.7.2013 che aveva rigettato la domanda di nullità/illegittimità del licenziamento e conseguente reintegra era stata pronunziata non solo nei confronti della la Regione Calabria, ma anche nei confronti della Provincia (oggi Città Metropolitana di Reggio Calabria).
Il lavoratore indicato in epigrafe propone ricorso per cassazione articolato in quattro motivi.
Resiste con controricorso la Città Metropolitana di Reggio Calabria, depositando anche memoria.
Considerato che
1.1. Con il primo motivo è dedotta la «violazione e/o falsa applicazione delle norme ex art. 360 n. 3, c.p.c., in combinato disposto con gli artt. 2112 c.c. e 31 TUEL», nonché l’o messo esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c. n. 5.
Il ricorrente lamenta l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha rigettato la domanda sull’errato presupposto che il giudicato intervenuto a seguito della sentenza del Tribunale di Catanzaro del 15.7.2013, con la quale è stato rigettato il ricorso dell’odierno ricorrente avverso il licenziamento
disciplinare, abbia precluso ogni possibilità di accertamento della fondatezza delle richieste formulate nel presente giudizio.
1.1. Nel dettaglio insiste nel sostenere che la sentenza di appello, pur correttamente ricostruendo le sue pretese, nulla statuisce, sull’applicazione nei suoi confronti dell’istituto del trasferimento d’azienda e del conseguenziale diritto ad essere immesso nei ruoli provinciali in virtù della delibera della Giunta Regionale n. 194/2006 con la quale, in attuazione all’art 17 della l.r. n. 34/2002, si poneva in essere il distacco funzionale, presso le Province, del personale del ruolo organico della Giunta Regionale.
1.2. Rimarca che, per effetto della sentenza del TAR Calabria n.153/2005 che ha annullato l’illegittimo provvedimento di decadenza – al momento del passaggio nei ruoli provinciali del proprio comparto lavorativo ‘Centro Regionale per la Formazione Professionale di Rocce lla Jonica’ egli era organico allo stesso in virtù della disposta restitutio in integrum del rapporto di lavoro a seguito dell’annullamento del provvedimento di destituzione ad opera del Tribunale amministrativo con sentenza n. 153 del 2005.
1.3. Il lavoratore, insomma, sostiene che, a seguito del trasferimento di competenze e del passaggio automatico del personale dalla Regione alla Provincia, ex art. 2112 c.c. e l.r. n. 34 del 2002, egli aveva diritto a transitare alle dipendenze della Provincia, rimarcando che l’ipotesi qui all’attenzione rientra nella fattispecie di cui all’art. 2112 c.c.
1.3.1. Sostiene, infine, che la decisione gravata muove da un presupposto errato : l’ assoluta preclusione dovuta al
giudicato della sentenza del Tribunale di Catanzaro del 15 Luglio 2013 che, invece, va qualificata come pronunzia di mero rito in quanto in essa viene semplicemente rilevata la decadenza ex l. n. 604 del 1966.
1.4. Il motivo è inammissibile per una pluralità di ragioni.
1.5. La sentenza di appello ( cfr. pag. 4) ha infatti rigettato la domanda con la seguente motivazione: ‘ La domanda non può essere accolta, perché preclusa dal giudicato intervenuto a seguito della sentenza del Tribunale di Catanzaro del 15.7.2013, con la quale è stato rigettato il ricorso proposto dal Naim avverso il licenziamento disciplinare intimatogli dalla Regione Calabria, con decreto del 30 aprile del 2008 e dunque ben oltre la sentenza del TAR del 15.2.2005 ed il passaggio delle competenze regionali a quelle provinciali (1 luglio 2006)’.
1.6. Il mezzo, allora, per come è proposto, è innanzi tutto inammissibile perché non si confronta affatto con quanto statuito dalla Corte territoriale, continuando ad insistere sul diritto al passaggio del Naim ex art. 2112 c.c. alle dipendenze della Provincia sulla scorta dell’annullamento del provvedimento di destituzione del 1995, laddove il giudice d’appello ha fondato il rigetto della domanda sulla definitiva risoluzione del rapporto di lavoro accertata con sentenza passata in cosa giudicata del Tribunale di Catanzaro del 15.7.2013.
1.7. A tanto va aggiunto, altresì, che sono comunque
1.9. A tanto va aggiunto che la doglianza, nella parte in cui è articolata ai sensi del n. 5 dell’art. 360, comma 1, c.p.c. è inammissibile perché formulata, in presenza di cd. doppia conforme senza il rispetto degli oneri imposti. Va ricordato, infatti, che
falsa applicazione , in relazione all’art. 360, comma 1, c.p.c. n. 3, del l’art. 63 , comma 1 TUPI , nonché l’o messo esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 c.p.c.
2.1. Sostiene il lavoratore che la sentenza qui impugnata, del tutto erroneamente, sulla scorta del giudicato intervenuto sulla sentenza del Tribunale di Catanzaro del 15 Luglio 2013 con la quale è stato rigettato il ricorso avverso il licenziamento disciplinare, ha disposto, altresì che ‘ resta assorbito il motivo con cui NOME chiede a questa Corte di disapplicare il decreto del Commissario ad acta n. 1129 del 18.2.2008, con il quale è stato revocato il precedente decreto n. 21201 del 17.12.2007 dello stesso organo commissariale, che aveva disposto l’immissione al Centro di Formazione Professionale di Roccella Jonica ed è stata disposta la sua assegnazione al Dipartimento n. 10 di Catanzaro. Ciò perché, a prescindere da ogni valutazione sulla compatibilità del potere di disapplicazione del giudice ordinario rispetto ad atti sui quali è intervenuto un giudicato amministrativo, ogni accertamento sulla legittimità di quel decreto è precluso dal giudicato sulla prosecuzione del rapporto di lavoro con la Regione Calabria fino al 30 aprile 2008 ‘.
2.2. Rimarca NOME che anche detta statuizione è erronea, e sostiene che sulla base delle caratteristiche sistematiche dell’ordinamento giuridico, gli atti di natura amministrativa sono rilevanti per la soluzione di controversie giudiziarie, tanto dinanzi al giudice amministrativo quanto a quello
ordinario, e possono essere disapplicati da quest’ultimo , ancorché non rientranti nell’oggetto principale del giudizio , ex l. 2248 del 1865 all. E. Deduce che erroneamente la Corte d’Appello ha assorbito la domanda di disapplicazione del decreto del Commissario ad acta n. 1129 del 18.2.2008, con il quale è stato revocato il precedente decreto n. 21201 del 17.12.2007.
2.3. Sottolinea che la sentenza del Consiglio di Stato n. 1645/2010 è erronea in quanto provvedimento: emesso in assenza di competenza e giurisdizione; avente ad oggetto il decreto commissariale n. 1129/2008 reclamato e annullato dal TAR Calabria, giudice esclusivo dell’ottemperanz a, con sentenza n.1127/2008; la cui motivazione si fonda su un licenziamento che non avrebbe potuto essere irrogato in quanto il Naim avrebbe dovuto essere già trasferito alla Provincia di Reggio Calabria e la Regione, pertanto, ratione temporis, era priva di qualsivoglia potere datoriale.
2.5. Il secondo mezzo è anch’esso affetto da plurimi profili di inammissibilità.
2.6. Quanto alla doglianza sollevata ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. ci si riporta a quanto già detto al punto 1.7.
2.6. Quanto alle ulteriori censure, va premesso che è erronea la qualificazione degli atti di concreta gestione del rapporto di lavoro quali atti amministrativi, laddove essi, all’esito della contrattualizzazione del rapporto di impiego pubblico, sono atti di natura privatistica, con la conseguenza che l’istituto della disapplicazione è richiamato del tutto
impropriamente. Il motivo, comunque, è inammissibile perché non si confronta con la ratio principale della decisione: la definitiva risoluzione del rapporto di lavoro che rende evidentemente irrilevanti tutte le deduzioni relative ai precedenti atti di gestione del rapporto di lavoro, senza tacere che anche con riguardo ad essi sono del tutto omessi gli oneri di cui all’art. 366 c.p.c. , sia con riguardo ai documenti che ai provvedimenti giudiziali (cfr. innanzi 1.7. ed 1.10).
Con il terzo motivo si deduce l’o messo esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).
3.1. L ‘impugnata sentenza , sostiene il Naim, va censurata altresì nella parte in cui ha omesso di pronunciarsi circa la domanda di risarcimento dei danni derivati dalla perdita di chance , dalle iniziative intraprese per ottenere la tutela del suo diritto all’ammissione nei ruoli della Città Metropolitana di Reggio Calabria , dall’i llegittimo comportamento dell’Amministrazione convenuta, omissivo , già nel 2007, rispetto all’obbligo di immissione del ricorrente nel ruolo del personale dipendente. Il ricorrente ravvisa nel caso di una ipotesi di responsabilità datoriale ai sensi dell’art. 2043 c.c. sulla quale la Corte territoriale avrebbe dovuto pronunciare.
3.2. Il motivo è inammissibile perché il vizio di omessa pronunzia non è correttamente dedotto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 112 c.p.c. (cfr. Cass. S.U. n. 17931/2013) ed inoltre non è rispettoso dell’insegnamento del giudice di legittimità secondo cui: n el giudizio di legittimità la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., postula, per un verso,
che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del “fatto processuale”, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi (cfr. Cass. n. 28072/2021 e precedente giurisprudenza conforme ivi citata).
Con il quarto motivo è denunciata la violazione e/o falsa applicazione delle norme ex art. 360 n. 3) c.p.c.
4.1. La sentenza impugnata è erronea, illegittima ed ingiusta, assume il ricorrente in cassazione, anche nella parte in cui lo ha condannato al pagamento della metà delle spese del grado di appello, liquidate per l’intero in euro 8.365,00, oltre accessori di legge. Lamenta che i giudici di appello non hanno tenuto conto nel regolamento delle spese processuali della peculiarità del caso concreto e che la condanna de qua non può che rappresentare un effetto
deterrente sull’esercizio del diritto costituzionale di accesso alla tutela giudiziaria.
4.2. Il motivo, che neppure indica la norma asseritamente violata, è inammissibile alla luce del consolidato orientamento di questa Corte secondo cui in materia di disciplina delle spese processuali, il sindacato di legittimità è limitato alla violazione di legge, che si verifica qualora le spese stesse siano poste a carico della parte totalmente vittoriosa. La compensazione totale o parziale delle spese del giudizio costituisce, difatti, una facoltà discrezionale del giudice di merito, al cui prudente apprezzamento è rimessa la valutazione della ricorrenza delle condizioni per disporla, e – in virtù di un principio non in contrasto con una interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. – è sottratta all’obbligo di specifica motivazione, senza che, per questo, la statuizione diventi sindacabile in sede di impugnazione e di legittimità, a meno che non sia sorretta da ragioni palesemente illogiche, ossia tali da inficiare per la loro inconsistenza lo stesso processo formativo della volontà decisionale espressa sul punto (cfr. Cass. n. 17953/2005 e numerosissime precedenti e successive conformi). A tanto va aggiunto, per completezza, che nel caso di specie il ricorrente in cassazione si è giovato del potere di compensazione, seppur parziale, atteso che in applicazione del principio della soccombenza, egli avrebbe dovuto essere condannato al pagamento delle spese di lite, per l’intero.
Conclusivamente il ricorso è inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
7 . Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi, €. 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 3.4.2025.
La Presidente NOME COGNOME