Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 18718 Anno 2024
Civile Ord. Sez. U Num. 18718 Anno 2024
Presidente: COGNOME PASQUALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 20678-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio del dott. NOME COGNOME, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonché contro
COMUNE DI CASALMAGGIORE, PROVINCIA DI CREMONA;
– intimati – avverso la sentenza n. 5785/2022 del CONSIGLIO DI STATO, depositata l’11/07/2022;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
letta le memorie delle parti;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’11/06/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
Nell’anno 2000 il Comune di Casalmaggiore stipulò una convenzione urbanistica per l’attuazione del piano di lottizzazione industriale e artigianale c.d. ‘Medesine 3’ anche con la società RAGIONE_SOCIALE, la quale cedette, con atti notarili dell’11 ottobre 2006 e del 15 febbraio 2008, alcuni terreni inseriti nel piano di lottizzazione alla RAGIONE_SOCIALE, che,
a sua volta, li concesse in locazione finanziaria alla RAGIONE_SOCIALE (di seguito anche solo RAGIONE_SOCIALE).
Con atto di citazione, notificato nel maggio del 2013, la RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Mantova, la RAGIONE_SOCIALE e ne chiese la condanna al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata o tardiva realizzazione delle opere contemplate dalla convenzione urbanistica e, segnatamente, dell’innesto a rotatoria su una strada già statale e dei connessi interventi di asfaltatura e posa di segnaletica sulla strada di lottizzazione. Si costituì la RAGIONE_SOCIALE sRAGIONE_SOCIALE, la quale, evocando a giustificazione dell’inadempimento l’impossibilità sopravvenuta della prestazione, chiese, ed ottenne, la chiamata in causa, a titolo di manleva, del Comune di Casalmaggiore e della Provincia di Cremona, siccome ritenuti responsabili della tardiva o mancata realizzazione delle opere di urbanizzazione. Le Amministrazioni chiamate in causa si costituirono in giudizio, sollevando eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario e chiedendo, comunque, il rigetto della domanda proposta nei propri confronti.
Con sentenza n. 286 del marzo 2017, il Tribunale di Mantova declinò la propria giurisdizione, ritenendo sussistente la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Riassunta la causa dalla RAGIONE_SOCIALE dinanzi al T.a.r. per la Lombardia Sezione staccata di Brescia, quest’ultimo Tribunale
amministrativo, con sentenza non definitiva n. 544, resa pubblica il 5 giugno 2018, reputando ‘possibile per il momento solo una pronuncia sulla giurisdizione, in quanto gli aspetti di merito della controversia richiedono integrazioni istruttorie’, dichiarò la propria giurisdizione, disponendo procedersi con l’attività istruttoria per l’ulteriore ‘definizione del merito’.
In particolare, sul rilievo della chiamata in causa delle pubbliche amministrazioni che ‘hanno sottoscritto la convenzione urbanistica o sono intervenute nell’esecuzione della stessa adottando provvedimenti amministrativi’, il T.a.r. convenendo, in punto di giurisdizione, ‘con la tesi accolta dal Tribunale di Mantova’ -affermò che: a) ‘la controversia non riguarda(va) più soltanto i rapporti di credito tra i proprietari e gli utilizzatori dei terreni coinvolti nella lottizzazione, ma si sposta(va) sul problema dell’esercizio dei poteri di natura pubblicistica’; b) la convenzione urbanistica ‘non era più soltanto un fatto esterno alla controversia, presupposto remoto e pacifico delle pretese delle parti private, ma il quadro regolatorio di cui occorre(va) valutare il significato per stabilire chi, tra i soggetti pubblici e privati, non si (fosse) comportato correttamente nel dare attuazione a un programma di edificazioni comprendente anche opere di interesse pubblico’; c) ‘(p)ertanto i contratti che costitu iscono o trasferiscono diritti sui terreni della lottizzazione valgono alla pari dei comportamenti dei soggetti pubblici e privati, ossia come
elementi di fatto da confrontare con la disciplina codificata nella convenzione urbanistica’; d) ‘la decisione sulle domande risarcitorie discende(va), ed (era) logicamente dipendente, dall’accertamento della corretta procedura di esecuzione della convenzione urbanistica’; e) ‘(u)na volta impostato il rapporto processuale con questa gerarchia di questioni non (era) più possibile scindere le cause attraverso decisioni separate’.
Con sentenza definitiva n. 501 del 20 maggio 2019, il T.a.r. per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia -rammentando di aver, con la sentenza non definitiva n. 544 del 2018, ‘deciso la questione di giurisdizione’ e, quindi, trattenuto ‘la controversia per la decisione di merito sia sulla principale sia sulla domanda di garanzia proposta con lo strumento del ricorso incidentale’ -condannò la RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni patiti da RAGIONE_SOCIALE, quantificati in complessivi euro 239.580, oltre interessi sino al soddisfo, e rigettò la domanda di manleva proposta dalla stessa RAGIONE_SOCIALE nei confronti del Comune di Casalmaggiore e della Provincia di Cremona.
Con sentenza n. 4813, resa pubblica il 29 luglio 2020, il Consiglio di Stato -chiamato a pronunciarsi in ordine al gravame interposto, con atto di citazione del 22 luglio 2019, dalla RAGIONE_SOCIALE avverso le summenzionate sentenze, non definitiva n. 544/2018 e definitiva n. 501/2019, del T.a.r. per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia -dichiarava, in parziale
accoglimento dell’appello, ‘il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario in ordine alle pretese risarcitorie riconosciute dalla sentenza di primo grado’; respingeva l’appello ‘per la parte relativa all’asserita responsabilità’ delle Amministrazioni chiamate in causa; riformava, quindi, la sentenza di primo grado, respingendo in parte il ricorso e, per il resto, dichiarandolo inammissibile per difetto di giurisdizione.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE, affidando le sorti dell’impugnazione ad unico motivo di ricorso. Ha svolto ricorso incidentale, basato su unico motivo, la RAGIONE_SOCIALE, mentre non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli intimati Comune di Casalmaggiore e la Provincia di Cremona.
La Corte di Cassazione a sezioni unite, con la sentenza n. 38737 del 6 dicembre 2021 ha accolto il ricorso principale e, dichiarato inammissibile il ricorso incidentale, ha cassato la sentenza impugnata con rinvio al Consiglio di Stato.
Riassunto il giudizio, il Consiglio di Stato con la sentenza n. 5785 dell’11 luglio 2022 ha rigettato l’originario appello, e ha dichiarato, per quanto rileva ancora in questa sede, inammissibili i motivi di appello (I, II e VIII) con i quali si contestava l’affermazione della giurisdizione del giudice amministrativo.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la RAGIONE_SOCIALE sulla base di quattro motivi.
La RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Il pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso lamenta la violazione dell’art. 133 lett. f), della lett. a) n. 2, art. 7, co. 1, e 9, del D. Lgs, n. 104/2010, nonché dell’art. 37 c.p.c., in relazione all’art. 360. Co. 1, n. 1 e 362 c.p.c., e 111 Cost.
Si deduce che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che fosse preclusa la possibilità di riesaminare la questione della giurisdizione del giudice adito, dovendosi sempre ribadire la necessità che la giurisdizione del GA sia ancorata alla controversia che investa l’esercizio del potere amministrativo.
Se quindi era corretta la decisione nella parte in cui aveva escluso la responsabilità degli enti pubblici, non poteva però spingersi a decidere nel merito una controversia tra privati.
In tal modo è stata data prevalenza al giudicato scaturente dalla sentenza non definitiva del TAR Brescia sulla regola di riparto tra GO e GA.
Il secondo motivo denuncia la violazione del principio di stabilità del giudicato, dell’art. 37 c.p.c. e del principio di effettività della tutela con violazione dell’art. 360 co. 1, n. 1, c.p.c.
L’affermazione del TAR secondo cui il contenzioso si inseriva in un unico quadro regolatorio non permetteva di attrarre nella giurisdizione del GA anche le questioni che esulavano dal sindacato sui provvedimenti degli enti locali.
Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 133, lett. f) lett. a) n. 2, 7, co. 1, e 9 del D Lgs. n. 104/2010 in relazione all’art. 360 co. 1, n. 1 e 362 c.p.c., 110 del D. Lgs. n. 104/2010 e 111 Cost.
Si rileva che l’esercizio del potere di pianificazione non può generare diritti risarcibili, se non per la violazione di diritti fondamentali, così che il privato che lamenti il pregiudizio derivante dall’omesso rispetto di un termine contrattualmente fissato al venditore, e che non sia parte in proprio di una convenzione conclusa con l’ente pubblico, pone una controversia che esula dal novero di quelle sottoposte alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Il quarto motivo lamenta la violazione dell’art. 133, lett. f) nonché lett. a) n. 2, 7, co. 1, e 9 del D. Lgs. n. 104/2010, dell’art. 37 c.p.c., in relazione all’art. 360 co. 1, n. 1 e 362 c.p.c., 110 del D. Lgs. n. 104/2010 e 111 Cost., con la violazione dei principi in tema di prova del danno ex artt. 112 e ss., c.p.c.
Si ribadisce che le controversie fra privati non possono essere devolute alla cognizione del giudice amministrativo.
La decisione da parte del GA nella specie ha alterato il formarsi del convincimento del giudice, avendo il Consiglio di Stato trascurato circostanze rilevanti ai fini della decisione. L’affidamento al GA della domanda risarcitoria rende problematico stabilire come questo possa operare in base a criteri officiosi, determinando quindi uno sconvolgimento dei mezzi di prova.
I motivi, che possono esser congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono inammissibili, in quanto finalizzati a rimettere in discussione l’individuazione del giudice munito di giurisdizione, in contrasto con quanto già definitivamente appurato da parte della sentenza di questa Corte n. 38737/2021, emessa nell’ambito del medesimo giudizio.
Con tale pronuncia, ed in accoglimento del ricorso a suo tempo proposto dall’odierna controricorrente, è stata cassata la prima sentenza del Consiglio di Stato n. 4813/2020, che aveva invece affermato la giurisdizione del GO, quanto alle domande risarcitorie accolte dalla sentenza di primo grado del TAR.
Queste Sezioni Unite, dopo avere affermato che ‘il motivo di impugnazione della sentenza del Consiglio di Stato che si sostanzia nel vizio di violazione del giudicato interno è motivo ammissibile e sindacabile in quanto motivo attinente alla giurisdizione, ancorché relativo all’esercizio del potere
giurisdizionale da parte del giudice amministrativo’, hanno ribadito che la formazione di un giudicato interno formatosi sulla giurisdizione ‘vincola il giudice del processo in cui si è formato e la Corte, quando decide del ricorso per cassazione, ancorché per motivi inerenti alla giurisdizione e contro decisione del giudice amministrativo o contabile, pronuncia nell’ambito di quel giudizio’.
In particolare, tale conclusione si giustifica – a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 24883/2008 sul giudicato implicito sulla giurisdizione -alla luce della disciplina del regime delle impugnazioni e sulla regola stabilita dall’art. 37 c.p.c., con la conseguenza che si è inteso escludere che ‘il giudice dei successivi gradi del processo abbia il potere di tornare a decidere della questione di giurisdizione, dopo una pronuncia che la concerna, espressa o implicita che sia’.
Pertanto, la violazione da parte del Consiglio di Stato di una norma del procedimento incidente sul rilievo di giurisdizione -come la disciplina che regola la formazione del giudicato, anche implicito, su tale questione – non è violazione di una norma meramente processuale, interna ai limiti della giurisdizione, ma una violazione che si sostanzia in una decisione sulla giurisdizione, sindacabile dalle Sezioni Unite. E tale sindacato, in quanto sulla giurisdizione, è un sindacato pieno, che investe la portata delle norme processuali di riferimento e con esse
l’esistenza o meno della formazione di un giudicato processuale sulla giurisdizione, a prescindere, dunque, dall’interpretazione che sul punto possa averne dato la decisione impugnata del giudice amministrativo. Nella specie è stato riscontrato che la sentenza non definitiva n. 544/2018 del T.a.r. per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia -resa, dunque, ai sensi dell’art. 36, comma 2, c.p.a. (‘Il giudice pronuncia sentenza non definitiva quando decide solo su alcune delle questioni, anche se adotta provvedimenti istruttori per l’ulteriore trattazione della causa’) -aveva affermato e dichiarato, anche in dispositivo, la propria giurisdizione su tutte le pretese azionate nel giudizio ad esso devoluto, la cui decisione nel merito è stata rimessa alla sentenza definitiva per le esigenze di istruire la causa. In tal senso (e a prescindere dalla sua correttezza in iure ) doveva reputarsi chiara la statuizione del T.a.r. di radicare presso di sé (in esplicita adesione alla statuizione resa dal Tribunale ordinario di Mantova, originariamente adito dalla RAGIONE_SOCIALE) la giurisdizione non solo sulle pretese risarcitorie avanzate dalla RAGIONE_SOCIALE, ma anche su quelle di manleva proposte dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti delle amministrazioni pubbliche chiamate in causa a titolo di garanzia.
Il T.a.r. per la Lombardia, con la sentenza definitiva n. 501/2019, aveva comunque ribadito, in modo inequivocabile, di essersi già pronunciato sulla giurisdizione con la sentenza non definitiva.
Poiché avverso la sentenza non definitiva non era stato proposto appello o riserva di appello ai sensi dell’art. 103 c.p.a., e poiché era stata impugnata la sentenza non definitiva soltanto unitamente alla sentenza definitiva n. 501/2019, la declaratoria di giurisdizione pronunciata nella prima decisione era passata in giudicato. La soluzione era imposta dall’art. 9 c.p.a., per cui il ‘difetto di giurisdizione … (n)ei giudizi di impugnazione è rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione’. Atteso che il motivo di appello sulla giurisdizione non era stato proposto in base alla disciplina dettata dal citato art. 103, si era venuto a formare il giudicato a seguito della sentenza non definitiva n. 544/2018, sicché non poteva il Consiglio di Stato rimettere in discussione la maturata preclusione.
La soluzione del Consiglio di Stato era quindi erronea in quanto l’evidenza della statuizione resa dal primo giudice in punto di giurisdizione, che non era stata astratta, ma concreta e specifica, vertendo su tutte le domande proposte in giudizio (sia risarcitorie, che di manleva) ed espressamente pronunciata in dispositivo, con la coerente rimessione alla decisione definitiva del solo merito della controversia, che necessitava di istruzione probatoria, imponeva la cassazione della sentenza impugnata.
3. Dal contenuto della precedente decisione di questa Corte emerge che l’attribuzione della giurisdizione della controversia al GA, inclusiva anche delle domande risarcitorie proposte tra privati, sia già stata affermata da parte del Tar con la sentenza non definitiva, e con efficacia di giudicato (giudicato che questa Corte ha appunto riscontrato, e che, seppure esclude che la relativa pronuncia possa assumere carattere panprocessuale ex art. 310 c.p.c., non impedisce però che se ne debba tenere conto all’interno del medesimo processo, come appunto nella fattispecie, nel quale è impugnata la sentenza del Consiglio di Stato emessa all’esito della riassunzione dell’originario giudizio).
I motivi di ricorso tendono nel complesso a rimettere in discussione, in maniera non consentita, la declaratoria di giurisdizione ormai coperta dal giudicato, non potendo trovare accoglimento, proprio alla luce dell’assolutezza dell’affermazione della giurisdizione del giudice amministrativo su tutte le controversie dedotte in giudizio, la pretesa distinzione compiuta dalla ricorrente tra la questione che investe le pretese omissioni o ritardi delle PPAA e la responsabilità del venditore nei rapporti con l’ acquirente, avendo la sentenza non definitiva del Tar reputato che l’intera controversia fosse devoluta al GA, in quanto con la chiamata in causa o garanzia del terzo (nella specie le amministrazioni pubbliche), la controversia non riguardava più solo i rapporti di credito tra i proprietari e gli utilizzatori dei
terreni, ma si spostava sul tema dell’esercizio di poteri di natura pubblicistica.
Il ricorso è quindi dichiarato inammissibile, e la ricorrente va condannata al rimborso delle spese in favore della parte controricorrente, come da dispositivo che segue.
Nulla a disporre quanto alle parti rimaste intimate.
Ritiene la Corte che, anche a seguito della sollecitazione della parte controricorrente possa pervenirsi alla condanna ex art. 96 co. 3 c.p.c. della società ricorrente.
Infatti, la giurisprudenza di questa Corte ha anche di recente ribadito che il fondamento costituzionale della responsabilità aggravata ex art. 96, comma 3, c.p.c., risiede nell’art. 111 Cost. il quale, ai commi 1 e 2, sancisce il principio del giusto processo regolato dalla legge e quello, al primo consustanziale, della sua ragionevole durata – e ha come presupposto la mala fede o colpa grave, da intendersi quale espressione di scopi o intendimenti abusivi, ossia strumentali o comunque eccedenti la normale funzione del processo, i quali non necessariamente devono emergere dal testo degli atti della parte soccombente, potendo desumersi anche da elementi extratestuali concernenti il più ampio contesto nel quale l’iniziativa processuale s’inscrive (Cass. n. 36591/2023).
Inoltre, è stato precisato che, in tema di responsabilità aggravata ex art. 96, comma 3, c.p.c., costituisce indice di mala fede o
colpa grave – e, quindi, di abuso del diritto di impugnazione – la proposizione di un ricorso per cassazione con la coscienza dell’infondatezza della domanda o dell’eccezione, ovvero senza avere adoperato la normale diligenza per acquisire la coscienza dell’infondatezza della propria posizione, non compiendo alcuno sforzo interpretativo, deduttivo ed argomentativo per mettere in discussione, con criteri e metodo di scientificità, il diritto vivente o la giurisprudenza consolidata, sia pure solo con riferimento alla fattispecie concreta (Cass. S.U. n. 32001/2022).
Nella specie, il ricorso ripropone la questione di giurisdizione circa le domande risarcitorie proposte dalla controricorrente e derivanti dal contratto intervenuto con la ricorrente, nonostante la stessa fosse stata già esaminata e deliberata da queste Sezioni Unite, omettendo di prendere in considerazione quanto già statuito, se non per assumerne, in contrasto con la pina lettura della precedente decisione di questa Corte, che il tema della giurisdizione fosse ancora suscettibile di valutazione.
Trattasi di condotta che appare sussumibile nella nozione di abuso del processo che connota la responsabilità ex art. 96 c. 3 c.p.c., e pertanto la ricorrente deve essere condannata a tale titolo al pagamento della somma di € 5.000,00, così quantificata in misura pari alla metà della somma liquidata a titolo di spese processuali.
Poiché il ricorso è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della
legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile;
Condanna la ricorrente al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi € 10.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre 15% sui compensi per spese generali, ed accessori di legge se dovuti;
condanna la ricorrente ex art. 96 co. 3 c.p.c. al pagamento in favore della controricorrente della somma di € 5.000,00
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio dell’11 giugno 2024.
Il Presidente
NOME COGNOME