Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 17158 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 17158 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21798/2021 R.G. proposto
da
COGNOME NOME , elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che la rappresenta e difende
Oggetto: Intermediazione finanziaria – Inadempimento obblighi intermediario – Risarcimento danni
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
Ud. 10/06/2025 CC
nonché contro
COGNOME NOME
-intimato – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO ANCONA n. 588/2021 depositata il 17/05/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 10/06/2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 588/2021, pubblicata in data 17 maggio 2021, la Corte d’appello di Ancona, decidendo in sede di rinvio ex art. 384 c.p.c. a seguito dell’ordinanza di questa Corte n. 12050/2019, pubblicata in data 8 maggio 2019, ha -nella regolare costituzione di RAGIONE_SOCIALE e di NOME COGNOME e nella contumacia di NOME COGNOME -accolto parzialmente l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Pesaro n. 272/2010, pubblicata in data 9 giugno 2010.
Per l’effetto, ha condannato RAGIONE_SOCIALE a corrispondere in favore di COGNOME la rivalutazione monetaria sulla somma di € 13.107,11, ‘da calcolarsi secondo gli indici ufficiali Istat dal 19.10.1995 alla data della sentenza di primo grado, oltre che per interessi legali, da calcolarsi su tale somma progressivamente, e di anno in anno, rivalutata fino a tale data, e per interessi legali dalla pronuncia al saldo’ , compensando sia le spese del giudizio di legittimità sia le spese del giudizio di rinvio.
-controricorrente –
NOME COGNOME aveva convenuto RAGIONE_SOCIALE impugnando una serie di contratti di prestazione di servizi finanziari stipulati tra le parti per il tramite del promotore finanziario NOME COGNOME, deducendo la violazione degli obblighi di informativa, correttezza e trasparenza e chiedendo la condanna della convenuta alla restituzione della somma di € 912.566,76, oltre interessi legali, rivalutazione monetaria e risarcimento dell’ulteriore danno allegato .
Il Tribunale di Pesaro aveva accolto solo parzialmente la domanda, condannando RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di € 13.107,11, quale differenza tra la somma totale versata per gli investimenti e quella liquidata al momento di cessazione del rapporto, oltre -riferisce la decisione impugnata -‘alla rivalutazione monetaria, dalla data di insorgenza del rapporto (19.10.1995) alla pronuncia, da calcolarsi sulle singole somme versate di volta in volta, nonché interessi legali calcolati sulle predette somme, rivalutate di anno in anno, fino all’effettivo soddisfo’ .
Respinto integralmente da parte della Corte d’appello di Ancona il gravame proposto da RAGIONE_SOCIALE, questa Corte, con la già citata ordinanza n. 12050/2019 aveva invece cassato la decisione della Corte anconetana nella parte in cui quest’ultima aveva inteso confermare con motivazione ritenuta da questa Corte non rispettosa dell’art. 132, n. 4), c.p.c. -la statuizione del giudice di prime cure in ordine alla determinazione di rivalutazione ed interessi.
La Corte d’appello, nell’esaminare nuovamente il motivo di appello proposto dalla Banca, ha rilevato in premessa che il giudice di prime cure, dopo aver dato atto dell’intervenuta restituzione da parte di RAGIONE_SOCIALE della somma di € 899.459,65 – pari al
rendimento degli investimenti effettuati al momento della cessazione del rapporto -aveva quantificato il danno subito da NOME COGNOME nella differenza fra il complessivo importo dei versamenti effettuati dall’investitore nel corso del rapporto, pari a complessivi € 912.566,76, e quanto restituito , determinando in tal modo la somma di € 13.107,11, qualificata come credito di valore.
La Corte ha quindi evidenziato che, tale essendo la determinazione del danno operata dal primo giudice, ogni ulteriore pretesa risarcitoria avanzata da NOME COGNOME doveva ritenersi essere stata disattesa con statuizione coperta da giudicato.
Ritenuta in tal modo ormai coperta da giudicato sia la determinazione del danno nella misura di € 13.107,11 sia la qualificazione della stessa come debito di valore, la Corte d’appello è conseguentemente giunta alla determinazione del criterio di calcolo di rivalutazione ed interessi enunciato nel dispositivo.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Ancona ricorre COGNOME NOME.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
È rimasto intimato COGNOME NOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
Le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a cinque motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 394 c.p.c. ‘ per
aver ritenuto la presenza di un ‘giudicato’ non rilevato dalla ordinanza di rimessione ‘ .
Si censura la decisione impugnata nella parte in cui la stessa ha ritenuto la sussistenza di un vincolo di giudicato in ordine alla determinazione del danno operata dal Tribunale.
Argomenta, in particolare, il ricorso che ‘ laddove fosse maturato un giudicato interno sulla determinazione del danno, complessivamente limitato ad €uro 13.107,11 (salvo interessi e rivalutazione su questa somma), la Ecc.ma Corte di Cassazione (ovviamente anche d’ufficio) lo avrebbe rilevato, eventualmente rimettendo le parti avanti alla Corte d’Appello per la determinazione del dies a quo e del dies ad quem sui quali computare rivalutazione e interessi (solo) su tale, ridotta, somma. ‘.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., ‘ Violazione e falsa applicazione degli artt. 323 e 324 c.p.c. anche in relazione all’art. 100 c.p.c., nonché 2909 cod. civ. in ordine alla ritenuta cosa giudicata ‘ .
Richiamate le conclusioni della decisione di prime cure, il ricorrente evidenzia di avere domandato sia la restituzione integrale delle somme investire sia il riconoscimento del maggior danno da perdita di redditività.
Deduce, quindi, che la decisione di prime cure avrebbe escluso il solo ‘maggior danno’, mentre avrebbe in ogni caso riconosciuto il danno da perdita di redditività con statuizione che il ricorrente deduce essere passata in giudicato.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., la violazione degli artt. 111 Cost e 132, n. 4), c.p.c. ‘per omessa e/o apparente e/o incomprensibile motivazione’ .
Argomenta, in particolare, il ricorso che la decisione della Corte territoriale avrebbe riformato la decisione di prime cure sulla base di un ragionamento logicamente non corretto e caratterizzato da incongruenza logica, omettendo di valutare il contenuto precettivo del dispositivo della decisione di prime cure ed invocando un inesistente giudicato.
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., la ‘ Violazione degli artt. 111 della costituzione e 132 n. 4 c.p.c. per omessa e/o apparente e/o incomprensibile motivazione in ordine all’erroneo accoglimento del sesto motivo di appello’ .
Si censura la decisione impugnata nella parte in cui la stessa ha affermato che l’odierno ricorrente aveva dedotto solo in sede di rinvio che il danno subito non poteva essere limitato alla mera differenza matematica tra quanto complessivamente versato e quanto restituito.
Deduce il ricorrente di avere invece sollevato la questione sia in sede di primo appello sia in sede di giudizio di legittimità e che pertanto ‘la Corte d’Appello, con ragionamento apodittico e contraddetto dai documenti del fascicolo ha totalmente omesso di valutare le argomentazioni critiche del COGNOME (avverso l’appello RAGIONE_SOCIALE) volte a sostenere la validità della ‘complessiva’ liquidazione del danno operata dal Tribunale di prime cure e l’assenza del denunciato ‘effetto distorsivo’.’
1.5. Con il quinto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1223 c.c.
Il ricorrente censura la decisione della Corte d’appello per non aver riconosciuto il ‘mancato guadagno’ quale conseguenza della indisponibilità delle somme investite e dell’accertato inadempimento dell’intermediario finanziario, ed argomenta che ‘la ‘naturale
redditività’ del denaro rimasto indisponibile a causa dell’accertato inadempimento dell’intermediario costituisce ‘componente naturale’ dell’obbligazione risarcitoria che, nella misura minimale degli interessi legali, è da riconoscersi in via presuntiva (cfr. Sez. Unite 1942/2008) così non necessitando di ulteriore prova ne (secondo lettura di Codesta Ecc.ma Corte) di esplicita domanda ben potendo essere liquidata anche d’ufficio dal Giudice’ .
Deduce, pertanto, che ‘la sentenza qui impugnata ha fatto cattivo governo delle norme ritenendo che le due figure di danno: – naturale redditività del denaro nella misura minima presunta degli interessi legali – maggior danno per utilizzo alternativo e più remunerativo delle somme, rientrassero entrambe nelle seppur specifica statuizione di rigetto della sola domanda avente ad oggetto il maggior danno da utilizzo alternativo del denaro proposto (e richiesto) dal COGNOME ‘in aggiunta’ al danno da perdita della naturale redditività del denaro’ .
I motivi di ricorso sono, nel loro complesso, inammissibili e tale profilo risulta assorbente rispetto a ll’eccezione di nullità della procura rilasciata dal ricorrente al nuovo difensore dopo il deposito del ricorso.
2.1. L’inammissibilità del primo motivo discende dalla constatazione che le contestazioni del ricorrente in ordine alla sussistenza del giudicato ravvisato dalla decisione impugnata si vengono a basare non sul contenuto degli atti e delle decisioni dei precedenti gradi ma sulla mera circostanza che questa Corte si sia pronunciata sul primo ricorso per legittimità, escludendo implicitamente -così opina (erroneamente) il ricorrente -la sussistenza di un vincolo di giudicato.
Vi è da osservare che l’argomentazione del tutto priva dei necessari contenuti di specificità di cui all’art. 366 c.p.c. omette radicalmente di considerare che la sentenza di questa Corte ha cassato
la precedente decisione della Corte territoriale unicamente in relazione all’assenza di adeguata motivazione in ordine al riconoscimento , da parte della decisione in quella sede impugnata, del maggior danno da svalutazione monetaria, con statuizione che, pertanto, risultava pienamente compatibile con il successivo rilievo del vincolo da precedente giudicato poi ravvisato dalla decisione qui impugnata.
2.2. Inammissibile è anche il secondo motivo, il quale non censura adeguatamente la ratio della decisione impugnata, la quale si è basata non solo su un’analisi e ricostruzione del contenuto dell’originaria decisione del Tribunale ma anche sulla scorta significativa circostanza costituita dalla mancata impugnazione di detta decisione da parte dell’odierno ricorrente , nonostante la sentenza del Tribunale contenesse una evidente limitazione del risarcimento dei danni ad una specifica cifra.
Il contenuto del mezzo, invero, non si confronta con tale ratio se non con argomentazioni (pagg. 28-29 ‘ Il COGNOME avrebbe certamente potuto impugnare il rigetto del c.d. ‘Maggior Danno’ ma così facendo egli si sarebbe esposto al rischio del rigetto di detto appello con conseguenza sulle spese del grado, rischio che, in forza del già avvenuto riconoscimento della ‘naturale redditività’ del denaro, decideva di non correre. Per tale ragione, non avendo interesse a coltivare l’appello sul c.d. ‘Maggior Danno’ il COGNOME si costituiva nell’appello promosso da Banca RAGIONE_SOCIALE limitandosi a richiederne il rigetto (…)’ , oltre alla successiva riproduzione delle argomentazioni svolte nel primo giudizio di appello) che valgono semmai a confermare indirettamente la valutazione espressa dalla decisione qui impugnata e non traggono alcun ausilio dall’ulteriore tentativo del ricorrente di operare una ricostruzione ipotetica dell’effettivo contenuto della decisione di prime cure.
2.3. Decisione la cui motivazione -e si passa in tal modo al terzo motivo -risulta pienamente rispettosa del vincolo di cui agli artt. 111 Cost. e 132 c.p.c., dovendosi rammentare che con la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., il sindacato di legittimità sulla motivazione risulta ormai perimetrato entro il “minimo costituzionale” con la conseguenza che è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si sia tramutata in violazione di legge costituzionalmente rilevante, esaurendosi detta anomalia nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022), laddove è evidente che nel caso in esame, non solo non appare ravvisabile alcuno di tali vizi ma anche appare evidente dallo sviluppo del motivo di ricorso che lo stesso non evidenzia alcun vizio della motivazione ma mira a conseguire -tramite la deduzione di un’ipotesi non pertinente quale quella di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c. – un rinnovato giudizio sul merito della decisione.
Ne consegue la declaratoria di inammissibilità, essendo inammissibile il ricorso per cassazione che, dietro l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U – Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017), atteso che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio,
a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti (Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013).
2.4. Il quarto motivo di ricorso si sostanzia in una riproposizione promiscua delle doglianze formulate con il secondo ed il terzo motivo: da un lato, si ripropone il profilo del vizio di motivazione ; dall’altro lato, si censura nuovamente la decisione della Corte d’appello nella parte in cui la stessa ha ravvisato l’esistenza di un vincolo di giudicato in ordine alla determinazione del quantum del risarcimento.
La sostanziale sovrapponibilità del motivo a quello precedenti, quindi, non può che condurre anche in questo caso alla declaratoria di inammissibilità, dovendosi osservare che, una volta constatata l’assenza di vizi della decisione impugnata nella parte in cui la stessa ha argomentatamente ravvisato un vincolo di giudicato in ordine alla determinazione del risarcimento del danno nella misura di € 13.107,11 , le doglianze ulteriori del ricorrente non possono che risultare precluse in quanto finalizzate a superare o aggirare un giudicato.
2.5. Non dissimili considerazioni devono essere svolte in relazione al quinto ed ultimo motivo.
Ribadito che la determinazione del quantum del risarcimento è stata ritenuta dalla decisione impugnata coperta da un giudicato che non è stato adeguatamente censurato nella presente sede ed osservato che, a questo punto, il giudice del rinvio era chiamato -come dallo stesso correttamente opinato -alla sola rideterminazione degli accessori, risulta inevitabile constatare che anche in questo caso il motivo di ricorso non si confronta con la ratio della decisione, nel moment in cui si sofferma ancora una volta sulla tesi per cui oggetto
del giudizio di rinvio era anche la tematica del riconoscimento di un danno ulteriore rispetto a quello già liquidato in prime cure.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso, condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 8.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il giorno 10 giugno 2025.
Il Presidente NOME COGNOME