Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 27210 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 27210 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 11/10/2025
Oggetto
Responsabilità civile generale
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2712/2024 R.G. proposto da COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIOti AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, domiciliato digitalmente ex lege ;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO.ti NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME , domiciliata digitalmente ex lege ;
-controricorrente – nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO, domiciliata digitalmente ex lege ;
-controricorrente –
e contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME;
-intimati – avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano , n. 3260/2023, depositata in data 16 novembre 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 1° ottobre 2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME convenne in giudizio davanti al Tribunale di Milano NOME COGNOME, NOME COGNOME, il RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE in seguito RAGIONE_SOCIALE BPM RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE) e RAGIONE_SOCIALE (in seguito incorporata in RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE S.p.A.), chiedendone la condanna, in solido o per quanto di ragione, al risarcimento del danno subito in qualità di erede universale del defunto NOME COGNOME, per un importo di euro 2.067.764,09, o nella diversa misura da accertarsi in corso di causa.
Espose a fondamento che, tra il 1999 e il 2004, NOME COGNOME, segretaria del RAGIONE_SOCIALE, con la collaborazione del COGNOME e la negligenza delle banche convenute, avrebbe distratto ingenti somme dai conti correnti del RAGIONE_SOCIALE, di cui la stessa era contitolare o su cui aveva delega ad operare, approfittando della sua fragilità dovuta al Parkinson.
Il Tribunale rigettò la domanda e condannò parte attrice alle spese processuali ed al pagamento della ulteriore somma di euro 5.000,00, ex art. 96, terzo comma, c.p.c..
La Corte d’appello, in parziale riforma, revocò tale condanna ma confermò il rigetto della domanda risarcitoria, condannando
l’appellante alle spese .
Con ordinanza n. 9198 del 19/05/2020 questa Corte cassò tale decisione rilevando, in accoglimento del secondo e del quinto motivo del ricorso proposto dal COGNOME, che la Corte d ‘ appello avrebbe dovuto ammettere l’ordine di esibizione documentale richiesto da COGNOME ai sensi dell’art. 119 t.u.b. e considerare la validità della lettera del 27 ottobre 2011 come atto interruttivo della prescrizione; dichiarò, invece, inammissibili o assorbiti gli altri motivi di ricorso e rinviò alla Corte d’appello in diversa composizione, anche per le spese .
Procedendo al giudizio di rinvio la Corte d’appello di Milano ─ delimitato, in sede istruttoria, il perimetro dell’ulteriore indagine al periodo compreso tra il 27/10/2001 ed il 27/09/2004 ─ ha ordinato alle banche l’esibizione di ulteriori documenti e disposto un supplemento di indagine peritale a cura dello stesso c.t.u. già officiato in primo grado, sulla scorta del quesito allo stesso già in precedenza formulato .
Acquisito, quindi, il supplemento di consulenza, ha pronunciato sentenza, n. 3260/2023, resa pubblica in data 16 novembre 2023, con la quale ha nuovamente confermato la decisione di rigetto della domanda risarcitoria e revocato la condanna del COGNOME al pagamento di somma ex art. 96, terzo comma, c.p.c., condannando il
predetto alla rifusione delle spese del giudizio di appello, di quello di cassazione e del giudizio di rinvio.
In motivazione, per quanto in questa sede interessa, ha rilevato che:
─ non si può considerare formato un giudicato interno quanto alla « idoneità a ritenere concludenti le corrispondenze tra prelievi ed accrediti ovvero a valutare le mancanze quali indici di incasso in contanti », avendo la Corte di cassazione disposto il rinvio ai fini di un nuovo esame delle prove offerte e dovendosi, pertanto, procedere ad una nuova valutazione dei fatti;
─ anche all’esito delle ulteriori acquisizioni documentali era risultata confermata l’esistenza di due sole operazioni caratterizzate da « un’oggettiva corrispondenza e correlazione tra le uscite addebitate e le entrate accreditate », le quali, però, non presentavano un carattere di anomalia tale da poter far sorgere ragionevoli dubbi circa la regolarità delle stesse.
In tal senso la Corte meneghina ha in particolare valorizzato:
─ il non elevato importo delle operazioni correlate evidenziate dal c.t.u. (euro 17.582,28);
─ la non significativa frequenza delle stesse : soltanto due a fronte del rapporto di collaborazione lavorativa di NOME COGNOME quale segretaria del COGNOME durato anni;
─ gli esiti, tutti favorevoli alla COGNOME, dei giudizi, civili e penali, contro di essa promossi dal RAGIONE_SOCIALE per le vicende in oggetto;
─ l’assenza di qualsivoglia iniziativa da parte del COGNOME nei confronti della sua segretaria, di cui non aveva mai contestato l’operato;
─ la circostanza che, per tutto il periodo oggetto dell’indagine, il COGNOME era perfettamente capace di autodeterminarsi e di adire personalmente l’Autorità giudiziaria al fine di tutelare il proprio patrimonio, se avesse voluto, ciò quantomeno fino al 27 settembre 2004 data in cui rilasciò una procura a rogito del AVV_NOTAIO di
Alessandria;
─ la delega conferita a NOME COGNOME ad operare, con firma separata, sui conti correnti cui ineriscono le due operazioni rilevate dal c.t.u..
Avverso tale decisione NOME COGNOME propone ricorso per cassazione articolando sette motivi, cui resistono RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE S.p.a. e RAGIONE_SOCIALE BPM S.p.a., depositando distinti controricorsi.
NOME COGNOME e NOME COGNOME non svolgono difese in questa sede; È stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti costituite.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero. Il ricorrente e la RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia , con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ. « violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e degli artt. 324, 383 e 384 c.p.c., nonché degli artt. 113, 115, 116, 132 e 279 c.p.c., anche in relazione agli artt. 24 e 111 Cost. ».
Lamenta che l a Corte d’ appello abbia contraddittoriamente affermato:
prima , al momento del conferimento dell’incarico di consulenza suppletiva, l’esistenza di un giudicato interno e ciò con ordinanza del 21/12/2022 con la quale la Corte ─ esaminata la richiesta dell’attore in riassunzione di chiarire ‘ la corretta interpretazione del quesito specificando cosa debba intendersi per ‘oggettiva corrispondenza e correlazione’ e per ‘somme in uscita dai conti intestati al sig. COGNOME che risultino eventualmente correlate alle entrate sui conti intestati alla sig .ra COGNOME‘, eventua lmente riformulando il quesito stesso e/o incaricando il c.t.u. di predisporre separati conteggi in relazione dei diversi criteri utilizzati ‘ ─ l’aveva respinta sul rilievo che la Corte di cassazione si era pronunciata, sul profilo in oggetto, affermando
l’inammissibilità della doglianza di cui al quarto motivo, anche in relazione alla « idoneità a ritenere concludenti le corrispondenze tra prelievi ed accrediti ovvero a valutare le mancanze quali indici di incasso in contanti », donde l’impossibilità di un diverso scrutinio sul punto, « siccome precluso dal sopravvenire del giudicato endoprocessuale »;
b) poi, in sentenza , l’insussistenza di un tale giudicato interno .
Sostiene che, con un tal modo di procedere, la Corte di merito ha violato le norme indicate in rubrica avendo utilizzato un argomento processuale del tutto errato (il giudicato endoprocessuale) per non entrare in una valutazione di merito, salvo poi riconoscere che tale giudicato interno non sussisteva.
Rimarca che la pronuncia cassatoria aveva dichiarato inammissibile, siccome di merito, la censura relativa alla « idoneità a ritenere concludenti le corrispondenze tra prelievi e accrediti », ma aveva anche chiarito che, « all’esito della rivalutazione conseguente al rinvio disposto in questa sede, restano aperte le valutazioni istruttorie della Corte di merito, nella piena e libera valutazione delle eventuali inferenze da effettuare sulla base delle possibili nuove acquisizioni documentali e valutazioni temporali ».
1.1. Il motivo è palesemente inammissibile.
Come evidenzia lo stesso ricorrente non vi era, nella ordinanza che ha cassato con rinvio la sentenza d’appello, alcuna statuizione o affermazione che vincolasse il giudice di rinvio in ordine alla nuova valutazione di merito da compiere, avendo tutt’al contrario la RAGIONE_SOCIALE rimarcato il carattere « pieno e libero » di tale valutazione.
Non si vede dunque come e in che modo la valutazione di merito compiuta dal giudice di rinvio possa aver violato l’art. 290 9 cod. civ. o l’art. 324 c.p.c.: è lo stesso ricorrente a negare che sussistesse sul punto in questione alcun giudicato interno e non diversa cosa si afferma nella sentenza qui impugnata, alla quale soltanto, ovviamente, va
riferito il sindacato richiesto in questa sede e non certo alla ordinanza istruttoria, priva di alcun rilievo o vincolo rispetto alla successiva decisione, neppure argomentativo; né è spiegato o può comunque intendersi come e in che modo possano ritenersi violati gli artt. 383 e 384 c.p.c. e l’altra lunga serie di norme processuali evocate in rubrica.
Al fondo appare evidente che ciò di cui si duole il ricorrente è il mancato « chiarimento » del quesito di consulenza nei sensi dallo stesso auspicati in modo da rendere più elastici e meno ristretti i criteri di collegamento tra uscite dal conto COGNOME e entrate nel conto COGNOME rilevanti ai fini dell’accertamento richiesto ; si tratta cioè della stessa doglianza che, per il suo evidente carattere prettamente di merito, è stata già dichiarata inammissibile da questa Corte con l’ordinanza menzionata e che allo stesso modo non può che essere valutata in questa sede: ciò ─ varrà precisare a scanso di equivoci ─ non certo perché quella valutazione formi oggetto di giudicato vincolante, ma perché essa è qui pienamente condivisa, trattandosi per l’appunto di una contestazione che investe l’attività di valutazione degli elementi istruttori riservata al giudice del merito e qui sindacabile nei ristretti limiti del vizio di omesso esame ex art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ. (vizio, però, nella specie nemmeno deducibile come sarà detto nello scrutinio del sesto motivo).
Con il secondo motivo ─ rubricato « violazione e/o falsa applicazione degli artt. 61, 62, 63, 127, 191, 194, 195, 196 c.p.c., nonché degli artt. 113, 115, 116 e 279 c.p.c., anche in relazione agli artt. 24 e 111 Cost. (art. 360, n. 3 c.p.c.) » ─ il ricorrente prospetta la medesima doglianza sotto altra etichetta qualificatoria.
Sostiene che, ritenendo di non dover specificare o interpretare il quesito peritale, limitando così la portata delle indagini e il compito dell’ausiliario , il giudice di rinvio avrebbe « frainteso » la « portata dei poteri del giudice in relazione ai compiti ed alle funzioni dei propri ausiliari », mal applicand o i suoi poteri di direzione dell’udienza ex art.
127 c.p.c. e di disporre la rinnovazione della consulenza ex art. 196 c.p.c..
2.1. Il motivo è inammissibile.
Non vi è alcuna affermazione in sentenza che lasci intendere che il rifiuto di dare ingresso al richiesto « chiarimento » del mandato peritale sia dipeso da una errata interpretazione delle norme processuali evocate in tema di consulenza tecnica d’ufficio o di direzione dell’udienza : senza dire che, se anche di ciò si trattasse, si tratterebbe di violazioni prive di effetto invalidante sulla sentenza (salvo che non si risolvano in violazioni del contraddittorio) ma semmai sindacabili solo per gli eventuali riflessi sulla ricognizione della fattispecie concreta, nei limiti del vizio di omesso esame ex art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ. (con riferimento al quale, come già anticipato, si rimanda all’esame del sesto motivo).
Con il terzo motivo ─ rubricato « nullità della sentenza e del procedimento per error in procedendo e per insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360, n. 4 c.p.c.) » ─ il ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia sostenuto tesi opposte sulla questione del giudicato interno, avendolo prima ritenuto sussistente, e poi invece escludendolo, e che pertanto non sia così mai entrata nel merito della richiesta di chiarimenti interpretativi del quesito peritale, con l’effetto di rendere la motivazione del tutto apparente/superficiale e incomprensibile rispetto alla complessità del caso.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Secondo costante insegnamento è denunciabile in cassazione, quale error in procedendo per violazione del dovere di motivare i provvedimenti giurisdizionali ex art. 132, comma secondo, num. 4, cod. proc. civ., solo « l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze
processuali » (Cass. Sez. U. 07/04/2014, nn. 8053 -8054; principio peraltro citato anche in ricorso).
Nel caso di specie il ricorrente pretende, invece, di ricavare il dedotto radicale vizio di motivazione da un elemento esterno alla stessa, ovvero dal raffronto con la precedente ordinanza istruttoria della stessa Corte d’appello .
Tale ordinanza è bensì richiamata in sentenza, ma solo nella parte narrativa dello svolgimento del processo; nessuna incertezza o insanabile contraddizione intrinseca è dato invece ravvisare nella parte motivazionale vera e propria, dove è chiara e univoca l’affermazione secondo cui nessun vincolo di giudicato interno poteva desumersi dalla pronuncia cassatoria « quanto alla ‘ idoneità a ritenere concludenti le corrispondenze tra prelievi ed accrediti ovvero a valutare le mancanze quali indici di incasso in contanti ‘ » (v. sentenza impugnata, pag. 19).
È noto che, secondo pacifico insegnamento, « le ordinanze che provvedono alla istruzione della causa non vincolano la decisione finale del giudice, il quale (salvo particolari ipotesi legislative) può liberamente modificarle o revocarle con la successiva sentenza, sicché non è configurabile, come error in procedendo , la contraddittorietà di motivazione tra l’ordinanza e la sentenza in ordine ad un punto controverso, dovendo piuttosto, in tale ipotesi, ritenersi ritualmente modificata o revocata, dal provvedimento decisorio, la parte motiva dell’anteriore provvedimento istruttorio » (Cass., Sez. L, n. 28021 del 16/12/2013).
Rimane bensì il fatto che non risulta aver avuto risposta pertinente la richiesta ─ che, nel corso del giudizio di rinvio, l’attore in riassunzione aveva riproposto ─ di un « chiarimento » del mandato peritale. Al riguardo, però, deve anzitutto rilevarsi che non risulta che tale richiesta fosse stata reiterata anche in sede di precisazioni delle conclusioni; in ogni caso, il silenzio sul punto non è di per sé sindacabile, riflettendosi comunque la chiarezza e completezza del mandato peritale sulla
ricognizione della fattispecie concreta la cui correttezza è sindacabile in Cassazione, come s’è già sopra ripetuto, solo se si traduce nel vizio di omesso esame ex art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ. (nella specie, peraltro, non deducibile come si dirà più avanti nell’esame del sesto motivo ).
Con il quarto motivo ─ rubricato « violazione e/o falsa applicazione dell’art. 119 t.u.b. e degli artt. 210 e 116 c.p.c., anche in relazione agli artt. 24 e 111 Cost. (art. 360, n. 3 c.p.c.) » ─ il ricorrente si duole del mancato esercizio delle conseguenze previste dal codice riguardo all’inadempimento all’ordine di esibizione di documenti bancari da parte di RAGIONE_SOCIALE BPM (estratti conto, richieste di prelievo, assegni), che avrebbero potuto essere decisivi per accertare la correlazione tra uscite sui conti COGNOME ed entrate su quelli della COGNOME.
Riferisce che:
─ con ordinanza del 29/9/2021, la Corte d’appello, dando seguito alle indicazioni della pronuncia cassatoria, aveva ordinato a RAGIONE_SOCIALE BPM « l’esibizione delle copie delle richieste di prelievi effettuati presso lo sportello della filiale di Valenza (AL), nonché delle copie degli assegni incassati sul conto corrente intestato esclusivamente alla signora NOME COGNOME »;
─ all’udienza del 23 /2/2022 egli aveva eccepito che a tale ordine la banca non aveva integralmente adempiuto e aveva chiesto che la Corte ne traesse le conseguenze ex art. 116 c.p.c.;
─ analoga eccezione aveva sollevato il proprio consulente di parte nella riunione del 22/9/2022 ed il c.t.u. aveva dato atto che, secondo RAGIONE_SOCIALE BPM, « quanto agli assegni (…) in considerazione del tempo trascorso, i titoli non sono più recuperabili »;
─ con la nota di deposito BPM aveva dedotto che i documenti in parola erano andati distrutti, essendo « passato l’obbligo di conservazione di dieci anni »;
─ egli, però, con nota del 27/10/2011 -pervenuta a RAGIONE_SOCIALE BPM
(già BPN) quando non era ancora trascorso il decennio di conservazione dei documenti -aveva chiesto alla banca « chiarimenti (…) circa il titolo in base al quale i trasferimenti sono stati effettuati, la persona che ebbe ad autorizzare indebitamente le movimentazioni in uscita dai conti correnti del signor COGNOME e l’attuale titolare delle somme progressivamente sottra tte alla disponibilità di quest’ultimo » e analoga richiesta aveva fatto con l’atto di citazione introduttivo notificato il 12/10/2012;
─ la mancata osservanza dell’ordine di esibizione documentale era stata inoltre ampiamente argomentata alle pagg. 15-18 della conclusionale del 27/9/2023.
Ciò premesso lamenta che la sentenza impugnata nulla abbia argomentato sul punto.
Ne deriva, secondo l’istante, la violazione de gli artt. 119 t.u.b. e 210 e 116 c.p.c..
Con riferimento alla prima norma osserva che, anche a voler ad essa porre dei limiti temporali applicativi, il decennio dovrebbe essere calcolato in relazione alla prima richiesta (cioè, dal 27 ottobre 2011) e non d al momento in cui il giudice effettivamente ordina l’esibizione ex artt. 210 c.p.c..
Argomenta inoltre che una volta emesso l’ordine di esibizione, l’art. 210 c.p.c. conserva una propria autonomia ed una propria maggiore ampiezza rispetto all’art. 119 t .u.b., con la conseguenza che se, come nel caso di specie, la parte destinataria dell’ordine non lo adempie senza giustificato motivo, se ne dovrebbero trarre quantomeno le conseguenze di cui all’art. 116 c.p.c. .
4.1. Il motivo è inammissibile.
La questione, infatti, non risulta trattata nella sentenza impugnata; non è dunque possibile rinvenire alcuna affermazione dalla quale desumere la dedotta violazione dell’art. 119 t.u.b. .
Secondo il costante indirizzo di questa Corte, il vizio di violazione e
falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla SRAGIONE_SOCIALE di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. nn. 16132/05, 26048/05, 20145/05, 1108/06, 10043/06, 20100/06, 21245/06, 14752/07, 3010/12 e 16038/13).
Fermo ciò, va poi osservato, quanto alla contestuale prospettazione della violazione dell’art. 116 , secondo comma, c.p.c., che essa investe comunque l’esercizio di un potere discrezionale attribuito al giudice di merito, come tale non sindacabile in cassazione (v. Cass. n. 7208 del 15/04/2004).
Con il quinto motivo ─ rubricato « nullità della sentenza e del procedimento per error in procedendo , in particolare per violazione dell’art. 112 c.p.c. (omessa pronuncia) e per insufficiente motivazione (art. 360, n. 4 c.p.c.) » ─ il ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia ignorato le eccezioni sollevate sul mancato adempimento dell’ordine di esibizione da parte di RAGIONE_SOCIALE BPM, limitandosi a una motivazione apparente e non entrando nel merito della questione.
5.1. Il motivo ─ che evidentemente prospetta censura incompatibile con quella precedente, di questa anzi confermando l’inammissibilità ─ è a sua volta inammissibile.
Secondo principio consolidato la parte che, in sede di ricorso per cassazione, deduce che il giudice di appello sarebbe incorso nella violazione dell’art. 112 c.p.c. per non essersi pronunciato su un motivo di appello o, comunque, su una conclusione formulata nell’atto di appello, è tenuta, ai fini dell’astratta idoneità del motivo ad individuare
tale violazione, a precisare – a pena di inammissibilità – che il motivo o la conclusione sono stati mantenuti nel giudizio di appello fino al momento della precisazione delle conclusioni (Cass., Sez. 3, n. 5087 del 03/03/2010; Cass., Sez. 3, 22/12/2021, n. 41205): onere nella specie non assolto avendo, come detto, il ricorrente riferito di deduzioni difensive svolte a verbale all’udienza del 23/2/2022 , nella ‘riunione’ dei consulenti del 22/9/2022 e poi in comparsa conclusionale.
In ogni caso, si tratterebbe di error in procedendo privo di decisività, e dunque inammissibile anche ai sensi dell’art. 360 -bis n. 2 c.p.c., poiché l’esame e l’accoglimento della eccezione del ricorrente, circa l’incompleta ottemperanza all’ordine di esibizione, avrebbe al più potuto autorizzare il giudice a trarre argomenti di prova, ex art. 116, secondo comma, c.p.c., nell’esercizio di un potere discrezionale a lui attribuito e, in quanto tale, come già detto, non sindacabile in cassazione sia nell’ an , sia nel quomodo .
Con il sesto motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., « omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio », in tesi rappresentato da « tutto quanto sopra denunziato con i primi cinque motivi ».
6.1. Il motivo è inammissibile per la preclusione che deriva -ai sensi dell’art. 360, quarto comma, cod. proc. civ. , ripetitivo, peraltro, di quanto già previsto dall’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ. -dall’avere la Corte d’appello deciso in modo conforme alla sentenza di primo grado (c.d. doppia conforme) (v. Cass. 28/02/2023, n. 5947; 15/03/2022, n. 8320; 06/08/2019, n. 20994; n. 22/12/2016, n. 26774).
Varrà comunque rammentare che, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte, oggetto del vizio di cui al novellato art.
360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ. è l’omesso esame circa un « fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti », dove per « fatto », secondo pacifica acquisizione, deve intendersi non una « questione » o un « punto », ma: i ) un vero e proprio « fatto », in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., cioè un « fatto » costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario , vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr. Cass. n. 16655 del 2011; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017); ii ) un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico (cfr. Cass. n. 21152 del 2014; Cass. Sez. U. n. 5745 del 2015); iii ) un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto (cfr. Cass. n. 5133 del 2014); iv ) una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali (cfr. Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014); il « fatto » il cui esame sia stato omesso deve, inoltre, aver carattere « decisivo », vale a dire tale che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia; non costituiscono, viceversa, « fatti », il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: a) le argomentazioni o deduzioni difensive (cfr. Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015); b) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014); c) una moltitudine di fatti e circostanze, o il « vario insieme dei materiali di causa » (cfr. Cass. n. 21439 del 2015).
In manifesta violazione di tale paradigma il vizio viene nella specie riferito all’insieme delle argomentazioni e tesi censorie dedotte in tutti i precedenti motivi, vertenti in ordine alla vicenda nel suo complesso considerata: vicenda che, come tale, peraltro, è stata certamente posta
ad oggetto dell’esame condotto dal giudice a quo .
Con il settimo motivo il ricorrente denuncia « Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, nullità della sentenza, omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio in relazione alle parti della sentenza impugnata che hanno rigettato l’appello nei confronti di NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE BPM e RAGIONE_SOCIALE bank; assorbimento nei primi sette motivi di ricorso (art. 360, nn. 3, 4 e 5, c.p.c.)».
7.1. Si tratta non di un motivo di ricorso ma, nella stessa prospettazione del ricorrente, della mera riproposizione delle questioni afferenti alla responsabilità degli altri convenuti rimaste assorbite (anche) nel giudizio di rinvio dal rigetto degli altr i motivi dell’appello principale. Su di esse, quindi, non è ammesso, né sarebbe rilevante in questa sede alcuno scrutinio.
Per le considerazioni che precedono deve in definitiva pervenirsi al rigetto del ricorso.
La complessità della vicenda trattata ─ avuto riguardo in particolare, da un lato, alla oggettiva difficoltà di recuperare la documentazione bancaria relativa ad un così ampio arco temporale e, dall’altro, correlativamente, al modo in cui il giudizio si è dipanato nelle iniziali fasi di merito ─ giustifica l’integrale compensazione delle spese tra le parti.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente tra le parti le spese processuali.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P .R. n. 115 del 2002,
inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 1° ottobre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME