Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11980 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11980 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 11577-2020 proposto da:
NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
AZIENDA PER LA TUTELA DELLA SALUTE DELLA REGIONE SARDEGNA (già ASL N.4), in persona del Commissario Straordinario legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso la RAGIONE_SOCIALE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 181/2019 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 17/09/2019 R.G.N. 45/2016;
Oggetto
Assunzione pubblico impiego
R.G.N.11577/2020
COGNOME
Rep.
Ud.09/01/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/01/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Lanusei, previo espletamento di CTU, accoglieva la domanda proposta dalla signora COGNOME di accertamento del suo diritto all’assunzione con la qualifica e le condizioni economiche e normative indicate nel bando di concorso, ritenendo il contrat to di lavoro concluso sin dall’approvazione delle graduatorie del 15/4/1992 , condannando la ASL convenuta al risarcimento del danno nella misura di € 393.776,325 oltre interessi maturati dal 25/2/2011 fino al saldo.
La C orte di appello di Cagliari accoglieva l’appello principale proposto dalla RAGIONE_SOCIALE da RAGIONE_SOCIALE solo parzialmente, nonché quello incidentale della Murgia.
La Corte distrettuale, premessa la pacifica e non più contestata esistenza del diritto all’assunzione alle condizioni previste dal bando di concorso del 1992 con decorrenza dalla nota di messa in mora del 21/3/1994, riteneva da un lato insussistente l’ecce zione di aggravamento del danno da parte della danneggiata per inerzia della stessa, in considerazione della proposizione di ben due ricorsi al TAR finalizzati all’assunzione, dall’altro non corretta la valutazione equitativa operata con l’utilizzazione de l parametro della indennità di esclusività, quale componente ipotetica ed eventuale legata ad un’opzione spettante alla ricorrente che non necessariamente sarebbe stata effettuata, vista la natura professionale dell’attività e la possibilità di continuare a svolgerla, anche in forma libera, pur se in costanza di rapporto. La Corte distrettuale rilevava al riguardo la mancata formazione di un giudicato interno sull’ammontare del danno, attesa la scarna motivazione sul punto del Tribunale che decidendo la controversia aveva utilizzato unicamente l’espressione ‘ tenuto conto della consulenza tecnica d’ufficio espletata in corso di causa ‘. Tale formula, ad avviso della Corte di merito, era da ricondursi ad una mera clausola di stile, tale da far ritenere la motivazione sul punto apparente, quindi, omessa in senso stretto, con conseguente mancato passaggio in giudicato dei criteri di calcolo indicati nella perizia.
Conseguentemente, la Corte rideterminava il danno escludendo dalla base di calcolo la sola indennità di esclusività, con conferma nel resto dell’abbattimento del 50% del danno calcolato in primo grado.
Infine, la C orte accoglieva l’appello incidentale quantificando il danno fino alla data della decisione.
Con ricorso per cassazione la signora NOME COGNOME proponeva quattro motivi di ricorso cui resisteva con controricorso l’Azienda Sanitaria.
La ricorrente depositava altresì memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 112 c.p.c., 2909 e 1226 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
La Corte di appello avrebbe erroneamente disposto due CTU e ridotto la somma quantificata in primo grado a titolo risarcitorio sul presupposto che la voce indennità di esclusività non avrebbe dovuto essere conteggiata, ritenendo sul punto non formatosi il giudicato interno, avendo il giudice di primo grado motivato in modo apparente la quantificazione del danno con la clausola di stile: ‘tenuto conto della CTU espletata in corso di causa’.
Ad avviso della ricorrente dagli atti di causa della Azienda Sanitaria non emergerebbe una contestazione da parte della amministrazione in ordine alle voci di cui ha tenuto conto la CTU ai fini del conteggio finale del quantum risarcitorio, avendo la stessa eccepito esclusivamente che, nel caso di specie, l’eventuale danno sarebbe stato da determinarsi tenendo conto delle retribuzioni e contribuzioni che la ricorrente avrebbe maturato nel caso in cui fosse stato regolarmente costituito il rapporto di lavoro con detrazione di somme percepite eventualmente per attività svolte. Tale attività difensiva avrebbe comportato una rinuncia implicita in ordine alla questione della debenza della indennità di esclusività. La decisione di primo grado, inoltre, non sarebbe da ritenere apparente avendo il Tribunale compiuto una valutazione in via equitativa del danno tenendo conto della consulenza solo come parametro di riferimento. Conseguentemente, la Corte di appello avrebbe errato nel
decidere di ridurre l’importo essendosi formato il giudicato interno sulla pronuncia di primo grado, atteso che alcuna censura relativa all’indennità di esclusività era stata oggetto di motivo di appello.
Inoltre, la motivazione di primo grado non sarebbe viziata da apparenza per utilizzo di clausole di stile in quanto il riferimento alla CTU è stato effettuato ai fini della determinazione del quantum unitamente alla messa in mora e ad una complessiva valutazione in via equitativa secondo i parametri ivi indicati.
Con il secondo motivo si eccepisce la violazione degli artt. 112 c.p.c., 2909 c.c., 111 Cost. in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3, c.p.c.
La Corte di appello avrebbe errato nel ritenere di essere stata investita della questione relativa alla determinazione del danno considerato che l’appello principale, nell’ambito della valutazione equitativa, ne afferma l’eccessività chiedendone la riduzione. In particolare, la sentenza del Tribunale non fa alcun cenno alla voce indennità di esclusività, per cui sarebbe stato onere dell’appellante introdurre il tema e contestare la statuizione sul punto o le risultanze di CTU; la Corte territoriale si sarebbe illegittimamente sostituita alla parte contravvenendo al limite di giudicare nel rispetto del devoluto. In particolare, non sussisterebbe alcuna connessione diretta tra il motivo d’appello con il quale l’azienda sanitaria ha chiesto la riduzione delle somme quantificate dal giudice di prime cure ai sensi dell’articolo 1227 cod. civ. per avere la creditrice contribuito a cagionare il danno con il suo comportamento colposo e la motivazione del giudice di appello. Infatti, la riduzione delle somme come richiesta sarebbe questione del tutto autonoma in relazione ai parametri utilizzati dal Tribunale per quantificare le somme oggetto del risarcimento specie con una valutazione del danno assunta in via equitativa. Pertanto, la Corte territoriale non poteva ritenersi investita della questione relativa alla determinazione del danno con scomposizione di tutte le voci assunte dalla CTU del primo grado, decidendo di escludere la voce di indennità di esclusività.
Ad avviso della ricorrente la questione posta alla base del secondo motivo di appello costituita dalla violazione dell’articolo 1227 cod. civ. è totalmente scollegata dalla questione della quantificazione delle somme avvenuta in via equitativa che avrebbe potuto essere rivalutata solo ove la Corte territoriale avesse ravvisato un comportamento colposo della creditrice, operando così una riduzione sul
risarcimento del danno riconosciuto in primo grado con riferimento esclusivo a tale specifico aspetto.
Con il terzo motivo di ricorso si eccepisce la violazione di un error in iudicando per violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. e 111 Cost. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
La C orte distrettuale avrebbe errato nell’affermare la sussistenza di un ulteriore motivo di doglianza dell’appello principale avente ad oggetto la misura del danno liquidato in via equitativa. Ed invero, il primo motivo è stato rinunciato mentre il secondo atteneva esclusivamente alla quantificazione del danno previo accertamento della responsabilità della parte danneggiata ai sensi dell’art. 1227 c.c. che nel caso di specie la Corte territoriale ha espressamente escluso. Pertanto, l’aver rigettato il secondo ed ultimo motivo non avrebbe consentito alla Corte di merito di esaminare ulteriori e diverse questioni afferenti alla quantificazione del danno con conseguente vizio di ultrapetizione ai sensi dell’art. 112 c.p.c.
Con il quarto motivo si contesta la violazione di legge in relazione all’art. 15 -quater del D.Lgs. n. 502/1992 e all’art. 54 del CCNL 1998 -2001 del personale della dirigenza medico-veterinariaViolazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 1226 c.c. in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
La Corte di appello escludendo la voce economica indennità di esclusività dal computo della retribuzione assunta quale parametro di riferimento per la determinazione del risarcimento del danno in via equitativa avrebbe violato l’articolo 15-quater del decreto legislativo n. 502/1992, nonché l’articolo 54 del CCNL di lavoro 1998-2001 del personale della dirigenza medico veterinaria. L’assoggettamento dei dirigenti sanitari al rapporto di lavoro esclusivo costituisce la regola, per cui la voce indennità di esclusività deve essere considerata come una componente fissa tra le voci della retribuzione, non costituendo una componente ipotetica eventuale, ma ordinariamente dovuta fatta salva l’opzione per l’esercizio dell’attività libero professionale extra-moenia.
Con il quinto ed ultimo motivo si deduce la violazione degli artt. 101, 112 c.p.c. e 111 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
La sentenza della Corte territoriale sarebbe viziata per violazione dei principi cardine dell’ordinamento posti a tutela del giusto processo nel rispetto del contraddittorio tra le parti e del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.
Infatti, l’odierna parte ricorrente in virtù della mancanza di uno specifico motivo di appello sul riconoscimento o meno della voce indennità di esclusività non ha potuto contraddire rispetto alla questione relativa alla debenza dell’indennità di esclusività esaminata motu proprio dalla Corte di merito a prescindere da uno specifico motivo di gravame. La Corte territoriale avrebbe al riguardo dovuto quantomeno concedere un termine per note alle parti in modo da poter sviluppare un contraddittorio sul punto al fine di evitare la violazione del principio del giusto processo nonché dell’articolo 112 c.p.c.
6. Il primo motivo di ricorso è fondato.
La Corte di appello, ad avviso della ricorrente, avrebbe erroneamente ridotto la somma quantificata in primo grado a titolo risarcitorio sul presupposto che la voce indennità di esclusività non avrebbe dovuto essere conteggiata, non essendosi sul punto formato il giudicato interno, avendo il giudice di primo grado motivato in modo apparente la quantificazione del danno con la clausola di stile: ‘tenuto conto della CTU espletata in corso di causa’. Ed invero, la Corte territoriale ha ritenuto non sussistente il giudicato interno in ordine all’ammontare del danno avendo il Tribunale utilizzato quale parametro liquidatorio del danno anche l’indennità di esclusività motivando la scelta decisoria con una clausola di stile tale da far ritenere non esaminato il merito della CTU da parte del giudi ce e in particolare l’inserimento di tale voce retributiva, sebbene contestata dal CTP. La mancanza di esame del contenuto della relazione peritale sarebbe, altresì, confermato dalla circostanza che il Tribunale non si sarebbe avveduto del lungo tempo trascorso fra il deposito della CTU e la decisione in relazione alla necessità di un aggiornamento del calcolo e che la liquidazione al CTU sarebbe avvenuta un anno dopo da parte di un giudice diverso. Conseguentemente, ad avviso della Corte distrettuale non si sarebbe formato alcun giudicato interno a fronte di un’omessa statuizione sul punto.
E’ bene premettere, in diritto, che, per consolidati e condivisi indirizzi di questa Corte:
la sentenza è nulla ai sensi dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., ove risulti del tutto priva dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la ”ratio decidendi”, cioè, in particolare, ove non siano indicati gli elementi da cui il giudice ha tratto il proprio convincimento ovvero tali elementi siano indicati senza un’adeguata disamina logica -giuridica, mentre tale evenienza resta esclusa con riguardo alla valutazione delle circostanze probatorie in senso difforme da quello preteso dalla parte (Cass. 8 gennaio 2009, n. 161; Cass. SU 21 dicembre 2009, n. 26825);
la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo – quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. SU 3 novembre 2016; n. 22232);
sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero – e purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali l’anomal ia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (Cass. SU 3 novembre 2016; n. 22232; Cass. SU 5 agosto 2016 n. 16599; Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053 e ancora, ex plurimis, Cass. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009).
È stato, inoltre, affermato che:
la motivazione della sentenza ‘per relationem’ è ammissibile, ben potendo il giudice far riferimento ad altri documenti acquisiti agli atti, purché dalla giustapposizione del testo redatto dal giudice e di quello cui quest’ultimo fa rinvio risulti con sufficiente chiarezza e precisione il suo ragionamento (Cass. 17 febbraio 2011, n. 3920).
il vizio di motivazione sussiste quando il giudice non indichi affatto le ragioni del proprio convincimento rinviando, genericamente e ‘per relationem’, al quadro probatorio acquisito, senza alcuna esplicitazione al riguardo, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. 20 luglio 2012, n. 12664).
per infirmare, sotto il profilo dell’insufficienza argomentativa, una motivazione effettuata per relationem agli atti processuali è necessario che la parte alleghi le critiche mosse agli atti richiamati già dinanzi al giudice ‘a quo’, la loro rilevanza ai fini della decisione e l’omesso esame di tali contestazioni in sede di decisione; al contrario, una semplice contestazione del rinvio effettuato nella sentenza ai suddetti atti, si risolve nella mera prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 4 maggio 2009, n. 10222; Cass. 16 ottobre 2013, n. 23530).
6 .1. Nella specie non solo è del tutto evidente l’insussistenza del vizio di motivazione apparente, perché la sentenza di primo grado come riportata nella pronuncia impugnata contiene, anche attraverso il richiamo degli atti ivi indicati, la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto poste a base della decisione, in modo da rendere chiara la ratio decidendi e possibile il controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento effettuato per giungere alla decisione adottata (vedi, per tutte: Cass. 7 aprile 2017, n. 9105).
Viceversa, si osserva come il Tribunale abbia tenuto conto della CTU espletata in corso di causa comprendendo nei parametri di quantificazione l’indennità di esclusività, pur contestata dal CTP in corso di causa.
Ed invero, il Tribunale ha motivato sufficientemente la quantificazione del danno sulla scorta delle emergenze peritali cui ha fatto rinvio rendendo pienamente percepibile il fondamento della decisione, sulla scorta delle argomentazioni del CTU obiettivamente idonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento.
D’altra parte, il Tribunale ha determinato la somma da risarcire sulla base di diversi parametri contenuti nella CTU come la data di messa in mora e la decurtazione operata in via equitativa. A fronte di tale decisione l’appellante avrebbe dovuto aggredire la sentenza di primo grado specificamente nella parte in cui aveva ritenuto
legittimo l’inserimento nella CTU del parametro della indennità di esclusività, pacificamente oggetto di contestazione in corso di causa, al fine di evitare il passaggio in giudicato della statuizione sul punto.
Va al riguardo, altresì, richiamato il principio affermato da questa Corte secondo cui l’effetto devolutivo dell’appello entro i limiti dei motivi d’impugnazione preclude al giudice del gravame esclusivamente di estendere le sue statuizioni a punti che non siano compresi, neanche implicitamente, nel tema del dibattito esposto nei motivi d’impugnazione, non violando il principio del “tantum devolutum quantum appellatum” il giudice di appello che fondi la decisione su ragioni che, pur non specificamente fatte valere dall’appellante, tuttavia appaiano, nell’ambito della censura proposta, in rapporto di stretta e diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi, costituendone necessario antecedente logico e giuridico. Nel giudizio d’appello, infatti, il giudice può riesaminare l’intera vicenda nel complesso dei suoi aspetti, purché tale indagine non travalichi i margini della richiesta, coinvolgendo punti decisivi della statuizione impugnata suscettibili di acquisire forza di giudicato interno in assenza di contestazione, e decidere, con pronunzia che ha natura ed effetto sostitutivo di quella gravata, anche sulla base di ragioni diverse da quelle svolte nei motivi d’impugnazione (vedi Cass. N. 9202/2018).
Orbene, la questione della indennità di esclusività in termini o meno di voce retributiva ha una sua natura autonoma rispetto agli altri parametri per cui avrebbe dovuto essere specificamente contestata in sede di gravame a fronte della sua pacifica ricomprensione ai fini della determinazione del danno risarcibile.
Il secondo e terzo motivo possono essere trattati congiuntamente e sono fondati. Come detto anche con riferimento al primo motivo, il giudizio di appello è da perimetrarsi in relazione al principio del quantum devolutum tantum appellatum. Ai sensi dell’art. 342 c.p.c., il giudizio di appello, pur limitato all’esame delle sole questioni oggetto di specifici motivi di gravame, si estende ai punti della sentenza di primo grado che siano, anche implicitamente, connessi a quelli censurati, sicché non viola il principio del “tantum devolutum quantum appellatum” il giudice di secondo grado che fondi la propria decisione su ragioni diverse da quelle svolte dall’appellante nei suoi motivi, ovvero esamini questioni non specificamente da lui
proposte o sviluppate, le quali, però, appaiano in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi e, come tali, comprese nel “thema decidendum” del giudizio (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1377 del 26/01/2016). Al riguardo è da rilevare -come risulta dagli atti esaminabili in questa sede dato il tipi di censure proposte -che il secondo motivo di appello era limitato alla richiesta di riduzione del danno in relazione all’asserito comportamento colposo della danneggiata che con la sua inerzia avrebbe contribuito all’aggravamento del danno ai sensi dell’art. 1227 c.c. Sul punto nel controricorso l’Azienda sanitar ia non formula alcuna contestazione per cui non può che ritenersi che la questione relativa all’indennità di esclusività potesse ritenersi connessa con il thema decidendum devoluto al giudice di appello per la sua specificità ed autonomia rispetto alla contestata condotta colposa del danneggiato ex art. 1227 c.c..
Anche sotto questo profilo è da ritenere violato il principio di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato avendo la Corte di merito illegittimamente ampliato l’ambito decisorio a tutti i criteri di quantificazione del danno compreso quello afferente all’indennità di esclusività.
Il quarto motivo afferente alla erroneità della pronuncia impugnata per aver escluso la voce economica ‘indennità di esclusività’ dal computo della retribuzione assunta quale parametro di riferimento per la determinazione del danno in via equitativa è assorbito nella misura in cui si ritiene la questione ormai oggetto di giudicato interno per non essere stata contestata in sede di gravame.
Ad ogni buon conto è opportuno al riguardo richiamare l’orientamento di questa sezione secondo cui l’indennità di esclusività – prevista dall’art. 15-quater, comma 5, del d.lgs. n. 502 del 1992 e dalla successiva contrattazione collettiva di attuazione, spettante ai medici (nelle fasce superiori a quella base) per effetto del superamento del quinto e poi del quindicesimo anno di attività con positiva valutazione del collegio di verifica – non costituisce evento straordinario della dinamica retributiva e, perciò, non si sottrae al blocco stipendiale di cui all’art. 9, comma 1, del d.l. n. 78 del 2010 (conv. con mod. dalla l. n. 122 del 2010) ed all’art. 1, comma 1, lett. a, del d.P.R. n. 122 del 2013, nemmeno nel caso in cui sia poi attribuito al medico un incarico di direzione di struttura semplice o di natura professionale anche di alta specializzazione, di consulenza, di studio, e ricerca,
ispettivo, di verifica e di controllo (ai sensi dell’art. 15, comma 4, del d. lgs. n. 502 del 1992 e dell’art. 27 lett. b) e c) del CCNL 8.6.2000, quadriennio 1998-2001, Area dirigenza medica e veterinaria del S.S.N.), in quanto il riconoscimento dell’indennità predetta è autonomo rispetto al conferimento di tali incarichi e la misura dell’emolumento non muta per la loro sopravvenienza Cass. Sez. L – , Sentenza n. 10990 del 26/04/2023).
Conseguentemente, l’indennità in parola quale voce ordinaria di natura retributiva è da ritenere spettante al dirigente medico.
Il quinto motivo afferente alla violazione del principio del contraddittorio in relazione alla pronuncia che ha deciso in ordine alla riduzione del danno senza uno specifico motivo di gravame è da considerare assorbito dall’accoglimento dei superiori motivi. In conclusione, il ricorso va accolto con rinvio alla Corte di appello di Cagliari in diversa composizione anche per le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa e rinvia alla Corte di appello di Cagliari in diversa composizione anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte