Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8402 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8402 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24332/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
NOME, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesoa
dall’avvocato
NOME
NOME
(CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso le SENTENZE della CORTE D’APPELLO CATANIA n. 1460/2019 depositata il 20/06/2019 e n. 1342/2021 depositata il 21/06/2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
NOME COGNOME COGNOME in giudizio l’architetto NOME COGNOME COGNOME sentirlo condannare al risarcimento dei danni (consistenti nella fessurazione dei pavimenti) consegui ti all’inadempimento di un contratto di prestazione d’opera intellettuale intercorso co l professionista per l’integrale ristrutturazione di un appartamento di proprietà dell’attrice ;
il Tribunale di Catania ritenne provata l’esistenza del rapporto di prestazione d’opera e, quanto all’accertamento dei danni, non dispose la c.t.u. richiesta dalla COGNOME, ma fece riferimento alla c.t. di parte attrice (che aveva individuato i tre fattori concorrenti alla determinazione dei fenomeni fessurativi nella non corretta posa del massetto, nel mancato inserimento di una rete elettrosaldata o in polipropilene e nella mancata realizzazione di giunti di dilatazione), pervenendo ad escludere la responsabilità del convenuto sul duplice rilievo che l’architetto ave va assunto il solo incarico di direttore dei lavori (e non anche di progettista) e che difettava il nesso eziologico tra la condotta inadempiente e la verificazione del danno; ritenne infatti che, quand’anche il COGNOME avesse vigilato sulla corretta posa del massetto, le fessurazioni si sarebbero comunque prodotte a causa della mancanza di una rete elettrosaldata o polipropilene, che era riconducibile ad un difetto progettuale; rigettò pertanto la domanda e compensò le spese di lite;
proposto gravame dalla COGNOME, la Corte di Appello di Catania ha pronunciato sentenza non definitiva n. 1460/2019 con cui ha affermato la responsabilità del COGNOME, ritenendo che non vi fosse stato un progetto dei lavori e che l’incarico conferito all’architetto comprendesse ogni scelta tecnica inerente la corretta esecuzione delle opere e, altresì, che le cause dei danni, come identificate dalla non contestata c.t. di parte attrice ( a firma dell’archAVV_NOTAIO COGNOME) , fossero da «ricondurre alla responsabilità del direttore dei lavori per omessa sorveglianza sull’attività svolta dall’appaltatore e/o per mancanza delle opportune disposizioni e direttive atte a garantire l’esecuzione dell’opera a perfetta regola d’arte»;
con successiva sentenza definitiva n. 1342/2021, all’esito della disposta c.t.u. estimativa, la Corte ha quantificato il danno e ha condannato il COGNOME al pagamento di 23.974,91 euro, oltre IVA ed interessi legali (al tasso previsto dall’art. 1284, co. 4° c.c., a far data dalla notifica dell’atto di citazione) nonché al pagamento delle spese del doppio grado e della c.t.u.;
ha proposto ricorso per cassazione il COGNOME, affidandosi a tre motivi; ha resistito la COGNOME con controricorso;
la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis.1 c.p.c..
Considerato che:
col primo motivo, il ricorrente denuncia «violazione art. 360 c.p.c. comma 1, n. 3 -Violazione art. 115 c.p.c. principio di non contestazione non si applica per le valutazioni tecniche – Violazione e falsa applicazione art. 115 e 116 c.p.c. per avere recepito senza alcuna valutazione elementi di prova soggetti invece a valutazione»: assume che «il decidente non poteva in alcun modo applicare il cd principio di non contestazione nel caso di valutazione tecnica» e che la Corte di Appello ha errato «nel porre a fondamento della propria decisione, in ordine all’esistenza (o meno) del nesso eziologico, un mero elemento di prova quale è la relazione di un tecnico di parte che viene, prima,
erroneamente intesa come prova piena e poi con un ulteriore errore ritenendo applicabile il principio di non contestazione- elevata a prova legale, esente da valutazione»;
col secondo motivo, proposto in via gradata, il ricorrente denuncia «nullità sentenza ex art. 132 n. 4) c.p.c. e 116 c.p. per il mancato esercizio di qualsivoglia apprezzamento nella valutazione delle prove e degli elementi di prova relativi al nesso eziologico – Inattendibilità incongruenza della consulenza di parte»: contesta alla Corte di non avere compiuto un passaggio motivazionale obbligato cui era tenuta, ossia di non avere esaminato la consulenza di parte («per vagliarne la precisione, la rispondenza ai requisiti dello stato dell’arte della materia, la coerenza intrinseca e l’inesistenza di palesi incongruenze»), avendo attribuito alla stessa «valore legale in ragione della mancata contestazione»; evidenzia, inoltre «vizi, carenze e incongruenze della relazione COGNOME», individuandone le principali criticità nell’inesistenza di indagini tecniche, nell’erroneità delle conclusioni tratte dal raffronto con la planimetria redatta dal medesimo COGNOME nel 2006 , nell’aver considerato come concorrenti cause alternative, nella erronea valutazione degli elementi di fatto riscontrati; rileva, altresì, un’«inattendibilità ex post» sulla base della relazione del C.T.U. nominato dalla Corte di Appello (per la sola stima dei danni), da cui risultava che, a distanza di dieci anni dalla relazione COGNOME, la situazione dei luoghi non si era aggravata;
i due motivi -da esaminare congiuntamente- sono inammissibili, in quanto ogni contestazione relativa all’individuazione delle cause delle fessurazioni è inibita da giudicato interno;
in effetti, il rilievo di inammissibilità compiuto dalla controricorrente risulta confermato dalla ricostruzione dello svolgimento del giudizio effettuato nella sentenza non definitiva della Corte di Appello, da cui emerge che la decisione di primo grado aveva fatto proprie le conclusioni della (non contestata) c.t. COGNOME in punto di individuazione delle cause delle fessurazioni e che la responsabilità
del COGNOME era stata esclusa soltanto perché una delle cause individuate da detta c.t. era riferibile al progettista, anziché al direttore dei lavori (così venendo meno -secondo il Tribunale- il nesso causale tra inadempimento del COGNOME e i danni al pavimento, che si sarebbero comunque verificati);
poiché tale accertamento sulle cause non è stato impugnato dal COGNOME con appello incidentale condizionato, si è determinato -sul punto- un giudicato interno ostativo alla possibilità di riproporre la questione in questa sede (sulla base di censure che avrebbero potuto e dovuto essere svolte, in via condizionata, avverso la sentenza del Tribunale);
col terzo motivo , il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 17 del d.l. n. 132/2014, come modificato dalla legge di conversione n. 162/2014, e dell’art. 1284 c.c., censurando la sentenza definitiva nella parte in cui ha precisato che il tasso degli interessi da applicare, «a far data dalla notifica dell’atto di citazione, sarà quello previsto dall’art. 1284, comma 4 c.c.»: rileva che tale norma non è applicabile ratione temporis , in quanto la modifica introdotta dal d.l. n. 132/2014 interessa -ex art. 17, co. 2- i «procedimenti iniziati a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto» e, quindi, i giudizi promossi a partire dall’11.12.2014; con la conseguenza che non risulta applicabil e al presente procedimento, avviato -in primo grado- nel dicembre 2010;
il motivo è fondato: il tenore dell’art. 17, 2° co. d.l. 132/2014 non consente di dubitare che la (nuova) previsione del 4° co. dell’art. 1284 c.c. si applica ai procedimenti iniziati a partire dal trentesimo giorno dall’entrata in vigore della legge di conversione e il riferimento all’inizio del procedimento non può che essere inteso come avvio dello stesso in primo grado; ne consegue che erroneamente la Corte di Appello ha previsto l’applicazione del tasso di interesse ‘commerciale’;
la sentenza definitiva va pertanto cassata in relazione al terzo motivo;
non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può decidersi nel merito disponendosi che gli interessi sono dovuti al tasso legale, senza applicazione della previsione del l’art. 1284, 4° co. c.c. ;
il parziale accoglimento del ricorso giustifica l’integrale compensazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte, dichiarati inammissibili i primi due motivi, accoglie il terzo, cassa in relazione e, decidendo nel merito, dichiara dovuti gli interessi al tasso legale, senza applicazione della previsione dell’art. 1284, 4° co. c.c.; compensa le spese di legittimità.
Roma, 11.3.2024