Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23980 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23980 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 06/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28152/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE) rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE che l a rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di RAGIONE_SOCIALE n. 1185/2019 depositata il 21/05/2019; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/06/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n.1185/2019 pubblicata il 21 -5 -2019, la Corte di Appello di RAGIONE_SOCIALE ha rigettato l’appello proposto dall’RAGIONE_SOCIALE (di seguito per brevità RAGIONE_SOCIALE) avverso la sentenza di prime cure, con cui era stata accolta la domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della suddetta RAGIONE_SOCIALE, condannata al pagamento in favore dell’attrice della somma di €415.618,77 a titolo di sorte capitale e di € 173.281,88 a titolo di interessi ex d. lgs. n. 231/2002 maturati fino al 30/4/2012, con imputazione dei pagamenti ai sensi dell’art. 1194 c.c., il tutto in relazione alle prestazioni erogate dalla attrice negli anni dal 2003 al 2011, oltre ulteriori interessi sulla residua sorte capitale dall’ 1/5/2012 al soddisfo. La Corte di merito, pur osservando che, ai sensi dell’art. 1421 c.c., la nullità del contratto poteva essere rilevata d’ufficio ed anche in grado di appello, ha ritenuto, tuttavia, che tale rilevabilità, nel caso di specie, non fosse più consentita, perché il Tribunale, pronunciandosi sull’eccezione dell’RAGIONE_SOCIALE circa la collocazione temporale del rapporto inter partes in epoca anteriore al vigore del d. lgs. n. 231/2002 e circa la conseguente inapplicabilità di tale normativa, aveva espressamente statuito che “è solo la previa pattuizione di appositi accordi contrattuali … a consentire all’accreditato di erogare prestazioni a carico del RAGIONE_SOCIALE” precisando, subito dopo tale premessa, che ” Non può dubitarsi pertanto dell’applicabilità della disciplina del d. lgs. 9/10/2002 n. 231 tenuto conto dei singoli contratti stipulati fra le parti in epoca successiva all’agosto del 2002″ e detto capo di sentenza andava letto in raccordo alla statuita condanna al pagamento del capitale residuo e degli
interessi di cui citato d.lgs. per gli anni 2003, 2004, 2005, 2006, 2007, 2008, 2009, 2010 e 2011. Da tale capo di sentenza emergeva, secondo la Corte territoriale, che il primo giudice aveva ritenuto valido ed efficace il rapporto per effetto dei contratti inter partes successivi all’agosto 2002 e su tale statuizione non era stato proposto gravame, sicché la questione era coperta da giudicato interno. La Corte d’appello, inoltre, richiamando la giurisprudenza di legittimità (Cass. 14349/16), ha rilevato che il rapporto istaurato tra RAGIONE_SOCIALE sanitaria e struttura privata in relazione alla concreta esecuzione delle prestazioni a favore degli assistiti aveva natura contrattuale e pertanto consentiva di applicare il d.lgs. del 2002 n. 231 quanto agli interessi per il ritardo con il quale l’ente pubblico provvede al pagamento delle prestazioni effettivamente erogate. Di conseguenza non rilevava la dedotta carenza di messa in mora come causa ostativa al decorso degli interessi in questione, dal momento che il d. lgs. n. 231/2002, all’art. 4 al comma 1, prevedeva che “Gli interessi decorrono, automaticamente, dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento”, con norma evidentemente derogatoria all’ordinario regime di cui agli artt. 1219 e 1224 c.c., nella parte in cui stabiliva la decorrenza “automatica” degli interessi a far data dal giorno successivo alla scadenza del termine di pagamento. Infine la Corte di merito ha ritenuto inammissibile la censura dell’RAGIONE_SOCIALE secondo la quale, nei rapporti inter partes, l’art. 1194 c.c. sarebbe inapplicabile in virtù della chiara imputazione al capitale dei parziali pagamenti, come verificabile dai mandati di pagamento, e quindi in virtù della sussistenza di un accordo derogatorio alla imputazione legale del pagamento secondo quanto previsto dall’art. 1194 c.c.. Al riguardo il Tribunale aveva correttamente osservato, richiamando anche precedenti di legittimità, che non costituiva prova sufficiente di accordo derogatorio la circostanza che l’amministrazione pubblica, nell’eseguire un pagamento, avesse richiesto al privato la quietanza
sul titolo di spesa in cui l’amministrazione stessa avesse imputato il pagamento a deconto del capitale dovuto e l’RAGIONE_SOCIALE nulla aveva argomentato in relazione a tale motivazione.
Avverso questa sentenza l’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a due motivi, resistito con controricorso dalla RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4 -quater, e 380 bis.1 c. p. c.. Le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La ricorrente ASP denuncia: i) con il primo motivo , l’o
secondo motivo la
2. Il primo motivo è inammissibile.
La Corte d’appello ha affermato che il Tribunale, nel rigettare l’eccezione dell’RAGIONE_SOCIALE relativa all’inapplicabilità del d. lgs. n. 231/2002 individuando, a tal fine, la collocazione temporale del rapporto inter partes in epoca posteriore all’entrata in vigore del d. lgs. n. 231/2002, aveva espressamente precisato che ” è solo la previa pattuizione di appositi accordi contrattuali … a consentire all’accreditato di erogare prestazioni a carico del RAGIONE_SOCIALE ” statuendo, subito dopo tale premessa, che ” Non può dubitarsi pertanto dell’applicabilità della disciplina del d. lgs.
ii) con il
9/10/2002 n. 231 tenuto conto dei singoli contratti stipulati fra le parti in epoca successiva all’agosto del 2002″ e detto capo di sentenza andava letto in raccordo alla statuita condanna al pagamento del capitale residuo e degli interessi di cui al citato d.lgs. per gli anni dal 2003 al 2011. Di conseguenza, la Corte di merito ha ritenuto che il Tribunale avesse accertato implicitamente l’esistenza dei suddetti contratti e che tale accertamento non fosse stato specificamente impugnato dall’ASP, sicché sussisteva giudicato interno sul punto.
La ricorrente, nel confutare tale affermazione, non riporta compiutamente il contenuto della sentenza del Tribunale nella parte di interesse, difettando, sotto tale profilo, la doglianza di autosufficienza, e critica del tutto genericamente l’interpretazione del titolo giudiziale effettuata dalla Corte territoriale, che deve avvenire utilizzando i criteri ermeneutici degli elementi normativi (Cass.24162/2017 e Cass. 24952/2015). Neppure, infatti, la ricorrente indica quali siano i criteri ermeneutici asseritamente violati, il che rende inammissibile, anche sotto tale ulteriore profilo, la censura di cui trattasi.
3. Anche il secondo motivo è inammissibile.
La ricorrente si limita a riproporre le argomentazioni svolte in appello, in particolare affermando che la prova dell’accordo derogatorio era costituita dai mandati di pagamento, senza specificamente confrontarsi con il percorso decisionale della sentenza impugnata, secondo cui il Tribunale aveva correttamente osservato, richiamando anche precedenti di legittimità, che non costituiva prova sufficiente del dedotto accordo derogatorio la sola circostanza che l’amministrazione pubblica, nell’eseguire un pagamento, avesse richiesto al privato la quietanza sul titolo di spesa in cui l’amministrazione stessa avesse imputato il pagamento a deconto del capitale dovuto. La Corte di merito ha altresì
chiaramente affermato che l’RAGIONE_SOCIALE nulla aveva argomentato a confutazione del suesposto percorso motivazionale.
La ricorrente non svolge al riguardo una critica compiuta e pertinente, risolvendosi le doglianze in una mera reiterazione delle difese svolte nel giudizio d’appello, in disparte l’ulteriore rilievo che la questione in contestazione, vertendo, per l’appunto, sulla prova dell’accordo derogatorio, ha natura meritale e non è pertanto sindacabile in sede di legittimità, ove scrutinata dal giudice d’appello con idonea motivazione, come nella specie.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 10.000,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali (15%) ed accessori, come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 13 giugno 2024