Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 22873 Anno 2024
Oggetto
RNUMERO_DOCUMENTO.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 14/02/2024
PU
Civile Sent. Sez. L Num. 22873 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/08/2024
SENTENZA
sul ricorso 33760-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, che lo rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 53/2019 della CORTE D’APPELLO di RAGIONE_SOCIALE, depositata il 27/05/2019 R.G.N. 221/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/02/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME. udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME; udito l’avvocato NOME COGNOME per delega verbale avvocato NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza in epigrafe indicata, confermava la decisione di primo grado che, in controversia relativa alle tariffe applicabili ai dipendenti della società concessionaria delle operazioni di sbarco e imbarco dei containers al Molo VII del porto di RAGIONE_SOCIALE e della loro movimentazione, decidendo sull’azione svolta dalla RAGIONE_SOCIALE, di accertamento negativo del credito vantato dall’RAGIONE_SOCIALE per la riclassificazione di talune attività aziendali, aveva ritenuto formato il giudicato, in riferimento alla situazione debitoria al 31/10/2008 (sentenza del locale Tribunale n. 37/2010); in riferimento alla situazione debitoria successiva a detta epoca temporale, rigettava la domanda di accertamento negativo del credito dell’RAGIONE_SOCIALE accertato dal giudicato e di debito restitutorio del predetto istituto, sul presupposto che la dichiarazione di rettifica dei dati, da parte del datore di lavoro, non operasse retroattivamente.
In breve, la società ricorrente ha agito per il rimborso dei premi versati in eccesso, sul presupposto di un indebito oggettivo, premettendo che le intervenute variazioni alle voci tariffarie nelle quali le lavorazioni erano originariamente inserite (NUMERO_CARTA,NUMERO_CARTA,NUMERO_CARTA,NUMERO_CARTA,NUMERO_CARTA), a seguito dell’ispezione effettuata nel 2007 e la decisione del CdA dell’RAGIONE_SOCIALE, avevano comportato che si fosse
attenuta alla errata classificazione e suddivisione: voce 9220 per tutto il personale operante in banchina e in piazzale; voce 9311 per i lavoratori addetti alla riparazione dei mezzi gommati e alla manutenzione dei quadri elettrici. Soggiungeva la società che, a ll’esito di una verifica interna, compiuta nel 2016, era risultata l’adibizione de l solo 30 per cento del personale alle attività riconducibili alla voce 9220, mentre il restante 70 per cento rientrava nella voce 9311 e che, da allora, aveva comunicato all’Istituto la corretta suddivisione delle masse salariali e pagato i relativi premi su tale base. Da qui la vana richiesta della società , all’RAGIONE_SOCIALE, di restituire i premi indebitamente percepiti nel periodo 20/9/2004-31/12/2008 e dal 2008 in poi.
Il giudice di prime cure dichiarava inammissibile la domanda, per la parte relativa al periodo 2004-2008, per essersi formato il giudicato sulla sentenza del medesimo Tribunale n.37/2010; per il resto, la respingeva, sul presupposto dell’irretroattività della dichiarazione di rettifica da parte del datore di lavoro dei dati comunicati all’RAGIONE_SOCIALE.
Tanto premesso, la ratio decidendi della sentenza ora impugnata , quanto al capo inerente al primo segmento temporale e fino al 31 dicembre 2008, poggiava sull’irretrattabilità, per giudicato esterno formatosi, fra le stesse parti, sulla sentenza n.37/2010, e l’impossibilità di azzeramento della pretesa dell’RAGIONE_SOCIALE o la nascita di un debito restitutorio dell’RAGIONE_SOCIALE, in difetto di gravame, avverso la rinominata sentenza n. 37/2010, che aveva confermato, irretrattabilmente, l’esistenza del credito dell’RAGIONE_SOCIALE, come determinato nel provvedimento cit . del 31/10/2008, sulla base della ripartizione, in ipotesi ritenuta errata, delle masse salariali.
In altri termini, per la Corte di merito i presupposti, giuridici e di fatto, acclarati da detta sentenza e fra le stesse parti, erano divenuti incontestabili per non avere la società gravato quella decisione al fine di rimettere in discussione la suddivisione delle voci di retribuzione fra le voci di tariffa applicabili.
Per il secondo periodo, nel quale si sarebbe formato l’indebito preteso in restituzione dalla società, ad avviso della Corte di merito la società non avrebbe potuto richiedere di recuperare quanto pagato in più per la ripartizione delle masse salariali fra lavorazioni ricondotte alle diverse voci, atteso che il provvedimento del 31/10/2008 (di cui alla ridetta sentenza passata in giudicato), concernente il passato, non era sufficiente a trasformare in errore scusabile o non superabile con l’ordinaria dilige nza, la scelta della società di continuare a dichiarare, ai fini del calcolo del premio, le retribuzioni ripartite fra le voci di tariffa 9220 e 9311 in modo diverso dal reale.
La Corte di merito riteneva, inoltre, la domanda di accertamento della suddivisione dei dipendenti fra lavorazioni riconducibili ad una o altra voce, inammissibile, in base al rilievo della non giustiziabilità della relativa situazione di fatto, inerente a tempi e modi delle prestazioni lavorative, e al contempo inutile, detto accertamento di fatto, per il passato perché coperto da giudicato, per il futuro per non esservi controversia tra le parti.
Ricorre avverso tale sentenza la RAGIONE_SOCIALE, con articolato ricorso affidato a cinque motivi, in tali termini dovendo leggersi la non perspicua ripartizione dell’i mpugnazione, ulteriormente illustrato con memoria, cui resiste, con controricorso, l’ RAGIONE_SOCIALE.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I motivi del ricorso, confezionato , quest’ultimo, con continui rimandi tra prius e posterius, con veloce e sommaria indicazione dei m ezzi d’impugnazione, ruotano essenzialmente intorno alla portata del giudicato, alla suddivisione dei lavoratori, tra una classificazione e l’altra, alla contestata esclusione delle prove orali, in primo e secondo grado.
Della contestata portata del giudicato esterno, è sufficiente rilevare che la doglianza viene inadeguatamente dedotta secondo il paradigma della violazione di legge e, in particolare dell’art. 2033 cod.civ., e che in ogni caso non è contrastata l’avversata interpretazione che, in ottemperanza al principio di autosufficienza e specificità dei motivi di ricorso, avrebbe imposto di riportare i passi della sentenza per contestare l’interpretazione data dalla Corte di merito.
In ogni caso, vale ricordare che in materia di valutazione del giudicato esterno formatosi tra le stesse parti in un diverso giudizio, è deducibile con il ricorso per cassazione la violazione dell’art. 2909 cod.civ., ovvero del vizio di motivazione nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel caso in cui si contesti che il giudice di merito abbia erroneamente accertato ed interpretato il giudicato (Cass. Sez. Un., n. 277 del 1999; Cass., n. 26523 del 2006; Cass. n. 17175 del 2020).
Per effetto della ritenuta inammissibilità della doglianza ora all’esame, non può più rimettersi in discussione, il giudicato esterno formatosi, nei presupposti giuridici e di fatto, e dunque, come ritenuto dalla Corte di merito, la situazione debitoria della società rinveniente dal provvedimento di variazione del 31 ottobre 2008 e dal credito esposto dall’ RAGIONE_SOCIALE, maturato nel periodo
settembre 2004 e 31 dicembre 2008, derivante dalla riclassificazione dell’attività aziendale nelle voci 9220 (per le operazioni di movimentazione a bordo nave e sottobordo in banchina) e 9311 (per le movimentazioni merci in zona extrabanchina, comprese la manutenzione di quadri elettrici e la riparazione di mezzi gommati) e dalla conseguente ripartizione delle masse salariali fra queste due voci.
I restanti motivi, inerenti al periodo successivo in riferimento al quale si sarebbe formato l’indebito del quale la società pretende la controversa restituzione, possono essere esaminati unitariamente per la logica connessione tra essi e sono da rigettare.
E’ bene premettere lo snodo argomentativo della sentenza impugnata: chiarito che il provvedimento del 2008, dianzi richiamato, non conteneva alcuna prescrizione vincolante per il futuro, ha ritenuto la società non affatto obbligata a mantenere ferma, negli anni successivi, la classificazione adottata, per il passato, dall’ Istituto, anche in contrasto con la realtà di fatto esistente in azienda, per cui, dal 1° gennaio 2009, la ripartizione delle masse salariali fra le lavorazioni ricondotte alle voci 9220 e 9311 era stata, in concreto diversa da quella presupposta dall’RAGIONE_SOCIALE e utilizzata per il calcolo dei premi del periodo fino al 31.12.2008 e la società avrebbe dovuto comunicare all’ RAGIONE_SOCIALE, in sede di determinazione e pagamento dell’anticipo o di regolazione del premio, e ove fosse emerso un credito a suo favore, recuperarlo mediante detrazione dalla rata di premio, salvo il rimborso dell’eventuale eccedenza da parte dell’RAGIONE_SOCIALE.
In definitiva, per la Corte di merito, con apprezzamento in fatto incensurabile in questa sede, non avendo la
società adempiuto al descritto onere non poteva assurgere ad errore scusabile, non superabile con l’ordinaria diligenza, la scelta della società medesima di continuare a dichiarare, ai fini del calcolo del premio, le retribuzioni ripartite tra le voci NUMERO_CARTA e NUMERO_CARTA in modo diverso dal reale e, dunque, non poteva pretendere i premi pagati in più del dovuto.
Inoltre, la contesta mancata inclusione dell’attività di manutenzione merci non è stata suffragata dalla relativa documentazione e, più specificamente, dall’indicazione della sede processuale, del giudizio di merito, con qui detta documentazione sarebbe stata tempestivamente allegata in giudizio.
Passando alla questione relativa alla suddivisione dei lavoratori tra le lavorazioni riconducibili alle voci 9220 e 9311, la critica non impinge, invero, in un motivo di legittimità; inoltre, detta suddivisione, è atto di competenza del datore, come rimarcato nella sentenza gravata, assurge, pertanto, a questione di fatto, come tale insindacabile in questa sede di legittimità.
Peraltro, al riguardo, la sentenza gravata palesa una doppio ratio decidendi : da un lato, la declaratoria di inammissibilità come sintesi della ritenuta non giustiziabilità degli stati di fatto quali il contenuto, in termini di mansioni, di alcune specifiche figure professionali ( per l’elencazione delle quali si rinvia alla sentenza impugnata), il luogo della prestazione (a bordo, sottobordo, in piazzale), la quantità di tempo di adibizione di ciascun lavoratore all’una o all’altra lavorazione ; dall’altro l’affermata inutilità dell’operazione, agli effetti della individuazione della base imponibile, per il passato, giacché effetto di errate dichiarazioni e, per il futuro, per non esservi, al riguardo, controversia per avere la società
dichiarato di avere denunciato all’RAGIONE_SOCIALE, da un certo tempo, le masse salariali correttamente ripartite fra le voci di tariffa applicabili.
L’inammissibilità della doglianza attinente ad una delle due proposizioni che sorreggono le rationes decidendi rende, pertanto, irrilevante l’esame di ogni censura riferita all’altra, in nessun caso idonea a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile (fra tante, Cass. n. 15399 del 2018; Cass. n.21490 del 2005).
Infine, la contestata esclusione delle prove orali, in primo e secondo grado, è inammissibile.
Invero, spetta al giudice di merito, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, assumere e valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (v., fra le tante, Cass., 13 giugno 2014, n. 13485).
In definitiva, il ricorso è rigettato.
Segue coerente la condanna alle spese, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in euro 200,00 per esborsi,
euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario del 15 per cento. Ai sensi dell’art.13,co.1 -quater, d.P.R.n.115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ult eriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art.13,co. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 14 febbraio