Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 26851 Anno 2024
Civile Ord. Sez. U Num. 26851 Anno 2024
Presidente: COGNOME PASQUALE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/10/2024
Sul ricorso iscritto al n. r.g. 3385/2024 proposto da:
AUTORITA’ DI SISTEMA PORTUALE DEL MARE ADRIATICO SETTENTRIONALE, in persona del Direttore Generale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
contro
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI – CAPITANERIA DI PORTO DI VENEZIA, REGIONE VENETO -COMMISSIONE PER LA SALVAGUARDIA DI VENEZIA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 10685/2023 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 11/12/2023.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO Generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2013, la ditta RAGIONE_SOCIALE chiese all’ RAGIONE_SOCIALE (oggi RAGIONE_SOCIALE) il rilascio in concessione di un’area demaniale, posta all’interno della conterminazione portuale, lungo la sponda di ponente del canale della RAGIONE_SOCIALE, allo scopo di realizzarvi un impianto di distribuzione carburanti per rifornire le imbarcazioni in transito lungo il canale stesso, con annesso magazzino per la loro manutenzione. Esperita l’istruttoria e acquisiti al procedimento i dovuti pareri, l’RAGIONE_SOCIALE, con la comunicazione n. 9776 del 24 giugno 2016, rese nota al richiedente la propria disponibilità a rilasciare la concessione dell’area, ponendo tuttavia un elenco di condizioni (che il 7 luglio 2016 la ditta istante si dichiarò disposta ad accettare), al cui adempimento veniva subordinato il vaglio del progetto esecutivo e il rilascio della stessa concessione.
A seguito della presentazione del progetto definitivo da parte della RAGIONE_SOCIALE, subentrata alla ditta RAGIONE_SOCIALE, l’RAGIONE_SOCIALE formulò alcune richieste di integrazione documentale, come richiesto a loro volta dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE. All’esito, quest’ultima espresse parere favorevole, prescrivendo
tuttavia che fosse verificata l’attivazione RAGIONE_SOCIALE misure antincendio, che fu oggetto di parere favorevole dei RAGIONE_SOCIALE.
La RAGIONE_SOCIALE espresse invece parere contrario al rilascio della concessione demaniale, mutando avviso rispetto all’assenso in precedenza rilasciato, evidenziando irrisolte problematiche riguardo alla sicurezza della circolazione (nautica e strad ale) nelle aree coinvolte dall’intervento e d alcune lacune progettuali in materia ambientale, paventando inoltre che potesse insorgere una servitù implicita sul demanio marittimo. Nonostante la RAGIONE_SOCIALE avesse formulato osservazioni e prodotto ulteriore documentazione, la RAGIONE_SOCIALE confermò le precedenti valutazioni critiche, cui aggiunse il rilievo del mancato rispetto RAGIONE_SOCIALE distanze minime legali, che avrebbe impedito di dislocare un distributore automatico di carburanti. Infine, in assenza di nuovi elementi che consentissero di superare i rilievi della RAGIONE_SOCIALE, l’RAGIONE_SOCIALE comunicò il preavviso di rigetto e quindi, esaminate le deduzioni della richiedente, respinse l’originaria istanza.
2. La RAGIONE_SOCIALE propose, nel corso del procedimento amministrativo, ricorso, dinnanzi al Tribunale Amministrativo regionale per il RAGIONE_SOCIALE, contestando l’inadempimento dell’accordo che, a suo dire, sarebbe intervenuto tra le parti allorché l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE , con nota del 24 giugno 2016, aveva indicato le condizioni del futuro rilascio della concessione e l’esame della progettazione esecutiva. La RAGIONE_SOCIALE chiese quindi la condanna dell’RAGIONE_SOCIALE, del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e della Mobilità Sostenibili, e della RAGIONE_SOCIALE, al risarcimento dei danni, ex art. 30 cod. proc. amm., che sarebbero stati subiti dalla società a causa dell’illegittimità degli atti del procedimento e del comportamento omissivo tenuto dalle Amministrazioni, che avrebbero impedito il rilascio della concessione demaniale; nonché a causa del presunto ritardo nell’adozione dell’atto conclusivo. In via subordinata, la ricorrente chiese la condanna dell’RAGIONE_SOCIALE al pagamento dell’indennizzo di cui all’art. 11, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241.
Con successivo ricorso proposto dinnanzi il medesimo TAR, la società – a fronte della sopravvenuta sfavorevole conclusione del procedimento, con il rigetto dell’originaria istanza, agì per la condanna RAGIONE_SOCIALE Amministrazioni evocate in giudizio al risarcimento dei danni sofferti in conseguenza dell’illegittimità del provvedimento di diniego e di tutti gli atti in esso richiamati.
In via subordinata, la ricorrente chiese la condanna della (sola) RAGIONE_SOCIALE «al risarcimento dei danni ingiustamente subiti dalla ricorrente a causa del comportamento inadempiente e contrario ai principi di diligenza, buona fede e correttezza, nonché a causa del ritardo nella conclusione del procedimento». Allegò infatti la ricorrente che anche nel caso in cui dovessero ritenersi fondati i motivi posti a fondamento del diniego del provvedimento concessorio, il comportamento dell’RAGIONE_SOCIALE portuale «risulterebbe comunque inadempiente, scorretto e contrario ai principi di diligenza e buona fede (artt. 1175, 1337 e 1375 c.c.)», poiché « quelli che oggi RAGIONE_SOCIALE oppone sono argomenti che, in realtà, l’ente avrebbe dovuto sollevare ed esplicitare al tempo dell’apertura del procedimento o quanto meno alla data di stipula del modulo negoziale del 24.6.16». Secondo la ricorrente, RAGIONE_SOCIALE era infatti « consapevole sin dall’inizio che il progetto non avrebbe potuto trovare favorevole accoglimento e, ciò nonostante, ha espresso un parere favorevole (nota prot.1788 del 29.1.16) e si è pure dichiarata disponibile a rilasciare la concessione (nota del 24.6.16) così generando in capo alla RAGIONE_SOCIALE il legittimo affidamento al conseguimento del titolo». Ed a causa di tale comportamento «contrario ai principi di diligenza, correttezza e buona fede, la ditta RAGIONE_SOCIALE ha subito un danno economico quantificabile nella somma di € 80.000,00 (derivante dai costi sostenuti per far fronte a tutti gli adempimenti del progetto) o in subordine nella somma, maggiore o minore, che sarà liquidata in via equitativa, in ogni caso maggiorata di interessi e rivalutazione monetaria».
In via ulteriormente subordinata, la ricorrente domandò la liquidazione di un indennizzo ai sensi dell’art. 11, comma 4 della legge n. 241 del 1990. Con sentenza n. 1560/22 del 14.10.22, il TAR del RAGIONE_SOCIALE rigettò, dopo averli riunti, integralmente entrambi i ricorsi, escludendo che la nota n. 9776 del 24 giugno 2016 dell’RAGIONE_SOCIALE costituisse un accordo integrativo o sostitutivo ai sensi dell’art. 11 della l. n. 241 del 1990, integrando piuttosto «come traspare dal piano dato testuale, la mera enunciazione RAGIONE_SOCIALE condizioni alle quali avrebbe potuto essere rilasciata -nelle forme dovute -la concessione dell’area ai fini della realizzazione del manufatto e la correlata comunicazione della necessità di sottoporre ad istruttoria il progetto esecutivo dell’intervento, previa sottoposizione alle valutazioni tecniche degli enti competenti.».
In particolare, per quanto qui più rileva, il TAR osservò che nel caso di specie « non può dunque essere ravvisato un accordo, né, in senso più ampio, la manifestazione sul piano precontrattuale di un’aspettativa meritevole di tutela in capo (dapprima all’ originario istante e successivamente) alla società ricorrente e di un correlato obbligo, incombente sull’RAGIONE_SOCIALE, avente ad oggetto l’incondizionato rilascio di un atto concessorio idoneo ad assicurarle l’insediamento e la gestione dell’impianto.» Aggiuns e poi che « dal momento che -come appena visto -non si è perfezionato alcun accordo procedimentale tale da sostituire il rilascio della concessione (peraltro successivamente denegata), non solo appare pienamente giustificata la prosecuzione dell’istrutto ria, resasi necessaria al fine di verificare il contenuto del progetto esecutivo elaborato dalla ricorrente (progetto al cui esame, come specificato nella nota del 24 giugno 2016, risultava subordinato l’assenso all’esecuzione dei lavori), viene in rilievo una situazione quanto meno di incertezza circa l’effettiva spettanza del bene, di per sé ostativa alla risarcibilità della suddetta voce di danno, non potendosene configurare né gli aspetti materiali (lesione di un diritto ed effettività del pregiudizio) né il necessario elemento soggettivo (dolo o colpa ascritti all’Amministrazione danneggiante) entrambi richiesti ai fini
dell’accertamento dell’illecito aquiliano (Cons. Stato, Sez. VI, 4 gennaio 2022, n. 31 e Sez. II, 7 gennaio 2022, n. 106).». Concluse quindi il TAR che « Per quanto precede, vanno quindi respinte tutte le domande formulate dalla ricorrente nei due ricorsi, perché sfornite di adeguato sostegno probatorio, sia nell’ an che nel quantum , nei confronti RAGIONE_SOCIALE Amministrazioni evocate in entrambi i giudizi».
3. Avverso la decisione di primo grado la RAGIONE_SOCIALE propose appello innanzi il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, riproponendo tutte le domande introdotte innanzi al TAR ed in particolare deducendo, quanto alla domanda subordinata di risarcimento dei danni da responsabilità precontrattuale, la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per omessa pronuncia.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 10685/23, depositata l’11.12.2023 e notificata il 13.12.23, a sua volta escluse la responsabilità correlata al diniego di concessione, confermando il rigetto della domanda risarcitoria svolta dalla parte privata in via principale.
La sentenza d’appello accolse tuttavia la pretesa risarcitoria, formulata in primo grado in via subordinata e riproposta in appello, di condanna dell’RAGIONE_SOCIALE per responsabilità precontrattuale, rilevando che « Benché incensurabile sul piano della legittimità amministrativa, l’operato dell’autorità si palesa invece contrario sotto il distinto ed autonomo profilo della sua conformità ai canoni generali di correttezza e buona fede nello svolgimento del procedimento». In particolare, secondo il Consiglio di Stato, assume rilievo determinante sia il fatto che le questioni concernenti la navigabilità del canale ed il rispetto della distanza di sicurezza avrebbero potuto essere rappresentate subito alla parte istante; sia che il secondo profilo ostativo venne esposto per la prima volta solo nel parere finale, senza che fosse stato nemmeno prospettato nel corso del prodromico contraddittorio con la RAGIONE_SOCIALE
Tale condotta dell’RAGIONE_SOCIALE aveva dunque comportato «una considerevole dilazione dei tempi del procedimento e di costi , che avrebbero potuto essere evitati se gli aspetti di carattere ostativo fossero stati
tempestivamente rappresentati», e di tali danni, risarcibili «nei limiti dell’interesse negativo ristorabile per equivalente » e liquidati dalla sentenza di secondo grado, l’RAGIONE_SOCIALE venne condannata a rispondere.
4. Avverso la predetta sentenza d’appello l’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, ai sensi degli artt. 110 cod. proc. amm. e 362 cod. proc. civ., affidato ad un unico motivo.
RAGIONE_SOCIALE si è difesa con controricorso.
Sono rimasti intimati il RAGIONE_SOCIALE, già costituito nel giudizio a quo , e la RAGIONE_SOCIALE, non costituita in appello.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi degli artt. 375, comma 2, n. 4 e 380bis .1 c.p.c.
Il Pubblico RAGIONE_SOCIALE, nella persona del AVV_NOTAIO Generale NOME COGNOME, ha depositato conclusioni scritte, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
Sia la ricorrente che la controricorrente RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo la ricorrente RAGIONE_SOCIALE denuncia «Difetto di giurisdizione ai sensi dell’art. 110 del D.Lgs. n. 104/10 e ss. mm. ii.. Violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, degli artt. 386 c.p.c., 112 c.p.c., 111, comma 8 della Costituzione, nonché degli artt. 1173, 1175, 1176 e 1336 c.c.», assumendo che il Consiglio di Stato avrebbe violato i limiti della propria giurisdizione, avendo statuito sulla domanda risarcitoria che il privato ha formulato adducendo la pretesa violazione, da parte dell’Amministrazione ( id est dell’RAGIONE_SOCIALE), dei principi civilistici di correttezza e buona fede, in assenza di qualsivoglia collegamento con l’esercizio del potere amministrativo. Domanda che, secondo la tesi della ricorrente, rientra invece, nella giurisdizione dell’ARAGIONE_SOCIALE.O.
Il motivo è inammissibile, come ha eccepito la controricorrente e dedotto il P.G.
Invero, occorre muovere dalla constatazione che la sentenza del TAR si è pronunciata espressamente sul merito anche dell’ an della domanda subordinata della RAGIONE_SOCIALE, relativa al risarcimento dei danni che quest’ultima avrebbe subito a causa del comportamento dell’RAGIONE_SOCIALE asseritamente contrario ai principi di diligenza, buona fede e correttezza, affermando infatti in motivazione che nella fattispecie in esame non poteva ravvisarsi neppure « in senso più ampio, la manifestazione sul piano precontrattuale di un’aspettativa meritevole di tutela in capo (dapprima all’originario istante e successivamente) alla società ricorrente» ed escludendo la sussistenza degli aspetti materiali e soggettivi «richiesti ai fini dell’accertamento dell’illecito aquiliano». Di conseguenza, il TAR ha rigettato integralmente nel merito i ricorsi riuniti proposti dalla RAGIONE_SOCIALE, ovvero tutte le domande, principali e subordinate, in essi prospettate ed esaminate dalla sentenza di primo grado nell’ an debeatur . Palese, in questo senso, è la formula utilizzata dal giudice di prime cure che, dopo aver fatto esplicita menzione anche della proposizione della domanda di «risarcimento dei danni ingiustamente subiti dalla ricorrente a causa del comportamento inadempiente e contrario ai principi di diligenza, buona fede e correttezza, nonché a causa del ritardo nella conclusione del procedimento», ha infine espressamente concluso che «vanno quindi respinte tutte le domande formulate dalla ricorrente nei due ricorsi, perché sfornite di adeguato sostegno probatorio, sia nell’ an che nel quantum , nei confronti RAGIONE_SOCIALE Amministrazioni evocate in entrambi i giudizi». L’integrale rigetto, in primo grado, RAGIONE_SOCIALE domande tutte proposte dalla ricorrente, compresa pertanto la subordinata in questione, è del resto un dato processuale acquisito per effetto della stessa sentenza d’appello qui impugnata, che ne dà atto nei punti 4 («Tutte le domande formulate con i due ricorsi, riuniti per connessione, sono state respinte») e 5 (« con riferimento all’esclusione «di una responsabilità di tipo precontrattuale della medesima autorità»).
2.1. Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, allorché il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito, affermando, anche implicitamente, la propria giurisdizione, la parte che intende contestare tale riconoscimento è tenuta a proporre appello sul punto, eventualmente in via incidentale condizionata, trattandosi di parte vittoriosa; diversamente, l’esame della relativa questione è preclusa in sede di legittimità, essendosi formato il giudicato implicito sulla giurisdizione (Cass., Sez. U., n. 2067/2011; conformi Cass., Sez. U., n. 24883/2008; Cass., Sez. U., n. 27531/2008; Cass., Sez. U., n. 12905/2011; Cass., Sez. U., n. 5704/2012; Cass., Sez. U., n. 5873 /2012, che ha dichiarato inammissibile il regolamento di giurisdizione richiesto dal Consiglio di Stato, poiché la decisione adottata dal Tar postulava il necessario riconoscimento della giurisdizione del medesimo giudice; Cass., Sez. U., n. 10265/2018; Cass., Sez. U., n. 10438/2018; Cass. n. 2605/2018; Cass. n. 13750/2019; Cass. n. 22652/2019).
A differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente nella sua memoria, l’orientamento in questione, nell’affermare (anche) la necessità dell’appello incidentale avverso la statuizione affermativa della giurisdizione implicita nella decisione sul merito, non si riferisce affatto alla sola fattispecie di ‘auto -eccezione’ del difetto di giurisdizione formulata dallo stesso ricorrente che aveva adito il G.A.
Piuttosto, sin da Cass., Sez. U., n. 2067/2011 (che richiama espressamente sul punto Cass., Sez. U., n. 24883/2008) , questa Corte ha messo in evidenza come non debba equivocarsi tra interesse ad impugnare il capo di pronunzia ed interesse a contestare l’affermazione della giurisdizione che nella sua stessa cognizione è necessariamente implicita, con la conseguenza che anche la parte vittoriosa nel merito è legittimata, per impedire che si formi il giudicato in ordine alla giurisdizione, a proporre appello in via incidentale condizionata avverso l’implicita statuizione sulla giurisdizione (nello stesso senso Cass, Sez. U., n. 12905/2011, cit.; Cass., Sez. U., n.
23306/2011, relativa al processo dinanzi al giudice amministrativo; Cass. n. 2605/2018; Cass. n. 22652/2019).
Tanto meno si pongono in contrasto con tale orientamento i precedenti di legittimità ( Cass. n. 30865/2022, non massimata; Cass. n. 29662/2023), evocati dalla ricorrente nella memoria, secondo cui, in tema di giudizio di cassazione, è inammissibile per carenza di interesse il ricorso incidentale condizionato, allorché proponga censure che non sono dirette contro una statuizione della sentenza di merito, bensì riferite a questioni su cui il giudice di appello non si è pronunciato ritenendole assorbite, atteso che in relazione a tali questioni manca la soccombenza che costituisce il presupposto dell’impugnazione, salva la facoltà di riproporre le questioni medesime al giudice del rinvio, in caso di annullamento della sentenza. Invero, anche a prescindere dall’ improprietà del riferimento a precedenti che hanno trattato la materia del ricorso per cassazione incidentale piuttosto che quella (qui rilevante) dell’appello incidentale, deve comunque considerarsi che in entrambi i casi richiamati si trattava del difetto di soccombenza della parte vittoriosa nel merito rispetto a questioni ritenute assorbite dal giudice a quo , mentre nella fattispecie sub iudice la giurisdizione del TAR deve ritenersi implicitamente, ma necessariamente, affermata dalla statuizione che quest’ultimo organo giurisdizionale ha reso sul merito dell’intera controversia .
2.2. Nel contesto del già richiamato orientamento di questa Corte, è stato ulteriormente precisato che il giudicato interno sulla giurisdizione può formarsi tutte le volte in cui il giudice ha pronunciato nel merito, affermando così implicitamente la propria giurisdizione, e dunque con esclusione per le sole statuizioni che non la implicano, come nel caso in cui l’unico tema dibattuto sia stato quello relativo all’ammissibilità della domanda o quando, dalla motivazione della sentenza, risulti che l’evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione ed abbia indotto il giudice a decidere il merito per saltum ( Cass., Sez. U., n. 28503/2017).
È stato successivamente ribadito che il giudicato implicito sulla giurisdizione si forma tutte le volte in cui la causa sia stata decisa nel merito, con esclusione RAGIONE_SOCIALE sole decisioni che non contengano statuizioni implicanti l’affermazione della giurisdizione, sicché la preclusione da giudicato non può scaturire da una pronuncia che non contenga alcuna statuizione sull’attribuzione o sulla negazione del bene della vita preteso, ma si limiti a risolvere questione giuridiche strumentali all’attribuzione del bene controverso (Cass., Sez. U, n. 7454 del 19/03/2020).
In applicazione del medesimo principio della pronunzia, affermativa della giurisdizione, implicita nella decisione resa sul merito della causa, è stato poi chiarito che il passaggio in cosa giudicata di una pronuncia del giudice ordinario, ovvero del giudice amministrativo, recante statuizioni sul merito di una pretesa attinente ad un determinato rapporto, estende i suoi effetti al presupposto della sussistenza della giurisdizione di detto giudice su tale rapporto, indipendentemente dal fatto che essa sia stata o meno oggetto di esplicita declaratoria e, quindi, osta a che la giurisdizione di quel giudice possa essere contestata in successive controversie fra le stesse parti aventi titolo nel medesimo rapporto davanti a un giudice diverso, avendo il giudicato esterno la medesima autorità di quello interno, in quanto corrispondono entrambi all’unica finalità dell’eliminazione dell’incertezza RAGIONE_SOCIALE situazioni giuridiche e della stabilità RAGIONE_SOCIALE decisioni (Cass., Sez. U., n. 28179/2020).
Questa Corte ha inoltre declinato i medesimi principi sinora esposti anche nello specifico contesto del processo amministrativo, rilevando dapprima che la decisione del Consiglio di Stato che abbia ritenuto non indennizzabile il vincolo imposto nell’ambito di una procedura sostanzialmente espropriativa non può essere impugnata per motivi attinenti alla giurisdizione, ove sulla relativa questione non sia stato proposto alcun motivo di impugnazione in sede di appello, poiché la formazione, in via esplicita o implicita, del giudicato interno sulla giurisdizione comporta l’inammissibilità del ricorso per cassazione che riproponga la relativa
questione (Cass., Sez. U., n. 10438/2018). Aggiungendo poi, con ulteriore arresto (Cass., Sez. U, n. 26497 del 20/11/2020) che « ogni plesso giurisdizionale gode di specifiche norme processuali che ne strutturano il rito, le quali vertono quindi anche sulla introduzione della questione di giurisdi zione», ed individuando la disposizione di rito applicabile non nell’ art. 37 cod. proc. civ., vigente ratione temporis , a norma del quale “Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione o dei giudici speciali è rilevato, anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo»; ma nell’ art. 9 del cod. proc. amm., secondo cui «Il difetto di giurisdizione è rilevato in primo grado anche d’ufficio. Nei giudizi di impugnazione è rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione.».
In virtù di tale ultima previsione, si è quindi concluso che «Nel processo amministrativo, ove il difetto di giurisdizione non sia stato eccepito in primo grado né sia stato oggetto di specifico motivo di appello, deve ritenersi maturato, sul punto, il giudicato implicito, stante la preclusione di cui all’art. 9 c.p.a., che regola la deduzione RAGIONE_SOCIALE questioni di giurisdizione nell’ambito RAGIONE_SOCIALE specifiche norme processuali che strutturano il rito del relativo plesso giurisdizionale.» (Cass., Sez. U, n. 26497 del 20/11/2020, cit.; Cass. 12/11/2021, n. 33846).
3. Così delineato il quadro normativo e giurisprudenziale, deve darsi atto che nel caso di specie non risulta, dalla sentenza di primo grado e dallo stesso ricorso per cassazione, che l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE avesse eccepito, innanzi al TAR, il difetto di giurisdizione del G.O., solo in questa sede di legittimità lamentato.
Risulta invece che con la sentenza di primo grado il TAR, come ante già rilevato, ha pronunziato, rigettandola, sul merito della domanda risarcitoria proposta dalla RAGIONE_SOCIALE a titolo di responsabilità precontrattuale, così affermando, quanto meno implicitamente, la propria giurisdizione.
Non emerge poi – né dalla sentenza del Consiglio di Stato, né dal ricorso per cassazione- che la stessa RAGIONE_SOCIALE abbia proposto appello sul punto relativo alla giurisdizione, eventualmente in via incidentale condizionata, trattandosi di parte in primo grado vittoriosa nel merito. Ed anzi risulta, dalla memoria di costituzione della stessa parte nel giudizio d’appello, che essa si è limitata in secondo grado, ad eccepire genericamente l’inammissibilità, l’improcedibilità e, comunque, l’infondatezza nel merito dell’impugnazione della parte privata appellante.
Deve allora concludersi che, in difetto di appello, in via incidentale condizionata, dell’attuale ricorrente avverso la sentenza di primo grado del giudice amministrativo, l’implicita statuizione di quest’ultimo sulla propria giurisdizione sia passata in giudicato, con conseguente inammissibilità del ricorso per cassazione per il quale si procede.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese processuali, come liquidate in dispositivo.
4. Si dà atto, ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura del 15%, ad euro 200 per esborsi ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 17 settembre 2024