Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 33003 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 33003 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24132/2022 proposto da: NOME COGNOME (nato il 12/08/1947) e NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME EMAIL;
– ricorrenti –
contro
NOME COGNOME (nato l’8/5/1944) e NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’avv.ssa NOME COGNOME (EMAIL;
– controricorrenti –
NOME COGNOME in qualità di erede di NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME EMAIL;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1048/2022 della CORTE D’APPELLO DI BARI, depositata il 27/6/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/11/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
ritenuto che,
con sentenza resa in data 27/6/2022, la Corte d’appello di Bari ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME (nato nel 1947) e NOME COGNOME per la condanna di NOME COGNOME (nato nel 1944), NOME COGNOME e NOME COGNOME al risarcimento dei danni subiti dagli attori in conseguenza della rinuncia (comunicata dai convenuti al Comune di Cerignola) al conseguimento del permesso di costruire già in precedenza richiesto da tutte le parti in causa (proprietarie in comunione pro indiviso di un fabbricato ubicato nel centro cittadino di Cerignola), con la conseguente impossibilità, per gli attori, di godere dei profitti che sarebbero stati realizzati attraverso la costruzione (previa demolizione dell’esistente) e la successiva vendita del prefigurato immobile da costruire;
a fondamento della decisione assunta la Corte territoriale ha rilevato la correttezza della decisione del primo giudice nella parte in cui aveva evidenziato la mancata dimostrazione, da parte degli attori, del danno subito, avendo gli stessi trascurato di allegare al giudizio il progetto depositato presso la pubblica amministrazione (non acquisibile d’ufficio dal consulente tecnico nelle more nominato), e non avendo neppure adeguatamente dimostrato la consistenza effettiva del
prefigurato immobile da costruire attraverso la documentazione ritualmente depositata in giudizio;
sotto altro profilo, la Corte territoriale ha evidenziato come gli appellanti, oltre a non aver identificato il titolo della responsabilità delle controparti, non avevano neppure comprovato la sussistenza di tale responsabilità, attesa, da un lato, l’impossibilità di configurare la rinuncia al permesso di costruire alla stregua di un illecito d’indole aquiliana e, dall’altro, la mancata dimostrazione, da parte degli originari attori, dell’eventuale intervento, tra tutti i singoli comunisti, di uno specifico accordo per il conseguimento del permesso di costruire;
avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOMEnato nel 1947) e NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi d’impugnazione;
NOME COGNOME (nato l’8/5/1944) e NOME COGNOME da un lato, e NOME COGNOME in qualità di unica di NOME COGNOME, dall’altro, resistono con due distinti controricorsi;
NOME COGNOME e NOME COGNOME nonché NOME COGNOME hanno depositato memoria;
considerato che,
con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione degli artt. 276, co. 2, e 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 4, c.p.c.), per avere la Corte territoriale erroneamente omesso di rilevare l’intervenuto passaggio in giudicato (implicito) della questione relativa all’ an della responsabilità dei convenuti, sostenendo che il Tribunale avesse deciso facendo ricorso al criterio della ‘ragione più liquida’ (relativa alla mancata dimostrazione dei danni), là dove in nessuna parte della sentenza di primo grado era stato operato alcun riferimento a tale criterio, con la
conseguente violazione, da parte del giudice d’appello, dei limiti del devolutum (quale risultante dall’appello degli odierni istanti) nell’estendere la propria decisione all’ an della responsabilità delle controparti, implicitamente ammessa dal giudice di primo grado, da ritenersi, sul punto, coperta dal giudicato interno, in assenza di alcun appello incidentale dei convenuti;
il motivo è infondato;
osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, deve escludersi la formazione, nemmeno implicita, del giudicato sugli aspetti del rapporto che non hanno costituito oggetto di specifica disamina e valutazione da parte del giudice di merito, come accade quando la decisione sia stata adottata alla stregua del principio della ‘ragione più liquida’ (Sez. 3, ordinanza n. 32650 del 09/11/2021, Rv. 662732 -01; Sez. 1, sentenza n. 5264 del 17/03/2015, Rv. 634652 – 01);
ciò posto, pur volendo prescindere dalla questione della ‘ragione più liquida’ (che gli odierni ricorrenti ritengono non essere stata menzionata dal giudice di primo grado), rimane il valore dirimente, nel caso di specie, del principio secondo cui sulle questioni non esaminate dal giudice d’appello perché ritenute assorbite dall’accoglimento di un motivo di gravame avente natura pregiudiziale non può formarsi alcun giudicato (Sez. 3, ordinanza n. 13952 del 23/05/2019, Rv. 653924 -01; Sez. 3, sentenza n. 9303 del l’ 8/06/2012, Rv. 622824 – 01);
nel caso di specie, pur volendo sorvolare sulla questione della ragione più liquida (benché sia del tutto ragionevole ritenere che il giudice di primo grado abbia implicitamente applicato tale criterio nel rigettare la domanda a seguito dell’immediato rilievo della mancata dimostrazione dei danni da parte degli attori), deve ritenersi in ogni caso certamente assorbita la questione relativa all’accertamento
dell’ an della responsabilità dei convenuti, dovendo ritenersi che su tale questione non vi sia stata alcuna decisione, neppure implicita, da parte del primo giudice, avendo quest’ultimo ritenuto che la decisione su tale responsabilità dovesse ritenersi in ogni caso assorbita (c.d. assorbimento improprio) dalla decisione di rigetto sul quantum , con la conseguente mancata formazione di alcun giudicato (neppure implicito) sul punto;
al riguardo, varrà inoltre ricordare come, mentre il giudicato interno si forma anche sui capi della sentenza che siano stati oggetto di decisione implicita, ove la stessa non sia stata impugnata, nel caso di assorbimento c.d. improprio (il quale ricorre allorché una domanda viene rigettata in base alla soluzione di una questione di carattere esaustivo che rende vano esaminare le altre), sul soccombente non grava l ‘ onere di formulare sulla questione assorbita alcun motivo di impugnazione, essendo sufficiente, per evitare il giudicato interno, censurare o la sola decisione sulla questione giudicata di carattere assorbente o la stessa statuizione di assorbimento, contestando i presupposti applicativi e la ricaduta sulla effettiva decisione della causa (Sez. 1, ordinanza n. 48 del 4/01/2022, Rv. 663479 -01; Sez. 1, sentenza n. 14190 del 12/07/2016, Rv. 640482 -01; Sez. 2, sentenza n. 17219 del 9/10/2012, Rv. 624092 – 01);
sulla base di tali premesse, deve pertanto escludersi, tanto l’avvenuta violazione, da parte del giudice a quo , di un preteso giudicato interno, quanto l’avvenuta violazione del divieto di ultrapetizione imposto dall’art. 112 c.p.c.;
con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 132, co. 2, n. 4 c.p.c. e dell’art. 111, co. 6, Cost. (in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.), per avere la Corte territoriale omesso di dettare alcuna
motivazione (o dettandola in modo apparente, insufficiente, perplessa e/o contraddittoria) circa il contenuto della domanda di risarcimento del danno per perdita di chance ritualmente proposta dagli attoriappellanti, odierni ricorrenti, nonché per avere erroneamente escluso l’avvenuta deduzione e la concreta dimostrazione, da parte degli originari attori, del titolo contrattuale della responsabilità dei convenuti;
il motivo è inammissibile;
d ev’essere preliminarmente evidenziata l’inammissibilità della questione concernente l’effettiva deduzione e la concreta dimostrazione, da parte degli originari attori (odierni istanti) del titolo contrattuale della responsabilità dei convenuti, atteso che, a fronte dell’avvenuta ed espressa affermazione, da parte del giudice d’appello, della mancata dimostrazione, ad opera degli appellanti, di alcun accordo contrattuale intervenuto tra tutti i comunisti per l’ottenimento del permesso di costruire, la censura in esame si rivela inammissibile nella misura in cui prospetta una rilettura nel merito dei fatti di causa e delle prove relative a tali specifici aspetti negoziali, secondo un’impostazione critica non consentita in sede di legittimità;
parimenti inammissibile deve ritenersi il dedotto vizio motivazionale riguardante tale specifico punto, avendo i ricorrenti prospettato detto vizio di motivazione (peraltro in concreto insussistente, avendo il giudice d’appello fornito tutti gli elementi per un’ adeguata ricostruzione dell’ iter logico seguito ai fini della decisione) attraverso il confronto della motivazione con elementi tratti aliunde rispetto al solo testo del discorso giustificativo elaborato, in tal modo ponendosi in contrasto con i criteri sul punto indicati dalla giurisprudenza di legittimità in ordine ai limiti di rilevabilità del carattere illogico o apparente della motivazione (cfr. Sez. U, sentenza
n. 8053 del 7/04/2014, Rv. 629830 -01; Sez. U, sentenza n. 8054 del 7/04/2014, Rv. 629833 – 01);
quanto alla questione relativa alla domanda avente ad oggetto il risarcimento della perdita di chances , la stessa deve ritenersi del tutto irrilevante, avendo la Corte territoriale disatteso la domanda degli odierni istanti anche in relazione all’ an della responsabilità degli originari convenuti (escludendo il carattere illecito del comportamento di questi ultimi), con la conseguenza che ogni questione relativa agli effetti dannosi di tale comportamento (anche sotto il profilo dell ‘eventuale c.d. perdita di chances ) deve ritenersi inevitabilmente destituita di concreto rilievo;
con il terzo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 132 e 194 c.p.c., nonché per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360, nn. 4 e 5 c.p.c.), per avere la Corte territoriale omesso di avvedersi che il giudice di primo grado, dopo aver dapprima sostanzialmente riconosciuto l’ an della responsabilità delle controparti ed ammesso la c.t.u. per quantificare il danno, non avrebbe potuto successivamente rigettare la domanda sostenendo che non fosse provata in ordine al quantum , essendosi in tal modo posta in contrasto con il principio della giurisprudenza di legittimità secondo cui: ‘ se il danno può provarsi mediante c.t.u. il giudice non può poi rigettare la domanda perché non provata. Il giudice non può, senza contraddirsi, imputare alla parte di non assolvere all’onere di provare i fatti costitutivi della domanda, e poi negarle la prova offerta ‘ (Sez. U, sentenza n. 789 del 29/03/1963, Rv. 261080; nello stesso senso si vedano anche Sez. 3, sentenza n. 2631 del 20/10/1964, Rv. 303958, e Sez. 3, sentenza n. 2505 del 5/10/1964, Rv. 303753; principio costantemente ribadito sino a divenire ius receptum : all’ultimo cpv. del
paragr. 3, a pag. 6, di Cass. 7/05/2015, n. 9249; nonché si v. pure ex pl.: Cass. 27/11/2019, n. 30980), senza peraltro considerare l’avvenuta offerta, anche per altra via, della dimostrazione delle conseguenze dannose concretamente sofferte;
con il quarto motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 118, 183, 194, 213 e 228 c.p.c., degli artt. 1226, 2056, 2697, 2701, 2729 e 2733 c.c., nonché per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360, nn. 4 e 5 c.p.c.), per avere la Corte territoriale erroneamente omesso di acquisire la documentazione tecnica ritenuta (asseritamente) mancante dal c.t.u. ai fini della prova del danno e per avere, in ogni caso, erroneamente trascurato di rilevare l’avvenuta offerta, da parte degli attori, di elementi probatori idonei a consentire la liquidazione dei danni sofferti, anche in via equitativa;
entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono inammissibili;
osserva il Collegio come, una volta attestato (secondo quanto già rilevato a proposito della decisione sul primo motivo) che il giudice di primo grado non accertò affatto la sussistenza dell’ an della responsabilità degli odierni convenuti (limitandosi a ritenerla meramente assorbita dal rigetto della domanda sul quantum ), risulta sostanzialmente irrilevante ogni ulteriore considerazione in ordine all’eventuale illegittimità del rigetto della domanda sul quantum (nella specie, in ragione dell’asserita contrarietà della decisione impugnata rispetto ai principi del ‘diritto vivente’ in materia di liquidazione del danno, o in ragione dell’asserita violazione dei principi relativi all’acquisizione d’ufficio della prova sul quantum , o dell’asserit o mancato rilievo dell’avvenuta dimostrazione per altra via delle conseguenze dannose sofferte), essendo rimasta, tale domanda sul
quantum , all’evidenza del tutto priva di incidenza sull’esito del giudizio, una volta che la Corte territoriale ha espressamente escluso la sussistenza stessa (l’ an ) di ogni forma di responsabilità dei convenuti; e tanto, sulla base di un’argomentazione (la mancata dimostrazione di un accordo contrattuale volto all’ottenimento del permesso di costruire) rispetto alla quale il tentativo degli odierni ricorrenti di prospettare una diversa lettura degli elementi di prova (al fine di ritenere comprovata la conclusione di un simile accordo) deve ritenersi non consentito in questa sede;
quanto alla questione dell’avvenuta dimostrazione per altra via (diversa dalla c.t.u.) dei danni sofferti, si tratta ancora una volta di una questione irrilevante ai fini del giudizio (essendo stato escluso l’ an della responsabilità dei convenuti), al di là dell’avvenuta prospettazione di una rilettura nel merito dei fatti di causa e delle prove, sulla base, ancora una volta, di un’impostazione critica non consentita in sede di legittimità;
con il quinto motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 88, 91, 92, 96, 116 e 175 c.p.c., del d.m. n. 55/04, nonché per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360, nn. 4 e 5 c.p.c.), per avere la Corte territoriale omesso di adottare alcuna statuizione in ordine alla contestata liquidazione, da parte del giudice di primo grado, della maggiorazione del 20% delle spese di lite, essendosi le controparti artificiosamente costituite in modo separato nonostante l’assunzione della medesima posizione processuale, rendendosi in tal modo responsabili di una condotta processuale scorretta e abusiva;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, attraverso la proposizione della censura in esame, gli odierni ricorrenti intendano censurare la valutazione
operata dal giudice d’appello in ordine alla ritenuta correttezza della maggiorazione del 20% degli importi liquidati a titolo di spese di lite dal giudice di primo grado (per la pluralità delle parti costituite), ritenendo meramente artificiosa (e sostanzialmente abusiva) la costituzione separata dei diversi convenuti, nonostante l’assunzione della medesima posizione processuale;
si tratta, all’evidenza, di una censura destinata a investire, non già l’eventuale violazione dei parametri normativi evocati, destinati a regolare le modalità di liquidazione delle spese di lite, bensì la pretesa scorrettezza della valutazione discrezionale operata da entrambi i giudici di merito in ordine all’applicazione della maggiorazione contestata; e ciò, sulla base dell’invocata revisione del giudizio sulla ritenuta correttezza (tale per valutazione implicita dei giudici di merito) del comportamento processuale dei convenuti, ancora una volta sulla base di un’impostazione critica come tale non consentita in sede di legittimità;
sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso;
non sussistono gli estremi per la cancellazione delle asserzioni offensive o denigratorie asseritamente contenute nel ricorso introduttivo del presente giudizio, secondo la denuncia del difensore di NOME COGNOME trattandosi di espressioni che non travalicano i limiti del diritto di difesa della parte;
neppure sussistono i presupposti per disporre la condanna dei ricorrenti ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., come sollecitato da NOME COGNOME nella sua memoria;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore di ciascuna delle due parti controricorrenti, delle spese del presente giudizio, liquidate, per ciascuna di dette parti, in complessivi euro 5.500,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge, da liquidarsi, per la parte relativa a NOME COGNOME (nato l’8/5/1944) e NOME COGNOME, in favore del relativo difensore, avv.ssa NOME COGNOME dichiaratasi antistataria.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione