Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20291 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20291 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/07/2025
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Dott. NOME COGNOME
Presidente
Dott. NOME COGNOME
Consigliere rel. –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME
Consigliere –
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18255/2023 R.G. proposto da: COGNOME rappresentato e difeso dal prof. avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI NOME COGNOME, in persona del Rettore pro tempore , domiciliata in ROMA, INDIRIZZO PRESSO LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME e COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 421/2023 della CORTE D ‘ APPELLO di BARI, depositata il 14/03/2023 R.G.N. 1590/2021;
Oggetto: lettore madrelingua -trattamento economico ricercatore tempo definito
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con sentenza del 14/3/2023 la Corte d’appello di Bari accoglieva per quanto di ragione l’appello di NOME COGNOME e, in parziale riforma della sentenza impugnata -confermata nel resto -, «condannava l’Università degli Studi di Bari ‘Aldo Moro’ al pagamento, in favore dell’appellante, della somma di euro 22.000,25 a titolo di interessi legali relativi al periodo 1.11.1994 -31.3.2017 sulle differenze retributive già corrisposte a tutto il dicembre 2008, oltre agli interessi legali sulla sorte capitale versata a titolo di differenze retributive successive al 31.12.2008, di cui in motivazione ».
La sentenza (in questa sede impugnata) così ricostruiva le vicende del complesso rapporto intercorso fra le parti: i ) NOME COGNOME (assunto dall’anno accademico 1990/1991 come lettore di madrelingua straniera con reiterati contratti a termine ex art. 28 d.P.R. n. 382/1980) aveva instaurato un primo giudizio per ottenere il riconoscimento della natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro intercorso fra le parti che si era concluso con verbale di conciliazione del 3/12/1998, il quale aveva riconosciuto la natura a tempo indeterminato del rapporto inter partes liquidando le differenze retributive rispetto al trattamento di professore non di ruolo di scuola media superiore alla data di proposizione del ricorso (i.e., 31 ottobre 1994); ii ) il COGNOME (nelle more uscito vittorioso da una selezione per ‘esperto linguistico’ ed assunto a tempo indeterminato dal 1° novembre 1994 per 500 ore a seguito del CCNL 21/5/1996) aveva introdotto altro giudizio che aveva avuto ad oggetto, invece, le differenze retributive per il periodo successivo al 31 ottobre 1994 e la Corte d’appello di Lecce, con sentenza n. 2751 del 2013 adottata quale giudice del rinvio di Cass. n. 6750/2008, passata in giudicato a seguito del rigetto del (nuovo) ricorso per cassazione, aveva condannato l’Università al pagamento
dell’importo di euro 161.955,68, per l’intero periodo in oggetto e fino al 31.12.2008, assumendo come parametro di riferimento il trattamento del ‘ricercatore confermato a tempo definito’; iii ) successivamente il ricorrente ha nuovamente agito nell’odierno (successivo) giudizio relativo al periodo 1.1.2009/31.12.2017 per chiedere l’applicazione di quel criterio anche per il periodo anzidetto ‘secondo una corretta progressione economica’.
Con sentenza del 13 maggio 2021 il Tribunale di Bari ha respinto il ricorso, sostenendo che il precedente giudicato (sent. n. 2571 del 2013 della Corte d’appello di Lecce, confermata da Cass. n. 17276 del 2016) non aveva affrontato la questione posta dalla norma di interpretazione autentica quanto alle modalità di calcolo stabilite dall’art. 26, comma 3, legge n. 240/2010 ed ha evidenziato che nel precedente giudizio si era discusso della norma di interpretazione autentica solo con riferimento alla estinzione del processo.
La Corte d’appello ha richiamato giurisprudenza di questa Corte sull’interpretazione dell’art. 26, comma 3, della legge n. 240/2010 ed ha rilevato che il precedente giudicato (i.e., sent. n. 2571 del 2013 della Corte d’appello di Lecce) non era ostativo all’applicazione della diversa modalità di calcolo stabilita dalla norma di interpretazione autentica, tanto più che il precedente giudizio riguardava le differenze retributive comprese fra il novembre 1994 e il 31 dicembre 2008 (dunque precedente al varo dell’art. 26 co. 3 cit.); ha richiamato giurisprudenza sull’incidenza dello ius superveniens , che pone un limite all’ultrattività del giudicato ed ha quindi escluso che la ricorrente potesse pretendere il definitivo ‘aggancio’ alla retribuzione del ‘ricercatore confermato a tempo definito’; sulla scorta delle considerazioni che precedono, riteneva che la gravata sentenza meritasse conferma nella parte in cui aveva escluso il diritto a conseguire le differenze retributive rapportate al trattamento pieno e progressivo del ricercatore confermato a tempo definito a decorrere dal
1.1.2009 e che dovesse essere, invece, riformata solo nella parte in cui aveva disatteso la pretesa a ottenere gli interessi legali sulle differenze retributive successive al 31.12.2008.
Ricorre per la cassazione di tale sentenza NOME COGNOME con tre motivi.
L’Università ha resistito con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso denuncia con il primo motivo la violazione/falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., sub specie della violazione del giudicato, ex art. 2909 cod. civ., costituito dalla rideterminazione del trattamento retributivo riconosciuto dalla sentenza della Corte d’appello di Lecce del 2013, con conseguente violazione dei principi di diritto comunitario e, in ogni caso, dell’art. 36 Cost., con errata applicazione dell’art. 26, comma 3, l. n. 240 del 2010; con lo stesso motivo si denuncia altresì la nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale commesso un errore di ricognizione del contenuto oggettivo delle prove oggetto di discussione tra le parti (sentenza della Corte d’appello di Lecce del 2013 e ordinanza della Cassazione del 2016); in particolare, ad avviso della ricorrente, la Corte barese avrebbe errato nel non riconoscere alla pronuncia del 2013 valenza precettiva per il futuro.
Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 132, 156 cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., ed addebita alla sentenza gravata di avere contraddittoriamente affermato la natura interpretativa (e quindi retroattiva) della legge n. 240 del 2010, cit., e di avere poi attribuito rilevanza alla circostanza che le differenze retributive che in quel giudizio venivano in rilievo si arrestavano alla data del 31 dicembre 2008.
Con la terza critica si denuncia la nullità della sentenza, ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 cod. proc. civ.), sul rilievo che la Corte territoriale, in relazione agli sviluppi contrattuali successivi alla stipula del contratto di collaboratore linguistico, avrebbe attribuito rilievo alla mancata prova dello svolgimento di mansioni superiori, che non erano oggetto di domanda, incentrata invece sul giudicato.
Il primo motivo è fondato nella parte in cui denuncia la violazione del giudicato, con conseguente assorbimento degli ulteriori motivi.
4.1. Giova preliminarmente richiamare il principio espresso da questa Corte secondo cui il giudicato esterno, in quanto provvisto di vis imperativa e indisponibilità per le parti, va assimilato agli ‘elementi normativi’, sicché la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell’esegesi delle norme (e non già degli atti e dei negozi giuridici), in base agli artt. 12 ss. disp. prel. cod. civ., con conseguente sindacabilità in sede di legittimità degli eventuali errori interpretativi sotto il profilo della violazione di legge (così già Cass., Sez. U, 09/05/2008, n. 11501; in senso conforme, fra molte, Cass., Sez. 3, 29/11/2018, n. 30838).
4.2. Nella specie, emerge dall’ordinanza di questa Corte n. 17276 del 2016 che il primo motivo di ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 2571 del 2013, è stato ritenuto inammissibile (almeno sotto questo profilo) perché «Non risulta, infatti, censurato il passaggio argomentativo della Corte territoriale nella parte in cui, a sostegno della ritenuta non applicabilità della disposizione sulla estinzione del giudizio, ha posto il contrasto dell’art. 26, comma 3, della legge n. 240/2010, che non ha riconosciuto ‘in modo pieno ed incondizionato agli ex lettori di lingua straniera le pretese da essi vantati’, con i principi enunciati dalla Corte di Giustizia CE nella sentenza del 26 giugno 2001, a 212, direttamente applicabile
nell’ordinamento italiano »; «neppure è adeguatamente censurato il decisum della Corte di appello nella parte in cui ha ulteriormente spiegato le ragioni della ritenuta non applicabilità dell’art. 26 citato essendosi la ricorrente limitata a dedurre una pretesa inconferenza del richiamo al precedente di questa Corte costituito da Cass. 8 marzo 2013, n. 5792 senza chiarire perché il principio estrapolato da tale decisione mal si adatterebbe al caso in questione; sul punto, infatti, la Corte territoriale ha evidenziato che l’art. 26 interviene su questioni, relative ai rapporti concernenti i lettori di madrelingua straniera (d.P.R. n. 382 del 1980, ex art. 38), che, nella specie, riguardando il periodo antecedente all’1/11/1994, cioè quello regolato dalla transazione, hanno acquistato forza di giudicato; e, per ciò stesso, non formano più oggetto di ‘giudizi in corso’; tale consolidamento della situazione antecedente all’1/11/1994, producendo, sia pure in via indiretta, conseguenze sul periodo successivo, impedisce l’applicazione del richiamato art. 26 anche per detto periodo».
Ne consegue che la decisione della Corte d’appello Lecce n. 2571 del 2013 (depositata in atti), è passata in giudicato nella parte in cui ha espressamente escluso l’applicazione del richiamato art. 26 anche per il periodo successivo al 1° novembre 1994 in virtù del consolidamento della situazione antecedente, come risulta dall’ordinanza di questa Corte n. 17276/2016.
4.3. Non è, pertanto, conforme al fondamentale canone dell’interpretazione letterale il convincimento espresso nella sentenza impugnata secondo cui «Vi è di fatto che tali ultime due sentenze hanno ritenuto qui inapplicabile l’art. 26 comma 3 cit. solo in relazione alla (infondata) eccezione di estinzione ope legis di quel giudizio, lì sollevata dall’Università di Bari (nel corso del giudizio di appello, in seguito all’entrata in vigore della relativa normazione di interpretazione autentica) senza in alcun modo affrontare expressis verbis la questione
della (concorrente) portata sostanziale della prima parte del medesimo art. 26 comma 3 circa l’applicazione ai collaboratori esperti linguistici, assunti dalle università quali lettori di madrelingua straniera, del trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, in misura proporzionata all’impegno orario effettivamente assolto, ‘con effetto dalla data di prima assunzione quali lettori di madrelingua straniera a norma dell’articolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980 n. 382, sino alla data dell’instaurazione del nuovo rapporto quali collaboratori esperti linguistici, a norma dell’articolo 4 del decreto -legge 21 aprile 1995, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1995, n. 236» (p. 16 -17 sentenza impugnata), posto a base dell’erronea conclusione per cui «nulla osta, dunque, alla (doverosa) applicazione nel (separato e distinto) giudizio in esame delle cennate disposizioni sostanziali sopravvenute in relazione a periodi retributivi questa volta senz’altro rientranti sotto l’egida dell’art. 26 cit.» (p. 20 sentenza impugnata).
Trova, dunque, applicazione il principio di diritto secondo cui, in ordine ai rapporti giuridici di durata e alle obbligazioni periodiche che eventualmente ne costituiscano il contenuto, sui quali il giudice pronuncia con accertamento su una fattispecie attuale ma con conseguenze destinate ad esplicarsi anche in futuro, l’autorità del giudicato impedisce il riesame e la deduzione di questioni tendenti a una nuova decisione di quelle già risolte con provvedimento definitivo, il quale dunque esplica la propria efficacia anche nel tempo successivo alla sua emanazione, con l’unico limite di una sopravvenienza, di fatto o di diritto, che muti il contenuto materiale del rapporto o ne modifichi il regolamento (principio affermato espressamente anche in tema di lettori da Cass. Sez. L., 17/08/2018, n. 20765); nella specie, il giudicato inter partes , interpretato direttamente da questa Corte nei sensi sopra precisati, comporta, dunque, l’accoglimento del primo motivo di ricorso, atteso che, alla data di definizione del giudizio di
rinvio con la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. n. 2571 del 2013 la norma di interpretazione autentica (art. 26, comma 3, l. n. 240 del 2010) era già intervenuta e la Corte di merito ne aveva inequivocabilmente escluso l’applicazione al rapporto dedotto in giudizio.
L’impugnata sentenza va, dunque, cassata in relazione al primo motivo, assorbiti gli ulteriori motivi, con rinvio alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli ulteriori motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione