Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22086 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22086 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18053/2022 R.G. proposto da COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione; -ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 103/22, depositata il 19 gennaio 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 aprile 2024 dal
Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio NOME COGNOME, per sentirlo condannare al pagamento della somma di Euro 11.874,06, oltre interessi, a titolo di penalità per la violazione dell’impegno statutario di conferimento del latte.
Premesso che il Fè era stato espulso dalla compagine sociale con delibera del 25 marzo 1999, per illegittima interruzione del conferimento del latte, sostenne che il Consiglio di amministrazione aveva disposto anche l’applicazione di una penalità, ai sensi dell’art. 12 dello statuto sociale.
Si costituì il Fè, assumendo che la medesima domanda era stata proposta in via riconvenzionale dalla RAGIONE_SOCIALE in un precedente giudizio di opposizione da essa promosso avverso un decreto ingiuntivo da lui ottenuto, e conclusosi con sentenza del 23 agosto 2005, con cui il Giudice di pace di Pitigliano aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario relativamente alla predetta domanda; eccepì quindi l’estinzione del giudizio per mancata o tardiva riassunzione e il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario, nonché l’infondatezza della domanda, chiedendone il rigetto.
1.1. Con sentenza del 22 agosto 2017, il Tribunale di Grosseto dichiarò inammissibile la domanda, affermando la spettanza della giurisdizione al Collegio dei probiviri previsto dagli artt. 22 e 47 dello statuto sociale.
L’impugnazione proposta dalla RAGIONE_SOCIALE è stata accolta dalla Corte d’appello di Firenze, che con sentenza del 19 gennaio 2022 ha dichiarato la giurisdizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria, rimettendo gli atti al Giudice di primo grado.
A fondamento della decisione, la Corte ha escluso che la dichiarazione del difetto di giurisdizione pronunciata nel precedente giudizio avesse comportato la formazione del giudicato in ordine alla devoluzione della controversia alla cognizione del Collegio dei probiviri, osservando che la relativa sentenza non aveva adottato alcuna statuizione di merito in ordine alla domanda riconvenzionale, essendosi limitata ad esaminare il merito della pretesa avanzata dal Fè ed avendo per il resto rilevato la competenza arbitrale. Ha aggiunto che
l’appellato non aveva neppure riproposto l’eccezione di arbitrato ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ., essendosi limitato a chiedere la conferma della decisione di primo grado, fondata sulla rilevazione del giudicato esterno, ed ha escluso la rilevabilità d’ufficio della competenza arbitrale, in quanto configurabile come un fatto impeditivo dell’esercizio della giurisdizione statale, da farsi valere nei tempi e nei modi previsti per le eccezioni in senso stretto.
Avverso la predetta sentenza il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria. La RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 37 e 324 cod. proc. civ., sostenendo che, nell’escludere la configurabilità del giudicato esterno, la sentenza impugnata non ha considerato che lo stesso può formarsi per effetto di una declaratoria espressa o implicita del giudice di merito, non investita da specifica impugnazione, a condizione che la stessa si coniughi con statuizioni anche implicite relative a profili sostanziali del rapporto controverso, ed abbia ad oggetto una causa soggettivamente ed oggettivamente identica. Premesso che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso dalla RAGIONE_SOCIALE il Giudice di pace di Pitigliano aveva accolto l’eccezione di difetto di giurisdizione proposta da esso ricorrente, revocando il decreto ingiuntivo e dichiarando la giurisdizione del Collegio dei probiviri, afferma che la mancata impugnazione di tale statuizione comportava la formazione di un giudicato implicito anche in ordine alla validità della clausola arbitrale, il cui accertamento implicava un giudizio di merito.
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 37 e 346 cod. proc. civ., osservando che, nel dare atto della mancata riproposizione dell’eccezione di difetto di giurisdizione, la sentenza impugnata non ha considerato da un lato che l’accoglimento della stessa da parte del Giudice di primo grado escludeva la necessità della riproposizione in appello, e dall’altro che il difetto di giurisdizione è rilevabile anche d’ufficio.
I due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto riflettenti profili diversi della medesima questione, sono fondati.
Non può infatti condividersi la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che, nonostante la mancata impugnazione della sentenza precedentemente emessa dal Giudice di pace di Pitigliano, la dichiarazione del difetto di giurisdizione da quest’ultimo pronunciata in ordine alla domanda riconvenzionale di condanna del Fè al pagamento delle penalità inflittegli dal Consiglio di amministrazione, proposta dalla RAGIONE_SOCIALE nel giudizio di opposizione promosso avverso il decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento dei quantitativi di latte conferiti dal ricorrente, non abbia comportato la formazione di un giudicato destinato ad operare anche in caso di estinzione del giudizio.
Premesso che, essendo il giudicato assimilabile agli elementi normativi del fatto, in quanto destinato a fissare la regola del caso concreto, la sua esistenza e la sua portata possono essere accertati direttamente dal Giudice di legittimità, con cognizione piena, che si estende all’esame diretto degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione che ne abbia fornito il giudice di merito (cfr. Cass., Sez. V, 7/12/2021, n. 38767; Cass., Sez. II, 12/06/2018, n. 15339; Cass., Sez. I, 5/10/2009, n. 21200), si osserva che con la predetta sentenza, prodotta nel presente giudizio, il Giudice di pace, nell’accertare la devoluzione al Collegio dei probiviri delle controversie scaturenti dal rapporto associativo, aveva espressamente qualificato il procedimento previsto dagli artt. 22 e 47 dello statuto sociale come arbitrato irrituale, astenendosi coerentemente dal fissare il termine per la riassunzione del giudizio, giacché in tale ipotesi non opera il meccanismo della translatio judicii , con la conseguenza che la mancata riproposizione della domanda dinanzi agli arbitri non può comportare neppure l’estinzione del giudizio.
Com’è noto, infatti, a differenza dell’arbitrato rituale, che ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del Giudice ordinario, con la conseguenza che l’eccezione di compromesso ha carattere processuale e dà luogo ad una questione di competenza (cfr. Cass., Sez. II, 3/01/2024, n. 112; 16/
11/2021, n. 34569; Cass., Sez. VI, 5/10/2021, n. 26949), idonea a giustificare, in caso di accoglimento dell’eccezione, l’applicazione dell’art. 50 cod. proc. civ. (cfr. Cass., Sez. VI, 21/01/2016, n. 1101; 6/12/2012, n. 22002), il deferimento della controversia agli arbitri irrituali si configura come rinuncia all’esperimento dell’azione giudiziaria ed alla giurisdizione dello Stato, attraverso la scelta di una soluzione della controversia con uno strumento di natura privatistica, con la conseguenza che la relativa eccezione dà luogo ad una questione di merito, riguardante l’interpretazione e la validità del compromesso o della clausola compromissoria ed avente ad oggetto la prospettazione di un fatto impeditivo dell’esercizio della giurisdizione statale (cfr. Cass., Sez. II, 10/06/2024, n. 16071; 27/03/2007, n. 7525; Cass., Sez. III, 14/04/2000, n. 4845). Proprio per tale ragione, peraltro, in caso di estinzione del giudizio, la sentenza del giudice di merito che abbia dichiarato la propria incompetenza, per essere la controversia devoluta agli arbitri rituali, diviene inefficace, ai sensi dell’art. 310, secondo comma, cod. proc. civ., mentre quella che abbia dichiarato l’improponibilità della domanda, per essere la controversia devoluta ad arbitri irrituali, conserva la propria efficacia, e può essere fatta valere anche in altri giudizi successivamente promossi, che, come quello in esame, abbiano ad oggetto la medesima domanda.
Tale efficacia non può essere esclusa, nella specie, in virtù della circostanza che il Giudice di pace, invece di rigettare la domanda riconvenzionale proposta dalla RAGIONE_SOCIALE, abbia dichiarato il proprio difetto di giurisdizione in favore degli arbitri, trattandosi di una questione d’interpretazione del dictum della sentenza, che non incide sulla chiarezza della qualificazione giuridica attribuita alla fattispecie, e quindi sull’individuazione delle relative conseguenze. Parimenti ininfluente è la circostanza, posta in risalto dalla sentenza impugnata, che il Giudice di pace non abbia pronunciato alcuna statuizione di merito in ordine alla domanda riconvenzionale proposta dalla RAGIONE_SOCIALE, ma si sia limitato a dichiarare la competenza arbitrale, in accoglimento dell’eccezione proposta dal ricorrente, esaminando nel merito soltanto la domanda proposta da quest’ultimo nel procedimento monitorio, e rigettandola, con conseguente revoca del decreto ingiuntivo: come si è detto, infatti, in tema di arbitrato irrituale, è la stessa decisione sull’eccezione di compro-
messo a configurarsi come una pronuncia di merito, poiché, comportando l’accertamento della rinuncia all’azione giudiziaria, impone la dichiarazione d’improponibilità della domanda, che determina l’assorbimento della pretesa avanzata dinanzi al Giudice ordinario.
Nessun rilievo può assumere, infine, neppure la circostanza, rilevata dalla Corte territoriale, che l’eccezione di compromesso non sia stata espressamente riproposta nel giudizio di appello, ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ.: la decadenza prevista da tale disposizione, riferendosi alle domande e alle eccezioni non esaminate o rimaste assorbite in primo grado, non poteva infatti operare nel caso in esame, essendo stata l’eccezione specificamente esaminata ed accolta dal Tribunale, ed avendo la RAGIONE_SOCIALE riproposto la questione con i motivi di appello, con la conseguenza che il ricorrente non aveva l’onere di riproporla a sua volta, ma poteva limitarsi, come ha fatto, a resistere alle censure mosse dalla controparte alla sentenza di primo grado. In quanto aventi un oggetto non disponibile dalle parti, le questioni attinenti alla proponibilità dell’azione sono d’altronde rilevabili anche d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo, e quindi anche in sede di gravame, a meno che non siano state già esaminate e decise dal giudice di primo grado, nel qual caso il relativo potere incontra un limite nella preclusione derivante dalla acquiescenza della parte soccombente o di quella che, pur non essendo tenuta ad impugnare la sentenza, perché risultata vittoriosa per altre ragioni, non abbia riproposto la relativa eccezione ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ. Qualora poi la questione di proponibilità non sia stata decisa in primo grado e non sia stata rilevata in appello nemmeno dal giudice, essa, ove non implichi un nuovo accertamento od apprezzamento di fatto, può essere prospettata anche in cassazione, non costituendo una questione nuova, la quale è configurabile, in sede di legittimità, solo nel caso in cui si richieda un nuovo accertamento o apprezzamento in fatto, e non anche quando restino immutati i termini in fatto della controversia, così come accertati dal giudice di merito (cfr. Cass., Sez. III, 18/04/2007, n. 9297; 28/04/1981, n. 2585; Cass., Sez. lav., 6/05/1999, n. 4553).
4. Il ricorso va pertanto accolto, con la cassazione della sentenza impugnata, senza rinvio, ai sensi dell’art. 382, terzo comma, cod. proc. civ., poiché
la domanda non poteva essere proposta.
Le spese del giudizio d’appello e di quello di legittimità seguono la soccombenza, e si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
accoglie il ricorso e cassa senza rinvio la sentenza impugnata. Condanna la controricorrente al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese del giudizio di appello, che liquida in Euro 3.777,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge, e di quelle del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma il 24/04/2024